Infortunio di un lavoratore irregolare con una sega circolare elettrica
Responsabilità del committente, direttore tecnico di cantiere e responsabile della sicurezza
Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 57187 Anno 2017
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 25/10/2017
1. La Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, appellata da M.G.C.A., con la quale costui era stato condannato - per il reato di cui all'art. 590 co. 1 e 3 cod. pen. in relazione all'art. 90 d.lgs. 81/2008, ai danni del lavoratore E.O.T. - alla pena sospesa di mesi cinque di reclusione, oltre al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile, con riconoscimento di una provvisionale di euro 15.000,00.
2. Si è contestato al M.G.C.A., nella qualità di Presidente del C.d.A. di GE.MA. s.r.l., impresa committente ed esecutrice principale delle opere edili, di avere cagionato al predetto E.O.T., lavoratore con mansioni di manovale, lesioni personali gravi per colpa generica, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, e specifica, per inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare: per non aver verificato l'idoneità tecnico-professionale del lavoratore in relazione alle funzioni e ai lavori da affidargli con le modalità di cui all'allegato XVII del d.lgs. 81/2008; e per non aver verificato l'idoneità delle attrezzature utilizzate.
In particolare, E.O.T., il giorno 19/04/2010, mentre era impegnato nella posa in opera di un battiscopa in quel cantiere, durante il taglio di un listello di legno con l'utilizzo di una sega circolare elettrica, si era avvicinato oltre misura con la mano destra alla lama circolare, procurandosi una ferita al terzo dito della mano dx e ai tendini estensori e al II dito della stessa mano, da cui era derivata una malattia della durata di gg. 295, con un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un ugual periodo di tempo.
3. L'imputato ha proposto ricorso personalmente, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione ed inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla valutazione del compendio probatorio.
La parte contesta la prova di due circostanze, vale a dire l'esistenza nel cantiere del macchinario sprovvisto di protezione e l'impiego del lavoratore al suo interno, essendo emerso a tal proposito che il M.G.C.A. era intervenuto per allontanarlo dai luoghi. Cosicché l'infortunio sarebbe ricollegabile ad una condotta inopinabile del lavoratore, esorbitante dal procedimento lavorativo, cui egli non era addetto, poiché non autorizzato a svolgerlo.
Con il secondo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale, a causa dell'errata ricostruzione dei fatti, che la parte ritiene fondata su assunti inesistenti. Osserva il ricorrente che, in base al principio di affidamento, devono essere individuati specifici limiti alla responsabilità datoriale, che sarebbe altrimenti attribuita in maniera automatica, trasformando il principio di garanzia in una forma di responsabilità oggettiva.
1. Il ricorso è inammissibile.
2. La Corte d'appello ha ritenuto che l'imputato, in qualità di committente e responsabile della sicurezza del cantiere, avesse l'onere di assicurarsi, non soltanto prima, ma anche durante lo svolgimento dei lavori, del rispetto delle norme di sicurezza da parte di tutti coloro che operavano all'interno dello stesso, ivi compresi i lavoratori alle dipendenze delle ditte subappaltatrici, ancorché non regolarmente assunti da quest'ultime. Verifica che, secondo la Corte ambrosiana, avrebbe dovuto riguardare anche le attrezzature appartenenti a quelle ditte nel momento in cui esse venivano utilizzate in cantiere, osservando che l'onere di informazione nei confronti degli operai si impone a maggior ragione rispetto ai dipendenti di altre ditte che utilizzino o possano anche solo accedere a macchinari della società committente.
Cosicché, secondo la Corte territoriale, anche a voler ritenere accertato che la p.o. fosse alle dipendenze della ditta E.M., ne conseguirebbe solo la configurabilità di una concorrente responsabilità del presunto datore di lavoro, la posizione di garanzia ricoperta dall'imputato essendo riconducibile comunque alle qualità di legale rappresentante dell'impresa committente, di direttore tecnico e di responsabile del cantiere.
Quanto alla apertura del cantiere e alla ritenuta persistenza della posizione di garanzia ricoperta dall'Imputato, la Corte di merito ha rilevato che esso doveva considerarsi ancora tale, ad onta della formale presentazione della dichiarazione di fine lavori del 04/04/2010, nella quale infatti il M.G.C.A., in qualità di rappresentante di GE.MA. s.r.l., dava atto della esistenza di lavori da ultimare, diffidando in data 13/04/2010 la ditta E.M. ad ultimare le opere. Tra i lavori ancora da eseguire, oltre ai lavori idraulici ed elettrici certamente in corso, la Corte di merito ha ritenuto doversi annoverare anche la posa dei battiscopa, cui era intento il lavoratore E.O.T. al momento dell'infortunio.
In merito, poi, al presunto intervento del M.G.C.A. per allontanare la p.o. dal cantiere e alla conseguenza che la parte appellante vi ha riconnesso (che l'infortunio fosse cioè da ricollegarsi alla inopinabile iniziativa del E.O.T., del tutto eccentrica rispetto al ciclo lavorativo), secondo quanto riferito in sede testimoniale (il riferimento è al teste a difesa R., il quale ha riferito di avere visto l'imputato dialogare con due uomini ai quali stava intimando di allontanarsi dal cantiere e di avere poi notato i due nell'atto di andarsene), la Corte d'appello ha ritenuto che il nesso eziologico non sarebbe stato interrotto da un eventuale intervento dell'imputato nei termini anzidetti, la cui inefficacia ha ricollegato alla circostanza che le stesse persone che il teste riferiva essersi allontanate avrebbero ciononostante portato avanti un'attività lavorativa, utilizzando un macchinario molto rumoroso, trovando così conferma l'assunto che il M.G.C.A. non aveva posto in essere quei presidi e quelle cautele necessari ad assicurarsi che nell'area dì propria competenza non operassero persone non regolarmente assunte, non formate né informate.
Conclusivamente, poi, per quanto attiene alla disponibilità della sega circolare sprovvista dei presidi di sicurezza, la Corte di merito ha rilevato la solidità del quadro probatorio in base al quale il Tribunale aveva ritenuto il macchinario di pertinenza della GE.MA. s.r.l., rilevando risolutivamente la non incidenza della circostanza sulla responsabilità ravvisata in capo all'imputato, i cui oneri non sarebbero venuti meno nell'ipotesi in cui lo strumento fosse appartenuto ad altra ditta operante in quel cantiere.
3. I motivi sono entrambi manifestamente infondati.
3.1. Le questioni che il ricorso ripropone al vaglio di legittimità si polarizzano attorno a censure, con le quali, in definitiva, parte ricorrente contesta il ragionamento probatorio condotto in sede di merito, con riferimento a due profili principali: l'affidamento riposto dal M.G.C.A. sull'efficacia del suo presunto intervento per allontanare due soggetti, uno dei quali dovrebbe essere stata la p.o., con conseguente interruzione del nesso eziologico tra le omissioni contestate e l'evento, che sarebbe conseguenza della sola condotta del lavoratore, del tutto eccentrica rispetto al ciclo lavorativo in corso; la non pertinenza del macchinario sprovvisto dei presidi di sicurezza alla GE.MA. s.r.l., anche alla luce dell'esito positivo della causa introdotta dinnanzi al giudice del lavoro.
3.2. A questo punto s'impone una premessa di ordine generale.
In caso di giudizio conforme di colpevolezza, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei, rispetto a quelli utilizzati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità (Cass. pen., Sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993 Ud. (dep. 04/02/1994), Rv. 197250; Sez. 3 n. 13926 dell'01/12/2011 Ud. (dep. 12/04/2012), Rv. 252615). Va pure ribadito che la funzione tipica dell'impugnazione è quella di una critica argomentata al provvedimento che si realizza, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), attraverso la presentazione di motivi che devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Pertanto, il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione è il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta [cfr., in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584].
Quanto alla natura del sindacato di legittimità, poi, avuto riguardo alla invocata rivalutazione del compendio probatorio, anche di natura dichiarativa, pare opportuno rammentare che gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità, in sede di legittimità, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Non va infatti dimenticato che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).
[...]
4.1. Nello specifico, però, va intanto considerato che le contestazioni formulate a carico del M.G.C.A. sono da ricondursi ad una duplice posizione di garanzia, quale legale rappresentante cioè della ditta committente dei lavori e quale direttore tecnico del cantiere e responsabile per la sicurezza al suo interno, posizioni invero neppure contestate in ricorso.
Cosicché, sul punto, pare sufficiente osservare come, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la figura del direttore tecnico dei lavori è inquadrabile nel modello legale del dirigente (cfr. sez. 4 n. 39606 del 28/06/2007, Rv. 237879), soggetto, cioè, preposto alla direzione tecnico-amministrativa dell'azienda con responsabilità diretta dell'andamento del servizio, cui spetta, in definitiva, di predisporre tutte le misure di sicurezza fornite dal capo dell'impresa e stabilite dalle norme, di controllare le modalità del processo di lavorazione, vigilare, per quanto è possibile, sulla regolarità antinfortunistica delle lavorazioni (cfr. sez. 4 n. 1345 dell'01/07/1992, Rv. 193034).
4.2. La posizione di garanzia ricoperta dall'imputato, inoltre, è ricollegata anche alla qualità di committente e responsabile dei lavori in esame, in un cantiere nel quale erano impiegate più ditte e più lavoratori dipendenti di esse - anche irregolari - come accertato in sede di merito. Alla pag. 20 della sentenza appellata, il Tribunale ha dato opportunamente atto della circostanza che il M.G.C.A. aveva ammesso di conoscere T.S., dipendente irregolare della ditta E.M., parimenti coinvolta in quei lavori edili, il quale aveva peraltro dichiarato di aver portato con sé l'amico E.O.T. il giorno dell'infortunio proprio su richiesta del M.G.C.A. (cfr., quanto al contenuto della testimonianza del T.S., pagg. 7 e 8 della sentenza appellata).
Peraltro, non risulta che l'imputato avesse nominato un coordinatore per l'esecuzione dei lavori, a norma dell'art. 90 co. 4 d. lgs. 81 del 2008, pur trattandosi di cantiere nel quale era prevista la presenza contemporanea di più imprese esecutrici. Pertanto, egli aveva lo specifico onere di procedere alle verifiche di cui all'art. 90 co. 9 stesso d.lgs. e, tra queste, quella concernente proprio la idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, di quelle esecutrici e dei lavoratori autonomi, in relazione alle funzioni e ai lavori da affidare, con le modalità di cui all'allegato XVII.
4.3. Infine, con riferimento alla pretesa interruzione del nesso eziologico, una volta accertato che la p.o. era irregolarmente impiegata in quel cantiere e che l'infortunio è avvenuto nel corso di una lavorazione inclusa a pieno titolo nel ciclo lavorativo, avvalendosi di una strumentazione presente in cantiere e priva dei presidi di sicurezza, si rileva che la condotta colposa del lavoratore può far venire meno la responsabilità del soggetto che ricopre la posizione di garanzia solo ove egli abbia tenuto un vero e proprio contegno abnorme, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di "atto abnorme", si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313).
L'abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall'avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del "comportamento abnorme", serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne al processo di lavoro - che connotano la condotta dell'infortunato In modo che essa si collochi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). In conclusione, tale comportamento è "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094).
5. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, a norma dell'alt. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il giorno 26 ottobre 2017