Sicurezza: obblighi di progettisti, fabbricanti e installatori
I soggetti esterni all’azienda, quali progettisti, fabbricanti, fornitori ed installatori, sono stati annoverati fra i debitori dell’obbligo di sicurezza già dal 1955. L’art. 7, d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, infatti, espressamente vietava la costruzione, la vendita, il noleggio, la concessione in uso di macchine, di parti di macchine, di attrezzature, di utensili e di apparecchi in genere destinati al mercato interno, nonché l’installazione di impianti, che non [fossero] rispondenti alle norme del decreto (...)”.
La ratio del coinvolgimento di tutti questi soggetti estranei all’azienda nel sistema della sicurezza sul lavoro, si è rinvenuta nell’esigenza di rendere più completa ed efficace la tutela dei lavoratori, impedendo in tal modo la costruzione e l’immissione nel mercato di apparecchi potenzialmente pericolosi per la loro integrità fisica.
Con l’avvento del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008), tutta la disciplina relativa ai soggetti esterni all’azienda contenuta prima nel d.P.R. n. 547/1955 e poi nel d.lgs. n. 626/1994, è stata sostanzialmente confermata negli artt. 22, 23 e 24, salvo qualche modifica letterale che, tuttavia, non ne scardina l’impostazione. La dottrina, sul punto, è unanime nel ritenere che le anzidette norme abbiano natura programmatica; esse, infatti, non prescrivono precisamente le condotte vietate, bensì rinviano ad altre norme, di natura prevalentemente tecnica, che ne completano il contenuto.
Parimenti confermata resta, poi, la ratio della disciplina, rappresentata dall’opportunità di disciplinare il processo produttivo delle attrezzature da utilizzare nell’ambiente di lavoro e il coinvolgimento dei soggetti esterni all’azienda nel debito di sicurezza. Nonostante una sostanziale continuità fra i tre corpi normativi che dagli anni ’50 del secolo scorso hanno regolato la materia in esame, non possono essere sottovalutate le novità introdotte dal Testo Unico del 2008. Esse sono essenzialmente due e di portata esclusivamente letterale.
In primo luogo, il legislatore del 2008 ha sostituito il termine “macchine”, presente nella disciplina previgente, con il termine “attrezzature di lavoro”. Ciò al fine di allineare la normativa in questione con quella del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 17, che, da un lato, ha recepito la direttiva macchine 2006/42/CE, contenente i requisiti di costruzione delle attrezzature di lavoro, e, dall’altro, ha abrogato il previgente d.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 che regolava la medesima materia. In secondo luogo, così come innanzi accennato, nelle disposizioni introdotte dal Testo Unico, è costante il riferimento alla normativa “in materia di salute e sicurezza” cui i debitori esterni di sicurezza devono attenersi nell’adempimento dei propri obblighi.
Una significativa critica alla formulazione degli artt. 22, 23 e 24 del d.lgs. n. 81/2008 è stata, tuttavia, mossa da chi ha rilevato che, a differenza di quanto accade a proposito di altre figure soggettive protagoniste del sistema di sicurezza, nel d.lgs. n. 81/2008 manca del tutto una esplicita definizione dei soggetti “esterni” all’azienda. ...
Sono 3 gli Articoli cardine del D.Lgs. 81/2008 per gli Obblighi di progettisti, fabbricanti e installatori
Art. 22. Obblighi dei progettisti
1. I progettisti dei luoghi e dei posti di lavoro e degli impianti rispettano i principi generali di prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro al momento delle scelte progettuali e tecniche e scelgono attrezzature, componenti e dispositivi di protezione rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari in materia.
Art. 23. Obblighi dei fabbricanti e dei fornitori (1)
1. Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. 2. In caso di locazione finanziaria di beni assoggettati a procedure di attestazione alla conformità, gli stessi debbono essere accompagnati, a cura del concedente, dalla relativa documentazione.
Art. 24. Obblighi degli installatori
1. Gli installatori e montatori di impianti, attrezzature di lavoro o altri mezzi tecnici, per la parte di loro competenza, devono attenersi alle norme di salute e sicurezza sul lavoro, nonché alle istruzioni fornite dai rispettivi fabbricanti.
Art. 61. Esercizio dei diritti della persona offesa
1. In caso di esercizio dell'azione penale per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto e' commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale, il pubblico ministero ne da' immediata notizia all'INAIL ed all'IPSEMA, in relazione alle rispettive competenze, ai fini dell'eventuale costituzione di parte civile e dell'azione di regresso.
2. Le organizzazioni sindacali e le associazioni dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro hanno facolta' di esercitare i diritti e le facolta' della persona offesa di cui agli articoli 91 e 92 del codice di procedura penale, con riferimento ai reati commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale. ... segue in allegato
Il carico d’incendio viene così definito al p. 1. lettera c) del DM 09/03/2007: "potenziale termico netto della totalità dei materiali combustibili contenuti in uno spazio corretto in base ai parametri indicativi della partecipazione alla combustione dei singoli materiali. il carico di incendio è espresso in MJ; convenzionalmente 1 MJ è assunto pari a 0,054 chilogrammi di legna equivalente".
Esso è il parametro fondamentale per il dimensionamento della resistenza all'incendio delle strutture.
Il DM 09/03/2007 ha sostituito la storica circolare 14/09/61, n° 91.
La definizione di resistenza al fuoco, data al p. 1.11 del DM 30/11/1983, era in origine: “Attitudine di un elemento da costruzione (componente o struttura) a conservare - secondo un programma termico prestabilito e per un tempo determinato - in tutto o in parte: la stabilità «R», la tenuta «E», l’isolamento termico «I», così definiti: …”.
Tale definizione è stata modificata dal c. 2 dell’art. 4 del DM 09/03/2007 e così espressa: “una delle fondamentali strategie di protezione da perseguire per garantire un adeguato livello di sicurezza della costruzione in condizioni di incendio. Essa riguarda la capacità portante in caso di incendio, per una struttura, per una parte della struttura o per un elemento strutturale nonché la capacità di compartimentazione rispetto all’incendio per gli elementi di separazione sia strutturali, come muri e solai, sia non strutturali, come porte e tramezzi.”
Essa amplia il concetto legato alla resistenza di un elemento da costruzione limitato alla sola REI. La classificazione della resistenza al fuoco è riportata nel DM 16/02/2007 ed è legata al DM 09/03/2007 per il calcolo del carico d’incendio.
Il DM 16/02/2007 elenca le varie possibilità di determinazione delle caratteristiche di resistenza al fuoco delle strutture e, all’allegato D, riporta le tabelle per il calcolo semplificato di confronto con tabelle. In attesa che la tabella D riporti i valori da adottare per le pareti in muratura portanti è stata emanata al lettera circolare 15/02/2006, n. 1968.
È opportuno precisare che, laddove la normativa prevede una misura antincendio, per esempio un rivelatore di fumo nei locali, quando il carico d’incendio supera un dato valore, il carico da considerare è quello non corretto coi vari parametri relativi le differenti misure di protezione adottate. Ossia, secondo le definizioni del DM 09/03/2007, deve essere considerato il carico d’incendio specifico e non quello specifico di progetto.
Norme di sicurezza per la protezione contro il fuoco dei fabbricati a struttura in acciaio destinati ad uso civile. (Circolare abrogata dal comma 1 dell’art. 4 del DM 09/03/2007 N.d.R.)
06/03/1986
DM 06/03/86
Calcolo del carico di Incendio per locali aventi strutture portanti in legno. (Decreto abrogato dal comma 1 dell’art. 4 del DM 09/03/2007. N.d.R.)
23/01/1987
Lettera Circolare 23/01/87, n° 1169/4101
Art. 3 del D.M. 8 marzo 1985. Carico d’incendio. Legge n. 818/1984. (Sul considerare gli infissi in legno nel computo del carico d’incendio. N.d.R.).
23/03/2000
Chiarimento 23/03/00, n° P223/4147 sott. 4
Decreto Ministero dell’Interno 6 marzo 1986 - Campo di applicazione – Quesito – (Sull’applicabilità del criterio del calcolo del carico d’incendio in presenza di strutture in legno per tutte le attività soggette a controllo di prevenzione incendi. N.d.R.)
DM 09/03/2007 - Fattore riduttivo per la presenza di squadra aziendale dedicata alla lotta antincendio.
22/01/2008
Chiarimento 22/01/08, n° P1568/4122 sott. 55
DM 09/03/2007 - Prestazioni di resistenza al fuoco delle costruzioni nelle attività soggette al controllo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
Quesiti. – (inerenti a:
1) correlazione col T.U. delle costruzioni – DM 14/09/2005;
2) impiego delle certificazioni ex circolare 91/61 per strutture esistenti;
3) applicazione del TU delle costruzioni, DM 14/09/2005, per le attività non soggette a controllo di prevenzione incendi;
4) cosa debba intendersi per “organi di controllo” ed “accertare” laddove il decreto determina che per le strutture esistenti “gli organi di controllo …. omissis … abbiano accertato” le caratteristiche di resistenza al fuoco;
5) cosa si debba intendere per superficie lorda di un compartimento;
6) quali elementi oggettivi possano essere presi in considerazione per la scelta della classe di rischio;
7) quali debbano essere le caratteristiche degli evacuatori di fumo per applicare il fattore δn3;
8) quali debbano essere le caratteristiche dell’impianto di rivelazione di incendio per applicare il fattore δn4;
9) quali debbano essere le caratteristiche di presenza della squadra aziendale antincendio per applicare il fattore δn5;
10) quali debbano essere le caratteristiche di “accessibilità ai mezzi di soccorso” per applicare il fattore δn9;
11) quali siano le fonti da ritenere autorevoli per la determinazione di qf, valore nominale del carico d’incendio specifico, attraverso una valutazione statistica del carico d’incendio con probabilità di superamento inferiore al 20%;
12) quale area sia da considerare, ai fini dell’attribuzione della resistenza al fuoco delle strutture, nel caso in cui i carichi di incendio specifici non siano distribuiti uniformemente;
13) quando attribuire il livello II di prestazione;
14) quale sia “l’autorità competente” per fissare i livelli IV o V di prestazione;
15) quali siano i criteri per differenziare le strutture “primarie” dalle “secondarie” nel caso di utilizzo di copponi portanti come tipologia edilizia;
16)quale procedure adottare per la valutazione della resistenza al fuoco nel caso di norme vigenti che rimandano alla circolare 91/61 abrogata;
17) quale procedura adottare nel caso di variazione di destinazione d’uso o di carico d’incendio per costruzioni esistenti. N.d.R.)
13/03/2014
Chiarimento 13/03/14, n° 3021
Quesito liquori. (In merito al poter non considerare il contributo del carico d'incendio di alcuni liquori non sostenenti l'incendio. N.d.R.)
Infortuni e malattie lavoro: Procedura e Moduli di gestione
In allegato Procedura e Moduli ad uso DL/RSPP per la gestione di infortuni e malattie professionali. L'obiettivo è definire le modalità per la gestione degli incidenti e infortuni allo scopo di attuare azioni preventive e correttive finalizzate ad annullare o ridurre al minimo la probabilità che gli stessi si ripetano anche con l’eventuale aggiornamento del DVR.
Documento completo di (fonte ISPRA, da adattare):
1. Procedura 2. Modulo 1 - Verbale rilevazione infortuni 3. Modulo 2 - Verbale rilevazione incidenti, quasi incidenti 4. Modulo 3 - Proposta di Azione correttiva (AC) in materia di sicurezza
Si accenna alla legislazione per la gestitione dei dati di infortuni sul lavoro da parte degli ENTI preposti (INAIL) in riferimento alla loro trasmissione alla UE, in accordo con quanto previsto dal Regolamento (CE) n. 1338/2008 relativo alle statistiche comunitarie sulla sanità pubblica e la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro e Regolamento (UE) n. 349/2011.
[box-warning]Monitoraggio Infortuni e mancati infortuni
Monitorare Infortuni e mancati infortuni è una attività importante preventiva che consente di agire su carenze di sicurezza e salute prima del verificarsi di potenziali altri infortuni similari, suggeriamo di organizzare sempre una attività in merito.[/box-warning]
Excursus
Procedura di definizione degli infortuni e dei mancati infortuni (near miss)
1 Premessa - L’infortunio sul lavoro Si definisce infortunio sul lavoro ogni incidente avvenuto per “causa violenta in occasione di lavoro” dal quale derivi la morte, l’inabilità permanente o l’inabilità assoluta temporanea per più di tre giorni. Si differenzia dalla malattia professionale poiché l’evento scatenante è improvviso e violento, mentre nel primo caso le cause sono lente e diluite nel tempo.
La causa “violenta” è un fattore che opera dall’esterno nell’ambiente di lavoro, con azione intensa e concentrata nel tempo, e presenta le seguenti caratteristiche: efficienza, rapidità ed esteriorità. Può essere provocata da sostanze tossiche, sforzi muscolari, microrganismi, virus o parassiti e da condizioni climatiche e microclimatiche.
In sintesi, una causa “violenta” è ogni aggressione che dall’esterno danneggia l’integrità psico-fisica del lavoratore. Per occasione di lavoro si intendono, invece, tutte le situazioni, comprese quelle ambientali, nelle quali si svolge l’attività lavorativa e nelle quali è imminente il rischio per il lavoratore.
A provocare l’eventuale danno possono essere:
- elementi dell’apparato produttivo; - situazioni e fattori propri del lavoratore; - situazioni ricollegabili all’attività lavorativa.
Non è sufficiente, quindi, che l’evento avvenga durante il lavoro ma che si verifichi per il lavoro, così come appurato dal cosiddetto esame eziologico, ossia l’esame delle cause dell’infortunio.
Deve esistere, in sostanza, un rapporto, anche indiretto di causa-effetto tra l’attività lavorativa svolta dall’infortunato e l’incidente che causa l’infortunio.
Per l’Inail sono esclusi dalla tutela gli infortuni conseguenti ad un comportamento estraneo al lavoro, quelli simulati dal lavoratore o le cui conseguenze siano dolosamente aggravate dal lavoratore stesso. Sono invece tutelabili gli infortuni accaduti per colpa del lavoratore, in quanto gli aspetti soggettivi della sua condotta (imperizia, negligenza o imprudenza) nessuna rilevanza possono assumere per l’indennizzabilità dell’evento lesivo, sempreché si tratti di aspetti di una condotta comunque riconducibile nell’ambito delle finalità lavorative.
In questo senso, pur essendo una originalità nella statistica europea, l’Italia riconosce l’infortunio in itinere, dove per infortunio si intende l’incidente che ha causato un danno durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro. Il cosiddetto infortunio in itinere può verificarsi, inoltre, durante il normale percorso che il lavoratore deve fare per recarsi da un luogo di lavoro a un altro, nel caso di rapporti di lavoro plurimi, oppure durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti, se non esiste una mensa aziendale.
E' stata riconosciuta l'indennizzabilità anche per l'infortunio occorso al lavoratore durante la deviazione del tragitto casa-lavoro dovuta all'accompagnamento dei figli a scuola.
Qualsiasi modalità di spostamento è ricompresa nella tutela (mezzi pubblici, a piedi, ecc.) a patto che siano verificate le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari. Al contrario, il tragitto effettuato con l’utilizzo di un mezzo privato, compresa la bicicletta in particolari condizioni, è riconosciuto solo se tale uso è necessitato.
Al contrario non sono riconosciute dall’Inail le eventuali interruzioni e deviazioni del normale percorso a eccezione di alcuni casi particolari, ossia se vi siano condizioni di necessità o se siano state concordate con il datore di lavoro: - interruzioni/deviazioni effettuate in attuazione di una direttiva del datore di lavoro; - interruzioni/deviazioni "necessitate" ossia dovute a causa di forza maggiore (ad esempio un guasto meccanico) o per esigenze essenziali e improrogabili (ad esempio il soddisfacimento di esigenze fisiologiche) o nell'adempimento di obblighi penalmente rilevanti (esempio: prestare soccorso a vittime di incidente stradale); - interruzioni/deviazioni "necessarie" per l'accompagnamento dei figli a scuola; - brevi soste che non alterino le condizioni di rischio.
Anche l’infortunio legato all’utilizzo di un mezzo privato può essere considerato infortunio sul lavoro solo se ricorrono le seguenti condizioni: - sia prescritto dal datore di lavoro per esigenze lavorative; - il luogo di lavoro è irraggiungibile con i mezzi pubblici oppure raggiungibile ma non in tempo utile rispetto al turno di lavoro - i mezzi pubblici obbligano a attese eccessivamente lunghe; - i mezzi pubblici comportano un rilevante dispendio di tempo rispetto all’utilizzo del mezzo privato; - la distanza della più vicina fermata del mezzo pubblico deve essere percorsa a piedi ed è eccessivamente lunga.
Rimangono esclusi dall'indennizzo gli infortuni direttamente causati dall'abuso di sostanze alcoliche e di psicofarmaci, dall'uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni, nonché dalla mancanza della patente di guida da parte del conducente.
Per memoria preme ricordare il rapporto fra infortunio e posizione assicurativa.
Sono considerate attività soggette a indennizzo tutte le attività rischiose svolte dall’operatore nell’esercizio delle attività lavorative.
Un lavoratore è assicurato secondo quanto previsto per una o più attività considerate pericolose dall’art. 1 del Decreto Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (G.U. n. 257 del 13 ottobre 1965 - Suppl. ord.) avente per oggetto “Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali” (c.d. Testo Unico), ma in pratica si può trovare in situazioni di pericolo che non sempre sono provocate dalle attività per le quali è stato assicurato.
Infatti, egli è esposto, oltre che al rischio tipico delle sue mansioni, anche a quello delle prestazioni connesse o strumentali alla sua attività, che possono essere varie e non sempre prevedibili. Egli, inoltre, opera in un determinato ambiente che, di per sé solo, può presentare pericoli; svolge la prestazione a fianco di colleghi che svolgono anch’essi attività rischiose; entra in contatto con apparecchiature e macchine varie anche se non le utilizza direttamente.
In virtù del principio di automaticità delle prestazioni, il lavoratore in ogni caso ha diritto alle prestazioni anche se il suo datore di lavoro non lo ha assicurato per ogni tipologia di rischio connessa alla mansione o si trovi in luoghi di lavoro che non siano nella giuridica disponibilità della propria agenzia.
6.2 Scopo La presente procedura stabilisce i criteri per l’osservazione e la gestione dei fenomeni e degli eventi che possono provocare incidenti o infortuni causando, danni alle persone e alle cose. Lo scopo del presente documento è di definire le modalità per la gestione degli incidenti e infortuni allo scopo di attuare azioni preventive e correttive finalizzate ad annullare o ridurre al minimo la probabilità che gli stessi si ripetano anche con l’eventuale aggiornamento del DVR.
6.3 Campo di applicazione La presente procedura è attuata dal Datore di lavoro e si applica al: - verificarsi di infortuni o incidenti; - segnalazioni di situazioni di rischio da parte del RLS, dei Preposti, del RSPP, del Servizio Prevenzione, del Medico Competente, degli Addetti all’emergenza e primo soccorso, dell’organo di vigilanza ed enti di controllo, dei fornitori di beni e servizi.
Per quanto riguarda i lavoratori delle imprese o i lavoratori autonomi, gli adempimenti contenuti nella presente procedura devono essere inclusi negli accordi e relativi documenti contrattuali.
L’azienda ha inoltre l’obbligo di segnalare all’organo di vigilanza territorialmente competente gli incidenti e infortuni relativi all’utilizzo all’utilizzo di agenti cancerogeni e mutageni (art. 240, D.Lgs 81/08) e di agenti biologici (art. 277, D.Lgs 81/08), connessi ad agenti chimici per superamento dei limiti di esposizione (art. 254 e 255, D.Lgs 81/08).
Art. 240. Esposizione non prevedibile
1. Qualora si verifichino eventi non prevedibili o incidenti che possono comportare un'esposizione anomala dei lavoratori ad agenti cancerogeni o mutageni, il datore di lavoro adotta quanto prima misure appropriate per identificare e rimuovere la causa dell'evento e ne informa i lavoratori e il rappresentante per la sicurezza.
2. I lavoratori devono abbandonare immediatamente l'area interessata, cui possono accedere soltanto gli addetti agli interventi di riparazione ed ad altre operazioni necessarie, indossando idonei indumenti protettivi e dispositivi di protezione delle vie respiratorie, messi a loro disposizione dal datore di lavoro. In ogni caso l'uso dei dispositivi di protezione non può essere permanente e la sua durata, per ogni lavoratore, è limitata al tempo strettamente necessario.
3. Il datore di lavoro comunica senza indugio all'organo di vigilanza il verificarsi degli eventi di cui al comma 1 indicando analiticamente le misure adottate per ridurre al minimo le conseguenze dannose o pericolose. Tale comunicazione può essere effettuata in via telematica, anche per mezzo degli organismi paritetici o delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro. ... Art. 277. Misure di emergenza
1. Se si verificano incidenti che possono provocare la dispersione nell'ambiente di un agente biologico appartenente ai gruppi 2, 3 o 4, i lavoratori devono abbandonare immediatamente la zona interessata, cui possono accedere soltanto quelli addetti ai necessari interventi, con l'obbligo di usare gli idonei mezzi di protezione.
2. Il datore di lavoro informa al più presto l'organo di vigilanza territorialmente competente, nonché i lavoratori ed il rappresentante per la sicurezza, dell'evento, delle cause che lo hanno determinato e delle misure che intende adottare, o che ha già adottato, per porre rimedio alla situazione creatasi. Tale comunicazione può essere effettuata in via telematica, anche per mezzo degli organismi paritetici o delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.
3. I lavoratori segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto, qualsiasi infortunio o incidente relativo all'uso di agenti biologici.[/box-warning]
... segue in allegato
[panel]Statistiche infortuni e malattie lavoro: obbligo di trasmissione alla Commissione
Origine dei dati
Nel dicembre 2008 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato il regolamento (CE) n. 1338/2008 relativo alle statistiche comunitarie sulla sanità pubblica e la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro. Il regolamento è concepito per garantire che le statistiche sanitarie forniscano informazioni adeguate a tutti gli Stati membri dell'UE per monitorare le azioni comunitarie nel campo della salute pubblica e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Nell'aprile 2011 è stato adottato un Regolamento (UE) n. 349/2011 sulle statistiche in materia di incidenti sul lavoro che specifica in dettaglio le variabili, le disaggregazioni e i metadati che gli Stati membri sono tenuti a fornire; questa legislazione viene implementata in una serie di fasi.
Le statistiche europee sugli infortuni sul lavoro (ESAW - European Statistics on Accidents at Work) sono la principale fonte di dati per le statistiche dell'UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L'ESAW include dati sugli infortuni sul lavoro che comportano almeno quattro giorni di calendario di assenza dal lavoro, compresi gli incidenti mortali. L'espressione "durante il lavoro" significa impegnata in un'attività lavorativa o durante il tempo trascorso al lavoro. Questo include generalmente casi di incidenti stradali nel corso del lavoro, ma esclude incidenti durante il viaggio tra casa e luogo di lavoro.
Le statistiche presentate per gli infortuni sul lavoro si riferiscono a dichiarazioni rese a enti pubblici (amministrazioni di sicurezza sociale) o private, o ad altre autorità nazionali competenti (ad esempio, quelle che controllano le ispezioni sul lavoro o sul luogo di lavoro). Gli indicatori relativi agli infortuni sul lavoro possono essere presentati come valori assoluti, come distribuzioni percentuali, come tassi di incidenza in relazione a ogni 100 000 persone occupate (il denominatore è fornito dalle autorità degli Stati membri dell'UE responsabili della raccolta di dati ESAW o dal LFS (Labour Force Survey) sulla forza lavoro dell'UE o come tassi di incidenza standardizzati.
I dati si riferiscono generalmente a tutte le attività economiche. Poiché la frequenza degli incidenti sul lavoro varia tra le attività della NACE (Statistical classification of economic Activities in the European Community) - attività ad alto rischio comprendono agricoltura, produzione, costruzione e trasporto - viene effettuato un processo di standardizzazione per facilitare il confronto dei dati nazionali. Viene utilizzato un metodo di standardizzazione diretto con pesi calcolati per la popolazione di riferimento europea (EU-28): i pesi rappresentano la proporzione della popolazione di riferimento (di lavoro) in ciascuna attività NACE. Per ciascuno Stato membro dell'UE i tassi di incidenza nazionali sono calcolati per ciascuna attività della NACE e questi sono combinati utilizzando l'insieme fisso di ponderazioni UE per produrre un tasso di incidenza standardizzato globale per lo Stato membro interessato (nota metodologica).
Le statistiche relative agli infortuni sul lavoro possono riflettere una copertura insufficiente o insufficiente.
La sottostima esiste quando la popolazione non è coperta dalla fonte di dati per incidenti, per esempio quando è escluso un certo settore economico o tipo di occupazione. La sottostima riguarda la situazione in cui si verifica un incidente ma non viene segnalato, sebbene sia incluso il relativo settore economico.
L'entità della sottostima dei dati ESAW può essere analizzata parzialmente confrontando la popolazione di riferimento (dei lavoratori) in ESAW con i dati derivati dalla LFS.
Metodi di stima
Un metodo consiste nel confrontare i risultati dei sistemi di segnalazione utilizzati per l'obbligo legale di segnalare un incidente con sistemi basati su rapporti assicurativi; ciò potrebbe indicare una mancata segnalazione nel sistema dell'obbligo legale di incidenti o di sovrastimare nei sistemi assicurativi.
Un altro metodo è quello di confrontare (geograficamente o nel tempo) il rapporto tra incidenti mortali e non mortali, poiché si ritiene che la segnalazione di incidenti mortali sia più probabile che sia accurata a causa della loro natura grave. Si possono fare anche paragoni con i dati provenienti da indagini condotte sulle famiglie, ad esempio dall'LFS (che includeva un modulo ad hoc nel 2013 sugli infortuni sul lavoro e problemi di salute legati al lavoro).
Inoltre, i cambiamenti nel modo in cui i dati vengono raccolti e trattati negli Stati membri dell'UE possono influire sul numero e sull'incidenza degli infortuni sul lavoro in un determinato anno.
Ad esempio, il 30 giugno 2016 una serie di deroghe alle disposizioni del regolamento UE che disciplina l'ESAW hanno influito sui dati in diversi Stati membri.
Ciò ha avuto un effetto significativo sui dati relativi agli incidenti sul lavoro per l'anno di riferimento 2014.
Ad esempio, per la prima volta i dati francesi comprendevano la copertura completa di tutti i dipendenti nei settori economici coperti dalle sezioni NACE AS; ciò ha portato ad un evidente aumento apparente del numero di incidenti registrati in Francia (rispetto al 2013). In modo simile, per la prima volta i dati del 2014 per il Belgio includevano informazioni relative agli incidenti nel settore pubblico e questo ha comportato anche un aumento del numero di incidenti segnalati.
Allo stesso tempo, nel 2016 alcuni fattori di correzione sono stati rimossi dai dati greci dall'ufficio statistico nazionale a causa di problemi metodologici che hanno causato una riduzione considerevole del numero di incidenti segnalati per l'anno di riferimento 2014 (rispetto al 2013); si prevede che nei prossimi anni verrà ricevuto un set di dati più completo, che dovrebbe portare nuovamente a un numero più elevato di incidenti segnalati.
Contesto
Un ambiente di lavoro sano e sicuro è un fattore cruciale nella qualità della vita di un individuo ed è anche una preoccupazione collettiva. I governi degli Stati membri dell'UE riconoscono i benefici sociali ed economici di una migliore salute e sicurezza sul lavoro. Informazioni statistiche affidabili, comparabili e aggiornate sono fondamentali per definire obiettivi politici e adottare misure politiche adeguate e prevenire azioni.
Il trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articolo 153) stabilisce che "[...] l'Unione sostiene e completa le attività degli Stati membri nei seguenti settori: a) miglioramento, in particolare, dell'ambiente di lavoro per proteggere salute e sicurezza dei lavoratori; [...]'.
I principi fondamentali che disciplinano la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sono stabiliti nella direttiva quadro del 1989 89/391/CEE, il cui obiettivo fondamentale è quello di incoraggiare il miglioramento della salute e della sicurezza sul lavoro. Tutti i settori di attività, sia pubblici che privati, sono coperti da questa legislazione, che stabilisce il principio che il datore di lavoro ha il dovere di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori in tutti gli aspetti relativi al lavoro, mentre il lavoratore ha l'obbligo di seguire il datore di lavoro istruzioni di salute e sicurezza e segnalare potenziali pericoli. ...
Comunicazione dati
L’articolo 2 e l’allegato IV al regolamento (CE) n. 1338/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativo alle statistiche comunitarie in materia di sanità pubblica e di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, stabiliscono l’obbligo di fornire statistiche sugli incidenti sul lavoro alla Commissione (Eurostat).
Le statistiche devono essere trasmesse con cadenza annuale e i dati devono essere forniti entro 18 mesi dalla fine dell’anno di riferimento. Il regolamento di attuazione della Commissione (UE) n. 349/2011, adottato l’11 aprile 2011, attua il regolamento quadro per quanto riguarda le statistiche sugli infortuni sul lavoro, stabilisce le variabili, le definizioni di classificazione, nonché la suddivisione delle caratteristiche. __________
Regolamento (CE) n. 1338/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008 , relativo alle statistiche comunitarie in materia di sanità pubblica e di salute e sicurezza sul luogo di lavoro (Testo rilevante ai fini del SEE)
(GU L 354 31.12.2008)
Articolo 1 Oggetto
1. Il presente regolamento stabilisce un quadro comune per la produzione sistematica di statistiche comunitarie in materia di sanità pubblica e di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Le statistiche sono prodotte nel rispetto delle norme in materia di imparzialità, affidabilità, obiettività, rapporto costi/benefici e segreto statistico.
2. Le statistiche includono, nella forma di una serie di dati armonizzata e comune, le informazioni necessarie per l’azione comunitaria nel settore della sanità pubblica, per appoggiare le strategie nazionali di sviluppo di un’assistenza sanitaria di qualità, universalmente accessibile e sostenibile e per l’azione comunitaria nel settore della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.
3. Le statistiche forniscono dati per gli indicatori strutturali, gli indicatori di sviluppo sostenibile e gli indicatori sanitari della Comunità europea (ECHI- European Core Health Indicators) e per le altre serie di indicatori che è necessario sviluppare per monitorare le azioni comunitarie nei settori della sanità pubblica e della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.
Articolo 2 Ambito di applicazione
Gli Stati membri forniscono alla Commissione (Eurostat) statistiche sui settori seguenti: - stato di salute e determinanti della salute, come definiti nell’allegato I; - assistenza sanitaria, come definita nell’allegato II; - cause di decesso, come definite nell’allegato III; - infortuni sul lavoro, come definiti nell’allegato IV; - malattie professionali e altri problemi di salute e malattie collegati con il lavoro, come definiti nell’allegato V. ...
ALLEGATO IV
Settore: Infortuni sul lavoro
a) Obiettivi Il presente settore ha per oggetto la trasmissione di statistiche sugli infortuni sul lavoro. b) Ambito di applicazione Un infortunio sul lavoro è definito come «un evento distinto che si verifica nel corso di un’attività professionale e che causa un danno fisico o mentale».
I dati sono desunti, per l’intera forza lavoro, per gli infortuni mortali sul lavoro e per quelli che provocano un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni, da fonti amministrative integrate da altre fonti pertinenti ogniqualvolta risulti necessario e praticabile per determinati gruppi di lavoratori o determinate situazioni nazionali.
Un sottoinsieme limitato di dati di base sugli infortuni che provocano un’assenza dal lavoro inferiore a quattro giorni può essere compilato, se i dati sono disponibili e su base facoltativa, nel quadro della collaborazione con l’OIL.
ALLEGATO V Settore: Malattie professionali e altri problemi di salute e malattie collegati al lavoro
a) Obiettivi Il presente settore ha per oggetto la trasmissione di statistiche sui casi riconosciuti di malattie professionali e altri problemi di salute e malattie collegati al lavoro.
b) Ambito di applicazione - Un caso di malattia professionale è definito come un caso riconosciuto dalle autorità nazionali responsabili del riconoscimento delle malattie professionali. I dati sono raccolti per i nuovi casi di malattie professionali e i decessi dovuti ad una malattia professionale. - I problemi di salute e le malattie collegati al lavoro sono quelli che possono essere causati, aggravati o concausati dalle condizioni di lavoro. Sono inclusi i problemi di salute fisici e psicosociali.
Un caso di problema di salute o di malattia collegato al lavoro non implica necessariamente il riconoscimento da parte di un’autorità e i dati relativi sono desunti dalle indagini demografiche esistenti, quali l’indagine europea sulla salute basata su interviste (European Health Interview Survey - EHIS) o altre indagini sociali.
Articolo 1 Definizioni Ai fini del presente regolamento si intende per:
a) «infortunio sul luogo di lavoro»: un evento fortuito nel corso del lavoro che conduce ad una lesione fisica o mentale. L’espressione «nel corso del lavoro» significa «mentre la persona è occupata in un’attività professionale» oppure «durante il tempo trascorso al lavoro». Ciò include i casi di incidenti stradali nel corso del lavoro; esclude, invece, gli infortuni in itinere, ossia gli infortuni verificatisi sul tragitto da e verso il posto di lavoro;
b) «infortunio mortale»: un infortunio che conduce al decesso della vittima entro il periodo di un anno a decorrere dalla data dell’infortunio; ...[/panel]
Limiti di esposizione professionale (agenti cancerogeni e mutageni)
(Documento in discussione)
I TLV (Threshold Limit Values) dell’ACGIH
Il decreto legislativo 81/2008 definisce come Valore Limite, il limite della concentrazione media, ponderata in funzione del tempo, di un agente cancerogeno o mutageno nell’aria, rilevabile entro la zona di respirazione di un lavoratore, in relazione a un periodo di riferimento determinato, stabilito nell’Allegato XLIII.
Rimane però ancora controversa l'opinione in base alla quale si può ritenere che esista, per le sostanze cancerogene, un livello di soglia “sicuro” al di sotto del quale il rischio di contrarre il tumore sia nullo. Esistono dei modelli matematici che descrivono la relazione dose-risposta per queste sostanze e che consentono di estrapolare il livello al di sotto del quale il rischio è pari a zero (NOEL, Not Observed Effect Limit).
Tuttavia, il comportamento di molte sostanze cancerogene è difficilmente classificabile in modelli comportamentali netti; la risposta individuale a tali sostanze è molto variabile ed adottare un modello matematico al posto di un altro, alle basse dosi, può portare a notevoli differenze nella stima della soglia di rischio. Nonostante i dubbi sulla loro efficacia, sono fissati a livello nazionale ed internazionale dei valori limite di esposizione professionali anche per gli agenti chimici cancerogeni e mutageni, nell’ottica che l’attribuzione di un limite possa comunque essere cautelativa per i lavoratori.
La definizione di Valore Limite nella nostra legislazione è, secondo l’art 222 comma 3 d del D. Lgs. 81/2008:
“d) valore limite di esposizione professionale: se non diversamente specificato, il limite della concentrazione media ponderata nel tempo di un agente chimico nell'aria all'interno della zona di respirazione di un lavoratore in relazione ad un determinato periodo di riferimento; un primo elenco di tali valori è riportato nell'allegato XXXVIII;”.
Si rende quindi necessario un confronto con i più importanti Enti scientifici o governativi mondiali che raccomandano valori limite di esposizione per un ampio numero di sostanze, tra questi ricordiamo l’ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists), l’OSHA (Occupational Safety and Health Administration), il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) e il Comitato tedesco per i MAK.
______________
Direttiva 98/24/CE del Consiglio del 7 aprile 1998 sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro (quattordicesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE)
"valore limite di esposizione professionale»: se non diversamente specificato, il limite della concentrazione media o ponderata nel tempo di un agente chimico nell’aria all’interno della zona di respirazione di un lavoratore in relazione ad un periodo di riferimento specificato"
La filosofia dei limiti di esposizione
La filosofia alla base dei vari tipi di limite indicati a seguire è diversa a seconda della situazione socio-economica del periodo e della nazione in cui si affronta il problema.
Si accenna alle due tendenze estreme nella formulazione dei limiti, e cioè:
- quella basata su valutazioni esclusivamente tossicologiche e sanitarie (i cosiddetti healthbased occupational exposure limits) (OMS, UE) - quella che tiene in primaria considerazione fattori socioproduttivi e di fattibilità tecnica. (MAK, PEL, OHSA, ILO)
La differenza fra i due tipi di limite è sostanziale e può essere di entità rilevante in particolari condizioni: fra quelli del primo tipo si possono annoverare i limiti proposti dall’OMS e dalla UE, mentre fra i secondi rientrano in forme diverse i MAK (Maximale Arbeitsplatz Conzentrazionen) tedeschi, i PEL (Permissible Exsposure Limits) dell’OSHA (Occupational Safety and Health Administration) ed i limiti proposti dall’ILO (International Labour Office).
E’ comunque da tener presente che la determinazione dei limiti generalmente in uso è forzatamente condizionata da considerazioni extrascientifiche, economiche, socio-culturali e politiche, tipiche dello Stato che li recepisce in un determinato periodo storico.
I TLV dell’ACGIH
In una posizione intermedia si colloca la filosofia alla base dei noti TLV (Threshold Limit Values) dell’ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists), il cui uso è probabilmente il più diffuso nei paesi industrializzati; questi “valori limite di soglia” indicano, per ognuna delle sostanze elencate, le concentrazioni delle sostanze aerodisperse alle quali si ritiene che la maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta per turni lavorativi di otto ore al giorno, quaranta ore a settimana, quarantotto settimane all’anno, quaranta anni di vita lavorativa, senza effetti negativi per la salute.
Tuttavia, a causa della notevole variabilità della sensibilità individuale, una piccola percentuale di lavoratori può accusare disagi in presenza di alcune sostanze le cui concentrazioni siano pari o inferiori ai rispettivi TLV e, in una percentuale ancora minore di esposti, si può osservare un effetto più marcato per l’aggravarsi di condizioni patologiche preesistenti o per l’insorgere di una malattia professionale.
Alcuni individui possono inoltre essere ipersuscettibili o sensibili in modo insolito a talune sostanze in conseguenza di fattori genetici, età, abitudini personali (fumo, abuso di alcolici, altre droghe), cure farmacologiche o esposizioni pregresse. Tali lavoratori possono non risultare adeguatamente protetti contro gli effetti avversi per la salute da parte di agenti chimici presenti in concentrazioni pari o inferiori ai TLV e il medico competente deve stimare il grado di protezione addizionale opportuno per tali soggetti.
I TLV sono stati stabiliti (e vengono annualmente aggiornati) in base a dati della letteratura scientifica internazionale relativi a studi epidemiologici in campo industriale, a ricerche sperimentali sull’uomo, su animali e su colture cellulari, possibilmente combinando tutti questi elementi di giudizio. A seconda del tipo di sostanza presa in considerazione, possono variare sia la tipologia di danno che si vuole prevenire, sia la natura e l’entità delle informazioni tossicologiche e sanitarie disponibili per stabilire ed aggiornare i TLV.
In ogni caso bisogna rimarcare che questi limiti non costituiscono una linea di demarcazione netta fra concentrazione non pericolosa e concentrazione pericolosa, né un indice relativo di tossicità; essi non vanno adottati per scopi diversi o con modalità differenti da quelli per cui sono stati formulati ed, in ogni caso, non debbono essere utilizzati da persone non esperte nella disciplina dell’Igiene del Lavoro.
L’ACGIH prevede tre categorie di TLV:
- Valore limite di soglia- media ponderata nel tempo (TLV-TWA) concentrazione media ponderata nel tempo, su una giornata lavorativa convenzionale di otto ore e su quaranta ore lavorative settimanali, alla quale quasi tutti i lavoratori possono essere ripetutamente esposti, giorno dopo giorno, senza effetti negativi;
- Valore limite di soglia - limite per breve tempo di esposizione (TLV-STEL) concentrazione alla quale i lavoratori possono essere esposti continuativamente per breve periodo di tempo, purché il TLV-TWA giornaliero non venga superato, senza che insorgano irritazione, danno cronico o irreversibile del tessuto, riduzione dello stato di vigilanza di grado sufficiente ad accrescere le probabilità di infortuni od influire sulle capacità di mettersi in salvo o ridurre materialmente l’efficienza lavorativa. Il TLV-STEL non costituisce un limite di esposizione separato indipendente, ma piuttosto integra il TLV-TWA di una sostanza la cui azione tossica sia principalmente di natura cronica, qualora esistano effetti acuti riconosciuti. Gli STEL vengono raccomandati quando l’esposizione umana od animale ad alta concentrazione per breve durata ha messo in evidenza effetti tossici. Uno STEL viene definito come esposizione media ponderata su un periodo di 15 minuti, che non deve essere mai superata nella giornata lavorativa, anche se la media ponderata su 8 ore è inferiore al TLV. Esposizioni al valore STEL non devono protrarsi oltre i 15 minuti e non devono ripetersi per più di 4 volte al giorno. Fra esposizioni successive al valore STEL debbono intercorrere almeno 60 minuti. Un periodo di mediazione diverso dai 15 minuti può essere consigliabile se ciò è giustificato da effetti biologici osservati.
- Valore limite di soglia - Ceiling (TLV- C) concentrazione che non deve essere superata durante l’attività lavorativa nemmeno per un brevissimo periodo di tempo. Per alcune sostanze, quali i gas irritanti, riveste importanza la sola categoria del TLV-C; per altre sostanze, in funzione della loro azione fisiologica, possono essere importanti due o tre categorie di TLV.
E’ sufficiente che uno qualsiasi dei tre TLV venga superato per presumere che esista un potenziale rischio di esposizione per la sostanza in questione.
Esempio/Confronto
D.Lgs. 81/2008 ALLEGATO XLIII (Valori limite di esposizione professionale)
AGENTE
VALORE LIMITE
OSSERVAZIONI
mg/m3
ppm
Benzene
3,25 (5)
1 (5)
Pelle (6) EINECS 200-753-7 CAS 71-43-2
Cloruro di vinile monomero
7,77 (5)
3 (5)
EINECS 200-831 CAS 75-01-4
Polveri di legno duro
5,00 (5,7)
---
---
(1) EINECS: Inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti (European Inventory of Existing Chemical Susbstances). (2) CAS: Numero Chemical Abstract Service. (3) mg/m3 = milligrammi per metro cubo d'aria a 20° e 101,3 Kpa (corrispondenti a 760 mm di mercurio). (4) ppm = parti per milione nell'aria (in volume: mL/m3 ) (5) Valori misurati o calcolati in relazione ad un periodo di riferimento di otto ore. (6) Sostanziale contributo al carico corporeo totale attraverso la possibile esposizione cutanea. (7) Frazione inalabile; se le polveri di legno duro sono mescolate con altre polveri di legno, il valore limite si applica a tutte le polveri di legno presenti nella miscela in questione.
(*)A tale proposito occorre ricordare che non c'è un accordo fra i ricercatori sulla esistenza di una dose soglia per gli agenti cancerogeni ed ancor più sulla possibilità della sua univoca determinazione; di conseguenza, per molti non è ammissibile stabilire un valore limite di esposizione, cioè definire un livello di rischio "accettabile", in quanto la patologia eventualmente insorta, pur se improbabile, è sempre della stessa gravità, non dipendente dall'intensità e durata dell'esposizione.
Comunque, il concetto di valore limite era già presente ed utilizzato, attraverso i TLV dell'ACGIH, perlomeno per una parte delle sostanze note come cancerogene, per cui il corretto utilizzo dello stesso attraverso un processo di prevenzione che risponda ai criteri prima descritti potrebbe anche essere considerato utile. La seconda considerazione coinvolge invece il merito dei valori limite proposti: in particolare, per il benzene il valore indicato, ponderato su 8 ore lavorative, appare francamente troppo elevato (9,75 mg/m3 sino al 31.12.2001, poi di 3,25 mg/m3) non soltanto perché molto superiore al corrispondente TLV dell'ACGIH (1,6 mg/m3 ), ma soprattutto in quanto non giustificabile in base a considerazioni tecniche.
Nell'industria chimica infatti esso è generalmente sostituibile senza particolari problemi, ed in ogni caso le misure di contenimento disponibili possono agevolmente ridurre l'esposizione a livelli molto inferiori (sino ai livelli dell'ambiente esterno) e per tempi limitati.
Un discorso analogo può esser fatto riguardo all'esposizione a polveri di legno duro, i corrispondenti TLV ACGIH, in attuale fase di revisione, appaiono comunque già più cautelativi.
Le misure suddette sono state sostanzialmente confermate nel Capo II, Titolo IX del D.Lgs 81/08.
(*)Alessandro Bacaloni Sapienza Università degli Studi di Roma - Dipartimento di Chimica
Il Decreto Legislativo 17 marzo 1995 n. 230 e s.m.i. è il testo base della Protezione sanitaria dalle radiazioni ionizzanti in Italia (Radioprotezione).
Il testo consolidato 2019 del Decreto Legislativo 17 marzo 1995 n. 230 "Radiazioni ionizzanti", tiene conto delle modifiche e abrogazioni dal 2000 a Gennaio 2018.
Disponibile il D.Lgs. 230/1995 Radiazioni ionizzanti | Consolidato 2019, direttamente dal nostro sito, in formato PDF, copiabile/stampabile riservatoAbbonati Sicurezza.
[panel] Il D.Lgs. 230/1995 implementa la Direttiva 96/29/Euratom e numerose altre Direttive in materia di Radioprotezione.
La Radioprotezione è una disciplina che si occupa della protezione delle persone rispetto ai rischi potenzialmente derivanti dall’esposizione a sorgenti di radiazioni ionizzanti. il cui scopo è la prevenzione totale dei danni deterministici e la limitazione della probabilità di accadimento degli effetti stocastici.
La Radioprotezione viene garantita attraverso l’emissione di normative tecniche destinate a contenere l’esposizione entro limiti definiti.
Organismo di riferimento in tal senso, è l'ICRP (International Commission on Radiological Protection), istituita nel 1928 dal Secondo Congresso Internazionale di Radiologia, e la cui organizzazione e denominazione attuale risalgono al 1950.
L’ICRP ha sviluppato i principi fondamentali della radioprotezione e ha indicato i limiti di dose per la protezione sanitaria degli addetti ad attività comportanti esposizione alle radiazioni.
Sebbene l’ICRP non abbia carattere governativo, ovvero non dipenda dalle autorità governative dei singoli paesi, ha autorevolezza tale da essere organismo scientifico riconosciuto dalla Comunità Europea nel fissare le direttive di protezione sanitaria contro le radiazioni ionizzanti.
Nel 1957 è stato istituito l’EURATOM, organismo della Comunità Europea che sovrintende a tutti gli aspetti connessi all’impiego pacifico delle radiazioni ionizzanti e che provvede ad emettere direttive sulla base delle raccomandazioni dell’ICRP.[/panel]
[box-info]Nota di redazione
La Direttiva quadro generale 2013/59/EURATOM che modifica in modo rilevante l'assetto normativo della protezione contro il pericolo dall'esposizione radiazioni ionizzanti deve essere recepita dagli stati membri entro il 6 febbraio 2018 con un periodo di transizione di 4 anni dall'entrata in vigore il 6 febbraio 2014, alla data notizia, nessuno schema di recepimento pubblicato da parte dell'Italia.
Massimario dei pareri, circolari ed altri atti interpretativi rilasciati dal MiSE in tema di autoriparazione, aggiornata al 10 Aprile 2019. (Legge 122/1992)
Il massimario riporta tutte le principali decisioni (pareri e circolari) emesse dal MiSE in materia di attività di autoriparazione.
...
Indice generale ipertestuale (per argomenti)
1. Campo di applicazione 2. Soggetti 3. Requisiti morali 4 Immedesimazione 5 Univocità - Officine contigue 6 Associazione in partecipazione 7. Variazione legale rappresentante 8. Titoli di studio 9. Esperienza professionale maturata 10. Irretroattività data inizio attività e data nomina preposto 11. Trasferimento/conferimento d'azienda 12. Legge n. 25 del 5 gennaio 1996 13. Meccatronica (Legge n. 224/2012) 14. Sanzioni 15. Ricorsi 16. Officine presso Enti Pubblici 17. Incompatibilità 18. Impresa iscritta al RIA
Relazione tecnica antincendio: Normativa, Modelli esempio e Utility
Scheda 07.08.2018
Il presente approfondimento, documento completo in allegato, confronta le modalità di redazione della relazione tecnica antincendio di cui all' allegato I del DM 7 agosto 2012 con la progettazione con approccio ingegneristico di cui al DM 03 agosto 2015 (DM 9 maggio 2007 All . I lett. A)
a) generalità e domicilio del richiedente o, nel caso di ente o società, del suo legale rappresentante; b) specifi cazione della attività soggetta principale e delle eventuali attività soggette secondarie, oggetto dell’istanza di valutazione del progetto; c) ubicazione prevista per la realizzazione delle opere; d) informazioni generali sull’attività principale e sulle eventuali attività secondarie soggette a controllo di prevenzione incendi e indicazioni del tipo di intervento in progetto.
2. All’istanza sono allegati: a) documentazione tecnica, a firma di tecnico abilitato, conforme a quanto previsto dall’Allegato I al presente decreto; b) attestato del versamento effettuato a favore della Tesoreria provinciale dello Stato ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139.
3. In caso di modifiche di cui all’articolo 4, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, che comportano un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio, la documentazione tecnica di cui al comma 2, lettera a), deve essere conforme a quanto specificato nell’Allegato I, lettera C, al presente decreto.
4. Nel caso di utilizzo dell’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio, la documentazione tecnica di cui al comma 2, lettera a), deve essere a firma di professionista antincendio e conforme a quanto specificato nell’Allegato I, lettera A, al presente decreto, integrata con quanto stabilito nell’allegato al decreto del Ministro dell’interno 9 maggio 2007, ivi compreso il documento contenente il programma per l’attuazione del SGSA. ...[/panel]
Art. 1. Approvazione e modalità applicative delle norme tecniche di prevenzione incendi
1. Sono approvate, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, le norme tecniche di prevenzione incendi di cui all’allegato 1, che costituisce parte integrante del presente decreto. ...
Art. 2. Campo di applicazione
1. Le norme tecniche di cui all’articolo 1 si possono applicare alla progettazione, alla realizzazione e all’esercizio delle attività di cui all’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, individuate con i numeri: 9; 14; da 27 a 40; da 42 a 47 ; da 50 a 54; 56; 57; 63; 64; 66, ad esclusione delle strutture turistico - ricettive nell’aria aperta e dei rifugi alpini; 67, ad esclusione degli asili nido; 70; 71; 75, 76.
2. Le norme tecniche di cui all’articolo 1 si possono applicare alle attività di cui al comma 1 di nuova realizzazione ovvero a quelle esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. In caso di interventi di ristrutturazione parziale ovvero di ampliamento ad attività esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, le medesime norme tecniche si possono applicare a condizione che le misure di sicurezza antincendio esistenti nella restante parte di attività, non interessata dall’intervento, siano compatibili con gli interventi di ristrutturazione parziale o di ampliamento da realizzare.
3. Per gli interventi di ristrutturazione parziale ovvero di ampliamento su parti di attività esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto non rientranti nei casi di cui al comma 2, le norme tecniche di cui all’articolo 1 si applicano all’intera attività.
4. Le norme tecniche di cui all’articolo 1 possono essere di riferimento per la progettazione, la realizzazione e l’esercizio delle attività indicate al comma 1 che non rientrano nei limiti di assoggettabilità previsti nell’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151. ...
Art. 5. Disposizioni finali
1. Ai fini dell’applicazione delle norme tecniche di cui all’articolo 1, restano valide:
a) le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’interno 7 agosto 2012 relativamente alla documentazione tecnica da allegare alle istanze di cui decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151. La medesima documentazione tecnica deve includere le informazioni indicate nelle norme tecniche di cui al presente decreto;
2. Per le attività di cui all’articolo 2 in possesso del certificato di prevenzione incendi ovvero in regola con gli obblighi previsti agli articoli 3, 4 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, il presente decreto non comporta adempimenti.[/alert]
La relazione tecnica
Il decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n.151, concernente la disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, prevede che gli enti ed i privati responsabili delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi (Allegato I del decreto), per i nuovi impianti o costruzioni ovvero, per quelli esistenti, in caso di modifiche che comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio, siano tenuti a richiedere apposita istanza al Comando dei Vigili del Fuoco competente.
L’istanza è corredata da una relazione tecnica, elaborata in conformità all’allegato I al DM 07/08/2012, volta a dimostrare l’osservanza dei criteri generali di sicurezza antincendio, tramite l’individuazione dei pericoli di incendio, la valutazione dei rischi connessi e la descrizione delle misure di prevenzione e protezione antincendio da attuare per ridurre i rischi. La relazione dunque riporta l’evidenza di tutti i processi decisionali operati per l’individuazione della soluzione progettuale.
ALLEGATO I DOCUMENTAZIONE TECNICA ALLEGATA ALL'ISTANZA DI VALUTAZIONE DEI PROGETTI
La documentazione tecnica di prevenzione incendi attiene alle caratteristiche di sicurezza antincendio delle attivita' soggette ai controlli di prevenzione incendi riportate nell'Allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n.151 e consente di accertare la loro rispondenza alle vigenti norme o, in mancanza, ai criteri generali di prevenzione incendi. In particolare comprende: - relazione tecnica; - elaborati grafici.
A - DOCUMENTAZIONE RELATIVA AD ATTIVITA' NON REGOLATE DA SPECIFICHE DISPOSIZIONI ANTINCENDIO A.1 RELAZIONE TECNICA La relazione tecnica evidenzia l'osservanza dei criteri generali di sicurezza antincendio, tramite l'individuazione dei pericoli di incendio, la valutazione dei rischi connessi e la descrizione delle misure di prevenzione e protezione antincendio da attuare per ridurre i rischi. A.1.1 Individuazione dei pericoli di incendio La prima parte della relazione contiene l'indicazione di elementi che permettono di individuare i pericoli presenti nell'attivita', quali ad esempio: - destinazione d'uso (generale e particolare); - sostanze pericolose e loro modalita' di stoccaggio; - carico di incendio nei vari compartimenti; - impianti di processo; - lavorazioni; - macchine, apparecchiature ed attrezzi; - movimentazioni interne; - impianti tecnologici di servizio; - aree a rischio specifico. A.1.2 Descrizione delle condizioni ambientali La seconda parte della relazione contiene la descrizione delle condizioni ambientali nelle quali i pericoli sono inseriti, al fine di consentire la valutazione del rischio incendio connesso ai pericoli individuati, quali ad esempio: - condizioni di accessibilita' e viabilita'; - lay-out aziendale (distanziamenti, separazioni, isolamento); - caratteristiche degli edifici (tipologia edilizia, geometria, volumetria, superfici, altezza, piani interrati, articolazione planovolumetrica, compartimentazione, ecc.); - aerazione (ventilazione); - affollamento degli ambienti, con particolare riferimento alla presenza di persone con ridotte od impedite capacita' motorie o sensoriali; - vie di esodo. A.1.3 Valutazione qualitativa del rischio incendio La terza parte della relazione contiene la valutazione qualitativa del livello di rischio incendio, l'indicazione degli obiettivi di sicurezza assunti e l'indicazione delle azioni messe in atto per perseguirli. A.1.4 Compensazione del rischio incendio (strategia antincendio) La quarta parte della relazione tecnica contiene la descrizione dei provvedimenti da adottare nei confronti dei pericoli di incendio, delle condizioni ambientali, e la descrizione delle misure preventive e protettive assunte, con particolare riguardo al comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali ed ai presidi antincendio, evidenziando le norme tecniche di prodotto e di impianto prese a riferimento. Relativamente agli impianti di protezione attiva la documentazione indica le norme di progettazione seguite, le prestazioni dell'impianto, le sue caratteristiche dimensionali, (quali ad esempio, portate specifiche, pressioni operative, caratteristica e durata dell'alimentazione dell'agente estinguente, ecc..) e quelle dei componenti da impiegare nella sua realizzazione, nonche' l'idoneita' dell'impianto in relazione al rischio di incendio presente nell'attivita'. A.1.5 Gestione dell'emergenza Nell'ultima parte della relazione sono indicati, in via generale, gli elementi strategici della pianificazione dell'emergenza che dimostrino la perseguibilita' dell'obiettivo della mitigazione del rischio residuo attraverso una efficiente organizzazione e gestione aziendale.
A.2 ELABORATI GRAFICI Gli elaborati grafici comprendono: a) planimetria generale in scala (da 1:2000 a 1:200), a seconda delle dimensioni dell'insediamento, dalla quale risultino: - l'ubicazione delle attivita'; - le condizioni di accessibilita' all'area e di viabilita' al contorno, gli accessi pedonali e carrabili; - le distanze di sicurezza esterne; - le risorse idriche della zona (idranti esterni, corsi d'acqua, acquedotti e riserve idriche); - gli impianti tecnologici esterni (cabine elettriche, elettrodotti, rete gas, impianti di distribuzione gas tecnici); - l'ubicazione degli elementi e dei dispositivi caratteristici del funzionamento degli impianti di protezione antincendio e degli organi di manovra in emergenza degli impianti tecnologici; - quanto altro ritenuto utile per una descrizione complessiva dell'attivita' ai fini antincendio, del contesto territoriale in cui l'attivita' si inserisce ed ogni altro utile riferimento per le squadre di soccorso in caso di intervento. b) piante in scala da 1:50 a 1:200, a seconda della dimensione dell'edificio o locale dell'attivita', relative a ciascun piano, recanti l'indicazione degli elementi caratterizzanti il rischio di incendio e le misure di sicurezza e protezione riportate nella relazione tecnica quali, in particolare: - la destinazione d'uso ai fini antincendio di ogni locale con indicazione delle sostanze pericolose presenti, dei macchinari ed impianti esistenti e rilevanti ai fini antincendio; - l'indicazione dei percorsi di esodo, con il verso di apertura delle porte, i corridoi, i vani scala, gli ascensori, nonche' le relative dimensioni; - le attrezzature mobili di estinzione e gli impianti di protezione antincendio, se previsti; - l'illuminazione di sicurezza. c) sezioni ed eventuali prospetti degli edifici, in scala adeguata;
B - DOCUMENTAZIONE RELATIVA AD ATTIVITA' REGOLATE DA SPECIFICHE DISPOSIZIONI ANTINCENDI B.1 RELAZIONE TECNICA La relazione tecnica puo' limitarsi a dimostrare l'osservanza delle specifiche disposizioni tecniche di prevenzione incendi. B.2 ELABORATI GRAFICI Gli elaborati grafici comprendono i medesimi elementi richiesti al punto A.2.
C - MODIFICHE DI ATTIVITA' ESISTENTI In caso di modifiche di attivita' esistenti, gli elaborati grafici relativi alla planimetria generale devono riguardare l'intero complesso, mentre la restante documentazione progettuale di cui ai precedenti punti, potra' essere limitata alla sola parte oggetto degli interventi di modifica.[/panel]
2In caso di utilizzo dell’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio, di cui al Decreto del Ministero dell’Interno 9-5-2007, la documentazione tecnica di progetto, a firma di professionista antincendio, deve essere conforme a quanto specificato all’art. 3, comma 4, del Decreto del Ministero dell’Interno 7-8-2012; 3 In caso di modifiche che comportano un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio, la documentazione tecnica deve essere conforme a quanto specificato nell'Allegato I, lettera C del Decreto del Ministero dell’Interno 7-8-2012[/alert]
Relazione tecnica - Contenuti
I contenuti sono riportati nella Tabella 1, opportunamente modificata, visti i nuovi obblighi progettuali in materia di valutazione del rischio di esplosione (Capitolo V2 del DM 03 agosto 2015) e di gestione dell’esercizio ordinario (Capitolo S5 del DM 03 agosto 2015) (1)
Relazione tecnica secondo All. I DM 7/08/2012
A.1.1.
Individuazione dei pericoli di incendio/esplosione
A.1.2
Descrizione delle condizioni ambientali
A.1.3
Valutazione qualitativa del rischio incendio/esplosione
A.1.4.
Compensazione del rischio di incendio/esplosione
A.1.5.
Gestione (dell'emergenza)
Tabella 1 - Relazione tecnica secondo l’Allegato I DM 07/08/2012
A fronte di tale vincolo documentale, il progettista deve:
1. sviluppare una progettazione per fronteggiare il rischio di incendio, conforme alle indicazioni del paragrafo G.2.8, ovvero procedendo:
- a valutare il rischio attraverso l’individuazione dei pericoli, la descrizione delle condizioni ambientali nelle quali i pericoli sono inseriti e la determinazione qualitativa dell’entità del danno conseguente, pervenendo alla determinazione dei profili di rischio e adottando le decisioni più opportune sui pericoli presenti;
- ad individuare la strategia antincendio sufficiente per la compensazione del rischio valutato, mediante la corretta selezione dei livelli di prestazione per ogni misura prevista in funzione del rischio valutato e la selezione delle soluzioni progettuali più adatte (conformi, alternative, in deroga);
2. sviluppare una progettazione per fronteggiare il rischio di esplosione conforme alle indicazioni del capitolo V2, ovvero procedendo:
- a valutare, secondo il paragrafo V.2.2, il rischio di esplosione attraverso: l’individuazione delle caratteristiche delle sostanze infiammabili o polveri combustibili, la determinazione della probabilità di formazione, durata ed estensione delle atmosfere esplosive (zonizzazione), la segnalazione dei potenziali pericoli di innesco, dell’entità degli effetti prevedibili di un’esplosione e del livello di rischio accettabile;
- ad individuare le misure per la riduzione del rischio di esplosione (V.2.3 e V.2.4), ricorrendo all’installazione di sistemi adeguati alla classifica della zona (V.2.5) ed all’eventuale ricorso ad opere da costruzione progettate per resistere alle esplosioni (V.2.6).
Pertanto, il progettista dovrà integrare in un’unica trattazione le due modalità di progettazione previste in G.2.8 e V2; tenuto conto della possibilità di sovrapposizione dei temi proposta nella Tabella 2, si ritiene che possa essere redatta un’unica relazione tecnica nella quale siano ricompresi i criteri di progettazione contro i rischi di incendio e di esplosione.
DM 07/08/2012 Allegato I
paragrafo G.2.8 Codice
paragrafo V2 Codice
A.1.1. Individuazione dei pericoli di incendio/esplosione
Tabella 2 – Confronto tra Allegato I DM 07/08/2012, Capitolo G.2.8 e Capitolo V2 Codice
La valutazione del rischio di esplosione
Riguardo la valutazione del rischio di esplosione, si ritiene opportuno fare alcune considerazioni sul contenuto del paragrafo V.2.2, con particolare riferimento alle lettere e) “valutazione dell’entità degli effetti prevedibili di un’esplosione” ed f) “quantificazione del livello di rischio accettabile”.
In generale, la valutazione dell’entità degli effetti è da intendersi, anche in linea con il Titolo XI del D.Lgs. 81/08, di tipo qualitativo. I danni provocati da un’esplosione, infatti, non dipendono solo dall’entità della sovrappressione ma anche dalla proiezione di frammenti e/o dall’insorgenza di incendi a seguito di esplosione e/o al collasso di elementi strutturali come specificato nel paragrafo V.2.2.5; viceversa, il valore della sovrappressione di picco diventa un dato indispensabile per il dimensionamento degli elementi costruttivi resistenti all’esplosione laddove scelti come uno dei mezzi di protezione necessario per il richiesto livello di sicurezza.
Per la determinazione delle sovrappressioni che si sviluppano nelle esplosioni il Codice consente il ricorso a formulazioni semplificate presenti in normativa o a espressioni empiriche che collegano fra loro le grandezze più significative di una esplosione. I modelli empirici semplificati di calcolo maggiormente utilizzati sono il TNT equivalente, il TNO Multienergy ed il CCPS QRA. Oltre ai metodi empirici ed ai modelli semplificati, per la stima delle sovrappressioni che si sviluppano a seguito di esplosioni, si può ricorrere a codici di calcolo riconosciuti (es. modelli CFD – fluidodinamica numerica).
Il Codice, nella RTV V2, tiene contro, inoltre, anche dell’effetto domino e richiede di verificare, qualora l’esplosione fosse seguita da un incendio, gli effetti dell’incendio tenendo conto della indisponibilità di quanto danneggiato dalla esplosione, come ad esempio l’indisponibilità della rete idranti, il danneggiamento dei compartimenti e la mancata fruibilità di percorsi di esodo. Allo stesso modo, se l’esplosione fosse preceduta da un incendio, è necessario valutare gli effetti dell’esplosione tenendo conto della indisponibilità di quanto danneggiato, come rottura dei sistemi di pressurizzazione, tenute su apparecchiature, maggior degrado di potenziali sorgenti di emissione.
La quantificazione del livello di rischio accettabile, è una richiesta strettamente collegata all’entità dei danni conseguenti all’esplosione. Ad esempio, in caso di danno “catastrofico” (molti morti e feriti, conseguenze a lungo termine sulla produzione, chiusura permanente o danni ambientali irreversibili, come definito nella Tabella A.5.2.5b NFPA 551), alla luce di quanto previsto dall’Allegato L – parte B (2) e dal paragrafo 1.3.5 della Guida CEI 31-35 (3), appare quanto mai opportuno (quando non prescritto dal Comando provinciale dei Vigili del Fuoco) adottare un livello di sicurezza superiore a quello minimo richiesto dal citato Allegato L in modo da ridurre l’entità delle perdite, soprattutto nel caso di vite umane, realizzando misure aggiuntive a quelle necessarie per raggiungere il livello minimo di sicurezza, proposte nelle tabelle del paragrafo V.2.3 e qui riportate nelle Tabelle 3 e 4.
- Formazione professionale in materia di protezione dalle esplosioni dei lavoratori addetti ai luoghi dove possono formarsi atmosfere esplosive. - Assegnazione ai lavoratori addetti di attrezzature portatili e di indumenti di lavoro non in grado di innescare un'atmosfera esplosiva. - Predisposizione di specifiche procedure di lavoro e di comportamento per i lavoratori addetti. - Segnalazione dei pericoli di formazione di atmosfere esplosive. - Adozione di procedure specifiche in caso di emergenza per la messa in sicurezza delle sorgenti di emissione e delle fonti di innesco. - Realizzazione delle verifiche di sicurezza (verifica iniziale, periodica e manutenzione) degli impianti e delle attrezzature installate nei luoghi di lavoro con aree in cui possano formarsi atmosfere esplosive, nel rispetto delle normative tecniche applicabili.
- Protezione dai danneggiamenti meccanici dei sistemi di contenimento. - Impiego di sistemi a circuito chiuso per la movimentazione delle sostanze infiammabili. - Realizzazione di sistemi di dispersione/diluizione/bonifica dei rilasci di sostanze infiammabili in modo da:
a) mantenere la concentrazione delle miscele potenzialmente esplosive al di fuori dei limiti di esplosività; b) ridurre l'estensione dell'atmosfera pericolosa a volumi trascurabili, secondo le norme tecniche applicabili, ai fini delle conseguenze in caso di accensione; c) confinare l'atmosfera pericolosa in aree dove non sono presenti sorgenti di innesco efficaci.
- Installazione di impianti di rivelazione sostanze infiammabili per:
a) attivazione delle misure di messa in sicurezza delle sorgenti di innesco; b) evacuazione delle persone preventivamente all'accensione dell'atmosfera esplosiva.
- Installazione all'interno delle Zone pericolose di impianti, attrezzature, sistemi di protezione e relativi sistemi di connessione non in grado di provocarne l'accensione. - Installazione di impianti di rivelazione inneschi (es. scintille, superfici calde, ....). - Realizzazione di sistemi di inertizzazione delle apparecchiature in modo da ridurre la concentrazione di ossigeno al di sotto della concentrazione limite (LOC). - Installazione di sistemi di mitigazione degli effetti di un'esplosione per ridurre al minimo i rischi rappresentati per i lavoratori dalle conseguenze fisiche di un'esplosione, scelti tra i seguenti:
a) sistemi di protezione mediante sfogo dell'esplosione di gas; b) sistemi di protezione mediante sfogo dell'esplosione di polveri; c) sistemi di isolamento dell'esplosione; d) sistemi di soppressione dell'esplosione; e) apparecchi resistenti alle esplosioni; f) elementi costruttivi dei fabbricati progettati per resistere alle esplosioni.
Il Codice pone la salvaguardia della vita umana come il primo obiettivo di sicurezza, pertanto misure di sicurezza aggiuntive ai fini della protezione degli occupanti possono essere quelle riportate nel paragrafo V.2.4 (Misure per la riduzione del rischio per gli occupanti), ossia il concepimento del layout di fabbricati e impianti con l’obiettivo di ridurre il numero di occupanti esposti agli effetti di un’esplosione. A tal fin, le sorgenti di pericolo possono essere installate come segue:
a. all’esterno dei fabbricati, opportunamente schermate o distanziate;
b. in locali dove è prevista solo la presenza occasionale di occupanti;
c. all’interno dei locali, in posizione opportunamente schermata rispetto alle postazioni fisse di lavoro.
Prodotti impiegabili
Il livello minimo di sicurezza da adottare sugli apparecchi (4) (e relativi assiemi ed impianti), contenenti almeno un innesco tra quelli contemplati dalla Norma UNI EN 1127 e riportati nella Tabella V.2-2 del Codice, è indicato nella Tabella 5, elaborata in base alla lettura congiunta delle Direttive 2014/34/UE, 99/92/CE (direttive ATEX di prodotto e sociale) e delle Norme UNI EN 13463-1 e CEI EN 60079-0.
Zone
Tipi di apparecchi/assiemi compatibili con la qualifica della Zona
Z0, Z20 (P>10-1)
Categoria 1
Garantiscono il livello di protezione richiesto anche in caso di una disfunzione rara o di due disfunzioni prevedibili indipendenti
Z1, Z21 (10-3<P<10-1)
Categoria 2
Garantiscono il livello di protezione richiesto anche in presenza di una disfunzione prevedibile
Z2, Z22 (10-5<P<10-3)
Categoria 3
Garantiscono il livello di protezione richiesto nel funzionamento normale
Tabella 5 – Regole di installazione di apparecchi/assiemi secondo Dir. 2014/34/UE, 99/92/CE, EN 13463-1, EN 60079-0
La documentazione tecnica su prodotti, assiemi e sistemi di protezione che deve essere resa disponibile ai progettisti e ai funzionari VV.F., deve consentire di verificare se le condizioni di installazione ed esercizio sono compatibili con le condizioni previste dal fabbricante per il funzionamento sicuro, dando evidenza di aver raggiunto un livello di sicurezza equivalente non inferiore a tre.
Opere da costruzione progettate per resistere alle esplosioni
Laddove si dovesse scegliere come uno dei mezzi di protezione la resistenza strutturale, le caratteristiche costruttive devono essere individuate in funzione del tipo di conseguenze attese sul fabbricato, in caso di esplosione.
In conformità alle Norme Tecniche per le Costruzioni 2008 (vedi anche nuove NTC 2018 Decreto 17 gennaio 2018), gli effetti di un’esplosione sono ritenuti (Tabella 6):
1. trascurabili, quando si verifica nell’ambito di fabbricati con presenza solo occasionale di persone e/o negli edifici agricoli; 2. localizzati, attesi in caso di un’esplosione all’interno di: - - fabbricati con affollamenti normali/significativi, - - industrie con attività pericolose per l’ambiente e non; 3. generalizzati, attesi in caso di un’esplosione all’interno di fabbricati con funzioni pubbliche o strategiche importanti o all’interno di industrie con attività particolarmente pericolose per l’ambiente.
3.6.2.1 GENERALITÀ Gli effetti delle esplosioni possono essere tenuti in conto nella progettazione di quelle costruzioni in cui possono presentarsi miscele esplosive di polveri o gas in aria o in cui sono contenuti materiali esplosivi. Sono escluse da questo capitolo le azioni derivanti da esplosioni che si verificano all’esterno della costruzione.
3.6.2.2 CLASSIFICAZIONE DELLE AZIONI DOVUTE ALLE ESPLOSIONI Le azioni di progetto dovute alle esplosioni sono classificate, sulla base degli effetti che possono produrre sulle costruzioni, in tre categorie, come indicate in Tabella seguente:
Categoria di azione
Possibili effetti
1
Effetti trascurabili sulle strutture
2
Effetti localizzati su parte delle strutture
3
Effetti generalizzati sulle strutture
....[/panel]
Categoria delle azioni NTC 2008
Destinazioni d'uso ammissibili con le categorie di azione (EN 1991.1-7 + NAD) Eurocodice 1
1
Effetti trascurabili
CC1
Opere da costruzione con presenza solo occasionale di persone, edifici di persone, edifici agricoli
2
Effetti localizzati
CC2 rischio inferiore
Opere da costruzione il cui uso preveda normali affollamenti, senza contenuti pericolosi per l'ambiente e senza funzioni pubbliche e sociali essenziali
Industrie con attività non pericolose per l'ambiente
CC2 rischio superiore
Opere da costruzione il cui uso preveda affollamenti significativi
Industrie con attività pericolose per l'ambiente
3
Effetti generalizzati
CC3
Opere da costruzione con funzioni pubbliche o strategiche importanti
Industrie con attività particolarmente pericolose per l'ambiente
Tabella 6 - Categoria delle azioni provocate dalle esplosioni (Tabella V.2-6 del Codice)
In funzione della tipologia di conseguenza attesa, le precauzioni da adottare nella progettazione delle strutture sono indicate nelle NTC e, in particolare:
- per le opere da costruzione con destinazione CC1, non vanno considerate le azioni derivanti da esplosione; - per le opere da costruzione con destinazione CC2, la quantificazione delle azioni si effettua con riferimento a: - - NTC, per la sovrappressione di progetto per esplosioni confinate di gas, vapori o nebbie; - - EN 1991 1-7 integrata dal rispettivo NAD, per la sovrappressione di progetto per esplosioni di polveri;
facendo utile ricorso anche a modelli semplificati di tipo statico equivalenti:
- per le opere da costruzione con destinazione CC3 devono essere effettuate analisi dinamiche non lineari che tengano conto: - - degli effetti del venting e della geometria degli ambienti nel calcolo della sovrappressione; - - del comportamento dinamico non lineare delle strutture; - - dell’analisi del rischio effettuate con metodi probabilistici; - - degli aspetti economici per l’ottimizzazione delle soluzioni.
Conclusioni
Il Codice di Prevenzione Incendi inserisce a pieno titolo la valutazione del rischio di esplosione dovuto alla formazione di atmosfere esplosive per la presenza di gas, vapori, nebbie e polveri combustibili, come elemento fondamentale per la progettazione della sicurezza antincendio delle attività soggette. La regola tecnica verticale V2 rappresenta una linea guida a servizio dei professionisti per la corretta predisposizione del documento di valutazione del rischio esplosione e, nel contempo, fornisce un compendio utile al funzionario dei Vigili del Fuoco durante la fase di valutazione del progetto antincendio.
NOTE
(1) L’obbligo di valutazione del rischio di esplosione vale anche per le attività non rientranti nel campo di applicazione del DM 3/8/2015, alla luce delle disposizioni contenute nella Lett. Circ. 14005 del 26/10/2011.
(2) Nella premessa alle regole di installazione, la parte B dell’Allegato L del D.Lgs. 81/08, recita testualmente “qualora il documento sulla protezione contro le esplosioni basato sulla valutazione del rischio non preveda altrimenti…”.
(3) Il paragrafo testualmente recita “Si deve stabilire il numero di mezzi di protezione indipendenti da cause comuni di inefficacia, ossia stabilire il grado di sicurezza (se del caso maggiore di 3) per convenzione ammesso per i luoghi con pericolo di esplosione”.
(4) Secondo la Direttiva 2014/34/UE per apparecchi si intendono “macchine, dispositivi fissi o mobili, organi di comando, strumentazione e sistemi di rilevazione e di prevenzione che, da soli o combinati (assiemi), sono desti- nati a produzione/trasporto/deposito/misurazione/regolazione/conversione di energia e/o alla trasformazione di materiale e che, per via delle potenziali proprie sorgenti di innesco rischiano di provocare un’esplosione”.
Allegati Modello DIRI-GAS DOC VVF e Linee guida Struttura e Modelli - OD ING VE e Modello DICO-Simil.
Il DM 37/2008 ha introdotto la "Dichiarazione di rispondenza dell'impianto" ma non è indicato un Modello, possono essere prese a riferimento le circolari VVF, che riportano specifici modelli.
La dichiarazione di rispondenza è stata introdotta dal DM 37/2008 quale documento sostitutivo della dichiarazione di conformità prevista dalla legge 46/90 e regolamentata dal DPR 447/91.
Lo scopo è stato quello di sanare dal punto di vista documentale gli impianti sprovvisti di conformità tra la data dell’entrata in vigore del DPR 447/91 ed il 27 marzo 2008 (entrata in vigore del DM 37/08).
Gli impianti per i quali si intende rilasciare la dichiarazione di rispondenza devono essere realizzati secondo la regola dell’arte.
Dichiarazione di rispondenza e regola dell’arte
Sono conformi alla regola dell’arte gli impianti che rispettano, al momento della loro messa in servizio:
- la legislazione vigente - la normativa tecnica di settore - le regole di “perizia” (il cui impiego si impone sempre in rapporto a ciascun impianto le cui particolarità devono sempre essere valutate dal professionista con attenzione al singolo caso)
- i requisiti essenziali di sicurezza secondo cui: “gli impianti sono installati, utilizzati e manutenuti in modo da salvaguardare le persone, gli animali e le cose da tutti i rischi di natura elettrica, chimica, termica e meccanica“, quali:
- contatti elettrici diretti - contatti elettrici indiretti - innesco e propagazione di incendi e di ustioni dovuti a sovratemperature pericolose, archi elettrici e radiazioni - innesco di esplosioni - fulminazione diretta ed indiretta - sovratensioni - altre condizioni di guasto ragionevolmente prevedibili
La sussistenza dei requisiti sopra elencati può essere dimostrata dal professionista, fermo restando il rispetto della legislazione vigente all’atto della messa in esercizio dell’impianto, mediante la scelta oculata delle norme tecniche (europee e nazionali).
Rilascio della Dichiarazione di rispondenza
Il DM 37/08, all’art. 7 comma 6 e all’art. 8 comma 3, prevede il rispetto di alcune specifiche condizioni per il rilascio della dichiarazione di rispondenza:
quando non sia stata prodotta, o non sia reperibile la Dichiarazione di Conformità, per nel quindi nel periodo compreso tra il 13 marzo 1990 (prima legge che istituisce la DICO) ed il 26 marzo 2008 (entrata in vigore DM 37/2008)
per l’attivazione di una nuova fornitura di energia elettrica o per una richiesta di aumento di potenza della fornitura di energia elettrica per gli impianti (sprovvisti di Dichiarazione di conformità) realizzati nella fascia temporale compresa tra il 13 marzo 1990 ed il 26 marzo 2008 (art.8 comma 3 DM 37/2008)
[box-warning]DM 37/2008
Art. 7. Dichiarazione di conformita' ...
6. Nel caso in cui la dichiarazione di conformita' prevista dal presente articolo, salvo quanto previsto all'articolo 15, non sia stata prodotta o non sia piu' reperibile, tale atto e' sostituito - per gli impianti eseguiti prima dell'entrata in vigore del presente decreto - da una dichiarazione di rispondenza, resa da un professionista iscritto all'albo professionale per le specifiche competenze tecniche richieste, che ha esercitato la professione, per almeno cinque anni, nel settore impiantistico a cui si riferisce la dichiarazione, sotto personale responsabilita', in esito a sopralluogo ed accertamenti, ovvero, per gli impianti non ricadenti nel campo di applicazione dell'articolo 5, comma 2, da un soggetto che ricopre, da almeno 5 anni, il ruolo di responsabile tecnico di un'impresa abilitata di cui all'articolo 3, operante nel settore impiantistico a cui si riferisce la dichiarazione.
Art. 8 Obblighi del committente o del proprietario .... 3. Il committente entro 30 giorni dall’allacciamento di una nuova fornitura di gas, energia elettrica, acqua, negli edifici di qualsiasi destinazione d’uso, consegna al distributore o al venditore copia della dichiarazione di conformita' dell’impianto, resa secondo l’allegato I, esclusi i relativi allegati obbligatori, o copia della dichiarazione di rispondenza prevista dall’articolo 7, comma 6. La medesima documentazione e' consegnata nel caso di richiesta di aumento di potenza impegnata a seguito di interventi sull’impianto, o di un aumento di potenza che senza interventi sull’impianto determina il raggiungimento dei livelli di potenza impegnata di cui all’articolo 5, comma 2 o comunque, per gli impianti elettrici, la potenza di 6 kw. [/box-warning]
Modello per redigere la Dichiarazione di rispondenza
Il DM 37/2008non prevede un Modello per redigere la Dichiarazione di rispondenza, possono essere prese a riferimento le circolari VVF, che riportano specifici modelli:
Titolarità’ adempimenti relativi alla sicurezza antincendio negli edifici scolastici
ID 7745 | 08.02.2019
Documento e Note VVF e Avvocatura dello Stato su Titolarità degli obblighi per la sicurezza antincendio negli edifici scolastici, obblighi ripartiti tra Dirigenti scolastici ed Enti proprietari degli edifici.
In materia è intervenuto il parere CS 33778/2010 del 13/12/2010, Sez. VII, dell’Avvocatura Generale dello Stato, ribadito dalla stessa Avvocatura con nota del 15/02/2012 concernente i casi in cui l’edificio scolastico sia di propri età degli Enti Locali e da questi concessi in uso all’Amministrazione scolastica.
In base a tale recente ricostruzione del quadro normativo, risulterebbe che in materia sussista una separazione di competenze per quanto riguarda gli adempimenti ai fini della sicurezza antincendio.
Da un lato, gli obblighi di cui al D.P.R. n. 151/2011 risulterebbero fare capo al rappresentante protempore dell’Ente Locale proprietario dell’edificio scolastico (Provincia e Comune, gravati dell’obbligo di provvedere alla manutenzione ordinaria, straordinaria e impiantistica degli edifici adibiti a scuola, ai sensi dell’art.3,comma 1, L.23/96).
Dall’altro, il dirigente scolastico (titolare dell’attività scolastica con riferimento al concreto esercizio dell’attività medesima) sarebbe il destinatario degli obblighi di cui al D.Lgs. n.81/2008, in quanto titolare della qualifica di datore di lavoro. Su questi graverebbe solo l’obbligo di segnalare per iscritto al Sindaco/Presidente della Provincia la necessità di provvedere agli adempimenti di cui al D.P.R. n.151/2011, se già non adempiuti.
Per converso, i Dirigenti Scolastici sono comunque titolari di un generico dovere di sorveglianza sulla sicurezza nell’ambiente scolastico (tra le tante cfr. Cassazione, Sez. III, 28 agosto 1995 n.9047) e dunque devono segnalare all’Ente Locale competente l’eventuale mancanza della certificazione antincendio (cfr anche l’art.5, DM 29 settembre 1998, n. 382).
... Nella nota di chiarimento dell’Avvocatura viene ribadito “che in presenza di una situazione di pericolo l’attività scolastica non puo’ che essere sospesa, anche a prescindere dal provvedimento del Sindaco riguardante la chiusura o meno dell’immobile”. ...
[box-note]Nota del Ministero dell’Interno Prot. n. 0009060 del 25/06/2013
Alle direzioni Regionali e Interregionali dei Vigili del Fuoco Loro Sedi E, p.c. Ai Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco Loro Sedi
OGGETTO: Titolarità degli adempimenti relativi alla sicurezza antincendio negli edifici scolastici.
Pervengono a questa Direzione Centrale comunicazioni dalle strutture periferiche relative alla non uniforme applicazione sul territorio dei procedimenti di prevenzione incendi di cui al D.P.R. n. 151/2011, con particolare riferimento alle scuole di ogni ordine, grado e tipo, collegi, accademie con oltre 100 persone presenti, di cui al n. 67 dell'allegato I dello stesso decreto.
A tal proposito si rammenta che in materia è intervenuto il parere CS 33778/2010 del 13/12/2010, Sez. VII, dell'Avvocatura Generale dello Stato, ribadito dalla stessa Avvocatura con nota del 15/02/2012, concernente i casi in cui l'edificio scolastico sia di proprietà degli Enti locali e da questi concessi in uso all'Amministrazione scolastica.
In base a tale recente ricostruzione del quadro normativo, risulterebbe che in materia sussista una separazione di competenze per quanto riguarda gli adempimenti ai fini della sicurezza antincendio. Da un lato, gli obblighi di cui al D.P.R. n. 151/2011 risulterebbero fare capo al rappresentante pro-tempore dell'Ente locale proprietario dell'edificio scolastico. Dall'altro, il dirigente scolastico sarebbe il destinatario degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 81/2008, in quanto titolare della qualifica di datore di lavoro. Su questi graverebbe solo l'obbligo di segnalare per iscritto al Sindaco/Presidente della Provincia la necessità di provvedere agli adempimenti di cui al D.P.R. n. 151/2011, se già non adempiuti. Tutto quanto sopra espresso, pertanto, al fine della corretta predisposizione degli atti di competenza, si invitano codesti Uffici a verificare se siano state date al riguardo direttive uniformi da parte delle Procure Generali della Repubblica.[/box-note] ... segue
Allegati
- Parere CS 33778/2010 del 13/12/2010, Sez. VII, dell’Avvocatura Generale dello Stato - Nota del 15/02/2012 dell’Avvocatura Generale dello Stato - Nota DCPREV prot. 9060 del 25.06.2013 del Ministero degli Interni - Dipartimento VVF
Rischio chimico: metodo di valutazione EN 689:2018
Documento allegato estratto della nuova norma EN 689:2018 (allegati A, B, C, D, E, F, G, H); la norma è una delle metodiche standardizzate per la misurazione degli agenti contenute nell’ALLEGATO XLI del D.Lgs.81/08- Titolo IX art.225 c.2.
La norma europea EN 689:2018 tratta dei metodi per la misurazione dell’esposizione agli agenti chimici sul luogo di lavoro ed, in particolare, delle strategie per la misurazione ed il confronto dei risultati con i valori limite di esposizione professionale (OELVs).
La valutazione dell’esposizione e la dichiarazione certa del non superamento dei limiti di esposizione professionale richiederebbero una misura giornaliera dell’esposizione per ogni singolo lavoratore.
Questo tipo di approccio è possibile per le radiazioni ionizzanti, ad esempio, ma non lo è per gli agenti chimici a causa di alcuni limiti delle tecniche di misura e dei costi delle misure stesse. La norma EN 689:2018 dà la possibilità al Datore di Lavoro di utilizzare un numero di misure ridotte per dimostrare con un elevato grado sicurezza che è improbabile che i lavoratori siano esposti a valori superiori ai valori limite.
Per ridurre il numero di misurazioni i campioni di aria vengono raccolti all’interno di gruppi simili di esposizione (SEGs). In questo modo una singola misurazione o diverse misurazioni inferiori ai limiti possono essere insufficienti a dimostrare in modo affidabile la conformità senza l’uso di test statistici.
[panel]Metodiche standardizzate misurazione degli agentiD.Lgs.81/08
La EN 689 è una delle metodiche standardizzate per la misurazione degli agenti elencate nell’allegato ALLEGATO XLI del D.Lgs.81/08-Titolo IX art.225 c.2. .... Art. 225. Misure specifiche di protezione e di prevenzione ... 2. Salvo che possa dimostrare con altri mezzi il conseguimento di un adeguato livello di prevenzione e di protezione, il datore di lavoro, periodicamente ed ogni qualvolta sono modificate le condizioni che possono influire sull'esposizione, provvede ad effettuare la misurazione degli agenti che possono presentare un rischio per la salute, con metodiche standardizzate di cui è riportato un elenco meramente indicativo nell'allegato XLI o in loro assenza, con metodiche appropriate e con particolare riferimento ai valori limite di esposizione professionale e per periodi rappresentativi dell'esposizione in termini spazio temporali. ...
Allegato XLI
UNI EN 481:1994
Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Definizione delle frazioni granulometriche per la misurazione delle particelle aerodisperse.
UNI EN 482:1998
Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Requisiti generali per le prestazioni dei procedimenti di misurazione degli agenti chimici
UNI EN 689:1997 UNI EN 689:2018
Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Guida alla valutazione dell’esposizione per inalazione a composti chimici ai fini del confronto con i valori limite e strategia di misurazione.
UNI EN 838: 1998
Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Campionatori diffusivi per la determinazione di gas e vapori. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1076:1999
Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Tubi di assorbimento mediante pompaggio per la determinazione di gas e vapori. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1231: 1999
Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Sistemi di misurazione di breve durata con tubo di rivelazione. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1232: 1999
Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Pompe per il campionamento personale di agenti chimici. Requisiti e metodi di prova.
UNI EN 1540:2001
Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Terminologia.
UNI EN 12919:2001
Atmosfera nell’ambiente di lavoro. Pompe per il campionamento di agenti chimici con portate maggiori di 5 l/min. Requisiti e metodi di prova.
...[/panel] UNI EN 689:2018 - Atmosfera nell'ambiente di lavoro – Misura dell'esposizione per inalazione agli agenti chimici – Strategia per la verifica della conformità coi valori limite di esposizione occupazionale
Il presente documento è un estratto degli allegati della norma tecnica EN 689:2018.
Data entrata in vigore: 12 luglio 2018
Recepisce: EN 689:2018
Sostituisce: UNI EN 689:1997
________
Excursus
[panel]Annex D (informative)
Exposure profile and sampling duration
D.1 General
The total sampling duration is specified by the appraiser taking into account the workplace factors including tasks. The sampling duration should be representative for the reference period of the limit value controlled and should be established considering the concentration variability, the LOQ and other performance characteristics of the analytical method.
NOTE Figure D.1 to Figure 0.8 give exposure concentration C versus time t. For example, these traces can be obtained with continuous-reading instruments during the basic characterization (see 5.1.1).
D.2 Measurement for testing compliance with 8 h- OELV
a) Workplace factors are constant during the whole work shift (WS)
Total sampling duration (TSD) should be a minimum of 2 h.
The exposure of the sampling period can be considered representative of the exposure of the work shift duration (WS). There are three alternatives in the following order of priority:
− Measure for the full shift (TSDmax); − Measure for one period of exposure (at least 2 h) (TSDmin); − Measure for more than one period of exposure (i.e. two periods of 1 h; TSDmin).
See Figure D.1.
Key
C exposure concentration t time 1 TSDmax = WS 2 TSDmin = 2 h 3 and 4 TSDmin = 1 h + 1 h 5 WS[/panel]
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Indice
Premessa A.1 General A.2 Workplaces with constant conditions A.3 Shortened exposure at workplaces with constant working conditions A.4 Workplaces involving occasional exposure A.5 Stationary workplaces with irregular exposure A.6 Workers who move from a workplace to another with irregular exposure A.7 Workplaces with unpredictable, constantly changing exposure A.8 Outdoor workplaces A.9 Underground workplaces C.1 General C.2 Tier 1: Exposure index (IE) C.3 Tier 2: Additive effect exposure index (IAE) C.4 Other approaches D.1 General D.2 Measurement for testing compliance with 8 h- OELV D.3 Measurement for testing compliance with short-term limit value E.1 General E.2 Graphical method E.2.1 Principle E.2.2 Plotting E.2.3 Example E.2.4 Examples of SEGs requiring further consideration E.2.4.1 General E.2.4.2 SEG consisting of two groups E.2.4.3 Some individuals with exceptional exposure E.2.4.4 Distributions appearing to be not lognormal E.3 Statistical methods for the validation of SEGs F.1 General F.2 SEG compliance test for at least six exposure measurements F.3 Decision H.1 General H.2 Principle H.3 Example H.4 Uncertainty H.5 Software
Dispositivi anticaduta: procedura per l'uso e la verifica
Il presente documento, elaborato sullo standard BS 8437:2005 - Code of practice for selection, use and maintenance of personal fall protection systems and equipment for use in the workplace, illustra, anche con il supporto di immagini, l'uso in sicurezza dei sistemi di protezione anticaduta (edizione in vigore BS 8437:2005+A1:2012) .
In allegato Modello di ispezione imbracature Rev. 00 2018 [doc]
I dispositivi anticaduta sono necessari dove esiste il rischio di caduta dall’alto.
Permettono all’utilizzatore il raggiungimento di una determinata area ma ne impediscono l’accesso alle zone considerate pericolose. Sono generalmente costituiti da una corda, una linea di ancoraggio, una imbracatura il cui utilizzo e le cui caratteristiche dipendo dalla area di lavoro.
Il presente documento è elaborato sullo standard BS 8437:2005 - Code of practice for selection, use and maintenance of personal fall protection systems and equipment for use in the workplace.
Traduzione IT non ufficilale
...
Un sistema anticaduta completo è costituito da:
[alert]a. imbracatura; b. punto di ancoraggio; c. corda per l’ancoraggio; d. dispositivi per la connessione, tramite la corda, dell’imbracatura al punto di ancoraggio.[/alert]
Un sistema anticaduta collega fisicamente l’utente alla struttura del luogo di lavoro tramite una serie di componenti che arrestano la caduta libera dell’utente stesso applicando una forza di arresto.
La caduta è costituita da quattro fasi:
a. inizio della caduta; b. caduta; c. arresto; d. sospensione dopo l’arresto.
Le lesioni possono verificarsi durante le seguenti fasi:
a. durante la caduta; b. durante l’arresto della caduta; c. durante la fase di sospensione.
Figura 1 - Cordino troppo lungo; l'utilizzatore cade oltre il limite
È, quindi, essenziale scegliere un sistema anticaduta idoneo alla lavorazione da eseguire.
[box-info]Esistono quattro principali sistemi anticaduta:
a. sistemi basti su uno o più cordini che assorbono energia; b. sistemi basati su sistema anticaduta retrattile; c. sistemi basati su una linea di ancoraggio verticale e un dispositivo anticaduta di tipo guidato, che include sistemi con una linea di ancoraggio rigida e sistemi con una linea di ancoraggio flessibile; d. sistemi basati su una linea di ancoraggio orizzontale con un o più dispositivi che permettono di muoversi lungo la linea stessa.[/box-info]
Fig 16 - Illustrazione dei pericoli del collegamento di cordini ad assorbimento di energia in serie per aumentare la lunghezza complessiva
Legenda
1. Punto di ancoraggio; 2. Tre cordini con assorbitore di energia collegati in serie.
I dispositivi anticaduta sono dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) e come tali devono essere gestiti dal Datore di Lavoro in accordo al TITOLO III, CAPO II, Articolo 77 del D.Lgs. 81/08.
Vedi
Imbracature di sicurezza per il corpo: Norme, Requisiti e Registro di controllo
Documento sulle imbracature di sicurezza di cui alla norma UNI EN 361:2003 suddiviso in 3 parti:
A. Imbracature per il corpo (UNI EN 361:2003) B. Scheda di controllo (UNI EN 365:2005) C. Legislazione
Allegato Registro di verifica annuale imbracature di sicurezza.
[box-info]BS 8437:2005+A1:2012 (edizione in vigore data notizia) Code of practice for selection, use and maintenance of personal fall protection systems and equipment for use in the workplace https://shop.bsigroup.com/ProductDetail?pid=000000000030247884
[/box-info]
Elaborato Certifico Srl - IT Abbonati: Sicurezza/2X/3X/4X/Full
ID 7488 | 02.01.2019 | Documento completo in allegato
La Legge 120 del 29/07/2010, ha introdotto con l'Art. 33 al Lgs n. 285 del 30 aprile 1992 (Nuovo Codice della Strada), l'Art. 186-bis "Guida sotto l'influenza dell'alcool per conducenti di eta' inferiore a ventuno anni, per i neo-patentati e per chi esercita professionalmente l'attivita' di trasporto di persone o di cose", il tasso alcolemico "zero", per i neopatentati e per chi al lavora al volante.
La prima legge italiana che permette l’uso dell’etilometro è il D.Lgs n. 285 del 30 aprile 1992 (Nuovo Codice della Strada), Rif. Art. 186, 186 bis e Art. 187.
La Legge 30 marzo 2001 n. 125 (Legge quadro alcol) fissa il limite massimo di concentrazione alcolica, per porsi alla guida senza incorrere in sanzioni, a 0,5 g/l.
La Legge 120 del 29/07/2010 (Modifiche al D.Lgs. n. 285/1992) introduce un nuovo concetto: il principio "o bevi o guidi", valido per i neopatentati e per chi al volante ci lavora: camionisti, tassisti e conducenti di autobus. Per tutte queste categorie l'alcol non è più tollerato: il limite diventa zero.
Queste categorie di guidatori devono controllare che il loro tasso alcolemico torni a zero prima di mettersi alla guida. Diventa quindi indispensabile l'uso di un etilometro (professionale) per verificare il proprio stato.
Le sanzioni per i guidatori (eccetto le categorie suddette) sono di seguito riportate:
TASSO ALCOLEMICO DA 0,50 A 0,80 g/l
Ammenda
Da 500 a 2.000 €
Sospensione patente
Da 3 a 6 mesi
Punti patente
- 10 punti
Arresto
NO
Fermo del veicolo
SI
TASSO ALCOLEMICO DA 0,80 A 1,50 g/l
Ammenda
Da 800 a 3.200 €
Sospensione patente
Da 6 a 12 mesi
Punti patente
- 10 punti
Arresto
fino a 6 mesi
Fermo del veicolo
SI
TASSO ALCOLEMICO DA 0,80 A 1,50 g/l
Ammenda
Da 1500 a 6000 €
Sospensione patente
Da 12 a 24 mesi
Punti patente
- 10 punti
Arresto
da 6 a 12 mesi
Fermo del veicolo
Confisca del veicolo. Confisca del veicolo con sentenza di condanna. Il veicolo non può più essere affidato in custodia al trasgressore
Accertamento dello stato di ebrezza
Gli organi di Polizia stradale, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili (ETILOMETRO). L’accertamento si effettua mediante l’analisi dell’aria alveolare espirata. La concentrazione dovrà risultare da almeno due determinazioni concordanti, che vengono effettuate ad un intervallo di tempo di 5 minuti. L’etilometro, oltre a visualizzare i risultati delle misurazioni e dei controlli, deve anche, mediante apposita stampante, fornire la corrispondente prova documentale. Quando le prove qualitative hanno dato esito positivo, gli organi di Polizia stradale hanno la facoltà di effettuare ulteriori accertamenti con strumenti e procedure determinati dal regolamento, presso il più vicino ufficio o comando. Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti a cure mediche, l’accertamento viene effettuato da parte di strutture sanitarie adeguate, le quali, rilasciano agli organi di Polizia stradale la relativa certificazione, assicurando il rispetto della riservatezza dei dati in base alle vigenti disposizioni di legge
Codice della Strada
La normativa attuale italiana stabilisce come valore limite legale il tasso di alcolemia di 0,5 g/litro: guidare un veicolo oltre questo limite - e quindi in stato di ebbrezza - costituisce un reato, punito, oltre che con la perdita di 10 punti della patente, con le severe sanzioni previste dagli articoli 186 e 186 bis del Codice della Strada:
Guida con tasso alcolemico compreso tra 0,5 e 0,8 g/l - ammenda da 500 a 2000 euro, - sospensione patente da 3 a 6 mesi.
Guida con tasso alcolemico tra 0,8 e 1,5 g/l - ammenda da 800 a 3200 euro, - arresto fino a 6 mesi, - sospensione patente da 6 mesi ad 1 anno.
Guida con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l - ammenda da 1500 a 6000 euro, - arresto da 6 mesi ad un anno, - sospensione patente da 1 a 2 anni, - sequestro preventivo del veicolo, - confisca del veicolo (salvo che appartenga a persona estranea al reato).
La patente di guida è sempre revocata quando: - il reato è stato commesso da conducente di autobus o di veicolo destinato al trasporto merci (con massa complessiva a pieno carico superiore alle 3,5 t), - in caso di recidiva biennale (cioè se la stessa persona compie più violazioni nel corso di un biennio). La revoca della patente viene inoltre disposta quando il conducente, con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l o sotto l'influenza di droghe, ha provocato un incidente.
Le pene previste dall'articolo 186 comma 2 e 186 bis comma 3 del Codice della Strada sono raddoppiate se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale (in questo caso è disposto il fermo amministrativo del veicolo per 180 giorni, salvo che appartenga a persona estranea all'illecito).
Rifiuto di sottoporsi all'accertamento alcolimetrico
L'accertamento alcolimetrico è eseguito attraverso uno strumento chiamato etilometro che misura la quantità di alcool contenuta nell?aria espirata. L'esame viene ripetuto due volte, effettuando due misurazioni successive a distanza di 5 minuti l'una dall'altra. Il rifiuto di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico è reato ed è punito, oltre che con la perdita di 10 punti della patente di guida, con le stesse pene previste per chi guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l.
[panel]Legge 120 del 29/07/2010 ... Art. 33. (Modifiche agli articoli 186 e 187 e introduzione dell'articolo 186-bis del decreto legislativo n. 285 del 1992, in materia di guida sotto l'influenza dell'alcool e in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti, nonche' di guida sotto l'influenza dell'alcool per conducenti di eta' inferiore a ventuno anni per i neo patentati e per chi esercita professionalmente l'attivita' di trasporto di persone o di cose) ... 2. Dopo l'articolo 186 del decreto legislativo n. 285 del 1992, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, e' inserito il seguente:
«Art. 186-bis. (Guida sotto l'influenza dell'alcool per conducenti di eta' inferiore a ventuno anni, per i neo-patentati e per chi esercita professionalmente l'attivita' di trasporto di persone o di cose).
1. E' vietato guidare dopo aver assunto bevande alcoliche e sotto l'influenza di queste per:
a) i conducenti di eta' inferiore a ventuno anni e i conducenti nei primi tre anni dal conseguimento della patente di guida di categoria B;
b) i conducenti che esercitano l'attivita' di trasporto di persone, di cui agli articoli 85, 86 e 87;
c) i conducenti che esercitano l'attivita' di trasporto di cose, di cui agli articoli 88, 89 e 90;
d) i conducenti di autoveicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t, di autoveicoli trainanti un rimorchio che comporti una massa complessiva totale a pieno carico dei due veicoli superiore a 3,5 t, di autobus e di altri autoveicoli destinati al trasporto di persone il cui numero di postia sedere, escluso quello del conducente, e' superiore a otto, nonche' di autoarticolati e di autosnodati.
2. I conducenti di cui al comma 1 che guidino dopo aver assunto bevande alcoliche e sotto l'influenza di queste sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 155 a euro 624, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a O (zero) e non superiore a 0,5 grammi per litro (gli). Nel caso in cui il conducente, nelle condizioni di cui al periodo precedente, provochi un incidente, le sanzioni di cui al medesimo periodo sono raddoppiate.
3. Per i conducenti di cui al comma 1 del presente articolo, ove incorrano negli illeciti di cui all'articolo 186, comma 2, lettera a), le sanzioni ivi previste sono aumentate di un terzo; ove incorrano negli illeciti di cui all'articolo 186, comma 2, lettere b) e c), le sanzioni ivi previste sono aumentate da un terzo alla meta'.
4. Le circostanze attenuanti concorrenti con le aggravanti di cui al comma 3 non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste. Le diminuzioni di pena si operano sulla quantita' della stessa risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante.
5. La patente di guida e' sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l) per i conducenti di cui alla lettera d) del comma 1, ovvero in caso di recidiva nel triennio per gli altri conducenti di cui al medesimo comma. E' fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al quinto e al sesto periodo della lettera c) del comma 2 dell'articolo 186.
6. Si applicano le disposizioni di cui ai commi da 3 a 6, 8 e 9 dell'articolo 186. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5 dell'articolo 186, il conducente e' punito con le pene previste dal comma 2, lettera c), del medesimo articolo, aumentate da un terzo alla meta'. La condanna per il reato di cui al periodo precedente comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalita' e procedure previste dal citato articolo 186, comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida e' raddoppiata. Con l'ordinanza con la quale e' disposta la sospensione della patente di guida, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni del comma 8 del citato articolo 186. Se il fatto e' commesso da soggetto gia' condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato, e' sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI.
7. Il conducente di eta' inferiore a diciotto anni, per il quale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a O (zero) e non superiore a 0,5 grammi per litro (g/1), non puo' conseguire la patente di guida di categoria B prima del compimento del diciannovesimo anno di eta'. Il conducente di eta' inferiore a diciotto anni, per il quale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), non puo' conseguire la patente di guida di categoria B prima del compimento del ventunesimo anno di eta'».Il conducente di eta' inferiore a diciotto anni, per il quale sia stato accertatoun valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), non puo' conseguire la patente di guida di categoria B prima del compimento del ventunesimo anno di eta'». ... Art.54 (Modifiche alla disciplina della somministrazione e vendita di alcool nelle ore notturne)
1. All'articolo 6 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 2 e' sostituito dai seguenti: «2. I titolari e i gestori degli esercizi muniti della licenza prevista dai commi primo e secondo dell'articolo 86 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, ivi compresi gli esercizi ove si svolgono, con qualsiasi modalita', spettacoli o altre forme di intrattenimento e svago, musicali o danzanti, nonche' chiunque somministra bevande alcoliche o superalcoliche in spazi o aree pubblici ovvero nei circoli gestiti da persone fisiche, da enti o da associazioni, devono interrompere la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche alle ore 3 e non possono riprenderla nelle tre ore successive, salvo che sia diversamente disposto dal questore in considerazione di particolari esigenze di sicurezza. 2-bis. I titolari e i gestori degli esercizi di vicinato, di cui agli articoli 4, comma 1, lettera d), e 7 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e successive modificazioni, devono interrompere la vendita per asporto di bevande alcoliche e superalcoliche dalle ore 24 alle ore 6, salvo che sia diversamente disposto dal questore in considerazione di particolari esigenze di sicurezza. 2-ter. I divieti di cui ai commi 2 e 2-bis non si applicano alla vendita e alla somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche effettuate nella notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio e nella notte tra il 15 e il 16 agosto. 2-quater. I titolari e i gestori dei locali di cui al comma 2, che proseguano la propria attivita' oltre le ore 24, devono avere presso almeno un'uscita del locale un apparecchio di rilevazione del tasso alcolemico, di tipo precursore chimico o elettronico, a disposizione dei clienti che desiderino verificare il proprio stato di idoneita' alla guida dopo l'assunzione di alcool. Devono altresi' esporre all'entrata, all'interno e all'uscita dei locali apposite tabelle che riproducano: a) la descrizione dei sintomi correlati ai diversi livelli di concentrazione alcolemica nell'aria alveolare espirata; b) le quantita', espresse in centimetri cubici, delle bevande alcoliche piu' comuni che determinano il superamento del tasso alcolemico per la guida in stato di ebbrezza, pari a 0,5 grammi per litro, da determinare anche sulla base del peso corporeo. 2-quinquies. ...[/panel]
Vaccinazioni in ambito lavorativo: Quadro normativo
ID 4457 | 05.12.2018
Si illustra, con Documentazione, Legislazione e Giurisprudenza, il Quadro normativo delle vaccinazioni e del loro obbligo in ambito lavorativo.
Il rischio biologico è disciplinato per i lavoratori dal titolo X del D.Lgs. 81/08, che prevede, all’art. 279 c. 2 lettera a), che è obbligatoria, per il datore di lavoro, “la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”.
Le norme per Vaccinazioni obbligatorie (ante 1970)
In Italia la pratica vaccinale negli ambienti di lavoro ha una storia normativa ricca di numerosi decreti, leggi e circolari ministeriali che hanno regolato, negli anni:
- le categorie di lavoratori per i quali era previsto l’obbligo o la raccomandazione delle vaccinazioni, - la modalità di esecuzione delle stesse, la composizione dei vaccini e la periodicità di eventuali richiami.
Gli obiettivi prefissati rispondevano a due precise esigenze:
- la protezione del soggetto dagli agenti infettivi presenti nella propria realtà lavorativa, - la protezione della collettività nella fruizione di servizi o dei prodotti delle attività lavorative stesse.
Documento completo in allegato
La legislazione in vigore
Si chiarisce che il Decreto "taglia-leggi" del 2009 che ha individuato le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, ha mantenuto in vigore alcune norme sulla vaccinazione lavoro.
Infatti prima dell'entrata in vigore del D. Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179 (taglia-leggi) (GU n.290 del 14-12-2009 - SO n. 234) come modificato in particolare dal D.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 213 (GU n.292 del 15-12-2010 - SO n. 276) erano previste una serie di vaccinazioni obbligatorie per determinate categorie di lavoratori ed in particolare relative alla vaccinazione antitetanica e antitubercolare:
Con l’entrata in vigore del decreto taglia leggi (D.Lgs. 179/2009) sono state abrogate tutte le disposizioni legislative antecedenti al 01/01/1970, salvo quelle contenute nello specifico elenco, allegato al decreto stesso.
Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246.
(GU n.290 del 14-12-2009 - SO n. 234)
Nell'Allegato I (Atti normativi salvati pubblicati anteriormente al 1° gennaio 1970) del decreto D. n. 179/2009 il punto 1899 fa riferimento alla Legge n. 292/1963
1899 - LEGGE - 292 - 05/03/1963 VACCINAZIONE ANTITETANICA OBBLIGATORIA Lavoro, salute e politiche sociali
Il decreto D.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 213 contiene (nell'allegato B) l'elenco delle norme "espunte" - cioè eliminate - dall'elenco delle norme “salvate” contenute nell'Allegato I del decreto del 2009, il punto 1899 non viene comunque espunto.
La Legge n. 292/1963è in vigore in quanto a tutt’oggi ed contemplata tra le norme salvate dall'abrogazione dal decreto del 2009, che resta in vigore semplicemente modificato e integrato dal decreto del 2010 per altre voci elencate.
E' in vigore anche lalegge 14 dicembre 1970 n. 1088 che ha istitutito - per alcune categorie - la vaccinazione antitubercolare, in quanto successiva al 1° gennaio 1970.[/panel]
Vaccinazioni obbligatorie
A. Vaccinazione antitetanica
La vaccinazione antitetanica è obbligatoria in accordo con la legge del 5 marzo 1963, n. 292, secondo l’elenco riportato per alcune determinate categorie di lavoratori:
a) per le seguenti categorie di lavoratori dei due sessi piu' esposti ai rischi dell'infezione tetanica:
- lavoratori agricoli, - pastori, - allevatori di bestiame, - stallieri, - fantini, - conciatori, - sorveglianti e addetti ai lavori di sistemazione e preparazione delle piste negli ippodromi, - spazzini, - cantonieri, - stradini, - sterratori, - minatori, - fornaciai, - operai e manovali addetti alla edilizia, - operai e manovali delle ferrovie, - asfaltisti, - straccivendoli, - operai addetti alla manipolazione delle immondizie, - operai addetti alla fabbricazione della carta e dei cartoni, - lavoratori del legno, - metallurgici e metalmeccanici.
Per tali lavoratori la vaccinazione è resa obbligatoria a partire dalle nuove leve di lavoro;
b) per gli sportivi all'atto della affiliazione alle federazioni del CONI; c) per i nuovi nati, i quali dovranno essere vaccinati con tre somministrazioni di anatossina tetanica adsorbita, associata ad anatossina difterica di cui la prima al terzo mese di vita, la seconda dopo 6-8 settimane dalla precedente, la terza al decimo-undicesimo mese di vita.
Il Ministro per la sanita' e' autorizzato ad estendere, con proprio decreto, l'obbligo della vaccinazione antitetanica ad altre categorie di lavoratori, sentito il Consiglio superiore di sanita'.
L'obbligo della vaccinazione antitetanica di cui alla legge 5 marzo 1963, n. 292, modificata dalla legge 20 marzo 1968, n. 419, è esteso a:
- tutto il personale delle ferrovie
elencato sotto la voce "personale dell'esercizio" nel quadro n. 4 "qualifiche iniziale di assunzione del personale in prova", allegato al decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1970, n. 1077, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 7 gennaio 1971, concernente il riordinamento delle carriere degli impiegati civili dello Stato, nonché a tutto il personale delle ferrovie in concessione delle categorie corrispondenti a quelle indicate nel citato allegato.
L'obbligo della vaccinazione antitetanica di cui alla legge 5 marzo 1963, n. 292, modificata dalla legge 20 marzo 1968, n. 419, è esteso a
- tutti i marittimi e ai lavoratori portuali
a partire dalle nuove leve di lavoro.
Il D.P.R. n. 465 del 7 novembre 2001 ha successivamente modificato la cadenza con cui effettuare i richiami periodici della vaccinazione, ad intervalli decennali invece che quinquennali. Tale intervallo era peraltro già stato raccomandato con alcune circolari del Ministero della Salute, tra cui la circolare n. 16 dell’11 novembre 1996.
B. Vaccinazione antitubercolare (BCG)
La vaccinazione antitubercolare (BCG) è obbligatoria, in accordo con il D.P.R. n. 465 del 7 novembre 2001, emanato ai sensi dell’art. 93 della legge 27 dicembre 2000, n. 388:
1. La vaccinazione antitubercolare è obbligatoria per:
a) neonati e bambini di età inferiore a 5 anni, con test tubercolinico negativo, conviventi o aventi contatti stretti con persone affette da tubercolosi in fase contagiosa, qualora persista il rischio di contagio;
b) personale sanitario, studenti in medicina, allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo, operi in ambienti sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti oppure che operi in ambienti ad alto rischio e non possa, in caso di cuticonversione, essere sottoposto a terapia preventiva, perche¨ presenta controindicazioni cliniche all'uso di farmaci specifici.
C. Vaccinazione antitifica Fino al 2000, era inoltre obbligatoria anche la vaccinazione antitifica per gli addetti ai servizi di approvvigionamento idrico, ai servizi di raccolta e distribuzione del latte, ai servizi di lavanderia, pulizia e disinfezione degli ospedali, per le reclute, e per altri lavoratori, ma tale obbligo è cessato con l’abrogazione del DCG 2 dicembre 1926 e dell’art. 38 del d.p.r. 26 marzo 1980 n. 327, ad opera rispettivamente dell’art. 32 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e dell’art. 93 della legge 27 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001).
Legge 27 dicembre 1997, n. 449 ... 10. All'articolo 14, primo comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283, sono aggiunte, in fine, le parole: "ad esclusione della vaccinazione antitifico-paratifica e di altri trattamenti vaccinali".
D.P.R 6 marzo 1980, n. 327 ... Art. 38. - (Profilassi del personale). - 1. Il personale di cui all'articolo 37 è sottoposto ai trattamenti di profilassi che siano ritenuti necessari dall'autorità sanitaria competente, a salvaguardia della salute pubblica, ad esclusione della vaccinazione antitifico-paratifica e di altri trattamenti vaccinali".
L’art. 93 della legge 388/2000, comunque, conferisce alle Regioni, in caso di riconosciuta necessità e sulla base della situazione epidemiologica locale, la possibilità di disporre l’esecuzione della vaccinazione antitifica in specifiche categorie professionali.
Vaccinazioni: norme generali di tutela
Ad oggi, quindi, sono previste norme dirette per la vaccinazione in ambito di lavoro (legge 14 dicembre 1970 n. 1088 / legge del 5 marzo 1963, n. 292), ma sono presenti anche norme "indirette" legate al concetto di "obblighi di tutela dei lavoratori da parte del del Datore di Lavoro" di cui all'Art. 2087 c.c. e naturalmente il D.Lgs. 81/2008 Art. 17, Titolo X Agenti biologici.
Quindi sono di riferimento:
- Art.2087 c.c. - D.Lgs. 81/2008 Art. 17, Titolo X Agenti biologici
[panel]Art.2087 c.c. L’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Nota Il datore di lavoro deve adottare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti all'ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene di rilevanza costituzionale che impone al datore di anteporre al proprio profitto la sicurezza di chi esegue la prestazione.[/panel]
Nel momento in cui si evidenziano rischi per la salute dei lavoratori il datore di lavoro attua misure tecniche, organizzative e procedurali, per evitare ogni esposizione degli stessi ad agenti biologici, all'Art. 279 del D.Lgs. 81/2008 è riportato:
1. Qualora l'esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria ... c. 2 a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente ... c 5. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sul controllo sanitario cui sono sottoposti e sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta rischio di esposizione a particolari agenti biologici individuati nell'allegato XLVI nonché sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione[/panel]
Si veda:
Cass. pen. sez. IV, 5.2.1991, n.1170 “le misure di sicurezza vanno attuate dal datore di lavoro anche contro la volontà del lavoratore”
Art. 15. Misure generali di tutela ... c) l'eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico; .. h) l'utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro
1. In tutte le attività per le quali la valutazione di cui all'articolo 271 evidenzia rischi per la salute dei lavoratori il datore di lavoro attua misure tecniche, organizzative e procedurali, per evitare ogni esposizione degli stessi ad agenti biologici. 2. In particolare, il datore di lavoro: a) evita l'utilizzazione di agenti biologici nocivi, se il tipo di attività lavorativa lo consente; b) limita al minimo i lavoratori esposti, o potenzialmente esposti, al rischio di agenti biologici; c) progetta adeguatamente i processi lavorativi, anche attraverso l'uso di dispositivi di sicurezza atti a proteggere dall'esposizione accidentale ad agenti biologici; d) adotta misure collettive di protezione ovvero misure di protezione individuali qualora non sia possibile evitare altrimenti l'esposizione; e) adotta misure igieniche per prevenire e ridurre al minimo la propagazione accidentale di un agente biologico fuori dal luogo di lavoro; f) usa il segnale di rischio biologico, rappresentato nell'allegato XLV, e altri segnali di avvertimento appropriati; g) elabora idonee procedure per prelevare, manipolare e trattare campioni di origine umana ed animale; h) definisce procedure di emergenza per affrontare incidenti; i) verifica la presenza di agenti biologici sul luogo di lavoro al di fuori del contenimento fisico primario, se necessario o tecnicamente realizzabile; l) predispone i mezzi necessari per la raccolta, l'immagazzinamento e lo smaltimento dei rifiuti in condizioni di sicurezza, mediante l'impiego di contenitori adeguati ed identificabili eventualmente dopo idoneo trattamento dei rifiuti stessi; m) concorda procedure per la manipolazione ed il trasporto in condizioni di sicurezza di agenti biologici all'interno e all'esterno del luogo di lavoro.
Art. 273. Misure igieniche
1. In tutte le attività nelle quali la valutazione di cui all'articolo 271 evidenzia rischi per la salute dei lavoratori, il datore di lavoro assicura che: a) i lavoratori dispongano dei servizi sanitari adeguati provvisti di docce con acqua calda e fredda, nonché, se del caso, di lavaggi oculari e antisettici per la pelle; b) i lavoratori abbiano in dotazione indumenti protettivi od altri indumenti idonei, da riporre in posti separati dagli abiti civili; c) i dispositivi di protezione individuale ove non siano mono uso, siano controllati, disinfettati e puliti dopo ogni utilizzazione, provvedendo altresì a far riparare o sostituire quelli difettosi prima dell'utilizzazione successiva; d) gli indumenti di lavoro e protettivi che possono essere contaminati da agenti biologici vengano tolti quando il lavoratore lascia la zona di lavoro, conservati separatamente dagli altri indumenti, disinfettati, puliti e, se necessario, distrutti. 2. Nelle aree di lavoro in cui c'è rischio di esposizione è vietato assumere cibi e bevande, fumare, conservare cibi destinati al consumo umano, usare pipette a bocca e applicare cosmetici. ... Art. 279. Prevenzione e controllo
1. Qualora l'esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41. 2. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali: a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente; b) l'allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell'articolo 42.
3. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso agente, l'esistenza di anomalia imputabile a tale esposizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro.
4. A seguito dell'informazione di cui al comma 3 il datore di lavoro effettua una nuova valutazione del rischio in conformità all'articolo 271.
5. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sul controllo sanitario cui sono sottoposti e sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta rischio di esposizione a particolari agenti biologici individuati nell'allegato XLVI nonché sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione.
Un ruolo chiave ed insostituibile nella sicurezza sul lavoro, relativamente al rischio biologico (Titolo X del D.Lgs 81/2008), è svolto dai vaccini specifici. Il fatto che i vaccini necessari a garantire la sicurezza sul lavoro abbiano indubbia natura di «trattamento sanitario» contemplato dall’art.32 della Costituzione comporta, però, inevitabili problematiche giuridiche riguardo la possibilità di imporre tali vaccinazioni ai lavoratori valutati come a rischio biologico.[/panel]
Il datore di lavoro, ha l’obbligo di adottare i vaccini imposti dalla legge e, in mancanza di disposizioni legislative, di adottare in via sussidiaria i vaccini disponibili in base alla «prevedibilità del rischio».
La vaccinazione rappresenta un atto di prevenzione primaria di grande efficacia, di norma senza inconvenienti se si rispettano le regole di buona pratica, con un rapporto costo benefici favorevole se si considerano gli effetti a distanza
Vaccinazioni preventive ai sensi Art. 279 D. Lgs. 81/2008 Rischio biologico
Le vaccinazioni da valutare, assieme al medico competente, in base alla tipologia di rischio biologico (art.279 comma 2a D.Lgs 81/2008), tra le più comuni:
- antitetanica, - anti HBV, - antiHAV, - antitifica;
tenendo conto di trasferte di lavoro all’estero, devono essere valutate ed obbligate vaccinazioni adeguate. ... segue in allegato
Analisi Preliminare di rischi (RIR/SEVESO): I Metodi analitici
Documento riepilogativo sull'applicazione di metodi analitici (ad indici) per analisi preliminare dei rischi per depositi di GPL o liquidi infiammabili e/o tossici o altri in accordo con D.P.C.M. 31/03/89.
Con l’emanazione del D.Lgs. 105/2015 (SEVESO III), che si è posto come testo unico per il controllo del rischio di incidente rilevante, viene data grande attenzione all'analisi preliminare del rischio.
Nella parte 1 dell’allegato C, intitolata “Contenuti richiesti per il Rapporto di Sicurezza”, viene disposto che l’analisi degli scenari incidentali sia preceduta da un'analisi preliminare del rischio per l’individuazione delle unità critiche dello stabilimento: lo studio approfondito e quantificato degli scenari incidentali andrà effettuato per le unità individuate come critiche al termine dell'analisi preliminare del rischio.
Nella parte 3 dell’allegato C intitolata “Criteri di valutazione dei Rapporti di Sicurezza ai fini delle verifiche di conformità della documentazione e di idoneità ed efficacia dell’analisi dei rischi effettuata e delle relative misure di sicurezza”, viene sottolineato che l’analisi preliminare del rischio per i depositi di G.P.L. e per i depositi di liquidi infiammabili e/o tossici debba ancora essere effettuata con i metodi ad indici previsti ai sensi del D.Lgs. 334/99 e s.m.i., ovvero con le procedure descritte nel D.M.15/05/96 e nel D.M.20/10/98.
Per tutte le altre tipologie di stabilimenti tale analisi deve essere svolta o secondo il metodo ad indici generale descritto nel D.P.C.M.31/03/89, o secondo metodologie equivalenti scelte dal Gestore e aventi comunque analoga finalità.
La libertà di scelta sul metodo da utilizzare ha giustificato l’individuazione di alcune metodologie proposte in ambito internazionale, come il metodo Dow Fire & Explosion Index, il metodo Dow Chemical Exposure Index, il metodo Mond Fire, Explosion and Toxicity Index ed il metodo Safety Weighted Hazard Index.
Per gli impianti di processo l’applicazione del metodo ad indici viene eseguita secondo quanto disposto dal DPCM 31/03/89 - Allegato II.
Al fine di fornire un giudizio preliminare dei rischi connessi in una installazione viene applicato, alle unità che costituiscono l’impianto oggetto di analisi, il “metodo ad indici”.
Tale metodo permette di suddividere l’attività industriale in aree a rischio al fine di potere successivamente analizzare in dettaglio le aree dell’impianto caratterizzate da indici di rischio elevati.
I principali passaggi sono i seguenti:
1. Suddivisione dell’azienda in impianti e dell’impianto in unità logiche a cui applicare il metodo. 2. Calcolo del fattore sostanza B (proprietà relative all’infiammabilità e alla reattività). 3. Calcolo dei fattori di penalità. 4. Calcolo dei fattori compensativi. 5. Calcolo dell’indice intrinseco di tossicità I.I.T. (proprietà relative alla tossicità). 6. Calcolo degli indici di rischio compensati. 7. Formule calcolo Indici
DPCM 31 marzo 1989 Applicazione dell'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175, concernente rischi rilevanti connessi a determinate attivita' industriali. (GU Serie Generale n.93 del 21-4-1989 - Suppl. Ordinario n. 27)
Decreto 15 maggio 1996 Criteri di analisi e valutazione dei rapporti di sicurezza relativi ai depositi di gas e petrolio liquefatto (GPL) (GU Serie Generale n.159 del 9-7-1996 - Suppl. Ordinario n. 113)
Decreto 20 ottobre 1998 Criteri di analisi e valutazione dei rapporti di sicurezza relativi ai depositi di liquidi facilmente infiammabili e/o tossici. (GU Serie Generale n.262 del 9-11-1998 - Suppl. Ordinario n. 188)
Decreto Legislativo 26 giugno 2015, n. 105 Attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose. (GU Serie Generale n.161 del 14-7-2015 - Suppl. Ordinario n. 38)
Il presente elaborato fornisce una breve panoramica dei requisiti di base e supplementari dei DPI per la protezione degli occhi e del viso alla luce delle norme tecniche attualmente in vigore in riferimento al nuovo Regolamento DPI (UE 2016/425 e le norme tecniche di prodotto:
UNI EN 166:2004 Protezione personale degli occhi - Specifiche (armonizata) UNI EN 172:2003 Protezione personale degli occhi - Filtri solari per uso industriale (armonizzata) UNI EN 207:2017 Equipaggiamento di protezione personale degli occhi - Filtri e protettori dell'occhio contro radiazioni laser (protettori dell'occhio per laser) (armonizzata) UNI EN 208:2010 Protezione personale degli occhi - Protettori dell'occhio per i lavori di regolazione sui laser e sistemi laser (protettori dell occhio per regolazioni laser) (armonizzata) UNI EN 379:2009 Protezione personale degli occhi - Filtri automatici per saldatura (armonizzata) UNI EN 1731:2007 Protezione personale degli occhi - Protettori degli occhi e del viso a rete (armonizzata) UNI EN 12254:2010 Schermi per posti di lavoro in presenza di laser - Requisiti di sicurezza e prove (non armonizzata) UNI EN ISO 12312-1:2015 Protezione degli occhi e del viso - Occhiali da sole e dispositivi similari - Parte 1: Occhiali da sole per uso generale (armonizzata) UNI EN ISO 12312-2:2015 Protezione degli occhi e del viso Occhiali da sole e dispositivi similari - Parte 2: Filtri per l'osservazione diretta del sole (armonizzata)
Il D.Lgs 81/2008 tratta i DPI al TITOLO III - Uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale al CAPO II - Uso dei dispositivi di protezione individuale e precisamente agli articoli:
Articolo 74 - Definizioni Articolo 75 - Obbligo di uso Articolo 76 - Requisiti dei DPI Articolo 77 - Obblighi del datore di lavoro Articolo 78 - Obblighi dei lavoratori Articolo 79 - Criteri per l’individuazione e l’uso E all’allegato VIII - Indicazioni di carattere generale relative a protezioni particolari
I DPI, sono attrezzature destinate ad essere indossate e tenute da tutti i lavoratori, sia autonomi che dipendenti, allo scopo di protezione contro uno o più rischi suscettibili di minacciare la sicurezza o la salute durante il lavoro.
[alert]Requisiti tecnici DPI
Come requisiti tecnici, i DPI devono:
- essere conformi ai requisiti CE; - essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore; - essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro; - tenere conto delle esigenze ergonomiche (facilmente adattabili, indossabili e sicuri) o di salute di qualsiasi lavoratore; - poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità.
In caso di rischi multipli che richiedano l’uso contemporaneo di più DPI, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell’uso simultaneo, la propria efficienza nei confronti dei rischi corrispondenti.[/alert]
Il Regolamento DPI (UE 2016/425 (Regolamento DPI) è la nuova norma (di Prodotto/CE) di riferimento per la progettazione e fabbricazione dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).
Il Regolamento (UE) 2016/425, stabilisce i requisiti per la progettazione e la fabbricazione dei dispositivi di protezione individuale (DPI) che devono essere messi a disposizione sul mercato, al fine di garantire la protezione della salute e della sicurezza degli utilizzatori, e stabilisce norme sulla libera circolazione dei DPI nell'Unione Europea.
La Classificazione dei DPI è effettuata per Categorie di Rischio crescenti (Allegato I), in relazione all'entità del rischio:
[alert]Categoria I - DPI che proteggono da rischi minimi; Categoria II - Tutti i DPI che non rientrano nella categoria I o III. Categoria III - Rischi che possono causare conseguenze molto gravi quali morte o danni alla salute irreversibili [/alert]
Fig. 1 - Categorie di rischio Regolamento DPI
I DPI per gli occhi e il viso devono essere leggeri ed ergonomici (aderenti, disponibili in taglie diverse, con astine regolabili per essere adattabili, ponte nasale in materiale antiscivolo) e limitare il meno possibile il campo visivo e la vista del lavoratore.
Non devono avere asperità, spigoli vivi e sporgenze; i materiali devono essere morbidi non devono provocare allergie o irritazioni alla pelle.
I DPI sono generalmente composti da un elemento portante (montatura occhiali, guscio schermi e maschere) e da lenti e lastrine sostituibili. Gli occhiali devono essere:
- robusti; . esenti da bolle; - resistenti agli urti (vedi 7.1 “Simboli di resistenza meccanica agli impatti”), alla combustione, alla corrosione (parti metalliche) e alla disinfezione e avere bassa conducibilità termica; - privi di sporgenze o irregolarità, al fine di evitare danno, disagi agli utilizzatori; - atossici, inodori e fisiologicamente inerti, tali da non causare irritazioni cutanee agli utilizzatori; - regolabili in lunghezza; - privi di effetti che deformano l’immagine, quindi la parte ottica deve non solo essere perfettamente alloggiata e rifinita, ma avere una trasparenza ottima, senza effetti di tipo astigmatico o sferico o prismatico.
Quest’ultima caratteristica definita “Classe ottica” (vedi 7.2 “Classe ottica”) ha 3 livelli, in cui la classe 1 è quella con minore deformazione e quindi il DPI è adatto per un uso prolungato mentre quando è di classe 3 (deformazione più accentuata) deve essere utilizzato per brevi periodi.
Il tipo di oculare, cioè il vetro della lente, potrebbe essere:
- organico termoplastico a base di carbonio (plastica); - minerale a base di silice; - organico termoindurente a base di resine sintetiche (infrangibile).
Le lenti (oculari) possono essere classificate in base al tipo di filtrazione, specifici per ogni tipo di rischio e conformi ad altre EN, e possono essere anche correttive. Particolari rivestimenti superficiali possono conferire alle lenti stesse specifiche caratteristiche superficiali.
Ai lavoratori dovrebbe essere nota la differenza strutturale tra:
- vetri di sicurezza (con resistenza alla rottura); - vetri composti (in caso di rottura la parte rivolta verso l’occhio rimane intatta perché trattenuta da una pellicola di plastica); - vetri temperati (in cui in caso di rottura i vetri si disperdono in piccolissimi pezzi non taglienti).
Il campo visivo degli occhiali di protezione deve essere, in generale, ampio. La buona visione deve essere garantita anche da lenti scure.
Simboli di resistenza meccanica agli impatti
Classe ottica
...
Ripari facciali, visiere ed elmetti ad elevate prestazioni
Fig. 3 - Ripari facciali, visiere ed elmetti ad elevate prestazioni
La norma UNI EN 14458 disciplina i ripari facciali e le visiere per l’uso con elmi per vigili del fuoco ed elmetti di sicurezza ad elevate prestazioni per l’industria utilizzati da vigili del fuoco e per servizi di ambulanza e di emergenza, al fine di fornire protezione contro i vari possibili pericoli che si possono incontrare nel corso di eventi di lotta contro l’incendio, di servizi di ambulanza e di emergenza ad eccezione di pericoli respiratori ed emissioni di fumi e gas/vapori.
Equipaggiamento individuale per gli occhi - Ripari facciali e visiere per l'uso con elmi per vigili del fuoco ed elmetti di sicurezza ad elevate prestazioni per l'industria utilizzati da vigili del fuoco e per servizi di ambulanza e di emergenza
La presente norma è la versione ufficiale della norma europea EN 14458 (edizione agosto 2004) e tiene conto delle correzioni introdotte il 29 settembre 2004. La norma si applica alle visiere progettate specificamente per essere montate su e/o utilizzate con elmi conformi alla UNI EN 443 quando utilizzati da vigili del fuoco, o elmi conformi alla UNI EN 443 o elmetti conformi alla UNI EN 14052 quando utilizzati per servizi di ambulanza e di emergenza, in base alla situazione. Essi sono destinati a fornire protezione contro i vari possibili pericoli che si possono incontrare nel corso di eventi di lotta contro l'incendio, di servizi di ambulanza e di emergenza ad eccezione di pericoli respiratori ed emissioni di fumi e gas/ vapori.
Essi devono soddisfare caratteristiche particolari nei seguenti ambiti:
- costruzione, - materiali, - esistenza all’invecchiamento, - pulizia e disinfezione, - compatibilità con altri equipaggiamenti, - resistenza alle temperature estreme, - resistenza alla corrosione, - visione, - ergonomia, - montaggio e regolazione, - posizionamento e funzionamento, - area di protezione, - riparo facciale, - riparo degli occhi, - proprietà elettriche, - protezione contro particelle ad alta velocità, - infiammabilità, - resistenza agli agenti chimici....
Marcatura montatura EN 166
Fig. 4 - Marcatura montatura
La marcatura che deve essere indelebile, riassume le caratteristiche di questi dispositivi di protezione.
Tutti i protettori individuali dell’occhio, eccezion fatta per quelli utilizzati contro le radiazioni ionizzanti, raggi X, emissioni laser e le irradiazioni infrarosse emesse da sorgenti a bassa temperatura, hanno regole di marcatura comuni.
Questi DPI sono generalmente composti da un elemento portante, quali montatura (occhiali) e guscio (schermi e maschere), sui quali deve essere riportato il numero della norma EN di riferimento, e da lenti e lastrine sostituibili.
Quando i dispositivi di protezione degli occhi sono realizzati con due elementi distinti, oculari e montatura, questi devono avere impressa ognuno una sua marcatura.
[alert]Marcatura montatura e lenti
In sintesi:
La montatura dell’elemento portante deve riportare:
- identificazione del fabbricante (logo e/o marchio di fabbrica); - numero della pertinente norma europea EN (es. EN 166 se occhiale con lenti incolori, EN 175 se occhiale con lenti verdi destinato alla saldatura); - marcatura CE e numero dell’organismo notificato che lo ha rilasciato (dove applicabile).
Le lenti e le lastrine devono essere marcate indelebilmente a secondo dell’utilizzo a cui destinate. In generale devono riportare: - numero di scale (solo i filtri); - identificazione del fabbricante (logo e/o marchio di fabbrica); - classe ottica 1/2/3 (ad eccezione delle lastrine incolori di copertura ove non è previsto. La classe ottica 3 non è consigliata per lavori continuativi); - marcatura CE e numero dell’organismo notificato che lo ha rilasciato (dove applicabile).
In aggiunta a quanto sopra i DPI possono riportare altri simboli indicanti eventuali settori di impiego particolari o resistenze meccaniche ad impatto con particelle ad alta velocità. Da quanto sopra detto, ne deriva che la montatura e la lente possono avere una marcatura costituita da un codice alfanumerico di 7 elementi, non tutti obbligatoriamente presenti[/alert]
Marcatura lente EN 166
...
Marcatura montatura EN 166
Fig. 5 - Marcatura lente
.... Segue in allegato
______
Indice Premessa 1. Tipologie DPI occhi 2. DPI occhi e viso Regolamento UE 2016/45 3. DPI occhi e viso TUS 4. Criteri di scelta D.M. 2 maggio 2001 5. Norme UNI - Protezione degli occhi e del viso 6. Pericoli per gli occhi e il viso 7. Caratteristiche 7.1 Simboli di resistenza meccanica agli impatti 7.2 Classe ottica 7.3 Protettori a rete degli occhi e del viso 7.4 Ripari facciali, visiere ed elmetti ad elevate prestazioni 8. Utilizzo 8.1 Simboli 8.2 Filtri solari ad uso industriali 8.3 Ispezione prima dell’uso 8.4 Pulizia 8.5 Riparazioni 8.6 Immagazzinamento 9. Marcatura 9.1 Equipaggiamento specifico per saldatura 9.2 Marcatura per protettori dell’occhio per laser 9.3 Protettori del l’occhio contro radiazioni laser (UNI EN 207) 9.4 Protettori del l’occhio contro radiazioni laser per i lavori di regolazione sui laser e sistemi laser (UNI EN 208) Fonti
Spazi confinati: lo standard OSHA 29 CFR 1910.146 (Permit-required confined spaces)
Scheda Update 11.07.2018
Definizioni, classificazione e misure di sicurezza OSHA sul rischio spazi confinati (OSHA 29 CFR 1910.146) con Documenti allegati.
UNI ha in preparazione un progetto di norma (UNI1601920), che si propone di supportare i datori di lavoro nell’analizzare e valutare se all’interno delle infrastrutture aziendali o del proprio ciclo produttivo esistono ambienti che rientrano nel campo di applicazione del DPR 177/2011, riportando indicazioni operative sulla loro gestione.
L’entrata in vigore del DPR 177/2011 ha determinato l’osservanza di obblighi per il Datore di lavoro committente che non tengono conto delle differenti tipologie di ambienti confinati/sospetti di inquinamento esistenti (differenze di natura strutturale, impiantistica, di lavorazioni condotte al loro interno, di natura e tipologia di sostanze pericolose e in termini di correlazione o meno tra la presenza di tali sostanze e il processo di lavoro della committente).
L'articolo, affronta, con allegati documenti di lavoro, la gestione del rischio spazi confinati, in relazione allo standard OSHA.
La definizione degli spazi confinati
In base alla OSHA 1910.146 gli ambienti confinati sono uno “Spazio abbastanza grande e configurato affinché un lavoratore possa accedervi interamente per eseguire il lavoro assegnato, ha limitati o ristretti accessi per l’entrata/uscita, non è progettato per un’attività continua”.
Lo spazio confinato è quindi un luogo in cui sussistono le seguenti condizioni:
1. largo abbastanza da consentire ad un lavoratore di entrare interamente con il corpo ed eseguire il lavoro assegnato
2. che crea limitazioni e/o impedimenti per l’ingresso o l’uscita (cioè non si riesce ad entrare o uscire senza piegarsi, senza ostacoli, senza salire o scendere, senza girarsi o contorcersi)
3. non è progettato per essere occupato continuativamente da un lavoratore.
Se, nello spazio così identificato, si verifica una delle seguenti condizioni:
- rischio anche potenziale di atmosfera pericolosa - rischio di seppellimento - rischio di intrappolamento - rischio grave di altro tipo
è necessario richiedere obbligatoriamente un permesso per consentire l’accesso (Permitrequired confined spaces).
Nel momento in cui lo spazio analizzato rientri nelle caratteristiche descritte sopra, lo stesso può essere classificato in tre categorie (rielaborata da NIOSH Worker Deaths in Confined Spaces No. 94-103):
Classe A
Classe B
Classe C
Caratteristiche
Uno spazio confinato che presenta un alto e immediato rischio per la salute e la vita del lavoratore. Include la mancanza di ossigeno, presenza di atmosfere infiammabili o esplosive, alte concentrazioni di sostanze tossiche (IDHL – immediately dangerous to life or health)
Spazio confinato che può portare a situazioni di infortunio se non vengono adottate misure preventive, ma non è immediatamente pericoloso per la vita e la salute.
Spazio confinato in cui il rischio è trascurabile, non influisce sul normale svolgimento del lavoro e non è prevedibile un peggioramento.
Ossigeno
%O2 < 18 oppure %O2 > 25
18 < %O2 < 25
20 < %O2 < 25
Esplodibilità
Uguale o supperiore al 20% del LIE
Dal 10% al 19% del LIE
Uguale o inferiore al 10% del LIE
Tossicità
>IDLH
Superiore o uguale al VLE (TLV) ma inferiore a IDLH
Inferiore al VLE (TLV)
Definizioni:
LIE (Limite Inferiore di Esplodibilità o di infiammabilità): minima concentrazione in aria di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapori, polveri, fibre o residui solidi volanti, la quale, dopo l’accensione, permette l’autosostentamento della propagazione delle fiamme.
IDLH (Immediately Dangerous to Life or Health): alto e immediate pericolo per la salute e la vita in base alla definizione NIOSH: livello di concentrazione in presenza della quale un lavoratore sano ha un tempo Massimo di 30 minuti per allontanarsi dalla zona pericolosa.
VLE (Valore Limite di Esposizione professionale) (concentrazione media di sostanza misurata o calcolata su un periodo di otto ore), di cui esiste lista contenuta dlel’Allegato XXXVIII del D.Lgs. 81/2008. Per le sostanze non presenti in quest’ultimo è necessario riferirsi al TLV – ACGIH di significato simile al VLE.
Le misure di sicurezza da adottare in base alle classi sopra elencate sono:
Classe A
Classe B
Classe C
Comunicazione
La continua comunicazione con l’interno deve essere garantita da personale di sicurezza che stazioni all’esterno dello spazio confinato.
E’ necessario contatto visivo o uditivo con i lavoratori all’interno. Qualora il contatto diretto crei una situazione pericolosa per il personale esterno, la comunicazione può anche essere interdetta*.
Necessaria comunicazione con i lavoratori all’interno.
DPI per gli addetti al salvataggio
Gli addetti al salvataggio devono avere adeguate e complete protezioni individuali per la respirazione e/o il rischio esplosione.
Gli addetti al salvataggio devono avere adeguate e complete protezioni individuali per la respirazione e/o il rischio esplosione.
Normalmente non è necessario che gli addetti al salvataggio abbiano adeguate e complete protezioni individuali per la respirazione e/o il rischio esplosione.
Autorizzazioni
X
X
X
Controllo preliminare dell’atmosfera (con annotazione dell’esito)
X
X
X
Controllo continuo dell’atmosfera
X
X
O
Formazione ed addestramento del personale
X
X
X
Cartellonistica di rischio (compresa indicazione delle sostanze presenti)
Presenza di personale esterno di sorveglianza-allertamento
X
X
X
Vestiti e DPI antistatici quando necessario
X
X
O
DPI specifici (resppiratore/mascherina, imbragatura e sistema di recupero
X
X
O
Attrezzature di salvataggio.
X
X
X
*COMUNICAZIONE DIRETTA: realizzata con personale esterno che vede e/o parla con i lavoratori all’interno affacciandosi all’entrata del luogo confinato.
COMUNICAZIONE INDIRETTA: realizzata per via strumentale (es. interfono, telecamera, ecc)
LEGENDA:
X = sempre obbligatorio; O = non obbligatorio ma soggetto a valutazione del personale qualificato.
[panel]Rif. Legislativi
D. Lgs. 81/2008 ... Art. 66 Lavori in ambienti sospetti di inquinamento
1. È vietato consentire l’accesso dei lavoratori in pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas deleteri, senza che sia stata previamente accertata l’assenza di pericolo per la vita e l’integrità fisica dei lavoratori medesimi, ovvero senza previo risanamento dell’atmosfera mediante ventilazione o altri mezzi idonei. Quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell’atmosfera, i lavoratori devono essere legati con cintura di sicurezza, vigilati per tutta la durata del lavoro e, ove occorra, forniti di apparecchi di protezione. L’apertura di accesso a detti luoghi deve avere dimensioni tali da poter consentire l’agevole recupero di un lavoratore privo di sensi. ... Art. 121 Presenza di gas negli scavi
1. Quando si eseguono lavori entro pozzi, fogne, cunicoli, camini e fosse in genere, devono essere adottate idonee misure contro i pericoli derivanti dalla presenza di gas o vapori tossici, asfissianti, infiammabili o esplosivi, specie in rapporto alla natura geologica del terreno o alla vicinanza di fabbriche, depositi, raffinerie, stazioni di compressione e di decompressione, metanodotti e condutture di gas, che possono dar luogo ad infiltrazione di sostanze pericolose.
2. Quando sia accertata o sia da temere la presenza di gas tossici, asfissianti o la irrespirabilità dell'aria ambiente e non sia possibile assicurare una efficiente aerazione ed una completa bonifica, i lavoratori devono essere provvisti di idonei dispositivi di protezione individuale delle vie respiratore, ed essere muniti di idonei dispositivi di protezione individuale collegati ad un idoneo sistema di salvataggio, che deve essere tenuto all'esterno dal personale addetto alla sorveglianza. Questo deve mantenersi in continuo collegamento con gli operai all'interno ed essere in grado di sollevare prontamente all'esterno il lavoratore colpito dai gas.
3. Possono essere adoperate le maschere respiratorie, in luogo di autorespiratori, solo quando, accertate la natura e la concentrazione dei gas o vapori nocivi o asfissianti, esse offrano garanzia di sicurezza e sempreché sia assicurata una efficace e continua aerazione.
4. Quando si sia accertata la presenza di gas infiammabili o esplosivi, deve provvedersi alla bonifica dell'ambiente mediante idonea ventilazione; deve inoltre vietarsi, anche dopo la bonifica, se siano da temere emanazioni di gas pericolosi, l'uso di apparecchi a fiamma, di corpi incandescenti e di apparecchi comunque suscettibili di provocare fiamme o surriscaldamenti atti ad incendiare il gas.
5. Nei casi previsti dai commi 2, 3 e 4, i lavoratori devono essere abbinati nell'esecuzione dei lavori. ...
Il Prodotto consente di redigere un DVR e relative Procedure di sicurezza per il Rischio Ambienti Confinati. E' disponibile un Modello master doc di Documento completo di Procedure, check list, guide, normativa e altra documentazione d'interesse.
La valutazione dei rischio specifico ambienti confinati è prevista, se presente, come attività da integrare nel DVR generale (artt. 17 e 28 D.Lgs. 81/08) in particolare in riferimento agli Artt. 66 e 121 o in accordo con il DPR 177/2011.
Il Modello è strutturato con la metodologia di OHSA CFR 1910.146 con il concetto di "permesso di lavoro per operare negli spazi confinati" (PRCS) "Permit-Required Confined Spaces" e alcuni passi (di studio) estratti da NIOSH Worker Deaths in Confined Spaces No. 94-103 e Working in Confinated Spaces No 80‐106; illustrate inoltre apposite Procedure di sicurezza per operare in ambienti confinati.
Indice 00. Dettagli Versione 01. DVR e Procedure Spazi Confinati Rev. 1.0 2017 02. Appendice A OSHA 1910.146 03. Appendice F OSHA 1910.146 04. Confined Space Pre Entry Check List - 1910.146 App D 05. Confined Spaces Regulations 1997 HSE 06. Worker Deaths in Confined Spaces NIOSH 07. Testo-Unico-81-08-Edizione-Giugno 2016 08. Spazi confinati errori comuni non corrette interpretazioni standard OSHA 09. Guida ISPEL 2008 Lavori in ambienti sospetti di inquinamento 10. Manuale Ambienti Confinati INAIL 2013 11. Circolare MLPS 42 2010 12. D.P.R. 14 Settembre 2011 n. 177
1. Fatto salvo l'art. 1, comma 3, in caso di modifiche costruttive, chiunque venda, noleggi o conceda in uso o in locazione finanziaria macchine o componenti di sicurezza già immessi sul mercato o già in servizio alla data di entrata in vigore del presente regolamento e privi di marcatura CE, deve attestare, sotto la propria responsabilità, che gli stessi sono conformi, al momento della consegna a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria, alla legislazione previgente alla data di entrata in vigore del presente regolamento. D.Lgs. 81/2008
Art. 69 - Definizioni 1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente titolo si intende per:
a) attrezzatura di lavoro: qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto, inteso come il complesso di macchine, attrezzature e componenti necessari all'attuazione di un processo produttivo, destinato ad essere usato durante il lavoro; (2) (3)
b) uso di una attrezzatura di lavoro: qualsiasi operazione lavorativa connessa ad una attrezzatura di lavoro, quale la messa in servizio o fuori servizio, l'impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, il montaggio, lo smontaggio;
c) zona pericolosa: qualsiasi zona all'interno ovvero in prossimità di una attrezzatura di lavoro nella quale la presenza di un lavoratore costituisce un rischio per la salute o la sicurezza dello stesso;
d) lavoratore esposto: qualsiasi lavoratore che si trovi interamente o in parte in una zona pericolosa;
e) operatore: il lavoratore incaricato dell'uso di una attrezzatura di lavoro o il datore di lavoro che ne fa uso. (1)
Nota (1) Lettera modificata dall'art. 20, comma 1 lett. l del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151 - Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (2) Parere ML prot. 21346-07-4 del 13 Settembre 1995 equpare le scaffalature ad attrezzature di lavoro (3) Decreto 20 maggio 2015 Revisione generale periodica delle macchine agricole ed operatrici, ai sensi degli articoli 111 e 114 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285.
1. Salvo quanto previsto al comma 2, le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto.
2. Le attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di cui al comma 1, e quelle messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente all'emanazione di norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, devono essere conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui all'allegato V.
4. Qualora gli organi di vigilanza, nell'espletamento delle loro funzioni ispettive in materia di salute e sicurezza sul lavoro, constatino che un'attrezzatura di lavoro, messa a disposizione dei lavoratori dopo essere stata immessa sul mercato o messa in servizio conformemente alla legislazione nazionale di recepimento delle direttive comunitarie ad essa applicabili ed utilizzata conformemente alle indicazioni del fabbricante, presenti una situazione di rischio riconducibile al mancato rispetto di uno o più requisiti essenziali di sicurezza previsti dalle disposizioni legislative e regolamentari di cui al comma 1, ne informano immediatamente l'autorità nazionale di sorveglianza del mercato competente per tipo di prodotto. In tale caso le procedure previste dagli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, vengono espletate:
a) dall'organo di vigilanza che ha accertato in sede di utilizzo la situazione di rischio, nei confronti del datore di lavoro utilizzatore dell'esemplare di attrezzatura, mediante apposita prescrizione a rimuovere tale situazione nel caso in cui sia stata accertata una contravvenzione, oppure mediante idonea disposizione in ordine alle modalità di uso in sicurezza dell'attrezzatura di lavoro ove non sia stata accertata una contravvenzione;
b) dall'organo di vigilanza territorialmente competente rispettivamente, nei confronti del fabbricante ovvero dei soggetti della catena della distribuzione, qualora, alla conclusione dell'accertamento tecnico effettuato dall'autorità nazionale per la sorveglianza del mercato, risulti la non conformità dell'attrezzatura ad uno o più requisiti essenziali di sicurezza previsti dalle disposizioni legislative e regolamentari di cui al comma 1 dell'articolo 70.[/panel]
Check list fabbriche e depositi articoli pirotecnici
La presente check list, elaborata sulle Linee guida ispezioni TULPS e requisiti Prevenzione Incendi VVF è finalizzata a verificare il rispetto delle prescrizioni in ordine alle autorizzazioni, alle caratteristiche strutturali ed alle misure gestionali proprie delle fabbriche e dei depositi di articoli pirotecnici.
La check list è disponibile in formato editabile .doc, riservato Abbonati.
[alert]Le fabbriche che producono esplosivi e articoli pirotecnici, sono soggette a specifici obblighi previsti dal T.U.L.P.S. il quale, all’Allegato B, contiene prescrizioni tecniche per la costruzione degli impianti di produzione, per le caratteristiche degli ambienti dove viene effettuata la produzione di prodotti esplodenti, per le distanze da osservare, per quantitativi massimi di materiale lavorabile e per l’accesso ai locali alle persone non addette ai lavori.[/alert]
Per quanto riguarda l'idoneità tecnica dei soggetti operanti nelle fabbriche, si evidenzia che con D.Lgs del 25.09.2012, n. 176 di modifica del D.Lgs.n. 58/2010, sono stati previsti corsi di formazione, iniziale e periodica con programmi differenziati, riservati ai direttori di fabbriche e stabilimenti di fuochi artificiali e agli altri operatori.
Il R.D. n. 773 del 18/06/1931 - Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.), ed il R. D. n° 635 del 06/05/1940 - Approvazione del regolamento per l'esecuzione del T.U.L.P.S., costituiscono la normativa di base che regolamenta la fabbricazione, l'utilizzo, il deposito, l'importazione, la vendita ed il trasporto degli esplosivi.
Successivi decreti e leggi hanno integrato e completato la normativa di pubblica sicurezza, rendendola compatibile con i mutamenti che si sono avvicendati nel settore degli esplosivi nel corso degli anni.
Queste norme di carattere generale spesso si intersecano con norme statali e regionali, disciplinanti singole attività specialistiche.
Le autorizzazioni di polizia sono propedeutiche a qualunque attività concernente i materiali esplodenti, la disciplina generale relativa ai provvedimenti di polizia é individuata dal Titolo I del T.U.L.P.S. "Dei provvedimenti di polizia e della loro esecuzione ".
Gli articoli 9 e 27 della legge 18 aprile 1975 n. 110, individuano ulteriori requisiti soggettivi concernenti il rilascio delle autorizzazioni in materia di esplosivi, i quali si aggiungono a quelli dell' articolo 11 del T.U.L.P.S..
Le autorizzazioni di polizia non possono essere rilasciate alle persone che si trovino nelle condizioni indicate nell'articolo 43 del T.U.L.P.S. ( a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; b) a chi ha riportato condanna o pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico; c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra anche se amnistiata, o per porto abusivo di armi). Inoltre l'autorità di pubblica sicurezza può richiedere agli interessati la presentazione di certificato di cui al quarto comma dell'articolo 35 T.U.L.P.S. (certificato del medico provinciale, o dell'ufficiale sanitario, o di un medico militare dal quale risulti che il richiedente non é affetto da malattie mentali oppure da vizi che ne diminuiscono, anche temporaneamente, la capacità di intendete e di volere).
Fabbricazione, deposito, vendita, trasporto di esplosivi
Il T.U.L.P.S. individua agli articoli 46 e 47 due diverse tipologie di licenze:
1) il Ministro dell'Interno rilascia licenza per fabbricare, tenere in deposito, vendere o trasportare dinamite e prodotti affini negli effetti esplodenti, fulminanti, picrati, artifici contenenti miscele detonanti ovvero elementi solidi e liquidi destinati alla composizione di esplosivi nel momento dell'impiego. Fabbricare polveri contenenti nitrocellulosa o nitroglicerina;
2) il prefetto rilascia la licenza per fabbricare, tenere in deposito, vendere o trasportare polveri piriche o qualsiasi altro esplosivo diverso da quelli indicati nell'articolo precedente, compresi i fuochi artificiali ed i prodotti affini, ovvero materie e sostanze atte alla composizione o fabbricazione di prodotti esplodenti. Tenere in deposito, vendere o trasportare polveri senza fumo a base di nitrocellulosa o nitroglicerina.
Registro delle operazioni giornaliere
L'articolo 55 del T.U.L.P.S. pone l'obbligo di tenere un registro delle operazioni giornaliere agli esercenti di fabbriche, depositi o rivendite di esplodenti di qualsiasi specie.
L'obbligo di tenuta del registro delle operazioni giornaliere é riferito agli esplosivi di ogni genere, esclusi i giochi pirici.
In tale registro debbono essere annotate le generalità delle persone con le quali le operazioni sono compiute. In particolare va registrata la data dell'operazione, le generalità della persona e della ditta con la quale l'operazione é compiuta, la specie e quantità dell'esplosivo acquistato o venduto e il modo col quale l'acquirente ha dimostrato la propria identità personale (art. 108 Reg. T.U.L.P.S).
I dati devono essere comunicati mensilmente dai rivenditori di materiali esplodenti all'ufficio di polizia competente per territorio. Il registro deve essere esibito ad ogni richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza e deve essere conservato per un periodo di cinque anni, anche dopo la cessazione dell'attività .
L'articolo 25 della legge 18 aprile 1975, n.110 estende l'obbligo di tenuta dei registri delle operazioni giornaliere, previsto dal primo comma dell'art. 55 del T.U.L.P.S., a tutti coloro che per l'esercizio della propria attività lavorativa fanno abituale impiego di esplosivi di qualsiasi genere.
L'articolo 25 della legge 110/75 sanziona con delitto la mancata tenuta del registro, ed estende la pena anche ai soggetti individuati nel primo comma dell'articolo 55 T.U.L.P.S.. Per quanto riguarda l'irregolare tenuta dei registri si continua invece ad applicare la pena prevista dall'art. 55 T.U.L.P.S.. La violazione dell'obbligo di esibire i registri delle operazioni giornaliere agli organi di pubblica sicurezza viene inoltre sanzionata dal più recente articolo 24 comma 4 della legge 110/75, mentre l'obbligo di conservare il registro delle operazioni giornaliere per cinque anni anche dopo la cessazione dell'attività , é introdotto e sanzionato dal D.lgs. 2 gennaio 1997, n. 7.
Impiego degli esplosivi
L'uso delle mine é disciplinato dall'All.B del Reg. T.U.L.P.S. capitolo V, che tuttavia al punto 2. dispone che "l'uso delle mine nelle miniere e cave é regolato dalla legge e dal regolamento di polizia mineraria ". Pertanto, una trattazione esaustiva che affronti il problema relativo agli adempimenti e procedure da adottare nel settore degli esplosivi, implica una triplice distinzione concernente le differenti tipologie di attività . Nel complesso panorama normativo si individuano infatti disposizioni generali applicabili a tutte le attività , disposizioni applicabili solamente alle attività minerarie, disposizioni residuali applicabili alle attività non minerarie.
Prevenzione incendi
D.P.R 1° agosto 2011 n. 151 Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, a norma dell’articolo 49, comma 4 -quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
ATTIVITÀ 17
Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono sostanze esplodenti classificate come tali dal regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, e successive modificazioni ed integrazioni.
ATTIVITÀ 18
Esercizi di minuta vendita e/o depositi di sostanze esplodenti classificate come tali dal regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, e successive modificazioni ed integrazioni.
Esercizi di vendita di artifici pirotecnici declassificati in “libera vendita” con quantitativi complessivi in vendita e/o deposito superiori a 500 kg, comprensivi degli imballaggi.
ATTIVITÀ 19
Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono sostanze instabili che possono dar luogo da sole a reazioni pericolose in presenza o non di catalizzatori ivi compresi i perossidi organici
ATTIVITÀ 20
Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono nitrati di ammonio, di metalli alcalini e alcolino-terrosi, nitrato di piombo e perossidi inorganici
Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono sostanze esplodenti classificate come tali dal regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, e successive modificazioni ed integrazioni.
Tutti
Equiparzione con le attività di cui all’allegato ex DM 16/02/82
24
Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono sostanze esplodenti classificate come tali dal regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché perossidi organici
Principali differenze fra le attività di equiparazione Nessuna sostanziale modifica tranne che la nuova attività non contempla i perossidi organici.
Esercizi di minuta vendita e/o depositi di sostanze esplodenti classificate come tali dal regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, e successive modificazioni ed integrazioni.
Esercizi di vendita di artifici pirotecnici declassificati in “libera vendita” con quantitativi complessivi in vendita e/o deposito superiori a 500 kg, comprensivi degli imballaggi.
Esercizi di vendita di artifici pirotecnici declassificati in “libera vendita”
Esercizi di minuta vendita di sostanze esplodenti classificate come tali dal regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, e successive modificazioni ed integrazioni.”
Equiparzione con le attività di cui all’allegato ex DM 16/02/82
25
Esercizi di minuta vendita di sostanze esplodenti di cui ai decreti ministeriali 18 ottobre 1973 e 18 settembre 1975, e successive modificazioni ed integrazioni
Principali differenze fra le attività di equiparazione La nuova attività introduce, per l’assoggettabilità ai controlli di prevenzione incendi, gli esercizi di vendita di artifici pirotecnici declassificati in “libera vendita” nelle condizioni di cui al punto stesso.
Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono sostanze instabili che possono dar luogo da sole a reazioni pericolose in presenza o non di catalizzatori ivi compresi i perossidi organici
Tutti
Equiparzione con le attività di cui all’allegato ex DM 16/02/82
26
Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono sostanze instabili che possono dar luogo da sole a reazioni pericolose in presenza o non di catalizzatori.
Principali differenze fra le attività di equiparazione Nessuna sostanziale modifica tranne che la nuova attività contempla i perossidi organici.
Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono nitrati di ammonio, di metalli alcalini e alcolino-terrosi, nitrato di piombo e perossidi inorganici
Tutti
Equiparzione con le attività di cui all’allegato ex DM 16/02/82
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Stabilimenti ed impianti ove si producono, impiegano o detengono nitrati di ammonio, di metalli alcalini e alcalino-terrosi, nitrato di piombo e perossidi inorganici
Principali differenze fra le attività di equiparazione Non vi è alcuna differenza fra le due attività.
ATEX: Documento di Zonizzazione e Valutazione Rischio Atmosfere Esplosive
Decreto Legislativo 9 Aprile 2008, n. 81 Titolo XI - Protezione da Atmosfere Esplosive
Relazione tecnica di classificazione dei luoghi con pericolo d’esplosione per la presenza di gas, vapori o nebbie infiammabili
La presente Relazione di Valutazione del Rischio Atmosfere Esplosive è strutturata in accordo con la Guida CEI 31-35 Appendice GD che fornisce un esempio di Relazione tecnica e di Planimetria di classificazione dei luoghi con pericolo d’esplosione per la presenza di gas, vapori o nebbie infiammabili.
EN 60079-10-1 Atmosfere esplosive - Parte 10-1: Classificazione dei luoghi. Atmosfere esplosive per la presenza di gas
Guida CEI 31-35 2012 Atmosfere esplosive Guida alla classificazione dei luoghi con pericolo di esplosione per la presenza di gas in applicazione Norma CEI EN 60079-10-1
I contenuti della presente Relazione non devono essere applicati in modo acritico, ma correlati alla situazione reale che si presenta caso per caso.
La stesura della relazione conforme alla Guida CEI 31-35 è Stato di Buona Tecnica per il rispetto di quanto previsto sulla Valutazione dei Rischi in applicazione del Testo Unico Sicurezza D. Lgs. 81/2008 - Titolo XI Protezione Atmosfere Esplosive.
[box-warning]Attenzione!
Abrogata la Guida CEI 31-35:2012 e Variante V1:2014 in data 14 ottobre 2018
La Guida CEI 31-35 è abrogata dal 14 ottobre 2018 in quanto la Norma di riferimento CEI EN 60079-10-1:2010-01 (CEI 31-87) è superata da edizione successiva.
Procedure standardizzate aziende fino a 50 addetti: note e commenti
Scheda 07.09.2018
La scheda allegata illustrata la possibilità legislativa di utilizzare le Procedure Standardizzate per la Valutazioni dei rischi nelle imprese fino a 50 addetti in alternativa al DVR e a quali condizioni, in fondo al Documento le FAQ MISE sulle Procedure Standardizzate del 31.05.2013.
Le Procedure Standardizzate sono un "Documento semplificato e già strutturato" per la valutazione dei rischi per i datori di lavoro di imprese che occupano fino a 10 lavoratori o che ccupano fino a 50 lavoratori (condizionato) di cui al Decreto Interministeriale 30.11.2012.
LeProcedure Standardizzate, quindi, possono essere utilizzate anche per la Valutazione dei Rischi per imprese che occupano fino a 50 lavoratori, salvo esclusioni di cui all'Art. 29 comma 7 del D.Lgs. 81/2008.
Imprese che occupanofino a 50 lavoratori - Procedure Standardizzate
Le esclusioni sono indicate all'Art. 29 c. 7 del D.Lgs. 81/2008: ... Art. 29. Modalità di effettuazione della valutazione dei rischi ... 6. Fermo restando quanto previsto al comma 6-ter, (1) i datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f)....[...] ... 6-ter. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare, sulla base delle indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici dell’INAIL e relativi alle malattie professionali di settore e specifiche della singola azienda. Il decreto di cui al primo periodo reca in allegato il modello con il quale, fermi restando i relativi obblighi, i datori di lavoro delle aziende che operano nei settori di attività a basso rischio infortunistico possono dimostrare di aver effettuato la valutazione dei rischi di cui agli articoli 17, 28 e al presente articolo. Resta ferma la facoltà delle aziende di utilizzare le procedure standardizzate previste dai commi 5 e 6 del presente articolo.
7. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano alle attività svolte nelle seguenti aziende: a) aziende di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g); b) aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all'esposizione ad amianto;
Si suddividono i commenti in 1 e 2.
[panel]1.Attività dove non si possono applicare le procedure standardizzate anche se addetti ≤ 50
Art. 7 c. a) aziende di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g); ... Art. 31. Servizio di prevenzione e protezione 6. L'istituzione del servizio di prevenzione e protezione all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi: a) nelle aziende industriali di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, soggette all'obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto; b) nelle centrali termoelettriche; c) negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni; d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni; ... f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori; (inteso come industrie estrattive?) g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori. (inteso come strutture di ricovero...?) [/panel]
[panel]2.Attività dove non si possono applicare le procedure standardizzate anche se addetti ≤ 50
Art. 7 c. b) Aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all'esposizione ad amianto[/panel]
Precisazini in ordine al punto 2
In ordine a quanto riportato all'Art. 7 c. b è stata data risposta dalla CCP a domanda del CNI e pubblicata con l'Interpello n. 14 del 24/10/2013 su cosa si intenda per "non esposizione a rischi chimici": in estrema sintesi, è possibile utilizzare le Procedure Standardizzate quando vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori.
Nell'Interpello infatti si precisa infatti che se in una azienda non si svolgono attività che espongono i lavoratori al rischio chimico, inteso come “Art. 224...se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro, vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli articoli 225, 226, 229, 230”, allora è possibile utilizzare le Procedure Standardizzate (analogo per il rischio biologico).
Non vi sono precisazioni su: - atmosfere esplosive (chiaro luoghi ATEX) - cancerogeni mutageni (chiaro) - connessi all'esposizione ad amianto (da precisare, eventuali deroghe per attività ESEDI?)
[box-warning]Ovviamente le condizioni devono essere tutte verificate, nessuno dei rischi elencati deve essere presente.[/box-warning]
[panel] Interpello n. 14 del 24/10/2013
Oggetto: art. 12, D.Lgs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni – risposta al quesito relativo all’utilizzo o meno delle procedure standardizzate per la valutazione dei rischi.
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere di questa Commissione in merito al possibile utilizzo delle procedure standardizzate per le aziende che occupano fino a 50 lavoratori, il cui rischio chimico sia risultato “basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori” e il cui rischio biologico sia risultato “non evidenzia rischi per la salute dei lavoratori”. Inoltre si chiede se tutte le aziende che occupano fino a 50 lavoratori, il cui rischio chimico sia risultato “non basso per la sicurezza e/o non irrilevante per la salute dei lavoratori” e il cui rischio biologico sia risultato “evidenzia rischi per la salute dei lavoratori” non debbano utilizzare le procedure standardizzate oppure se vi siano esclusioni per alcune attività lavorative, ad esempio istituti di istruzione, uffici in genere, ecc., per le quali sia comunque consentita la valutazione dei rischi utilizzando le procedure standardizzate.
L’articolo 29, comma 6, del D.Lgs. 81/2008 prevede che “i datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f)”. Il successivo comma 7, lett. b), specifica che le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano alle “aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all’esposizione ad amianto”. L’art. 223, comma 1, del D.Lgs. 81/2008 e successive modifiche e integrazioni impone al datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi di cui all’art. 28, del citato decreto, di determinare “preliminarmente l’eventuale presenza di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro” e di valutare “anche i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori derivanti dalla presenza di tali agenti”. L’art. 271, comma 1, del D.Lgs. 81/2008 e successive modifiche e integrazioni prevede che il datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi di cui all’art. 17, comma 1 “tiene conto di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative”.
Re_
L’art. 224, comma 2, del D.Lgs. 81/2008 e successive modifiche e integrazioni prevede che “se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro, vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli articoli 225, 226, 229, 230”.
Quando a seguito della valutazione appena riportata risulta che in azienda non si svolgono attività che espongono i lavoratori al rischio chimico (vedi art. 29, comma 7, lett. b) D.Lgs. 81/2008), il datore di lavoro di un’impresa che occupa fino a 50 lavoratori può adottare le procedure standardizzate di cui all’art. 6, comma 8, lett. f., del D.Lgs. 81/2008. Vista l’analogia delle disposizioni di riferimento (vedi art. 271, comma 4, D.Lgs. 81/2008), le considerazioni su esposte valgono anche per il rischio biologico. Resta inteso che, qualora dall’esito della valutazione dei rischi non ricorrano le condizioni di mancata esposizione appena richiamate, non sarà possibile utilizzare le procedure standardizzate. [/panel]
(1) Il d.l. 21 giugno 2013, n. 69 convertito con modificazioni nella Legge 9 agosto 2013, n. 98 - Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia (art. 32, c. 1, lett. b), dispone la modifica dell'art. 29, commi 5 e 6 e aggiunge i commi 6-ter e 6-quater. Il comma 2 dell'art. 32 dispone che il decreto di cui al comma 6 ter venga adottato entro 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto stesso.
Tabella riepilogativa PS: Procedure Standardizzate DVR: Documento di Valutazione dei Rischi
Prodotto/Linea guida per la redazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) secondole Procedure Standardizzate, per le piccole aziende con un numero di addetti inferiore a 10 di cui al Decreto Interministeriale 30.11.2012
Le Procedure Standardizzate possono essere utilizzate anche per la Valutazione dei Rischi per imprese che occupano fino a 50 lavoratori, salvo esclusioni di cui All'Art. 29 comma 7 del D.Lgs. 81/2008. Il prodotto è completato da 72 Check List per l’individuazione dei pericoli da inserire nel DVR, estratte dal Testo Unico Sicurezza D.Lgs. 81/2008 e da altra legislazione correlata.
EN ISO 15743: Valutazione e gestione del rischio Posti di lavoro al freddo
ID 5395 | 26.09.2023 / Documento completo allegato
[box-warning]Norma confermata da ISO nel 2022
Questo standard è stato rivisto e confermato l'ultima volta nel 2022. Pertanto questa versione rimane attuale.[/box-warning]
Il presente documento illustra la valutazione e gestione del rischio nei posti di lavoro al freddo, rielaborando quanto indicato nella norma EN ISO 15743 “Ergonomia dell’ambiente termico - Posti di lavoro al freddo - Valutazione e gestione del rischio” (traduzione IT non ufficiale).
[box-info]- modelli e metodi per la valutazione e la gestione del rischio al freddo, - un elenco di controlli per identificare i problemi legati al lavoro al freddo, - un modello, un metodo ed un questionario utilizzabili dai medici del lavoro per identificare coloro che presentano sintomi tali da aumentare la sensibilità al freddo e, col supporto di tale identificazione, offrire la guida e le istruzioni per la protezione individuale contro il freddo, - linee guida sull’applicazione delle norme sugli ambienti termici e altri metodi scientifici validati per la valutazione dei rischi legati al freddo, - un esempio pratico per il lavoro al freddo.[/box-info]
Il presente documento è elaborato sulla norma EN ISO 15743 (Edizione 2008).
La norma UNI EN ISO 15743 è la versione ufficiale in lingua inglese della norma europea EN ISO 15743 (edizione luglio 2008).
________ Attenzione: documento elaborato su norma EN ISO 15743, possibili riferimenti ad altre norme riportate non più in vigore.
Excursus
Strategie per la valutazione e la gestione del rischio
Valutazione del rischio in ambienti freddi
La valutazione del rischio negli ambienti freddi segue i principi presenti nella norma ISO 15265 e quelli generalmente accettati presenti, per esempio, nella BS 8800. La valutazione è costituita da tre fasi.
a) Nella fase 1 (osservazione) vengono identificati i possibili rischi lavorativi legati all’ambiente freddo. Questa fase consiste nella raccolta di tutte le informazioni qualitativamente necessarie mediante l’osservazione (Allegato A EN ISO 15743). Essendo la fase basata sull’osservazione dei problemi, dovrebbero essere implementati dei metodi di gestione che ne eliminino e riducano le fonti. Ulteriori analisi devono essere eseguite se i problemi non sono facilmente riducibili o eliminabili o se non è certo che le misure preventive salvaguardino la salute e la sicurezza degli operatori.
b) La fase 2 (analisi) mira a quantificare, analizzare e stimare gli effetti correlati al rischio da ambiente freddo osservati nella fase 1 (Allegato B EN ISO 15743). La necessità di un’ulteriore analisi può derivare anche da esigenze specifiche dei professionisti della sicurezza, in conseguenza di analisi su problemi specifici derivanti dall’attività lavorativa. Si raccomanda di far eseguire questa analisi a dei professionisti. Difatti, i professionisti dovrebbero avere una formazione di base relativa ai rischi correlati al freddo e dovrebbero saper utilizzare i metodi per stimare il rischio stesso. Se non si è ancora sicuri di garantire la salvaguardia della salute e della sicurezza degli operatori è necessario passare alla fase 3.
c) La fase 3 (esperienza) mira a quantificare, analizzare e stimare i rischi derivanti dal freddo. La fase è necessaria per situazioni complesse che richiedono misure di intervento sofisticate o speciali. L’analisi deve essere condotta dagli stessi esperti di sicurezza della fase 2 insieme a personale altamente specializzato in materia. La durata della fase è di 1 giorno o più se necessario. La valutazione è mirata a risolvere qualsiasi specifico problema individuato durante le fasi precedenti.
...
Gestione dei rischi da freddo nei luoghi di lavoro
A seconda del tipo di lavoro, possono essere adottate diverse misure preventive contro rischi da freddo. I seguenti sono elenchi di diverse misure da scegliere. Le misure preventive sono solitamente adottate sul luogo di lavoro dai delegati della sicurezza, dai supervisori e dai lavoratori. La partecipazione dei lavoratori è fortemente raccomandata. Tutte le figure coinvolte hanno bisogno di essere informate in merito alle azioni da intraprendere. L'azienda dovrebbe nominare dei responsabili per ogni fase o aspetto di un progetto. Le domande poste qui possono essere utili nella pianificazione. Le attività devono essere registrate a conclusione della pianificazione della gestione del rischio da freddo.
Misure organizzative preventive contro i rischi da freddo
Nella fase di pianificazione dei progetti:
- programmare l’esecuzione dei lavori nella stagione calda (per i lavori all’esterno); - verificare se il lavoro può essere fatto all’interno (per il lavoro all'esterno); - dare più tempo per il lavoro al freddo e con gli indumenti protettivi; - fornire uno spazio riscaldato o un riparo riscaldato per il recupero; - provvedere alla formazione sui compiti del lavoro in condizioni normali; - accertare una conoscenza adeguata e la competenza del personale; - separare beni e stazioni di lavoro e mantenere differenti zone di temperatura; - fornire manodopera in più per diminuire l'esposizione.
...
Format per la pianificazione della gestione del rischio da freddo
...Segue
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Indice Premessa Strategie per la valutazione e la gestione del rischio Valutazione del rischio in ambienti freddi Valutazione del rischio legato alla salute Gestione del rischio legato al freddo Metodi per la valutazione e la gestione del rischio da freddo Responsabilità Valutazione del rischio da freddo 1 Fase 1: osservazione Fase 2: analisi Fase 3: esperienza Gestione del rischio da freddo
ALLEGATO A Checklist per l’identificazione dei problemi legati al freddo sul luogo di lavoro Come utilizzare la checklist CHECKLIST PER L’IDENTIFICAZIONE DEI PROBLEMI RELATIVI AL FREDDO Valutazione dei risultati e delle azioni correttive
ALLEGATO B Analisi dei problemi correlati al freddo Generale Aria fredda Contatto con le superfici fredde attraverso la manipolazione di utensili, attrezzature e macchinari, seduto o sdraiato Contatto con acqua, liquidi o materiali umidi Abbigliamento protettivo contro il freddo (non per le mani, i piedi e la testa) Protezione dal freddo per mani, piedi e testa
ALLEGATO C Generale Riconoscimento dei rischi da freddo sul posto di lavoro La valutazione dei rischi da freddo sul luogo di lavoro Gestione dei rischi da freddo nei luoghi di lavoro Generale Misure organizzative preventive contro i rischi da freddo Misure tecniche preventive contro i rischi da freddo Strumenti, attrezzature, macchinari Area di lavoro Superfici scivolose Illuminazione Questionario sulla salute per il lavoro al freddo
Fonti:
UNI EN ISO 15743:2008 Ergonomics of the thermal environment - Cold workplaces - Risk assessment and management (ISO 15743:2008)
Cestelli per sollevamento eccezionale di persone | EN 14502-1
Normativa e Requisiti costruttivi previsti da EN 14502-1 (Buona Tecnica)
Il documento illustra la normativa ed i requisiti di cestelli per sollevamento di persone secondo la EN 14502-1 utilizzati con macchine per la quale tale funzione non è prevista, sollevamento che è ammesso “a titolo eccezionale” (p. 3.1.4 Allegato VI D.Lgs. 81/2008).
Il cestello (o cesta) di cui al documento, è un dispositivo destinato ad essere accoppiato "eccezionalmente" a macchine utilizzate normalmente per il sollevamento materiali, in particolare:
- carrello industriale semovente con operatore a bordo (carrello a forche) - gru
Gru: macchina a funzionamento discontinuo destinata a sollevare e movimentare nello spazio carichi sospesi mediante gancio o altri dispositivi di presa. Carrello elevatore a forche: Carrello industriale semovente con operatore a bordo.
Prima di sollevare persone con mezzi non destinati a tale scopo, oltre a verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti di eccezionalità, occorre valutare attentamente sia aspetti tecnici (EN 14502-1 -stato di buona tecnica) che procedurali. Nei casi di cui sopra è possibile sollevare persone con macchine non destinate a tale scopo solo se il loro sollevamento avviene mediante mezzi idonei al sollevamento di persone in sicurezza.
E’ assolutamente vietato sollevare persone direttamente su forche, pallet o altri supporti di fortuna. L’impiego di ceste/cestelli per il sollevamento persone su macchine previste per il solo sollevamento materiali richiede che il datore di lavoro valuti i rischi legati al sollevamento persone che i fabbricanti delle macchine destinate al sollevamento materiali non hanno considerato e che, quindi, adotti le relative misure di sicurezza.
Il d.lgs. n. 81/2008 proibisce, infatti, come regola generale, l’uso di una macchina per una funzione per la quale non è stata progettata. Tale uso è, però, ammesso “a titolo eccezionale” nei casi previsti dal parere della commissione consultiva permanente.
Al punto 3.1.4 dell’allegato VI al D. L.vo n. 81/2008 è riportato:
"ALLEGATO VI DISPOSIZIONI CONCERNENTI L'USO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO ... 3.1.4 Il sollevamento di persone è permesso soltanto con attrezzature di lavoro e accessori previsti a tal fine.
A titolo eccezionale, possono essere utilizzate per il sollevamento di persone attrezzature non previste a tal fine a condizione che si siano prese adeguate misure in materia di sicurezza, conformemente a disposizioni di buona tecnica che prevedono il controllo appropriato dei mezzi impiegati e la registrazione di tale controllo. Qualora siano presenti lavoratori a bordo dell'attrezzatura di lavoro adibita al sollevamento di carichi, il posto di comando deve essere occupato in permanenza. I lavoratori sollevati devono disporre di un mezzo di comunicazione sicuro. Deve essere assicurata la loro evacuazione in caso di pericolo.(1)(2)"
Sono stati elaborati 2 Documenti da parte della Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro su:
(1). sul concetto di eccezionalità di cui al punto 3.1.4 dell’allegato VI al d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e s.m.i. (Parere 15/SEGR/0003326 del 10 febbraio 2011) (2). Procedure tecniche da seguire nel caso di sollevamento persone con attrezzature non previste a tal fine (Nota 18 aprile 2012)
Il parere 15/SEGR/0003326 del 10 febbraio 2011 della Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro “sul concetto di eccezionalità di cui al punto 3.1.4 dell’allegato VI al d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e s.m.i.” prevede specifiche procedure di sicurezza che comprendano a valle di una analisi dei rischi, i criteri per la scelta più appropriata delle attrezzature da impiegare, i requisiti delle apparecchiature da abbinare agli stessi, le modalità operative per le varie fasi di lavoro in cui i sistemi così realizzati sono utilizzati nonché quelle per la sorveglianza ed il controllo delle une e delle altre.
Successivamente la stessa Commissione ha approvato il 18 aprile 2012 le “Procedure tecniche da seguire nel caso di sollevamento persone con attrezzature non previste a tal fine” poi recepite con nota del 9 maggio 2012.
Nella definizione di queste procedure operative un utile riferimento è senza dubbio rappresentato dalle norme di buona tecnica come sopra richiamate, che nello specifico sono rappresentate da:
- UNI EN 14502-1:2010 Apparecchi di sollevamento Attrezzatura per il sollevamento di persone - Parte 1: Cestelli sospesi - ISO 12480-1:1997 Cranes - Safe use Part 1: General - Annex C - Raising or lowering of persons”
Excursus
C. UNI EN 14502-1:2010* Apparecchi di sollevamento Attrezzatura per il sollevamento di persone - Parte 1: Cestelli sospesi
La norma tratta i cestelli sospesi da utilizzare per il sollevamento delle persone con macchinari che non sono progettati per il sollevamento delle persone L'uso di tali cestelli sospesi non è contemplato dalla Direttiva Macchine 2006/42/CE, ma dai regolamenti applicabili all’utilizzatore. ... cestello sospeso: configurazione progettata per il sollevamento delle persone mediante un apparecchio di sollevamento
...
(5) REQUISITI DI SICUREZZA E/O ALLE MISURE DI PROTEZIONE
(5.1) Requisiti generali (5.1.1) I cestelli sospesi devono essere conformi ai requisiti di sicurezza e/o alle misure di protezione seguenti (5.1.2) I cestelli sospesi devono essere fabbricati da materiale specificato come non combustibile (5.1.3) Le parti del cestello sospeso destinate alla sosta delle persone devono avere un'altezza libera minima di 2 m. (5.1.4) Quando il cestello sospeso è progettato per essere utilizzato in situazioni in cui la caduta di oggetti può rappresentare un pericolo, il cestello deve essere provvisto di un tetto. Qualsiasi apertura nel tetto del cestello deve avere dimensioni che non consentano il passaggio di una sfera di 20 mm. Come minimo, il tetto di un cestello deve essere in grado di resistere all'urto di una sfera di acciaio di 7 kg di peso, che cade da un'altezza di 2 m, senza deformazioni plastiche maggiori di 50 mm. (5.1.5) I cestelli sospesi devono essere protetti contro la corrosione
(5.2) Calcoli della resistenza Quando si calcola il carico nominale del cestello sospeso, per ogni persona si deve considerare un peso di almeno 80 kg più almeno 40 kg di attrezzatura. Il carico considerato deve essere aumentato di un fattore di almeno 2 quando utilizzato nel calcolo di progettazione.
... Esempi di cestelli sospesi e di accessori di sollevamento del carico flessibili sono illustrati nelle figure da 1 a 3. Figura 1 Cestello sospeso di lunghezza minore o uguale a 2 m ...
Figura 3 Cestello sospeso con un’unica sospensione ...
(5.3.3 ) Per le estremità delle funi si deve utilizzare quanto segue: a) asole impalmate con radancia secondo EN 13411-2; o b) asole con manicotti con radancia secondo EN 13411-3 I morsetti per funi non devono essere utilizzati come estremità delle funi Le radance devono essere costruite secondo EN 13411-1.
(5.4) Pavimento (5.4.1) Il pavimento del cestello deve essere fissato all’intelaiatura mediante saldatura o qualsiasi altro mezzo ugualmente efficace (per esempio imbullonato). ...
(5.4.6) Uno spazio libero per i piedi in conformità alla figura 4 deve essere disponibile sotto il bordo esterno del cestello per evitare il pericolo di schiacciamento Figura 4 Luce minima per i piedi
(5.5) Inclinazione I cestelli sospesi devono essere progettati in modo tale che, se un carico pari a 1,5 volte il carico nominale è applicato nella posizione peggiore sul pavimento, qualsiasi inclinazione risultante non deve essere maggiore di 20°.
(5.6) Ripari laterali
(5.6.1) I cestelli sospesi devono avere su ciascun lato una protezione laterale e un corrimano a scomparsa. ...
(5.6.2) Se il cestello sospeso è dotato di montanti angolari rigidi fino ad un’altezza di almeno 2 m, ogni lato del cestello deve avere:
a) una protezione laterale con le caratteristiche seguenti: 1) essere costituita da un involucro fino ad un’altezza minima di 0,5 m in modo da impedire il passaggio a una sfera di 20 mm; 2) la sommità dell’involucro deve essere dotata di un corrimano; 3) se il corrimano è a meno di 0,75 m sopra il pavimento, un altro corrimano deve essere previsto a un'altezza compresa tra 0,75 m e 1 m;
b) un corrimano con un diametro di almeno 16 mm e non maggiore di 40 mm. Per non schiacciare le mani, deve essere collocato a 1,1 m sopra il pavimento e da 0,075 m a 0,1 m all’interno della protezione laterale (vedere figura 6);
c) il commando deve essere in grado di sopportare carichi concentrati di 500 N per persona, a intervalli di 0,5 m nelle posizioni meno favorevoli e nella direzione meno favorevole, senza una deformazione permanente.
Legenda 1. Montante angolare 2. Corrimano 3. Protezione laterale 4. Pavimento Dimensioni in metri
Figura 6 Protezione laterale por cestelli con montante angolare
(5.7) Accesso e uscita (5.7.1) L'accesso e l'uscita dal cestello devono essere in conformità alla EN 13586 (tipo 1). ...
Metodi da utilizzare per verificare la conformità ai requisiti e/o alle misure di protezione
...
(7) MANUALE D’ISTRUZIONI
(7.2) Informazioni per l’utilizzatore ... (7.3) Informazioni per l’operatore dell’apparecchio di sollevamento ... (7.4) Informazioni per il personale nel cestello
(8) MARCATURA I cestelli sospesi devono essere provvisti di una targhetta marcata in modo durevole con le informazioni seguenti e collocata in una posizione visibile:
a) nome e indirizzo del fabbricante o del fornitore; b) anno di costruzione; c) tipo; d) numero di identificazione; e) peso proprio del cestello sospeso; f) carico nominale del cestello sospeso e numero massimo di persone consentite al suo interno.
I cestelli sospesi utilizzati sugli apparecchi di sollevamento devono essere verniciati con un colore ben visibile.
Impianti termici: la figura del Terzo responsabile
Focus: Quadro normativo | Disciplina
Il presente Focus fornisce indicazioni in merito alla figura del "Terzo responsabile" dell'impianto termico, in forza dell'atto di delega del responsabile dell'impianto stesso.
Si rappresenta il quadro normativo che disciplina i i requisiti ed i compiti e le relative responsabilità del terzo responsabile e viene fornito in appendice al focus un contratto tipo di manutenzione dell’impianto termico centralizzato di potenza superiore a 35 kW con delega di responsabilità ad un terzo.
[box-hint]Art. 6. co. 1 DPR 74 del 2013 L'esercizio, la conduzione, il controllo, la manutenzione dell'impianto termico e il rispetto delle disposizioni di legge in materia di efficienza energetica sono affidati al responsabile dell'impianto, che può delegarle ad un terzo.
Il responsabile dell’impianto termico o per esso un terzo che ne assume la responsabilità, ai sensi dell’art. 7 del D.lgs 92/05 e s.m.i. e dell’art. 7 del D.P.R. 74/2013, provvede affinché siano eseguite le operazioni di controllo e di manutenzione secondo le prescrizioni della normativa vigente.
L’esercizio, la conduzione, il controllo, la manutenzione dell’impianto termico e il rispetto delle disposizioni di legge in materia di efficienza energetica sono affidati al responsabile dell’impianto termico.
In generale il responsabile dell’impianto termico è il proprietario dell’impianto.
Vi sono però le seguenti situazioni particolari:
- Nel caso di edifici dati in locazione, il responsabile è l’inquilino - Nel caso di impianti centralizzati, il responsabile è l’amministratore di condominio - Nel caso di edifici di proprietà di soggetti diversi dalle persone fisiche, il responsabile è Il proprietario o l’amministratore delegato
- Riceve l’incarico dal proprietario dell’impianto - Diventa il responsabile dell’esercizio, della manutenzione ordinaria straordinaria e delle verifiche di efficienza energetica - Ha gli stessi compiti del responsabile d’impianto - Risponde davanti alla legge per ogni eventuale inadempienza
La delega ad un “terzo responsabile” non è consentita nel caso di singole unità immobiliari residenziali in cui il/i generatori non siano installati in locale dedicato solo a questo.
Requisiti
Per “terzo responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto termico”, si intende la persona fisica o giuridica che, essendo in possesso dei requisiti previsti dalle normative vigenti e comunque di idonea capacità tecnica, economica, organizzativa, è delegata dal proprietario ad assumere la responsabilità dell’esercizio, della manutenzione e dell’adozione delle misure necessarie al contenimento dei consumi energetici.
- Il terzo responsabile è un’impresa iscritta alla Camera di Commercio o all’Albo degli Artigiani, di cui al Decreto Ministeriale 22 gennaio 2008, n. 37, ed abilitata con riferimento alla lettera C e D, e per gli impianti a gas, anche lettera E dell’art. 1 comma 2 del suddetto Decreto.
- Per la conduzione di impianti > 232 kW deve disporre di personale con apposito patentino.
[box-info] Patentino per Impianto termico con potenza termica nominale superiore a 232 kW
L'art. 287 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 "Norme in materia ambientale", così come modificato dall'art. 3, comma 20, D.Lgs. n. 128 del 2010, prescrive che il personale addetto alla conduzione degli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore a 232 kW deve essere munito di un patentino di abilitazione rilasciato da un'autorità individuata dalla legge regionale. [/box-info]
- Per gli impianti superiori a 350 kW, il Terzo Responsabile deve obbligatoriamente essere in possesso della UNI EN ISO 9001 o SOA nelle categorie OG 11 oppure OS 28.
- Certificazione (patentino da frigorista) gli interventi tecnici su impianti frigoriferi, condizionatori, pompe di calore contenenti gas fluorurati ad effetto serra. Qualora l’impianto fosse composto anche da macchine frigorifere o pompe di calore il Terzo Responsabile deve anche essere in possesso del patentino e certificazione FGAS, come previsto dagli art. 8 e 9 del D.P.R. 43/2012.
- Se l’impianto utilizza Fonti di Energia Rinnovabili, il Terzo Responsabile deve anche aver frequentato i corsi abilitanti FER.
Delega
La delega al terzo responsabile non è consentita nel caso di singole unità immobiliari residenziali in cui il generatore o i generatori non siano installati in locale tecnico esclusivamente dedicato. In tutti i casi in cui nello stesso locale tecnico siano presenti generatori di calore oppure macchine frigorifere al servizio di più impianti termici, può essere delegato un unico terzo responsabile che risponde delle predette attività degli impianti.
La delega al terzo responsabile deve sempre essere in forma scritta.
In caso di impianti non conformi alle disposizioni di legge, non può essere rilasciata, salvo che nell'atto di delega sia espressamente conferito l'incarico di procedere alla loro messa a norma.
Il delegante deve porre in essere ogni atto, fatto o comportamento necessario affinché il terzo responsabile possa adempiere agli obblighi previsti dalla normativa vigente e garantire la copertura finanziaria per l'esecuzione dei necessari interventi nei tempi concordati. Negli edifici in cui sia instaurato un regime di condominio, la predetta garanzia è fornita attraverso apposita delibera dell'assemblea dei condomini. In tale ipotesi la responsabilità degli impianti resta in carico al delegante, fino alla comunicazione dell'avvenuto completamento degli interventi necessari da inviarsi per iscritto da parte del delegato al delegante entro e non oltre cinque giorni lavorativi dal termine dei lavori.
Il responsabile o, ove delegato, il terzo responsabile rispondono del mancato rispetto delle norme relative all'impianto termico, in particolare in materia di sicurezza e di tutela dell'ambiente.
L'atto di assunzione di responsabilità da parte del terzo, anche come destinatario delle sanzioni amministrative, deve essere redatto in forma scritta contestualmente all'atto di delega.
- Decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74 - Regolamento recante definizione dei criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari, a norma dell'articolo 4, comma 1, lettere a) e c), del d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192. (G.U. n. 149 del 27 giugno 2013);
- DPR 26 agosto 1993, n. 412 Regolamento recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, comma 4, della legge 9 gennaio 1991, n. 10. (GU Serie Generale n.242 del 14-10-1993 - Suppl. Ordinario n. 96);
- Decreto Ministeriale 22 gennaio 2008, n. 37 Regolamento concernente l'attuazione dell'articolo 11-quaterdecies, comma 13, lettera a) della legge n. 248 del 2 dicembre 2005, recante riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici. (GU Serie Generale n.61 del 12-03-2008);
- DPR 21 dicembre 1999, n. 551 Regolamento recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, in materia di progettazione, installazione, esercizio e manutenzione degli impianti termici degli edifici, ai fini del contenimento dei consumi di energia. (GU Serie Generale n.81 del 06-04-2000).
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Indice Normativa di riferimento 1.Premessa 2.Definizione di terzo responsabile 3.Requisiti 4.Delega 4.1Sanzioni 5.Comunicazioni di nomina/revoca/rinuncia 6.Incompatibilità 7.Compiti Appendice Contratto tipo di manutenzione dell’impianto termico centralizzato di potenza superiore a 35 kW con delega di responsabilità ad un terzo Fonti
L’illuminazione dei posti di lavoro è importante per garantire la sicurezza e il benessere dei lavoratori. Le norme che trattano tale argomento riguardano l’illuminazione dei posti di lavoro in ambienti interni e ambienti esterni. Norme principali Illuminazione posti di lavoro:
- UNI EN 1837:2009 “Sicurezza del macchinario - Illuminazione integrata alle macchine”, - UNI EN 12464-1:2011 “Luce e illuminazione - Illuminazione dei posti di lavoro - Parte 1: Posti di lavoro in interni”, - UNI EN 12464-2:2014 "Luce e illuminazione - Illuminazione dei posti di lavoro - Parte 2: Posti di lavoro in esterno", - UNI EN 12193:2008 "Luce e illuminazione - Illuminazione di installazioni sportive". - UNI 11665:2005 “Valutazione dell’abbagliamento molesto con il metodo UGR”.
Nel documento sono considerati i soli posti di lavoro interni, di cui le norme prese in considerazione sono la UNI EN 1837, UNI EN 12464-1 e UNI 11665.
La UNI EN 1837 illustra, attraverso disegni esplicativi, come disporre le sorgenti luminose così da garantire una buona illuminazione delle aree di lavoro in macchine operatrici.
La norma UNI EN 12464-1, specifica i requisiti illuminotecnici per i posti di lavoro interni con lo scopo di garantire il confort e la prestazione visiva delle persone con normali capacità visuali. Non specifica i requisiti illuminotecnici riguardanti la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Sebbene il rispetto dei requisiti illuminotecnici della presente norma, soddisfi generalmente i requisiti di sicurezza, è necessario fare riferimento anche a quanto riportato nei regolamenti europei o nazionali e leggi specifiche dei singoli paesi.
All’interno di un locale possono essere presenti compiti visivi(1) diversi che richiedono, ovviamente, diversi livelli d’illuminamento nella specifica area dove essi vengono svolti. Il valore dell’illuminamento prescritto è riportato in apposite tabelle nel punto 5 della norma.
Oltre all’illuminamento dell’area del compito visivo, la norma dà prescrizioni per altre due aree: l’area immediatamente circostante e l’area di sfondo
Figura 1 - Area del compito visivo, area immediatamente circostante, area di sfondo.
Gli illuminamenti di queste due aree sono legate al valore prescritto per l’area del compito visivo. I valori di illuminamento dell’area immediatamente circostante sono quelli della tabella 1 qui sotto riportata, mentre l’illuminamento medio dell’area di sfondo deve essere ≥1/3 di quello dell’area immediatamente circostante:
Le uniformità di illuminamento U0(2) sono definite nelle tabelle al punto 5, per le aree dei compiti visivi, è ≥0,4 per le aree immediatamente circostanti e ≥0,1 per le aree di sfondo. Le interdistanze tra i punti all’interno delle griglie di calcolo sono esattamente definiti usando la procedura descritta nella norma. Per avere un ambiente luminoso equilibrato, è necessaria una corretta illuminazione delle pareti e del soffitto, la norma da prescrizioni per il livello minimo dell’illuminamento medio del soffitto e pareti e le loro relative uniformità U0.
Altri due parametri vanno considerati per l’illuminazione dei posti di lavoro in interni: l’illuminamento cilindrico(3) e il modellato(4). L’illuminamento cilindrico (figura 2) garantisce il riconoscimento visuale, la norma prevede un valore di almeno 150 lx cilindrici medi per ambienti che richiedono un buon riconoscimento visuale come scuole, uffici, sale riunioni ecc. e 50 lx cilindrici medi per gli altri ambienti. Esso è calcolato per tutta l’area del locale in piani ad altezze dal pavimento di 1,2 m per persone sedute, e 1,6 m per persone in piedi. L’uniformità dell’illuminamento cilindrico deve essere ≥0,1. Figura 2 - Illuminamento cilindrico.
Il modellato invece è un equilibrato rapporto tra la luce direzionale e diffusa. Un valore equilibrato di modellato esalta le caratteristiche strutturali di persone e oggetti presenti nel locale. I valori da 0,2 a 0,6 sono buoni indicatori di modellato.
L’abbagliamento è un parametro molto importante per garantire un buon ambiente luminoso. L’indice unificato di abbagliamento (UGR) è un numero variabile da 0 a 30 che definisce la sensazione di fastidio prodotto dall’abbagliamento. I valori limite dell’abbagliamento sono inseriti nelle tabelle al punto 5 della norma per ogni singolo compito visivo.
La norma UNI 11665 derivata dalla pubblicazione CIE 117 [1] illustra i criteri per la valutazione dell’abbagliamento molesto UGR. I valori di illuminamento prescritti per i vari compiti visivi sono "illuminamenti medi mantenuti", cioè valori degli illuminamenti medi di sotto ai quali non si deve mai scendere.
Il fattore di manutenzione MF considera i parametri che riducono l’illuminamento medio a impianto nuovo ed è calcolato come descritto dalla UNI EN 12464-1 e pubblicazione CIE 97 [2].
Quando nel locale illuminato sono presenti attrezzature munite di videoterminali, la norma prescrive i limiti della luminanza(5) degli apparecchi di illuminazione, quando posizionati alle spalle dell’osservatore, con angoli di elevazione, tra l’asse verticale e la linea che congiunge l’occhio dell’osservatore con il centro del videoterminale che variano da 65° a 85°.
Per mancanza di spazio, i seguenti punti della norma: requisiti dell’efficienza energetica, integrazione tra luce naturale e luce artificiale, variabilità della luce e per finire le procedure di verifica dell’impianto di illuminazione, non vengono illustrati.
(1) Il compito visivo è l’insieme degli elementi dell’attività svolta (2) L’uniformità di illuminamento U0 è il rapporto tra l’illuminamento minimo e l’illuminamento medio di tutti i punti della griglia di calcolo. (3) L’illuminamento cilindrico è la media degli illuminamenti nei piani verticali che ruotano attorno al punto considerato. (4) Il modellato è il rapporto tra l’illuminamento cilindrico e l’illuminamento orizzontale nello stesso punto di calcolo. (5) La luminanza è il rapporto tra l’intensità luminosa nella direzione dell’osservatore e la proiezione dell’area luminosa dell’apparecchio sempre nella direzione di osservazione.
Valori di illuminamento
La EN 12464-1:2011 “Luce e Illuminazione - Illuminazione dei luoghi di lavoro - Parte 1: Luoghi di lavoro interni”, riporta i seguenti livelli riferimento per le principali tipologie lavorative. Nella tabella seguente viene riportata una sintesi dei parametri di riferimento per alcune delle tipologie lavorative riportate nel capitolo 5 della norma.
Segue la tabella con la raccolta di tutti i livelli di riferimento riportati nel capitolo 5 della EN 12464-1:2011.
...
Misura illuminamento/ROA/analisi spettrale
Figura 3 - Misurazione dell'illuminamento con Luxmetro
I Luxmetri sono strumenti portatili professionali per la misura dell’illuminamento e dell’intensita’ della luce. Il Luxmetro è costituito dallo strumento, che puo’ essere solo lettore del dato di misura, oppure datalogger per memorizzare le misure effettuate, ed un sensore esterno che può essere un sensore per: - Illuminamento (LUX) normalmente utilizzato negli ambienti e sui luoghi di lavoro, - Irradiamento(Watt/m2) anche nel campo spettrale per bande UVA, UVB e UVC, - Luminanza.
l Fotoradiometri ROA sono utilizzati per la misura delle Radiazioni ottiche Artificiali (non coerenti) in ottemperanza alle normative di sicurezza nei luoghi di lavoro secondo D.L. 81 del 2008, che obbliga i datori di lavoro a monitorare l’esposizione dei lavoratori a queste radiazioni, e valutare strumentalmente sul campo i rischi associati.
Gli Spettroradiometri invece sono utilizzati per l’analisi spettrale delle sorgenti luminose nel campo del visibile e dell’infrarosso, e sono molto utili nel campo illuminotecnico a LED, per verificare sia la luminosità in LUX che la resa cromatica e la temperatura di colore. ... [alert]UNI EN 12464-1:2011 Luce e illuminazione - Illuminazione dei posti di lavoro - Parte 1: Posti di lavoro in interni
La presente norma e' la versione ufficiale della norma europea EN 12464-1 (edizione giugno 2011). La norma specifica i requisiti di illuminazione per persone, in posti di lavoro in interni, che corrispondono alle esigenze di comfort visivo e di prestazione visiva di persone aventi normale capacita' oftalmica (visiva). Sono considerati tutti i compiti visivi abituali, inclusi quelli che comportano l'utilizzo di attrezzature munite di videoterminali.[/alert]
[panel]I punti dell'Allegato IV del TUS inerenti l'illuminazione
1.4.15. I segnali indicanti condizioni di pericolo nelle zone di transito e quelli regolanti il traffico dei trasporti meccanici su strada o su rotaia devono essere convenientemente illuminati durante il servizio notturno.
1.5.11. Le vie e le uscite di emergenza che richiedono un'illuminazione devono essere dotate di un'illuminazione di sicurezza di intensità sufficiente, che entri in funzione in caso di guasto dell'impianto elettrico.
1.8.6. I luoghi di lavoro all'aperto devono essere opportunamente illuminati con luce artificiale quando la luce del giorno non è sufficiente.
1.10. Illuminazione naturale ed artificiale dei luoghi di lavoro 1.10.1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale. In ogni caso, tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano un'illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute e il benessere di lavoratori. 1.10.2. Gli impianti di illuminazione dei locali di lavoro e delle vie di circolazione devono essere installati in modo che il tipo d'illuminazione previsto non rappresenti un rischio di infortunio per i lavoratori. 1.10.3. I luoghi di lavoro nei quali i lavoratori sono particolarmente esposti a rischi in caso di guasto dell'illuminazione artificiale, devono disporre di un'illuminazione di sicurezza di sufficiente intensità. 1.10.4. Le superfici vetrate illuminanti ed i mezzi di illuminazione artificiale devono essere tenuti costantemente in buone condizioni di pulizia e di efficienza. 1.10.5. Gli ambienti, i posti di lavoro ed i passaggi devono essere illuminati con luce naturale o artificiale in modo da assicurare una sufficiente visibilità. 1.10.6. Nei casi in cui, per le esigenze tecniche di particolari lavorazioni o procedimenti, non sia possibile illuminare adeguatamente gli ambienti, i luoghi ed i posti indicati al punto 1.10.5, si devono adottare adeguate misure dirette ad eliminare i rischi derivanti dalla mancanza e dalla insufficienza della illuminazione. 1.10.7. Illuminazione sussidiaria 1.10.7.1. Negli stabilimenti e negli altri luoghi di lavoro devono esistere mezzi di illuminazione sussidiaria da impiegare in caso di necessità. 1.10.7.2. Detti mezzi devono essere tenuti in posti noti al personale, conservati in costante efficienza ed essere adeguati alle condizioni ed alle necessità del loro impiego. 1.10.7.3. Quando siano presenti più di 100 lavoratori e la loro uscita all'aperto in condizioni di oscurità non sia sicura ed agevole; quando l'abbandono imprevedibile ed immediato del governo delle macchine o degli apparecchi sia di pregiudizio per la sicurezza delle persone o degli impianti; quando si lavorino o siano depositate materie esplodenti o infiammabili, l'illuminazione sussidiaria deve essere fornita con mezzi di sicurezza atti ad entrare immediatamente in funzione in caso di necessità e a garantire una illuminazione sufficiente per intensità, durata, per numero e distribuzione delle sorgenti luminose, nei luoghi nei quali la mancanza di illuminazione costituirebbe pericolo. Se detti mezzi non sono costruiti in modo da entrare automaticamente in funzione, i dispositivi di accensione devono essere a facile portata di mano e le istruzioni sull'uso dei mezzi stessi devono essere rese manifeste al personale mediante appositi avvisi. 1.10.7.4. L'abbandono dei posti di lavoro e l'uscita all'aperto del personale deve, qualora sia necessario ai fini della sicurezza, essere disposto prima dell'esaurimento delle fonti della illuminazione sussidiaria.
1.10.8. Ove sia prestabilita la continuazione del lavoro anche in caso di mancanza dell'illuminazione artificiale normale, quella sussidiaria deve essere fornita da un impianto fisso atto a consentire la prosecuzione del lavoro in condizioni di sufficiente visibilità.
1.11.2.2. I refettori devono essere ben illuminati, aerati e riscaldati nella stagione fredda. Il pavimento non deve essere polveroso e le pareti devono essere intonacate ed imbiancate.
1.12.3. I locali destinati a spogliatoio devono avere una capacità sufficiente, essere possibilmente vicini ai locali di lavoro aerati, illuminati, ben difesi dalle intemperie, riscaldati durante la stagione fredda e muniti di sedili.
Le costruzioni per dormitorio devono rispondere alle seguenti condizioni: … 1.14.4.2.5. essere fornite di lampade per l'illuminazione notturna.[/panel]
segue in allegato
Fonti: UNI EN 12464-1:2011 Luigi Schiavon | Coordinatore UNI/CT 023/GL 02 ASSIL
[1]CIE 117:1995 Discomfort Glare in Interior Lighting [2]CIE 97:2005 Maintenance of Indoor Electric Lighting Systems
Le normative europee EN 1005- 5 e internazionale ISO 11228-3 considerano il metodo OCRA come metodo preferenziale per la valutazione di lavori manuali ripetitivi e per la progettazione di nuove macchine e processi di lavoro.
La Norma ISO 11228-3 contiene un appendice A (Vedi allegato) in cui sono esposti alcuni ulteriori metodi di valutazione del rischio da sforzi e movimenti ripetitivi tra cui OWAS, RULA, REBA, QEC. Prevalentemente questi metodi sono considerati dalla Norma "di screening", semplici (e spesso empirici), e alcuni di essi, principalmente adatti allo studio delle posture incongrue ma poco adatti ad una valutazione del rischio da movimenti ripetitivi.
Per una valutazione dettagliata del Rischio oppure se l'attività è composta da più compiti la Norma ISO 11228-3 indica quale metodo preferenziale OCRA (Occupational Repetitive Action).
Esso è consigliato per le finalità specifiche di approfondimento perché, date le conoscenze disponibili al momento della pubblicazione della Norma, è stato considerato il più "completo".
In effetti OCRA analizza tutti i fattori di rischio pertinenti e correlati al rischio da movimenti ripetuti, inoltre è applicabile anche a “lavori multicompito” e fornisce criteri (basati su estesi dati epidemiologici) per la previsione dell'insorgenza di UL-WMSD (disordini muscolo-scheletrici degli arti superiori correlati al lavoro) nelle popolazioni lavorative esposte. Attualmente si potrebbe parlare più che di un semplice metodo, di un sistema OCRA, sistema in quanto attraverso metodi e strumenti differenti, consente approcci diversificati alla valutazione del rischio in funzione di specifici quindi diversi obbiettivi.
I metodi OCRA ad oggi disponibili sono 3:
- l’indice OCRA: risponde all’esigenza di offrire una valutazione del rischio precisa e puntiforme, sicuramente consigliabile per la progettazione e ri-progettazione dei posti di lavoro e dei ritmi di lavoro.
- la checklist OCRA classica: rappresenta lo strumento d’elezione per ottenere la prima mappatura del rischio quando si voglia rispondere al quesito circa il “peso” del rischio derivante dalla presenza di lavori ripetitivi. La mappatura consente infatti di definire in che proporzione siano presenti postazioni di lavoro in fascia verde (rischio assente), gialla (rischio molto lieve o dubbio), rossa o viola (rischio presente rispettivamente lieve, medio o elevato). Richiede tempi di compilazione più brevi ma perde in precisione in quanto l’analisi offre punteggi che procedono secondo scenari a “scalini” e non in modo puntiforme come l’indice OCRA.
- la mini-checklist OCRA: ultima nata, offre una valutazione ancora più rapida (e per questo più approssimativa), rispetto alla checklist OCRA. Risulta più adatta e probabilmente sufficiente per valutazioni in settori speciali, (artigianato, piccola impresa, agricoltura..) laddove l’organizzazione del lavoro non presenta ritmi, tempi e cicli così ben definiti come nella classica industria.
Per ognuno di tali metodi l’Unità di ricerca EPM (Ergonomia della Postura e del Movimento) ha messo a punto strumenti semplici su supporto informatico (ovvero fogli di calcolo in excel), atti a facilitare sia la raccolta dei dati che la stima degli indici di rischio finali.
Fogli di calcolo XLS - Update: 27.05.2019
Mini-checklist OCRA
Valutazione rapida dei compiti ripetitivi con mini-checklist OCRA
20.05.2019
Valutazione rapida dei compiti ripetitivi con mini-checklist OCRA
16.11.2015
Valutazione rapida con mini-checklist OCRA del lavoro caratterizzato da più compiti ripetitivi aggiornata
03.06.2016
Check list OCRA classica e MAPPATURA
Valutazione automatica dei compiti ripetitivi con checklist OCRA modello tradizionale
18.06.2018
Valutazione automatica dei compiti ripetitivi con checklist OCRA modello tradizionale
16.11.2015
Mappa di rischio dei movimenti ripetitivi degli arti superiori con checklist ocra
16.11.2015
Check list OCRA alta precisione, compiti lunghi e recupero interno al ciclo
Checklist OCRA alta precisione: usa i tempi anzicchè le %. E' adatto anche all'analisi dei compiti di lunga durata ( attraverso la scomposizione in fasi) e per studiare il rischio espositivo quando è presente il recupero interno al ciclo.
02.09.2016
Metodo OCRA: un modello analitico per valutare i movimenti ripetitivi degli arti superiori - Modello di analisi classico
24.09.2014
OCRA (OCcupational Repetitive Action)
EPM - Milano Linee Guida MMC Regione Lombardia 2015
Le Ferrovie dello Stato e le linee locali hanno fatto uso importante di amianto nei rotabili ferroviari dall'inizio del secolo fino agli anni 80, il presente articolo e Documento completo allegato, intende fornire un quadro generale della storia dell'uso, dell'epidemiologia e di studi rilevanti in merito, nel contesto della Salute e Sicurezza dei lavoratori.
I Documenti allegati:
1. Amianto e materiale rotabile ferroviario Rev. 00 2018 2. I mesoteliomi da amianto usato FS resoconto di 199 casi 2002 3. Mortalità coorte addetti riparazione carrozze ferroviarie Bologna 2012 4. Studio epidemiologico mortalità coorte lavoratori OGR Verona - 1989 5. Studio di coorte addetti OGR FF.SS. Foligno 1986 6. Indagine OGR Bologna 1981 7.Studio epidemiologico lavoratori dipendenti FS OGR di Bologna 2017
Storia dell'amianto in uso nei rotabili ferroviari
Le Ferrovie dello Stato e le linee locali hanno fatto molto uso di amianto nei rotabili ferroviari.
È opportuno distinguere i periodi di impiego individuando la metà degli anni 50 come linea di demarcazione ben netta.
Fino a quella data l'uso di amianto riguardava le locomotive a vapore, per le quali non vi sono ancora notizie precise circa la coibentazione della caldaia, con parti rivestite in nastri o corde per la protezione del rischio da contatto, e la linea di riscaldamento a vapore sviluppata verosimilmente negli anni 30.
Quest'ultimo sfruttava il vapore della locomotiva che poteva essere anche integrato da una carrozza caldaia. La condotta del vapore che correva sotto la carrozza era coibentata con lana di vetro ma i mezzi flessibili di accoppiamento erano rivestiti con nastro o corda di amianto; pure di amianto era la guarnizione di tenuta sulle flangie di accoppiamento.
Dalla fine degli anni 40 è iniziato l'uso di amianto sotto forma di cartoni per l’isolamento delle scaldiglie del riscaldamento elettrico.
Dalla metà degli anni 50 è iniziata la coibentazione sui nuovi rotabili con amianto spruzzato della varietà crocidolite.
All'inizio degli anni 60 fu deciso di estendere questo tipo di coibentazione a tutte le carrozze circolanti, tanto che il loro numero complessivo ammontava a circa 8.000.
La presenza di questi rivestimenti è proseguita fino agli anni 80 o fino alla dismissione dei vecchi modelli di carrozze che la montavano. Anche la dismissione delle locomotive a vapore è databile alla fine degli anni 70 inizio 80.
Negli anni 90 le carrozze con la coibentazione della cassa in amianto friabile furono accantonate ed il programma di bonifica è stato completato all'inizio degli anni 2000.
Fig. 1 - Attività di spruzzo di amianto della varietà crocidolite
Fig. 2 - Attività di rimozione di amianto dal 1980 ca
Epidemiologia
Il rischio di esposizione ha interessato i macchinisti di locomotive a vapore e di locomotive elettriche, i costruttori di rotabili fino alla fine degli anni 70, i manutentori di rotabili fino alla fine degli anni 80 ed in misura minore il personale viaggiante.
Dagli ultimi dati emerge che il registro mesoteliomi (ReNaM) riporta per il settore della costruzione dei rotabili ferroviari 555 casi nel periodo che va dal 1993 al 2012.
Numero di esposizioni professionali definite nei casi di MM certo, probabile o possibile segnalati al ReNaM per categoria economica (1993 - 2012, N=15.014)
1
Industria metalmeccanica
1.
%
2
Industria metallurgica
1.243
8,3%
3
Estrazione e raffinerie di petrolio
589
3,9%
4
Estrazione di minerali
144
1,0%
5
Fabbricazione di prodotti in metallo
73
0,5%
6
Industria tessile
862
5,7%
7
Industria dei minerali non metalliferi (escluso cemento-amianto)
192
1,3%
8
Industria del cemento-amianto
468
3,1%
9
Rotabili ferroviari
505
3,4%
10
Cantieri navali
999
6,7%
11
Produzione e manutenzione mezzi di trasporto; officine di autoveicoli e motoveicoli
617
4,1%
..
...
...
...
segue in allegato
Inoltre, considerando che il registro annovera circa 40 casi l’anno, con un conteggio fermo al 2012, si possono stimare ad oggi 2018 non meno di oltre 700 casi.
In particolare, nel 2002 i casi di mesotelioma nelle FS erano già 199, con un’incidenza assai superiore a quella delle costruzioni.Tenendo presente che per i primi anni non tutte le regioni avevano istituito il registro (che a tutt’oggi è carente per la provincia autonoma di Bolzano e per il Molise) e che comunque alcuni casi non risultano censiti, l’incidenza può essere calcolata in circa 750 casi.
I 505 casi sono riferiti sia al personale viaggiante che agli addetti alla manutenzione. Mentre gli operai, in officina, l’amianto lo hanno maneggiato e conseguentemente respirato, macchinisti e capitreno lo hanno invece ‘solo’ respirato. Come? Tutte le parti motoristiche e frenanti (soggette quindi ad alte temperature) delle locomotive a vapore, diesel, elettriche e tutte le carrozze e i carri per trasporto merci erano coibentati con amianto spruzzato e pannelli contenenti amianto che, col tempo, si sono convertiti da matrice compatta a friabile.
Non solo: anche per via dei sassi, del pietrisco bianco presente tra un binario e l’altro, il quale si ricopre di polvere di amianto, rilasciato dai dischi e dai ferodi dei freni dei convogli, la quale col vento si alza e si libera nell’aria. Aria che hanno respirato anche normali viaggiatori in sosta sulla banchine delle stazioni. Tali pietre, Rfi (Rete Ferroviaria Italiana), l’azienda delle Ferrovie che gestisce le infrastrutture sul territorio nazionale, si sta apprestando ad inertizzarle, anche se in alcune regioni, Puglia in special modo, le operazioni vanno a rilento per la presenza, ancora oggi, di treni con dischi in amianto.
Sono sotto osservazione anche tutte le altre officine di manutenzione rotabili italiane, poiché tutti coloro che a seguito della legge 257/92 (norme sulla cessazione dell’impiego di amianto) vennero interessati da una enorme mole di lavoro di rimozione e smaltimento di coibentanti in amianto sono a rischio di sviluppo malattie asbesto correlate, senza contare i tanti che purtroppo ne sono già affetti o hanno già pagato con la vita.
L’esposizione all’asbesto, per montatori di carpenteria metallica, meccanici e saldatori e lattonieri, è stata determinata anche dall’applicazione a spruzzo di amianto in fibra sulle parti interne delle scocche metalliche di motrici e carrozze passeggeri, postali e bagagliai. In aggiunta, il materiale killer era utilizzato nel rivestimento dei mezzi di accoppiamento delle condotte di vapore, nei rotabili che avevano questo tipo di riscaldamento. L’Osservatorio nazionale sull’amianto, “oltre a proseguire nella sua azione di informazione a tutela dei cittadini, lavoratori esposti o ex esposti, offrendo gratuitamente consulenza legale, sociale e scientifica”, annuncia “una serie di esposti querela” nelle diverse sedi competenti sul territorio nazionale per la morte da mesotelioma pleurico di alcuni ex dipendenti delle Ferrovie.
[panel]Siti di interesse nazionale ai fini della bonifica ai sensi del D.Lgs. 152/2006
Le Officine Grandi Riparazioni delle FF.SS. di Bologna è uno dei siti di interesse nazionale ai fini della bonifica Art. 252 c. 2bis del D.Lgs. 152/2006.
1. Siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantita' e pericolosita' degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonche' di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali.
2. All'individuazione dei siti di interesse nazionale si provvede con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con le regioni interessate, secondo i seguenti principi e criteri direttivi: a) gli interventi di bonifica devono riguardare aree e territori, compresi i corpi idrici, di particolare pregio ambientale; b) la bonifica deve riguardare aree e territori tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; c) il rischio sanitario ed ambientale che deriva dal rilevato superamento delle concentrazioni soglia di rischio deve risultare particolarmente elevato in ragione della densita' della popolazione o dell'estensione dell'area interessata; d) l'impatto socio economico causato dall'inquinamento dell'area deve essere rilevante; e) la contaminazione deve costituire un rischio per i beni di interesse storico e culturale di rilevanza nazionale; f) gli interventi da attuare devono riguardare siti compresi nel territorio di piu' regioni. f-bis) l'insistenza, attualmente o in passato, di attivita' di raffinerie, di impianti chimici integrati o di acciaierie
2-bis. Sono in ogni caso individuati quali siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, i siti interessati da attivita' produttive ed estrattive di amianto.
Legge di Bilancio 2018 (Legge 27 dicembre 2017, n. 205, G.U. n.302 del 29-12-2017 - Suppl. Ordinario n. 62) ... 245. Ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in considerazione della rilevanza del rischio sanitario e ambientale derivante dalla presenza di amianto, confermata anche da evidenze epidemiologiche, il sito Officina Grande Riparazione ETR di Bologna e' qualificato come sito di interesse nazionale. Agli interventi urgenti di competenza pubblica di messa in sicurezza dell'area e' destinata la somma di 1.000.000 di euro per l'anno 2018 a valere sull'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 476, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Con decreto da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede alla perimetrazione del sito di interesse nazionale. All'articolo 1, comma 476, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, le parole: «di bonifica e messa in sicurezza» sono sostituite dalle seguenti: «urgenti di messa in sicurezza e bonifica, per garantire la maggior tutela dell'ambiente e della salute pubblica,».
Fig. 3 - Officine Grandi Riparazioni delle FF.SS. di Bologna (sito di interesse nazionale ai fini della bonifica Art. 252 c. 2bis del D.Lgs. 152/2006)[/panel]
[panel]Studi recenti e possibili ricadute (Merler)
La segnalazione di un aumento del rischio di mesoteliomi nel settore ferroviario in Italia ha inizio, nella letteratura pubblicata, con lo studio di C. Magnani e coll., pubblicato su La Medicina del Lavoro, (Magnani C e coll, 1986), sugli addetti dell’Officina Grandi Riparazioni (OGR) delle Ferrovie dello Stato di Foligno. In questa OGR si effettuava la grande riparazione di locomotori elettrici.
Il dr. B. Deidda, Pubblico Ministero al Tribunale di Firenze, nell’ambito di un procedimento a carico i responsabili delle FFSS, richiede di svolgere un approfondimento sulla presenza di casi di mesotelioma emersi in Italia in dipendenti FFSS o di ditte del comparto ferroviario (1989). A quella data non era ancora stato attivato il Registro Nazionale dei Mesoteliomi. I risultati sono pubblicati su Rassegna di Medicina dei Lavoratori (Merler E e coll. 1990,1991).
Vengono presentati:
a) i siti produttivi che hanno effettuato, per conto delle FFSS, attività di costruzione o manutenzione ferroviaria (motrici e carrozze) in Italia e le strutture produttive delle FFSS che sono state coinvolte nelle attività della grande riparazione. b) una prima valutazione su casi di mesotelioma già insorti negli addetti, rilevando una dimensione non sospettata della gravità e diffusione del rischio.
Negli anni successivi allo studio di Magnani e coll. sono pubblicati numerosi studi di coorti su addetti di diversi siti produttivi dove si svolgeva la costruzione o riparazione di mezzi ferroviari. In aggiunta sono presentate segnalazioni di casi di mesotelioma in persone che hanno lavorato per questo settore produttivo (Maltoni C. e coll, 1989, 1991, 1995). Vengono avviate attività di sorveglianza su questi luoghi di lavoro per effetto del coinvolgimento delle strutture del Servizio Sanitario Nazionale (Servizi di Prevenzione di numerose AULSS). Le Ferrovie dello Stato erano autorizzate per legge ad una gestione separata e autonoma della legislazione di protezione dei rischi di infortunio e malattie da lavoro, che organizzavano attraverso un proprio Servizio sanitario aziendale. La «questione amianto» viene progressivamente affrontata da parte delle FFSS - coinvolgendo enti (Università) e consulenti esterni (ad es. prof. B. Terracini, G. Chiappino, M. Governa) - e, negli anni successivi, con una riorganizzazione delle modalità di lavoro attuata attraverso:
- la decisione di eliminare l’uso dell’amianto per la coibentazione delle scocche (1980); - la decisione di decoibentare tutto il «parco rotabili» affidando il lavoro a ditte esterne; il censimento del «parco rotabili» per quanto riguarda la presenza di coibentazioni in amianto (1983); - la predisposizione di modalità di lavoro protette nelle attività di decoibentazione svolte attraverso appalti commissionati dalle FFSS e nelle attività svolte in proprio.
Questioni da considerare
1. I capitolati delle FFSS richiedevano che la coibentazione a spruzzo fosse svolta utilizzando amianto del tipo commerciale crocidolite; sono stati suggeriti dubbi che crocidolite sia stata sempre effettivamente usata.
2. La produzione e grande riparazione di mezzi ferroviari è svolta da siti produttivi complessi, con impiego di tecnologie (es. saldatura) e materiali (es. vernici) che possono essere causa di altri rischi per la salute degli addetti e anche di altri rischi cancerogeni. La riflessione su altri rischi è rimasta inadeguata.
3. I livelli di esposizione ad amianto determinati dalle attività di coibentazione e scoibentazione non sono stati adeguatamente misurati durante lo svolgimento delle attività. La validità delle ricostruzioni retrospettiche è discutibile.
4. L’ampio uso di coibentazioni in amianto sui mezzi ferroviari ha allargato il rischio di mesotelioma al di là degli addetti degli impianti di produzione. La dimensione di questi rischi, per il passato e prospetticamente, rimane aperta: - la coibentazione veniva svolta da addetti di ditte esterne (es. Davidson, SIRI) - ha coinvolto il personale viaggiante delle FFSS - ha coinvolto familiari degli addetti agli impianti di costruzione e manutenzione - ha coinvolto utilizzatori «frequenti» dei treni coibentati - ha coinvolto residenti vicini alle linee ferroviarie (dispersione di amianto sulle massicciate)
5. In diversi studi di coorte emerge un aumentato rischio di tumori polmonari. Non sono adeguatamente affrontate in Italia le questioni legate alla sorveglianza sanitaria degli exesposti per quanto riguarda l’identificazione precoce dei tumori polmonari e il loro riconoscimento assicurativo.
6. Sono stati svolti diversi procedimenti giudiziari per valutare la responsabilità penale di responsabili aziendali e di medici di azienda. Alcune sentenze sono passate in giudicato. Quanto emerso nelle aule di tribunale meriterebbe alcune riflessioni.[/panel]
[alert]Studio epidemiologico mortalità asbesto-correlato OGR Bologna - AUSL Bo 2017
Depositi: Attività n. 70 D.P.R. 151/2011 (ex attività n. 88 DM 1982)
Documento completo allegato relativo all'attività n. 70 del DPR 151/2011: Depositi e prevenzione Incendi - Assoggettabilità
[panel] I locali adibiti a depositi di materiali combustibili, possono essere soggetti a Controllo di Prevenzione Incendi ai sensi del DPR 151/2011 come attività n. 70, al verificarsi contemporaneamente delle due condizioni:
1. Superficie lorda locali > 1000 m2 2. Quantitativi di merci e materiali combustibili > 5000 Kg
Con le categorie:
Cat A: --- Cat B: fino a 3.000 m2 Cat C: oltre 3.000 m2
E' da evidenziare il contesto dei locali del deposito facenti parte di attività di lavorazione già soggetta come attività principale a Controlli di Prevenzione Incendi, a seguire casi e quesiti VVF in merito. [/panel] _______
Prima dell'entrata in vigore del DPR 151/2011 l'attività soggetta a deposito era la n. 88 del DM 16 Febbraio 1982, cosi definita:
Attività n. 88 DM 16 Febbraio 1982 Locali adibiti a depositi di merci e materiali vari con superficie lorda superiore a 1.000 mq
Con il D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 è stato introdotto un secondo valore discriminante relativo al peso delle merci e materiali combustibili presenti nel "deposito", con la soglia di 5.000 kg al fine della valutazione dell'assoggettabilità ai controlli di prevenzione incendi:
Attività n. 70 DPR 151/2011 Locali adibiti a depositi di superficie lorda superiore a 1000 m2 con quantitativi di merci e materiali combustibili superiori complessivamente a 5.000 kg.
Locali adibiti a depositi di superficie lorda superiore a 1.000 m2 con quantitativi di merci e materiali combustibili superiori complessivamente a 5.000 kg
---
Fino a 3.000 m2
Oltre 3.000 m2
Equiparazione con le attività di cui all’allegato ex DM 16/02/82
88
Locali adibiti a depositi di merci e materiali vari con superficie lorda superiore a 1.000 mq
Principali differenze fra le attività di equiparazione
La nuova attività, per l’assoggettamento ai controlli di prevenzione incendi, fissa, a parità di superficie, un quantitativo minimo di merci e materiali combustibili pari a 5.000 kg.
Requisiti di superficie locali e quantità merci L'attività di cui al punto 70 dell'allegato al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 sussiste quando siano riscontrabili nel locale, contemporaneamente, una superficie di deposito superiore a 1.000 mq e la presenza di materiali combustibili in quantità superiore a 5.000 kg.
Superificie Lorda Per superficie lorda si intende quanto definito nel D.M. 30 novembre 1983.
1.13 - Superficie totale di un compartimento Superficie in pianta compresa entro il perimetro interno delle pareti delimitanti il compartimento.
- lex specialis derogat generali- [/box-info]
Deposito: nota rilevante
Nota prot. n° P500/4147 sott. 4 del 12 maggio 2004
In relazione a quanto richiesto …, fermo restando che determinate tipologie di deposito o lavorazioni sono soggette in base ai quantitativi di materiali "prodotti, impiegati o detenuti" e non in base alla estensione della superficie, si condivide il parere da codesta Direzione Regionale.
Si ritiene, tuttavia, che la "tipologia B" possa essere ascrivibile al punto 88 dell'elenco allegato al D.M. 16 febbraio 1982 qualora l'attività preminente sia il deposito rispetto alla lavorazione.
Il quesito schematizza tre casi tipo di locali adibiti a deposito, che ricorrono frequentemente nell'ambito dell'attività di Prevenzione Incendi, che si riportano di seguito.
A. Locale adibito a lavorazione non costituente attività soggetta (es. tomaifici, calzaturifici inferiori a 25 addetti, ecc.) ma di superficie lorda superiore a 1000 m2 e con il materiale utilizzato sparso su tutta l'area di lavorazione, con quantitativi comunque inferiori ai limiti stabiliti ai fini dell'individuazione di altri codici di attività.
Risposta: Le attività di tipologia A non sono ascrivibili al punto 88, in quanto l'area di lavorazione del materiale non è assimilabile a "locale adibito a deposito di merci e materiali vari"
B. Presenza, all'interno del locale di superficie superiore a 1000 m2 come definito al punto A), di un locale adibito a deposito di merce e materiale vario di superficie inferiore a 1000 m2. Non compartimentato.
Risposta: Le attività di tipologia B può essere ascrivibile al punto 88 dell'elenco allegato al DM 16/2/1982 qualora l'attività preminente sia il deposito rispetto alla lavorazione;
C. Presenza, all'interno del locale di superficie superiore 1000 m2 come al punto A), di un locale adibito a deposito di merce e materiale vario di superficie inferiore a 1000 m2, compartimentato con strutture di separazione e comunicazione di adeguate caratteristiche di resistenza al fuoco commisurate con il carico d'incendio.
Risposta: Le attività di tipologia C non sono ascrivibili al punto 88, in quanto, in questo caso, la "superficie lorda", costituita dal solo locale deposito, è minore di 1000 m2.
____________
F.A.Q. di Prevenzione Incendi - Attività Soggette
Attività 70: Depositi di superficie > 1000 m2 con quantità di merci e materiali combustibili > 5.000 kg .
Domanda:
I locali come le stalle o i capannoni per l'allevamento di polli rientrano al punto 70 dell'allegato I al D.P.R. 151/11?
Risposta:
I locali per il ricovero o l'allevamento di animali non sono da considerare locali adibiti a deposito così come definiti al punto 70 dell'allegato I al D.P.R. 151/11. Ai fini dell'assoggettabilità ai controlli di prevenzione incendi, occorrerà, in ogni caso, valutare l'eventuale presenza di impianti per la produzione di calore a servizio di detti locali così come descritti al punto 74, nonché di altre eventuali attività elencate nello stesso allegato.
Pubblicato il 20/02/2013
Domanda:
Un'attività di collaudo e/o revisione veicoli è da considerarsi soggetta ai controlli di prevenzione incendi ai sensi del D.P.R. 151/11.
Risposta:
Se nell'attività non è presente l'officina per la riparazione ed i veicoli rimangono unicamente per il tempo necessario al collaudo o alla revisione, l'attività non si configura tra quelle soggette ai controlli di prevenzione incendi.
Pubblicato il 20/02/2013
Domanda:
Un capannone con superficie 1500 mq suddiviso REI 120 in due locali con quantitativi di merci e materiali combustibili superiori complessivamente a 5000 kg si configura 70.1.B?
Risposta:
Un deposito ricade nel punto 70 dell'allegato I al D.P.R. 151/11 se la sua superficie lorda supera i 1000 mq e se le merci e i materiali detenuti sono combustibili e in quantitativi superiori complessivamente a 5.000 kg. In linea generale, i locali possono considerarsi indipendenti se non sono presenti comunicazioni e se sono separati con strutture di adeguata resistenza al fuoco.
Pubblicato il 18/02/2013
Domanda:
Un deposito di una ditta di trasporti, principalmente destinato allo stoccaggio di materiale elettromedicale e d'informatica (stampanti, tac, router, server, etc.) di 4000 mq (e 500 mq di uffici), rientra nelle attività soggette a prevenzione incendi e, in caso affermativo, in quale attività rientra?
Risposta:
Qualora non venga effettuata anche attività di vendita, un deposito ricade nel punto 70 dell'allegato I al D.P.R. 151/11 se la sua superficie lorda supera i 1000 mq e se le merci e i materiali detenuti sono combustibili e in quantitativi superiori complessivamente a 5.000 kg.
Pubblicato il 18/02/2013
Domanda:
Con riferimento all'attività indicata al punto 70 dell'allegato I al D.P.R. 151/11, cosa si intende per merci e materiali combustibili?
Risposta:
Ai fini dell'individuazione della combustibilità delle merci e materiali detenuti, funzione delle caratteristiche fisico-chimiche del materiale, occorre fare riferimento alle schede tecniche e merceologiche ovvero ai dati desumibili da letteratura tecnica.
Pubblicato il 18/02/2013
Domanda:
Un deposito di farina in sacco e altri prodotti alimentari confezionati, di superficie di 1400 mq, compresi gli uffici senza lavorazioni, con stoccaggio medio di 2.000/3.000 q.li e con personale impiegato di 3 unità configura una attività compresa nel D.P.R. 151/2011?
Risposta:
Per il deposito di cereali, si configura l'attività 27.C del D.P.R. 151/2011.
Pubblicato il 19/12/2012
Domanda:
Una attività per il riciclo di apparecchiature elettriche e/o elettroniche nella quale si effettua smontaggio e recupero, senza lavorazioni con sostanze pericolose, senza lavorazioni a caldo, con superficie coperta di 2000 mq e con meno di 5.000 kg di materiali combustibili in ciclo di lavorazione e/o in deposito potrebbe rientrare tra le attività di cui al D.P.R. 151/2011?
Risposta:
Una attività così come rappresentata, e caratterizzata dalla presenza di materiali combustibili in quantità inferiore a 5.000 kg, non rientra fra quelle ricomprese dall'allegato al D.P.R. 151/2011.
Pubblicato il 19/12/2012
Domanda:
Gli stoccaggi di pneumatici usati che superano i limiti di superficie (1.000 mq) e di peso (5.000 Kg) rientrano al nr. 70 dell'allegato al D.P.R. 151/2011?
Risposta:
Nel caso di locali adibiti deposito al chiuso, di superficie superiore a 1.000 mq, contenenti più di 5.000 kg di materiali combustibili, si configura l'attività 70 dell'allegato suddetto.
Pubblicato il 19/12/2012
Domanda:
Con riferimento alla attività 70 dell'allegato al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, i requisiti di superficie (1000 mq) e di stoccaggio (5000 kg) sembra siano da considerarsi complementari e non alternativi. Nello specifico, un deposito di dolciumi da 580 mq lordi - compresi servizi - in cui sono stoccati 55.000 kg di caramelle circa e 4.500 kg di imballaggi - cartone - ricade nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi?
Risposta:
L'attività di cui al punto 70 dell'allegato al d.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 sussiste quando siano riscontrabili nel locale, contemporaneamente, una superficie di deposito superiore a 1.000 mq e la presenza di materiali combustibili in quantità superiore a 5.000 kg.
Pubblicato il 28/02/2012
Domanda:
Come va intesa la superficie lorda dell'attività, con riferimento al punto 70 dell'allegato al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151?
Risposta:
Per superficie lorda si intende quanto definito nel d.m. 30 novembre 1983.
Pubblicato il 19/01/2012
Domanda:
Un'attività in precedenza inquadrata al punto 88 del D.M. 16 febbraio 1982, in quanto locale adibito al deposito di materiale vario con superficie superiore a 1000 mq, in possesso di regolare CPI in corso di validità, ha diminuito ad oggi i quantitativi in deposito ad una quantità inferiore a 5000 kg. Si chiede di conoscere se l'attività sia in tal modo ancora assoggettata ai controlli di prevenzione incendi.
Risposta:
Con il nuovo D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 è stato introdotto l'ulteriore parametro di 5.000 kg al fine della valutazione dell'assoggettabilità ai controlli di prevenzione incendi. L'attività in oggetto, pertanto, fermi restando gli obblighi in materia di sicurezza antincendio, non è più soggetta ai controlli di prevenzione incendi cui al D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, salvo che non venga superata la suddetta soglia di materiale combustibile.
Raccomandazioni circa l'impiego degli estintori portatili nell'attività formativa
Circolare Prot. n. 11197 del 14/08/2018
Oggetto: Attività di accertamento dell'idoneità tecnica per i lavoratori incaricati di attuare le misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro - Raccomandazioni circa l'impiego di estintori portatili
Con riferimento ad un recente infortunio occorso ad un operatore VF durante una prova di spegnimento tenutasi all'interno di una sede VF per la necessità di cui all'oggetto, si ritiene opportuno formulare alcune considerazioni circa l'impiego degli estintori portatili, notoriamente messi a disposizione dai soggetti del corso o degli esami erogati dal Comando.
Premesso quanto sopra, si specifica che i soggetti fornitori di estintori portatili sono in dovere di assicurare presidi idonei, pienamente funzionanti e dotati di tutte le certificazioni e documentazioni previste per legge. Non va trascurato inoltre che detti dispositivi sono soggetti a ripetuti utilizzi con frequenze di scariche e ricariche molto elevate ed un'usura sicuramente riferibile più ad un'attrezzatura di lavoro che ad un presidio antincendio. Per tale ragione si evidenzia la possibilità di richiedere estintori caratterizzati da minori pressioni di esercizio, ad esempio gli estintori a base d'acqua, al fine di minimizzare le conseguenze di un eventuale malfunzionamento per una eccessiva usura del dispositivo.
Al momento del ricevimento degli estintori la Commissione d'esame o gli incaricati della lezione, dovranno eseguire le seguenti operazioni preliminari:
[alert]1. Verificare che le iscrizioni sull'etichetta dell'estintore siano presenti e ben leggibili;
2. Verificare che l'estintore non abbia superato la vita utile ammissibile (18 anni dalla data di produzione rinvenibile sui dati punzonati sul serbatoio).
3. Per gli estintori immessi sul mercato a partire dal 29 maggio 2002, verificare la presenza e la leggibilità della marcatura CE relativa agli aspetti di sicurezza delle apparecchiature a pressione (requisiti PED)
4. Verificare a vista che gli estintori siano integri e non presentino e non presentino segni di deterioramento in alcuna parte del dispositivo (assenza di segni di ruggine o tracce di corrosione, integrità della manichetta e dell'eventuale cono di espansione, assenza di sconnessioni o incrinature delle tubazioni flessibili...)
5. Verificare a vista il corretto accoppiamento della manichetta con il cono erogatore (se presente)
6. Verificare a vista il corretto accoppiamento della manichetta con la valvola di comando
7. Verificare che l'indicatore di pressione, se presente, indichi di un valore compreso all'interno del campo verde
8. Verificare la presenza del sigillo sul dispositivo di sicurezza della valvola di azionamento dell'estintore.[/alert]
Inoltre, all'atto della richiesta del corso o dell'accertamento finale, il fornitore degli estintori dovrà presentare al Comando una dichiarazione in cui esprime che i presidi messi a disposizione sono conformi al prototipo omologato (art. 8 comma 1 lett. c) del D.M. 7 gennaio 2005) e che sono stati sottoposti a corretta manutenzione (art. 4 comma 2 del D.M. 7 gennaio 2005).
2. L’estintore in esercizio deve essere mantenuto in efficienza mediante verifiche periodiche da parte di personale esperto come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, dal decreto del Ministro dell’interno 10 marzo 1998 e secondo le procedure indicate dalla norma UNI 9994 sulla base delle indicazioni di uso e manutenzione riportate sul libretto di cui all’art. 3, lettera g).
Art. 8 Obblighi e responsabilita' per il produttore
1. Il produttore e' tenuto, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, alla osservanza dei seguenti adempimenti: a) garantire, per la caratterizzazione antincendio, la conformita' della produzione al prototipo omologato mediante un sistema di controllo di produzione; b) impiegare nella produzione materiali, componenti e accoppiamenti conformi alla direttiva 97/23/ CE attuata con decreto legislativo n. 93/2000; c) emettere per ogni estintore portatile d’incendio la dichiarazione di conformita' di cui all’art. 3, lettera f); d) fornire a corredo di ogni esemplare il libretto uso e manutenzione di cui all’art. 3, lettera g); e) punzonare sull’estintore portatile d’incendio l’anno di costruzione, il numero di matricola progressivo ed il codice costruttore.[/panel]
Lavoratrici madri: Quadro normativo | Check list | DVR
ID 6055 | Scheda 29.04.2018 | (!) In aggiornamento
La tutela delle lavoratrici madri è normata dal D.Lgs.151/2001 e D.Lgs.81/08. Il D.Lgs.151/2001 è il testo unico per la tutela della maternità e paternità, che riporta al suo interno anche articoli relativi alla salute e sicurezza sul lavoro delle lavoratrici madri, con la menzione della Valutazione dei Rischi, le lavorazioni vietate o limitate di cui agli Allegati A, B, C. Il D.Lgs. 81/2008 completa il quadro normativo relativo alla salute e sicurezza delle lavoratrici in stato di gravidanza menzionando direttamente le "lavoratrici in stato di gravidanza" all'articolo cardine del TUS, Art. 28 (Oggetto della valutazione dei rischi) e altri di seguito riportati.
Il testo unico D.Lgs.151/2001 disciplina i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternita' e paternita' di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonche' il sostegno economico alla maternita' e alla paternita'.
Esso ha abrogato il D.Lgs. 25 novembre 1996 n. 645 Recepimento della direttiva 92/85/CEE concernente il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (GU n. 299 del 21 dicembre 1996)
[alert] Il Capo II del D.Lgs.151/2001 stabilisce le modalità operative al fine di garantire la tutela della sicurezza e della salute della lavoratrice durante il periodo di gravidanza e fino a 7 mesi di età del figlio, definendo altresì ruoli e competenze di 3 soggetti fondamentali:
- Lavoratrice È oggetto della tutela. Per condizioni di rischio lavorativo deve informare il Datore di lavoro del proprio stato di gravidanza, al fine dell'attivazione delle misure di tutela conseguenti ed ottenere i diritti previsti dalla Legge. Per la presenza di gravi complicanze della gestazione, (ovvero) di pre-esistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza, può presentare istanza al Distretto Socio Sanitario territorialmente competente.
- Datore di lavoro È responsabile della tutela della sicurezza e della salute della lavoratrice;
Ha l'obbligo di valutare preventivamente, con il concorso del Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione dai rischi (RSPP), medico competente e Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), i rischi presenti nell'ambiente di lavoro, tenendo conto anche della possibilità della presenza di lavoratrici gestanti, puerpere o in allattamento;
In esito alla valutazione dei rischi definisce le condizioni di lavoro eventualmente non compatibili con lo stato di gravidanza-puerperio-allattamento e le misure di prevenzione e di protezione che intende adottare a tutela delle lavoratrici madri, informando le lavoratrici ed il RLS.
- Servizio Ispettivo dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro è informato sui provvedimenti di cambio mansione adottati dal Datore di lavoro in situazione di lavori vietati o comunque ritenuti pregiudizievoli, in base alla valutazione dei rischi, per la sicurezza e la salute della lavoratrice.[/alert]
Comunicazione al DL
La tutela delle lavoratrici madri parte dal presupposto che la lavoratrice informi il datore di lavoro circa il proprio stato di gravidanza. Senza tale informazione, visto che correttamente è vietata la visita medica da parte del datore di lavoro per l’accertamento dello stato di gravidanza, non possono essere avviate le attività di valutazione dei rischi sulla lavoratrice e la mansione che essa svolge.
Qualora la mansione della lavoratrice preveda l’esposizione ad almeno uno dei predetti fattori di rischio, il datore di lavoro è tenuto a modificare la mansione al fine di eliminare l’esposizione; qualora il cambio di mansione non sia possibile è prevista l’anticipazione del periodo di interdizione.
Il presente articolo si vuole soffermare sull’informazione che la lavoratrice deve fornire al datore di lavoro circa il suo stato di gravidanza.
Con l’introduzione del DL 69/2013 convertito in legge n. 98/2013 ed in particolare con l’articolo 34 del Decreto del Fare, entrato in vigore il 20 agosto 2013 è stato stabilito che la comunicazione dello stato di gravidanza della donna lavoratrice sarà un obbligo del medico curante. Così come tutti gli adempimenti fino ad ora a carico: il certificato di gravidanza con annessa data presunta del parto, la certificazione relativa alla nascita del bambino e nel caso, quella di interruzione di gravidanza, dovranno essere trasmesse telematicamente dal medico.
Il certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, dovrà essere inviato all’INPS esclusivamente in via telematica direttamente dal medico del SSN o con esso convenzionato.
Con circolare n.82 del 4 maggio 2017 sono state pubblicate da Inps le indicazioni per la trasmissione telematica dei certificati e sulla procedura creata in ottemperanza al Decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179 che ha modificato l’art. 21 del Decreto legislativo n. 151/2001.
Le suddette disposizioni non apportano alcuna modifica all’obbligo, per la lavoratrice, di consegnare al proprio datore di lavoro:
- Entro 2 mesi antecedenti la data presunta del parto, il certificato medico indicante la data presunta del parto (art 21, comma 1, D.Lgs. n. 151/2011); - Entro i 30 giorni successivi al parto, il certificato di nascita del figlio ovvero la dichiarazione sostitutiva (art. 21, comma 2, D.Lgs. 151/2011)
Interdizione o astensione dal lavoro
In situazione di lavori vietati o comunque ritenuti pregiudizievoli per la sicurezza e la salute della lavoratrice, e nella impossibilità di cambio mansione dichiarata dal Datore di lavoro, può disporre l'interdizione anticipata al lavoro per la lavoratrice sino al termine del congedo di maternità (3 mesi dopo il parto) oppure, per particolari condizioni lavorative, sino a 7 mesi dopo il parto.
Il D.Lgs.151/2001 con gli Artt. 7 (Lavori vietati) e 11 (Valutazione dei rischi), elenca negli Allegati A, B, C i lavori vietati o limitati.
Vedi il testo consolidato ... Art. 6 Tutela della sicurezza e della salute (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 1; legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 9)
1. Il presente Capo prescrive misure per la tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di eta' del figlio, che hanno informato il datore di lavoro del proprio stato, conformemente alle disposizioni vigenti, fatto salvo quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 8.
2. La tutela si applica, altresi', alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento, fino al compimento dei sette mesi di eta'.
3. Salva l'ordinaria assistenza sanitaria e ospedaliera a carico del Servizio sanitario nazionale, le lavoratrici, durante la gravidanza, possono fruire presso le strutture sanitarie pubbliche o private accreditate, con esclusione dal costo delle prestazioni erogate, oltre che delle periodiche visite ostetrico-ginecologiche, delle prestazioni specialistiche per la tutela della maternita', in funzione preconcezionale e di prevenzione del rischio fetale, previste dal decreto del Ministro della sanita' di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, purche' prescritte secondo le modalita' ivi indicate.
Art. 7. Lavori vietati (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 3, 30, comma 8, e 31, comma 1; decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 3; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 12, comma 3)
1. E' vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonche' ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri. I lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono indicati dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, riportato nell'allegato A del presente testo unico. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanita' e per la solidarieta' sociale, sentite le parti sociali, provvede ad aggiornare l'elenco di cui all'allegato A.
2. Tra i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono inclusi quelli che comportano il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro, indicati nell'elenco di cui all'allegato B.
3. La lavoratrice e' addetta ad altre mansioni per il periodo per il quale e' previsto il divieto.
4. La lavoratrice e', altresi', spostata ad altre mansioni nei casi in cui i servizi ispettivi del Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna.
5. La lavoratrice adibita a mansioni inferiori a quelle abituali conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonche' la qualifica originale. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora la lavoratrice sia adibita a mansioni equivalenti o superiori.
6. Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio, puo' disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui al presente Capo, in attuazione di quanto previsto all'articolo 17.
7. L'inosservanza delle disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3 e 4 e' punita con l'arresto fino a sei mesi.
Art. 8. Esposizione a radiazioni ionizzanti (decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, art. 69)
1. Le donne, durante la gravidanza, non possono svolgere attivita' in zone classificate o, comunque, essere adibite ad attivita' che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda un millisievert durante il periodo della gravidanza.
2. E' fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, non appena accertato.
3. E' altresi' vietato adibire le donne che allattano ad attivita' comportanti un rischio di contaminazione. ... Art. 11. Valutazione dei rischi (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 4)
1. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 7, commi 1 e 2, il datore di lavoro, nell'ambito ed agli effetti della valutazione di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, valuta i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in particolare i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all'allegato C, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell'Unione europea, individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare.
2. L'obbligo di informazione stabilito dall'articolo 21 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, comprende quello di informare le lavoratrici ed i loro rappresentati per la sicurezza sui risultati della valutazione e sulle conseguenti misure di protezione e di prevenzione adottate.
Art. 12. Conseguenze della valutazione (decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645, art. 5)
1. Qualora i risultati della valutazione di cui all'articolo 11, comma 1, rivelino un rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, il datore di lavoro adotta le misure necessarie affinche' l'esposizione al rischio delle lavoratrici sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l'orario di lavoro.
2. Ove la modifica delle condizioni o dell'orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro applica quanto stabilito dall'articolo 7, commi 3, 4 e 5, dandone contestuale informazione scritta al servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, che puo' disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui all'articolo 6, comma 1, in attuazione di quanto previsto all'articolo 17.
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 trovano applicazione al di fuori dei casi di divieto sanciti dall'articolo 7, commi 1 e 2.
4. L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1 e' punita con la sanzione di cui all'articolo 7, comma 7. ...
Art. 16 Divieto di adibire al lavoro le donne (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4, comma 1 e 4)
1. E' vietato adibire al lavoro le donne:
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo 20; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'articolo 20; d) durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta.
Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternita' dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi.
1-bis. Nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall'inizio della gestazione, nonche' in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternita', le lavoratrici hanno facolta' di riprendere in qualunque momento l'attivita' lavorativa, con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla loro salute.
Art. 17 Estensione del divieto (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 4, commi 2 e 3, 5, e 30, commi 6, 7, 9 e 10)
1. Il divieto e' anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all'emanazione del primo decreto ministeriale, l'anticipazione del divieto di lavoro e' disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio.
2. La Direzione territoriale del lavoro e la ASL dispongono, secondo quanto previsto dai commi 3 e 4, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza fino al periodo di astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'articolo 16 o fino ai periodi di astensione di cui all'articolo 7, comma 6, e all'articolo 12, comma 2, per uno o piu' periodi, la cui durata sara' determinata dalla Direzione territoriale del lavoro o dalla ASL per i seguenti motivi:
a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza; b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino; c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.
3. L'astensione dal lavoro di cui alla lettera a) del comma 2 e' disposta dall'azienda sanitaria locale, con modalita' definite con Accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, secondo le risultanze dell'accertamento medico ivi previsto. In ogni caso il provvedimento dovra' essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza della lavoratrice.
4. L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) del comma 2 e' disposta dalla Direzione territoriale del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, qualora nel corso della propria attivita' di vigilanza emerga l'esistenza delle condizioni che danno luogo all'astensione medesima.
5. I provvedimenti previsti dai presente articolo sono definitivi.
Art. 21. Documentazione (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 4, comma 5, e 28)
1. Prima dell'inizio del periodo di divieto di lavoro di cui all'articolo 16, lettera a), le lavoratrici devono consegnare al datore di lavoro e all'istituto erogatore dell'indennita' di maternita' il certificato medico indicante la data presunta del parto. La data indicata nel certificato fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione.
Art. 53. Lavoro notturno (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 5, commi 1 e 2, lettere a) e b))
1. E' vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di eta' del bambino.
2. Non sono obbligati a prestare lavoro notturno: a) la lavoratrice madre di un figlio di eta' inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;
b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di eta' inferiore a dodici anni;
b-bis) la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di eta' o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa.
3. Ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903, non sono altresi' obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.
Capo IX Divieto d i licenziamento, dimissioni e diritto al rientro
Ar t. 54 Divieto di licenziamento (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 2, commi 1, 2, 3, 5, e art. 31, comma 2; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-bis, comma 4; decreto legislativo 9 settembre 1994, n. 566, art. 2, comma 2; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 18, comma 1)
1. Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonche' fino al compimento di un anno di eta' del bambino.
2. Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, e' tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
3. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso: a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) di cessazione dell'attivita' dell'azienda cui essa e' addetta; c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice e' stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.
4. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non puo' essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attivita' dell'azienda o del reparto cui essa e' addetta, sempreche' il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non puo' altresi' essere collocata in mobilita' a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, salva l'ipotesi di collocamento in mobilita' a seguito della cessazione dell'attivita' dell'azienda di cui al comma 3, lettera b).
5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, e' nullo.
6. E' altresi' nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.
7. In caso di fruizione del congedo di paternita', di cui all'articolo 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di eta' del bambino. Si applicano le disposizioni del presente articolo, commi 3, 4 e 5.
8. L'inosservanza delle disposizioni contenute nel presente articolo e' punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni. Non e' ammesso il pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
9. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di licenziamento si applica fino ad un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. In caso di adozione internazionale, il divieto opera dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando, ai sensi dell'articolo 31, terzo comma, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, ovvero della comunicazione dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento.[/panel] _________
[panel]D.Lgs. 81/2008 articoli relativi alle lavoratrici in stato di gravidanza.
Art. 28 Oggetto della valutazione dei rischi
1. La valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei miscele chimiche impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. ...
Art. 41 Sorveglianza sanitaria
Le visite mediche di cui al comma 2 non possono essere effettuate: ... c. 3 b) per accertare stati di gravidanza ... Titolo VIII AGENTI FISICI
Art. 182. Disposizioni miranti ad eliminare o ridurre i rischi
1. Tenuto conto del progresso tecnico e della disponibilità di misure per controllare il rischio alla fonte, i rischi derivanti dall'esposizione agli agenti fisici sono eliminati alla fonte o ridotti al minimo. La riduzione dei rischi derivanti dall'esposizione agli agenti fisici si basa sui principi generali di prevenzione contenuti nel presente decreto.
2. In nessun caso i lavoratori devono essere esposti a valori superiori ai valori limite di esposizione definiti nei capi II, III, IV e V. Allorché, nonostante i provvedimenti presi dal datore di lavoro in applicazione del presente capo i valori limite di esposizione risultino superati, il datore di lavoro adotta misure immediate per riportare l'esposizione al di sotto dei valori limite di esposizione, individua le cause del superamento dei valori limite di esposizione e adegua di conseguenza le misure di protezione e prevenzione per evitare un nuovo superamento.
Art. 183 Lavoratori particolarmente sensibili
1. Il datore di lavoro adatta le misure di cui all'articolo 182 alle esigenze dei lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio, incluse le donne in stato di gravidanza ed i minori.
Art. 190 Valutazione del rischio
1. Nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 181, il datore di lavoro valuta l'esposizione dei lavoratori al rumore durante il lavoro prendendo in considerazione in particolare: ... c) tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rumore, con particolare riferimento alle donne in gravidanza e i minori;
Art. 202 Valutazione dei rischi
1. Nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 181, il datore di lavoro valuta e, quando necessario, misura, i livelli di vibrazioni meccaniche cui i lavoratori sono esposti. ... 5. Ai fini della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro tiene conto, in particolare, dei seguenti elementi:
c) gli eventuali effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio con particolare riferimento alle donne in gravidanza e ai minori;
ALLEGATO IV REQUISITI DEI LUOGHI DI LAVORO ... 1.11.4. Le donne incinte e le madri che allattano devono avere la possibilità di riposarsi in posizione distesa e in condizioni appropriate.
ALLEGATO XLVI Elenco degli agenti biologici classificati ... 2. La classificazione degli agenti biologici si basa sull'effetto esercitato dagli stessi su lavoratori sani. Essa non tiene conto dei particolari effetti sui lavoratori la cui sensibilità potrebbe essere modificata, da altre cause quali malattia preesistente, uso di medicinali, immunità compromessa, stato di gravidanzao allattamento, fattori dei quali è tenuto conto nella sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41.[/panel]
Vedi Documento lavori vietati / Interdizione anticipato/post partum
In allegato il catalogo d’uso dei manufatti contenenti amianto tratto dal IV Rapporto del Registro Nazionale Mesoteliomi
Arpae Emilia Romagna
Questo catalogo è stato compilato raccogliendo ed ordinando tutte le notizie riguardanti la presenza/uso di amianto in comparti produttivi e prodotti. La provenienza delle notizie è molto variegata: alcuni usi dell’amianto sono provati da documenti originali (depliants o schede tecniche) di aziende produttrici. Altre segnalazioni sono state raccolte durante le interviste a persone che hanno utilizzato amianto o materiali che lo contenevano ed altre provengono dal personale del Servizio Sanitario Nazionale e delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente che si occupano dell’argomento amianto.
È opportuno far presente che la segnalazione della presenza dell’amianto non necessariamente è sinonimo di rischio di esposizione.
Di seguito il dettaglio dei singoli comparti di cui all'elenco.
Studio epidemiologico mortalità asbesto-correlato OGR Bologna
Studio epidemiologico di mortalita’ nella coorte di lavoratori dipendenti fs assegnati all’ ogr di bolognastudio epidemiologico di mortalita’ nella coorte di lavoratori dipendenti fs assegnati all’OGR di Bologna.
L'obiettivo principale dello studio è rappresentato dalla valutazione della mortalità per cause nella coorte dei lavoratori OGR nel periodo 1960-2014. Oltre a ciò, obiettivi secondari sono:
a) la valutazione della variazione per variabili temporali della mortalità per alcune cause asbesto-correlate, ed in particolare verificare l‟andamento a oltre 50 anni di latenza; b) la valutazione dei rischi nella mortalità per mansioni; c) la valutazione del rapporto tra i tassi di mortalità per tumore maligno del polmone e mesotelioma maligno della pleura
I primi casi segnalati per l‟OGR di Bologna risalgono alla metà degli anni ‟80 (16); negli anni successivi gli ulteriori casi sono stati oggetto di numerose pubblicazioni scientifiche relative ai mesoteliomi da esposizione all‟amianto presso le OGR o in generale nel settore dei trasporti ferroviari (16-23).
A partire dalla fine degli anni „80 sono pervenute alla UOPSAL città numerose segnalazioni di tumori correlati all‟esposizione ad amianto, relativi ad ex lavoratori della OGR di Bologna, con un incremento significativo dal 2010. Le dimensioni del fenomeno, le istanze dei lavoratori con le loro rappresentanze sindacali, le evidenze scientifiche precedenti, la disponibilità di una base di dati relativi ai lavoratori dipendenti FS assegnati all‟Officina Grandi Riparazioni di Bologna, l‟atteggiamento collaborativo mostrato dall‟Azienda FS, hanno portato la scrivente UO a intraprendere lo studio retrospettivo di mortalità relativo alla coorte dei dipendenti dell‟OGR di Bologna del quale di seguito si riportano gli obiettivi ed i risultati.
Dall‟integrazione delle varie fonti (libri matricola, squadrari, elenco lavoratori “progetto amianto”, documentazione utilizzata per i rapporti per malattia professionale) si è ottenuto un totale di 3636 lavoratori. L‟inizio dell‟esposizione ad amianto in OGR è riconducibile ai primi anni ‟50, ma i dati dello squadrario che contengono le informazioni sulla mansione, sono disponibili dal 01/01/1957, si è definita, quindi, quest‟ultima come data di ingresso nella coorte da studiare. L‟esposizione ad amianto si è poi protratta per anni presentandoì caratteristiche diverse in termini di numero di esposti ed intensità, con la graduale introduzione di procedure e dispositivi di protezione individuale e collettiva, fino a diventare solo occasionale e di bassa intensità dopo il 1995. Si sono arruolati, perciò, tutti i lavoratori, presenti in azienda alla data del 1/01/1957 (assunti anche prima ), ancora al lavoro al 01/01/1960, e tutti i nuovi assunti a partire da quest‟ultima data fino al 31/12/1995.
Il totale dei lavoratori oggetto dello studio è pari quindi a 3143 di cui 45 donne
Il periodo di follow-up va dal 01/01/1960 al 31/12/2014. Questo significa che per ciascun soggetto dei 3115 è stato verificato lo stato in vita a partire dal 01/01/1960 fino al 31/12/2014.
Lo studio riguarda solo i lavoratori dipendenti delle FS assegnati alla OGR di Bologna e non i dipendenti delle altre ditte che a vario titolo hanno lavorato all‟interno dello stesso impianto (ditte di coibentazione, ditte di pulizia, etc). I dipendenti di una delle ditte addette alla coibentazione dei rotabili sono stati oggetto di uno studio mirato precedente.
In definitiva la coorte in analisi è costituita da 3115 soggetti, di cui 3071 uomini e 44 donne, per un totale di 114.744,7 anni-persona calcolato come somma degli anni di lavoro dei singoli lavoratori.
Protezione dal Radon nelle abitazioni civili: la Direttiva 2013/59/Euratom
ID 5410 | 24.01.2020
Recenti risultati epidemiologici ottenuti da studi residenziali dimostrano un aumento statisticamente significativo del rischio di carcinoma polmonare correlato all'esposizione prolungata al radon in ambienti chiusi a livelli dell'ordine di concentrazione di 100 Bq/m3. Il nuovo approccio delle situazioni di esposizione permette di inglobare le disposizioni della raccomandazione 90/143/Euratom della Commissione nelle prescrizioni vincolanti delle norme fondamentali di sicurezza, lasciando un sufficiente margine di flessibilità per l'attuazione della nuova direttiva 2013/59/EURATOM.
Il Documento fornisce una panoramica sul Radon, per quanto riguarda i riferimenti alla nuova direttiva 2013/59/EURATOM su rischio esposizione nelle abitazioni civili. La Direttiva ha come termine ultimo di recepimento nell'ordinamento nazionale, il 6 febbraio 2018, in sintesi::
Importante novità nella direttiva 2013/59/Euratom è l’introduzione, per la prima volta, di obblighi per i Paesi Membri dell'Unione Europea per quanto riguarda la protezione dal radon nelle abitazioni civili, oltre all’inasprimento della normativa di protezione dal radon nei luoghi di lavoro.
La direttiva 2013/59/Euratom richiede agli Stati membri di stabilire livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni in ambienti chiusi.
[box-warning]I livelli di riferimento per la media annua della concentrazione di attività in aria, non devono essere superiori a 300 Bq/m3.[/box-warning]
[box-info]PNR: PIANO NAZIONALE RADON
Con la direttiva 2013/59/Euratom viene introdotto l’obbligo, per i Paesi Membri, di predisporre ed aggiornare periodicamente un PIANO NAZIONALE RADON, che dovrà essere inviato (con i vari aggiornamenti) alla Commissione Europea.
Il PNR consiste in un piano pluriennale per realizzare, in modo coordinato a livello nazionale, il complesso di azioni necessarie per ridurre il rischio di tumore polmonare associato all’esposizione al radon.
Dotarsi di un PNR è diventato obbligatorio per ogni Paese membro dell'UE, in base alla nuova direttiva 2013/59/Euratom in materia di radioprotezione, pubblicata il 17 gennaio 2014.
L’obbligo di monitorare il problema radon, anche alle civili abitazioni è dovuto al fatto che la presenza di radon in aria, rappresenta un serio problema per la tutela della salute in quanto si trova in natura in forma gas inerte ed è radioattivo naturale.
È un prodotto del decadimento nucleare del radio all’interno della catena di decadimento dell’uranio. Il radon è inodore, incolore e insapore, quindi non è percepibile dai nostri sensi, e se inalato, può essere molto pericoloso per la salute umana poiché le particelle alfa che lo contraddistinguono possono danneggiare il Dna delle cellule e causare l’insorgere di patologie tumorali, sopratutto in soggetti a rischio come i fumatori.
Il gas radon è presente in tutta la crosta terrestre. Si trova nel terreno e nelle rocce, in quantità variabile. Il suolo è la principale sorgente del radon che arriva in casa. I materiali edili che derivano da rocce vulcaniche (come il tufo ), estratti da cave o derivanti da lavorazioni dei terreni, sono ulteriori sorgenti di radon. All’aperto la concentrazione di radon non raggiunge mai livelli elevati ma, nei luoghi chiusi (case, uffici, scuole) può arrivare a valori che comportano un rischio rilevante per la salute dell’uomo, specie per i fumatori.
Per la maggior parte delle persone, la principale esposizione al gas radon avviene in casa, nelle abitazioni, nei luoghi di lavoro e nelle scuole, con una particolare concentrazione nelle cantine e ai piani bassi.
Il gas migra dal suolo (o dai materiali da costruzione come il tufo ) e penetra all’interno degli edifici attraverso le fessure, gli attacchi delle pareti al pavimento, i passaggi dei vari impianti (elettrico, termico, idraulico).
Il principale danno per la salute legato all’esposizione al radon nelle abitazioni è un aumento statisticamente significativo del rischio di tumore polmonare. A livello mondiale, il radon è considerato il contaminante radioattivo più pericoloso negli ambienti chiusi ed è stato valutato che il 50% circa dell’esposizione media delle persone a radiazioni ionizzanti è dovuto al radon.
[box-info]IARC: gas radon gruppo 1 sostanze cancerogene
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), attraverso l’International Agency for Research on Cancer (Iarc), ha infatti classificato il gas radon come appartenente al gruppo 1 delle sostanze cancerogene per l’essere umano.
[box-info]Il Radon (222Rn) è estremamente pericoloso poichè dovuto al fatto che essendo gassoso può facilmente spostarsi dal punto di generazione ed addirittura essere inalato all'interno dell'organismo, proseguendo la serie di decadimento dell'Uranio all'interno dei polmoni.
Chimicamente il radon è un gas nobile, incolore, inodore, insapore e quasi inerte, solo moderatamente solubile nell’acqua.
Il radon (Rn-222) è presente in tracce nel sottosuolo quasi ovunque e la sua concentrazione può variare anche di molti ordini di grandezza. Le rocce che possono emanare maggiori quantità di radon, sono quelle a maggiore contenuto d’uranio/radio (tufi, granito e porfido). Più le rocce sono permeabili o fratturate, più è favorita l’emissione del radon, mentre in una roccia compatta, il radon rimane imprigionato. Se il sottosuolo è permeabile (detriti) e in terreni con rocce molto fratturate, con molti spazi vuoti, è più facile che il radon riesca ad arrivare fino in superficie, per effetto di correnti d’aria o di acqua sorgiva o piovana infiltrata. Negli ambienti chiusi (edifici), specialmente se scarsamente aerati, il radon può concentrarsi raggiungendo anche concentrazioni molto elevate. Nelle case, il radon può giungere attraverso crepe, fessure o punti aperti delle fondamenta, con particolare interessamento dei locali seminterrati o al pianterreno. Anche i materiali da costruzione, possono determinare un problema di inquinamento da radon, se vengono utilizzati i tipi di rocce sopra citati.[/box-info]
Fig. 1 - Canali di passaggio gas radon (Esempio)
Per quanto riguarda l'esposizione al Radon in ambienti chiusi, la direttiva 2013/59/Euratom richiede agli Stati membri di stabilire livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni in ambienti chiusi.
I livelli di riferimento per la media annua della concentrazione di attività in aria, non devono essere superiori a 300 Bq/m3.
Fig. 2 - Strumento misurazione Radon
Gli stati dovranno anche individuare le abitazioni che presentano concentrazioni di radon superiori al livello di riferimento (come media annua) e, se del caso, provvedere affinché vengano adottate in tali abitazioni, misure di riduzione della concentrazione di radon.
Fig. 3 - Radon in IT (Fonte ISS)
A seguire gli articoli della direttiva riferiti al radon.
Articolo 54 Radon nei luoghi di lavoro
1. Gli Stati membri stabiliscono livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni di radon nei luoghi di lavoro. Il livello di riferimento per la media annua della concentrazione di attività aerea non deve essere superiore a 300 Bq/m3, a meno che un livello superiore non sia giustificato dalle circostanze esistenti a livello nazionale. 2. Gli Stati membri dispongono che le misurazioni del radon siano effettuate: a) in luoghi di lavoro all'interno delle zone individuate conformemente all'articolo 103, paragrafo 3, situati al pianterreno o a livello interrato, tenendo conto dei parametri contenuti nel piano d'azione nazionale di cui al punto 2 dell'allegato XVIII, nonché b) in specifiche tipologie di luoghi di lavoro identificate nel piano d'azione nazionale tenendo conto del punto 3 dell'allegato XVIII. 3. Nelle zone all'interno dei luoghi di lavoro in cui la concentrazione di radon (come media annua) continua a superare il livello di riferimento nazionale nonostante le azioni intraprese conformemente al principio di ottimizzazione di cui al capo III, gli Stati membri dispongono che tale situazione sia notificata conformemente all'articolo 25, paragrafo 2, e si applica l'articolo 35, paragrafo 2.
Articolo 74 Esposizione al radon in ambienti chiusi
1. Gli Stati membri stabiliscono livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni di radon in ambienti chiusi. I livelli di riferimento per la media annua della concentrazione di attività in aria non devono essere superiori a 300 Bq/m3. 2. Nell'ambito del piano d'azione nazionale di cui all'articolo 103, gli Stati membri promuovono interventi volti a individuare le abitazioni che presentano concentrazioni di radon (come media annua) superiori al livello di riferimento e, se del caso, incoraggiano, con strumenti tecnici o di altro tipo, misure di riduzione della concentrazione di radon in tali abitazioni. 3. Gli Stati membri provvedono affinché siano rese disponibili informazioni locali e nazionali sull'esposizione al radon in ambienti chiusi e sui rischi per la salute che ne derivano, sull'importanza di effettuare misurazioni della concentrazione di radon e sui mezzi tecnici disponibili per ridurre le concentrazioni di radon esistenti.
Articolo 75 Radiazioni gamma emesse da materiali da costruzione
1. Il livello di riferimento applicabile all'esposizione esterna in ambienti chiusi alle radiazioni gamma emesse da materiali da costruzione, in aggiunta all'esposizione esterna all'aperto, è fissato a 1 mSv all’anno. 2. Per i materiali da costruzione che sono stati individuati dagli Stati membri come oggetto di attenzione dal punto di vista della radioprotezione, tenendo conto dell'elenco indicativo di materiali di cui all'allegato XIII in riferimento alle radiazioni gamma emesse da tali materiali, gli Stati membri garantiscono che, prima dell'immissione sul mercato di tali materiali: a) siano determinate le concentrazioni di attività dei radionuclidi specificati nell'allegato VIII e che b) siano fornite su richiesta alle autorità competenti informazioni sui risultati delle misurazioni e il corrispondente indice di concentrazione di attività, nonché altri fattori pertinenti come definito nell'allegato VIII. 3. Per i tipi di materiali da costruzione determinati in base al paragrafo 2 che possono comportare dosi superiori al livello di riferimento, gli Stati membri decidono in merito alle misure appropriate da adottare, che possono comprendere obblighi specifici nell'ambito di norme edilizie pertinenti o restrizioni specifiche sull'uso previsto di tali materiali.
La direttiva 2013/59/Euratom deve recepita nell’ordinamento nazionale, entro il 6 febbraio 2018, ma indipendentemente da tale termine e dagli obblighi che saranno introdotti dalla legislazione di recepimento nazionale, si dovrebbe già procedere ad un monitoraggio di tutti gli ambienti civili, soprattutto in quelle zone geografiche, nelle quali il sottosuolo è caratterizzato dalla diffusa presenza di rocce ad elevato contenuto di radio, quali tufi, graniti e porfidi. ...
Vedi Documento aggiornato al D.Lgs. 101/2020
[panel]Direttiva 2013/59/EURATOM ... ALLEGATO XVIII Elenco di elementi da considerare nell'elaborazione del piano d'azione nazionale per affrontare i rischi di lungo termine derivanti dall'esposizione al radon di cui agli articoli 54, 74 e 103
1) Strategia per l'esecuzione di indagini sulle concentrazioni di radon in ambienti chiusi o concentrazioni di gas nel suolo al fine di stimare la distribuzione delle concentrazioni di radon in ambienti chiusi, per la gestione dei dati di misurazione e per la determinazione di altri parametri pertinenti (quali suolo e tipi di roccia, permeabilità e contenuto di radio-226 della roccia o del suolo).
2) Metodologie, dati e criteri utilizzati per la classificazione delle zone o per la determinazione di altri parametri che possano essere utilizzati come indicatori specifici di situazioni caratterizzate da un'esposizione al radon potenzialmente elevata.
3) Identificazione delle tipologie di luoghi di lavoro ed edifici pubblici, ad esempio scuole, luoghi di lavoro sotterranei e luoghi di lavoro o edifici pubblici ubicati in determinate zone in cui sono necessarie misurazioni della concentrazione di radon sulla base di una valutazione del rischio, tenendo conto ad esempio delle ore di occupazione.
4) Le basi per la determinazione di livelli di riferimento per le abitazioni e i luoghi di lavoro. Se del caso, le basi per la determinazione di diversi livelli di riferimento per i diversi usi degli edifici (abitazioni, edifici pubblici, luoghi di lavoro) e per gli edifici esistenti e nuovi.
5) Assegnazione di responsabilità (governative e non governative), meccanismi di coordinamento e risorse disponibili per la messa in atto del piano d'azione.
6) Strategie per la riduzione dell'esposizione al radon nelle abitazioni e per affrontare in via prioritaria le situazioni di cui al punto 2.
7) Strategie volte a facilitare interventi di risanamento dopo la costruzione.
8) Strategia, compresi i metodi e gli strumenti, per prevenire l'ingresso del radon nei nuovi edifici, inclusa l'identificazione di materiali da costruzione con esalazione di radon significativa.
9) Tempistiche delle revisioni del piano d'azione.
10) Strategia per la comunicazione finalizzata a sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica e a informare i responsabili delle decisioni a livello locale, i datori di lavoro e i dipendenti in merito ai rischi del radon, anche associati al consumo di tabacco.
11) Orientamenti riguardanti i metodi e gli strumenti per le misurazioni e gli interventi di risanamento. Occorre considerare anche l'opportunità di definire criteri per l'accreditamento dei servizi di misurazione e dei servizi che effettuano interventi di risanamento.
12) Se del caso, sostegno alle indagini finalizzate al rilevamento del radon e agli interventi di risanamento, soprattutto per quanto concerne le abitazioni private con concentrazioni di radon estremamente elevate.
13) Obiettivi di lungo termine in termini di riduzione del rischio di cancro dei polmoni attribuibile all'esposizione al radon (per fumatori e non fumatori).
14) Se del caso, presa in considerazione di altre questioni associate e programmi corrispondenti, quali programmi sul risparmio energetico e la qualità dell'aria in ambienti chiusi.[/panel]
[box-info]ENEA Servizio di valutazione della concentrazione di radon
Il Servizio di valutazione della concentrazione di radon dell'Istituto di Radioprotezione ENEA consente la valutazione del rischio di esposizione a radionuclidi naturali e di esposizione interna a radioisotopi alfa emettitori mediante campionamento ambientale passivo o attivo.
Il Servizio è rivolto a Datori di lavoro/esercenti di pratiche con rischi di inalazione di radioisotopi alfa emettitori e a privati cittadini.
Documento riepilogativo su tutti gli articoli del D.Lgs. 81/2008 relativi alla "Sorveglianza sanitaria" e al "Medico Competente"
La sorveglianza sanitaria viene disciplinata nel TUS nella Sezione V dall'articolo 38 all'articolo 42, trattando nello specifico quali debbano essere i requisiti del Medico Competente, quali le sue attribuzioni e limiti di competenza e come gestire i rapporti con le pubbliche amministrazioni.
La sorveglianza sanitaria specifica per ogni rischio di esposizione, è disciplinata, nei titoli relativi ai diversi fattori di rischio. Per ogni singolo rischio viene descritto come e quando effettuare la sorveglianza sanitaria, quindi ad esempio per il rischio da esposizione a videoterminali (articolo 176), per i rischi da agenti fisici (articolo 185), per i rischi da esposizione ad agenti biologici (articoli 279-281) ed a sostanze pericolose (articoli 242-245 ed articolo 259).
L'articolo 41 riveste un ruolo fondamentale, per quanto attiene la definizione ed il contenuto proprio della sorveglianza sanitaria, in quanto determina:
- le modalità, - le tempistiche, - i soggetti e - le frequenze, con cui debba essere effettuata la sorveglianza sanitaria, nei casi previsti dalla legge. Viene inoltre sempre qui definito quando è possibile, da parte del lavoratore, richiedere una visita medica supplementare, e quando al contrario è obbligatorio esservi sottoposti, cosa può essere accertato dalla sorveglianza, come devono essere gestite le risultanze (giudizi di idoneità) e quali esami possono essere effettuati.
Estratto
TITOLO I - PRINCIPI COMUNI
CAPO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 2 c. 1 lett. h Definizioni [..] h) «medico competente»: medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all’articolo 38, che collabora, secondo quanto previsto all’articolo 29, comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto[..]
CAPO III - GESTIONE DELLA PREVENZIONE NEI LUOGHI DI LAVORO
SEZIONE I - MISURE DI TUTELA E OBBLIGHI
Articolo 18 - Obblighi del datore di lavoro e del dirigente 1. Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono: [..] d) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente; [..] g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto; [..] 2. Il datore di lavoro fornisce al servizio di prevenzione e protezione ed al medico competente informazioni in merito a: a) la natura dei rischi; b) l’organizzazione del lavoro, la programmazione e l’attuazione delle misure preventive e protettive; c) la descrizione degli impianti e dei processi produttivi; d) i dati di cui al comma 1, lettera r) e quelli relativi alle malattie professionali; e) i provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza[..]
Articolo 25 Obblighi del medico competente
1. Il medico competente: a) collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Collabora inoltre alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di “promozione della salute”, secondo i principi della responsabilità sociale; b) programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati; c) istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria; tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l’esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico competente; d) consegna al datore di lavoro, alla cessazione dell’incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo del 30 giugno 2003 n.196, e con salvaguardia del segreto professionale; e) consegna al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio, e gli fornisce le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima; l’originale della cartella sanitaria e di rischio va conservata, nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, da parte del datore di lavoro, per almeno dieci anni, salvo il diverso termine previsto da altre disposizioni del presente decreto; f) Lettera soppressa dall’art. 15 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 g) fornisce informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della attività che comporta l’esposizione a tali agenti. Fornisce altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; h) informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria; i) comunica per iscritto, in occasione delle riunioni di cui all’articolo 35, al datore di lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori; l) visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno o a cadenza diversa che stabilisce in base alla valutazione dei rischi; la indicazione di una periodicità diversa dall’annuale deve essere comunicata al datore di lavoro ai fini della sua annotazione nel documento di valutazione dei rischi; m) partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza sanitaria; n) comunica, mediante autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti di cui all’articolo 38 al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Sezione II - Valutazione dei rischi
Articolo 28 comma 2 - Oggetto della valutazione dei rischi
2. Il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), redatto a conclusione della valutazione può essere tenuto, nel rispetto delle previsioni di cui all’articolo 53 del decreto, su supporto informatico e, deve essere munito anche tramite le procedure applicabili ai supporti informatici di cui all’articolo 53, di data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo da parte del datore di lavoro, nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e del medico competente, ove nominato e contenere: a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa. La scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione; b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a); c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza; d) l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri; e) l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio; f) l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.
Articolo 29 - Modalità di effettuazione della valutazione dei rischi
1. Il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, nei casi di cui all’articolo 41.
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Sezione V Sorveglianza sanitaria
Articolo 186 - Cartella sanitaria e di rischio
1. Nella cartella di cui all’articolo 25, comma 1, lettera c), il medico competente riporta i dati della sorveglianza sanitaria, ivi compresi i valori di esposizione individuali, ove previsti negli specifici capi del presente Titolo, comunicati dal datore di lavoro per il tramite del servizio di prevenzione e protezione.
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CAPO II - PROTEZIONE DEI LAVORATORI CONTRO I RISCHI DI ESPOSIZIONE AL RUMORE DURANTE IL LAVORO
Articolo 196 - Sorveglianza sanitaria
1. Il datore di lavoro sottopone a sorveglianza sanitaria i lavoratori la cui esposizione al rumore eccede i valori superiori di azione. La sorveglianza viene effettuata periodicamente, di norma una volta l’anno o con periodicità diversa decisa dal medico competente, con adeguata motivazione riportata nel documento di valutazione dei rischi e resa nota ai rappresentanti per la sicurezza di lavoratori in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza diversi rispetto a quelli forniti dal medico competente.
2. La sorveglianza sanitaria di cui al comma 1 è estesa ai lavoratori esposti a livelli superiori ai valori inferiori di azione, su loro richiesta e qualora il medico competente ne confermi l’opportunità.
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CAPO III - PROTEZIONE DEI LAVORATORI DAI RISCHI DI ESPOSIZIONE A VIBRAZIONI
Articolo 204 - Sorveglianza sanitaria
1. I lavoratori esposti a livelli di vibrazioni superiori ai valori d’azione sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria. La sorveglianza viene effettuata periodicamente, di norma una volta l’anno o con periodicità diversa decisa dal medico competente con adeguata motivazione riportata nel documento di valutazione dei rischi e resa nota ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza diversi rispetto a quelli forniti dal medico competente.
2. I lavoratori esposti a vibrazioni sono altresì sottoposti alla sorveglianza sanitaria quando, secondo il medico competente, si verificano una o più delle seguenti condizioni: l’esposizione dei lavoratori alle vibrazioni è tale da rendere possibile l’individuazione di un nesso tra l’esposizione in questione e una malattia identificabile o ad effetti nocivi per la salute ed è probabile che la malattia o gli effetti sopraggiungano nelle particolari condizioni di lavoro del lavoratore ed esistono tecniche sperimentate che consentono di individuare la malattia o gli effetti nocivi per la salute.
CAPO IV - PROTEZIONE DEI LAVORATORI DAI RISCHI DI ESPOSIZIONE A CAMPI ELETTROMAGNETICI
CAPO IV – SANZIONI
Articolo 284 - Sanzioni a carico del medico competente
1. Il medico competente è punito con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda da euro 328,80 a euro 1.315,20 per la violazione dell’articolo 279, comma 3.
Direttiva 98/24/CE del Consiglio del 7 aprile 1998 sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro (quattordicesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE)
D.Lgs. 81/2008 … Titolo IX SOSTANZE PERICOLOSE Capo I Protezione da agenti chimici … Art. 232. Adeguamenti normativi
1. Con decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è istituito senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici. Il Comitato è composto da nove membri esperti nazionali di chiara fama in materia tossicologica e sanitaria di cui tre in rappresentanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, su proposta dell'Istituto superiore di sanità, dell'ISPESL e della Commissione tossicologica nazionale, tre in rappresentanza della Conferenza dei Presidenti delle regioni e tre in rappresentanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Il Comitato si avvale del supporto organizzativo e logistico della Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
2. Con uno o più decreti dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sentiti il Ministro dello sviluppo economico, il Comitato di cui al comma 1 e le parti sociali, sono recepiti i valori di esposizione professionale e biologici obbligatori predisposti dalla Commissione europea, sono altresì stabiliti i valori limite nazionali anche tenuto conto dei valori limite indicativi predisposti dalla Commissione medesima e sono aggiornati gli allegati XXXVIII, XXXIX, XL e XLI in funzione del progresso tecnico, dell'evoluzione di normative e specifiche comunitarie o internazionali e delle conoscenze nel settore degli agenti chimici pericolosi.(1)
3. Con i decreti di cui al comma 2 è inoltre determinato il rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori di cui all'articolo 224, comma 2, in relazione al tipo, alle quantità ed alla esposizione di agenti chimici, anche tenuto conto dei valori limite indicativi fissati dalla Unione europea e dei parametri di sicurezza.
4. Nelle more dell'adozione dei decreti di cui al comma 2, con uno o più decreti dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, possono essere stabiliti, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i parametri per l'individuazione del rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori di cui all'articolo 224, comma 2, sulla base di proposte delle associazioni di categoria dei datori di lavoro interessate comparativamente rappresentative, sentite le associazioni dei prestatori di lavoro interessate comparativamente rappresentative. Scaduto inutilmente il termine di cui al presente articolo, la valutazione del rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori è comunque effettuata dal datore di lavoro.
Recepimento della direttiva 2009/161/UE della Commissione del 17 dicembre 2009 che definisce il Terzo elenco di valori indicativi di esposizione professionale in attuazione della direttiva 98/24/CE del Consiglio e che modifica la direttiva 2009/39/CE della Commissione.[/panel]
Scenari di esposizione Valutazione rischio chimico: il modello Stoffenmanager
Lo scenario d’esposizione è definito nel Regolamento REACH come “l'insieme delle condizioni, comprese le condizioni operative e le misure di gestione dei rischi, che descrivono il modo in cui la sostanza è fabbricata o utilizzata durante il suo ciclo di vita ed il modo in cui il fabbricante o l'importatore controlla, o raccomanda agli utilizzatori a valle di controllare, l'esposizione delle persone e dell'ambiente”.
Lo scenario d’esposizione rappresenta il fulcro del processo di valutazione della sicurezza chimica(1) in quanto costituisce la base per la stima dell’esposizione ed, allegato alla Scheda di Dati di Sicurezza (SDS), è anche il maggior strumento di comunicazione delle informazioni lungo la catena d’approvvigionamento della sostanza. La stima dell’esposizione deve essere effettuata per ciascun scenario d’esposizione nella sua fase iniziale di sviluppo e successivamente affinata fino alla definizione dello scenario finale.
Il processo di stima dell’esposizione dovrebbe basarsi su misure sperimentali. In pratica, la disponibilità di dati reali d’esposizione è limitata e quindi, nella maggior parte dei casi, si deve ricorrere all’uso di modelli di calcolo. In particolare nel caso delle piccole e medie imprese (PMI), che si distinguono per un’elevata variabilità delle mansioni lavorative degli addetti e dei relativi tempi di esposizione, nonché delle modalità d’uso degli agenti chimici, gli algoritmi o i modelli di calcolo possono rappresentare uno strumento di grande utilità nella valutazione del rischio.
L’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA), nella Guida alle disposizioni in materia di informazione e alla valutazione della sicurezza chimica - Parte D [1], distingue tra modelli elaborati con l’intento di offrire una semplicità d’uso, ma intrinsecamente conservativi, e pertanto indicati ad essere utilizzati come modelli per uno screening iniziale (modelli di livello 1), e modelli più complessi di livello 2, che richiedono un maggior numero di dati di input e che forniscono stime d’esposizione più accurate e più aderenti ai dati sperimentali. (1) CSA: Chemical Safety Assessment
Livello
Tipo
Uso
1
Semplicìtà d'uso (conservativi)
Screening iniziali
2
Complessiun (maggior numero di dati di input)
Stime d’esposizione più accurate e più aderenti ai dati sperimentali
Classificazione modelli valutazione della sicurezza chimica (ECHA)
IL MODELLO STOFFENMANAGER
Il modello Stoffenmanager è stato sviluppato in Olanda inizialmente per le piccole e medie imprese con l’intento di facilitare il controllo del rischio chimico e l’individuazione delle priorità tra gli interventi di prevenzione e protezione da mettere in atto.
Il modello è intermedio tra il livello 1 e 2, è un modello web-based, ossia utilizzabile tramite internet, e attualmente è fruibile in Inglese, Olandese e Finlandese dal sito web: https://www.stoffenmanager.nl; è disponibile in una versione base, gratuita, e in una versione a pagamento, con maggiori funzionalità che, ad esempio, consente di far interagire il modello con altri database. Il modello è disponibile in 2 moduli [5]:
1. un modulo “Control banding” che aiuta l’utilizzatore a dare priorità ai rischi per la salute dei lavoratori derivanti da sostanze pericolose ed è uno strumento di screening per determinare gli interventi da attuare. In questo senso, a partire dalle informazioni iniziali, il modello fornisce una stima delle fasce di rischio. Una volta stimato il rischio, possono essere prese in considerazione le misure da attuare e quindi si può stimare di nuovo il rischio.
2. un modulo “Quantitative exposure”; il modello è validato per la stima dell’esposizione inalatoria a vapori e polveri inalabili e restituisce un risultato in mg/m3. Si possono ottenere due valori stimati: uno, il caso peggiore, basato sul 90 percentile della distribuzione di esposizione e un altro basato su un percentile a scelta, ad esempio tra 50 o 70. Il valore ottenuto può essere confrontato con un valore limite.
Stoffenmanager classifica la pericolosità di sostanze e miscele in base alle frasi R9 o H10, secondo lo schema del COSHH Essentials. (Technical documentation COSHH website) [6]; la versione 5.1 del modello è infatti aggiornata al Regolamento CLP)
(9) Frasi R: frasi di rischio (10) Frasi H: Indicazioni di pericolo (Regolamento CLP)
Per la stima dell’esposizione inalatoria si basa su un approccio sorgente- recettore già sviluppato da Cherrie e Schneider [7], opportunamente modificato in alcuni punti in modo da renderlo utilizzabile dalle PMI, spesso carenti di personale esperto in igiene occupazionale; i parametri considerati sono i processi, le misure di controllo locali, la ventilazione generale, le caratteristiche dei prodotti [8]. Per la parte inalatoria è stato validato con circa 1000 misure di esposizione: i risultati mostrano una buona stima dell’esposizione, sufficientemente conservativa, anche se talora va adattato allo scenario [9].
Per la stima dell’esposizione cutanea il modello si riferisce a RISKOFDERM [10], modello basato su un gran numero di misure di esposizione in reali contesti lavorativi; Stoffenmanager contempla circa 700 misure di esposizione.
Per lavorare con il modello Stoffenmanager occorrono i dati contenuti nella scheda di sicurezza (SDS): la parte di stima del rischio finalizzata a definire la scala delle priorità degli interventi non è disponibile nei casi in cui per la sostanza o la miscela non sono disponibili frasi R o frasi H in base al CLP (es. farmaci): in questi casi va effettuato un processo di attribuzione di una frase R o H.
La parte relativa alla stima dell’esposizione inalatoria non presenta restrizioni; la parte dell’esposizione cutanea non è adatta per la caratterizzazione del rischio di prodotti contenenti sostanze etichettate come (molto) tossiche e corrosive: il modello riconosce queste sostanze dal numero CAS e avvisa l’utilizzatore.
[alert]Stoffenmanager può essere utilizzato per valutare l'esposizione inalatoria quantitativa a polveri inalabili, vapori ed aerosol di liquidi anche a bassa volatilità; è sconsigliato per la stima quantitativa nel caso di inalazione di fibre, gas o sostanze rilasciate nell'aria come risultato di tecniche di lavorazione a caldo, ad esempio la saldatura e brasatura.[/alert]
I dati di base da inserire sono divisi in tre campi:
1.Informazioni generali: - nome del prodotto; - data di pubblicazione della SDS; - produttore; - stato fisico del prodotto 2. Valutazione del rischio - informazioni di salute e sicurezza (frasi R, S, H e P tratti dalle SDS); - composizione del prodotto (n.CAS e concentrazione tratta dalla SDS). 3. Istruzioni di lavoro e registrazione delle sostanze pericolose - categorie di pericolo (SDS); - DPI e impianti di ventilazione (SDS).
Uno schema del modello è riportato in Figura 1.
Figura 1: schema del modello Stoffenmanager
Il risultato della valutazione nel modulo delle fasce di controllo è l’assegnazione di:
- Una fascia di pericolo per la sostanza. Tale assegnazione è basata sulle frasi di rischio od indicazioni di pericolo inserite nel modello e analizzate dallo stesso seguendo lo schema del COSHH.
Le categorie sono 5 (A, B, C, D, E): le sostanze ritenute più pericolose sono classificate in categoria E, le meno pericolose in categoria A (Figura 2)
- Una fascia di esposizione, stimata dal modello in base alla quantità di sostanza rilasciata, al tipo di operazione (durata e frequenza) e alla distanza dalla sorgente. Le classi previste sono 4: la classe 1 rappresenta l’esposizione più bassa, la 4 quella più alta (Figura 2).
- Un punteggio che indica il rischio per la salute, stimato dalla combinazione tra la fascia di pericolo e fascia di esposizione. La stima può essere riferita a 3 fasce: quella a rischio più elevata è la I (caratterizzata nel modello dal colore rosso), quella a rischio minore è la III (caratterizzata dal colore verde) (Figura 2).
Figura 2: schema della valutazione – modello Stoffenmanager
Assegnati i punteggi e la fascia di stima del rischio, il modello aiuta l’utilizzatore a scegliere le misure per ridurre o controllare il rischio, attraverso la funzione control scenario.
Con questa funzione vengono presentate una serie di possibili misure di prevenzione e protezione, raggruppate e ordinate secondo una sequenza denominata STOP-principle (Substitution, Tecnical measures, Operational measures, Personal protection)
(Tabella 3): sostituzione, misure tecniche di controllo sulla sorgente, nelle immediate vicinanze della sorgente, nello spazio di misura (ambiente di lavoro), modifiche al modo di lavorare (es. cabine), misure di protezione individuale dei lavoratori.
Bozza D.M. sulla determinazione degli standard di sicurezza ed impiego per le apparecchiature a risonanza magnetica
01 Agosto 2018 Conferenza delle Regioni
Via libera dalle Regioni al decreto del ministro della Salute che determina gli standard di sicurezza e impiego per le apparecchiature a risonanza magnetica.
Il dm prevede che il rappresentante legale della struttura sanitaria in cui è installata l'apparecchiatura, avvalendosi dei soggetti preposti, assicura il rispetto degli standard tecnici nonché la protezione fisica e la sorveglianza medica degli operatori, dei pazienti e della popolazione occasionalmente esposta.
Entro 60 giorni dall'avvenuta installazione dell'apparecchiatura di risonanza magnetica, il legale rappresentante della struttura sanitaria comunica alla Regione di appartenenza e agli organi di vigilanza il completo soddisfacimento degli obblighi previsti, trasmettendo la relativa comunicazione tecnica.
Il decreto – che ha avuto anche il via libera del Consiglio superiore di Sanità e dell’Istituto superiore di Sanità - rappresenta una sintesi delle norme di buona tecnica e delle raccomandazioni nazionali e internazionali disponibili e tiene conto della normativa di sicurezza sul lavoro vigente al momento della sua emanazione.
Il legale rappresentante della struttura sanitaria in cui è installata l'apparecchiatura, con la collaborazione avvalendosi del personale tecnico specializzato, dovrà garantire il rispetto degli standard tecnici e la protezione fisica e la sorveglianza medica degli operatori, dei pazienti e della popolazione esposta.
Il decreto prevede tra l’altro che l'installazione di apparecchiature RM (a eccezione delle apparecchiature RM settoriali) è consentita presso le strutture sanitarie pubbliche o private, autorizzate e accreditate secondo i requisiti stabiliti a livello regionale, e comunque dotate di un'apparecchiatura di tomografia computerizzata, di un'apparecchiatura di radiologia convenzionale e di un ecografo.
Alle Regioni è consentito, anche in base a eventuali proprie valutazioni sulla connotazione tecnologica delle strutture sanitarie, derogare dalla necessità della presenza dell'apparecchiatura dì tomografia computerizzata se sia prevista e regolamentata un'integrazione con strutture vicine di diagnostica per immagini.
Per quanto riguarda le apparecchiature RM mobili, devono essere inserite in una struttura sanitaria che disponga delle altre apparecchiature di diagnostica, ferma restando la necessità di individuare precisi bacini geografici di utenza, comunque non eccedenti l'ambito regionale.
Le apparecchiature RM mobili sono temporanee e come tali esclusivamente sostitutive di quelle fisse già autorizzate. Possono essere utilizzate solo per consentire la manutenzione o sostituzione dell'apparecchiatura RM già autorizzata o interventi sulla struttura e comunque per un periodo non superiore a un anno.
Le Regioni potranno derogare dalle limitazioni per le apparecchiature RM mobili in caso di situazione territoriali e orografiche particolarmente disagiate.
Tra le altre misure, prima di effettuare l’esame RM il paziente deve essere informato sulle possibili controindicazioni, i rischi e le limitazioni di carattere medico.
Ferme restando le competenze previste dalla legge per i diversi operatori sanitari coinvolti nell'esecuzione dell'esame, il paziente, prima dell'esecuzione dell'esame RM, è tenuto a rispondere alle domande contenute nel questionario che ha lo scopo di far emergere possibili controindicazioni all'esecuzione e a sottoporglielo è il medico responsabile della prestazione diagnostica, che valuterà sulla base delle informazioni acquisite l'eventuale necessità di ulteriori approfondimenti per i quali dovrà essere garantita la possibilità di esecuzione di una visita medica ad hoc. La sala anamnesi può essere esterna al sito RM, nelle sue immediate vicinanze, o internamente, al di fuori della zona controllata.
[alert]Note
Per quanto riguarda i pazienti portatori di dispositivi cardiaci impiantabili attivi, è obbligo della struttura sanitaria di predisporre un modello organizzativo specifico, a garanzia della sicurezza della prestazione e della salute del paziente, che comprenda un processo di valutazione del rapporto rischio beneficio di esecuzione/mancata esecuzione dell'esame RM, sotto la diretta responsabilità del medico radiologo responsabile della sicurezza clinica e dell'efficacia diagnostica dell'apparecchiatura RM.
Per quanto riguarda le responsabilità, il datore di lavoro ha l'obbligo di nominare con atto formale i responsabili per la sicurezza prima dell'avvio della fase progettuale.
Il datore di lavoro ha inoltre l'obbligo di assicurare i mezzi per la messa in atto del programma di garanzia della qualità e della sicurezza nell'uso clinico dell'apparecchiatura RM definiti dai responsabili per la sicurezza fornendo loro tutti i mezzi necessari per la sua attuazione.
Il datore di lavoro può assolvere contemporaneamente i compiti di medico radiologo responsabile della sicurezza clinica e dell'efficacia diagnostica dell'apparecchiatura RM se in possesso di laurea in medicina e chirurgia e specializzazione in radiodiagnostica, o radiologia, o radiologia diagnostica o radiologia medica.
I responsabili per la sicurezza devono prestare la loro opera in forma “assidua e puntuale” e garantire il tempestivo intervento in tutti i casi in cui le esigenze di sicurezza dei pazienti, lavoratori, volontari, accompagnatori e visitatori lo richiedano.
Per la qualità e la sicurezza dell'uso clinico dell'apparecchiatura RM tutti gli esami RM devono essere svolti in presenza di un medico specialista i radiodiagnostica, radiologia, o radiologia diagnostica, o radiologia.[/alert] ...
Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento di autorizzazione all'uso diagnostico di apparecchiature a risonanza magnetica nucleare sul territorio nazionale. GU n.219 del 19-09-1994
Art. 2. Determinazione degli "standards"
1. Gli "standards" di sicurezza ed impiego per le apparecchiature R.M. sono fissati con decreto del Ministro della sanità, sentito il parere del Consiglio superiore di sanità, l'Istituto superiore di sanità e l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro e aggiornati, con la medesima procedura, in relazione all'evoluzione tecnologica, anche su domanda delle imprese produttrici.
2. Fino all'emanazione dei predetti decreti gli "standards" sono quelli previsti dal decreto ministeriale 2 agosto 1991, allegati 1 e 4, e dal relativo aggiornamento di cui al decreto ministeriale 3 agosto 1993, allegati A e B.[/panel]
Linea guida safety manifestazioni pubbliche - Luglio 2018
Linea guida per l'individuazione delle misure di contenimento del rischio in manifestazioni pubbliche con peculiari condizioni di criticità. ________
Con la Circolare del 18 luglio 2018, il Ministero dell'Interno, fornisce e aggiorna Direttiva per Modelli organizzativi e procedurali per garantire alti livelli di sicurezza in occasione di manifestazioni pubbliche.
A distanza di quasi un anno dall'emanazione delle direttive con le quali sono state impartite indicazioni in merito alle misure di Safety da adottare in occasione di pubbliche manifestazioni ed eventi di pubblico pettacolo, è emersa la necessità, sulla base del monitoraggio degli esiiti applicativi del confronto con gli enti esponenziali delle realtà territoriali, di una rivisitazione di una reductio ad unum delle precedenti linee di indirizzo.
Le Linee guida allegate: Linea guida per l'individuazione delle misure di contenimento del rischio in manifestazioni pubbliche con peculiari condizioni di criticitità" sostituiscono le linee guida già allegate alla circolare del 28 luglio 2017.
Il Registro Nazionale dei medici competenti Sicurezza lavoro è stato istituito con il Decreto 4 marzo 2009 ed è tenuto presso l’Ufficio II della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, che ne cura anche l’aggiornamento.
Nell’elenco devono essere iscritti tutti imedici che svolgono l’attività di medico competente in possesso dei titoli e dei requisiti previsti dall’art. 38, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
Per l'iscrizione, il Medico Competente è tenuto a comunicare, mediante autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti abilitanti per lo svolgimento di tale attività, previsti dall’art. 38 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
Il Medico Competente è altresì tenuto a comunicare, con le stesse modalità, eventuali successive variazioni comportanti la perdita di requisiti precedentemente autocertificati e la cessazione dello svolgimento dell’attività.
[alert]Registro nazionale dei medici competenti
L'elenco nazionale dei medici competenti è tenuto presso l'Ufficio II della Direzione Generale della prevenzione sanitaria in base al Decreto dirigenziale 4 marzo 2009 (G.U. n.146 del 26 giugno 2009).[/alert]
[panel]I sanitari che svolgono l'attività di medico competente in qualità di dipendenti o collaboratori di una struttura esterna pubblica o privata convenzionata con l’imprenditore, liberi professionisti e dipendenti del datore di lavoro, sono tenuti a comunicare il possesso dei titoli e requisiti abilitanti per lo svolgimento di tale attività (Decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008) al Ministero della salute, il quale provvede all’aggiornamento, effettuando verifiche anche a campione, dei requisiti e dei titoli autocertificati.
In base alle modifiche all'art. 38 del suddetto D. Lgs. n. 81 del 9 aprile 2008, introdotte dal Decreto legislativo n. 106 del 3 agosto 2009, per i sanitari appartenenti alle Forze Armate (Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza) è previsto il possesso del requisito dello svolgimento dell'attività di medico nel settore del lavoro per almeno quattro anni per svolgere nell’ambito istituzionale le funzioni di medico competente.
I medici in possesso dei titoli di specializzazione in Igiene e medicina preventiva o in Medicina legale, che non possiedono il requisito di aver svolto le attività di medico competente per almeno un anno dei tre anni anteriori all'entrata in vigore del D. Lgs n. 81/2008, ai fini dello svolgimento di tale attività devono seguire, secondo il decreto 15 novembre 2010 un corso-master della durata di almeno un anno, abilitante per lo svolgimento delle funzioni di Medico competente.[/panel]
Per eventuali informazioni scrivi all'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) del Ministero della salute Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Documento allegato sui requisiti e obblighi dell'Esperto Responsabile e del Medico Responsabile, in riferimento alla normativa in vigore nei presidi e attività di risonanza magnetica per la Sicurezza dei lavoratori, pazienti e pubblico. Allegati Documenti e Guide ufficiali in merito.
Excursus
Il sito RM è definito come l’insieme dei locali e delle aree destinate, in via esclusiva, al supporto dell’attività diagnostica RM. L’intero ambiente deve essere perimetralmente confinato al fine di garantire l’interdizione all’accesso nelle zone di rischio a tutti i soggetti non abilitati, ovvero riservare l’accesso al solo personale autorizzato e ai pazienti (o volontari sani, nel caso di strutture di ricerca) da sottoporre ad esame diagnostico, preventivamente autorizzati dal Medico Responsabile dell’esecuzione dell’esame RM, equivalentemente definibile Medico Responsabile della Prestazione diagnostica (MRP).
I lavoratori che prestano sistematicamente servizio presso il sito RM sono individuati dal Medico Responsabile dell’attività dell’impianto (MR), sentito l’Esperto Responsabile della sicurezza (ER), sulla base delle effettive necessità di risorse umane per la gestione dell’attività medica RM, e autorizzati all’accesso nelle zone di rischio dal Datore di Lavoro (DL), previa preventiva valutazione da parte del Medico Competente (MC) al quale spetta il giudizio di idoneità sanitaria specifica, da emettere sulla base di uno specifico protocollo di sorveglianza sanitaria.
I lavoratori che accedono occasionalmente al sito RM devono essere resi edotti da parte del MR (e/o dell’ER) sui rischi specifici ed essere sottoposti alle procedure di valutazione anamnestica per accertare la sussistenza di eventuali controindicazioni all’accesso al sito RM. Si precisa che quanto segue deve intendersi come indicazione riguardante i requisiti minimi di carattere nazionale, che devono poi essere integrati sulla base degli eventuali requisiti regionali emanati per l’autorizzazione e l’accreditamento delle strutture sanitarie.
Il D.M. 02.08.91 identifica quali responsabili per la gestione della sicurezza in un sito di Risonanza Magnetica due figure professionali specifiche, il Medico Responsabile (MR) e l’Esperto Responsabile (ER). Essi sono formalmente incaricati dal datore di lavoro per quanto di specifica competenza, ovvero rispettivamente la sicurezza “medica” e la sicurezza “tecnico-fisica”, e rappresentano gli interlocutori principali dell’Istituto all’atto dell’espletamento dell’attività ispettiva prevista ai sensi dell’articolo 7.2 del DPR 542/94 e di competenza del già richiamato Settore per le Verifiche Autorizzative ed Ispettive in Radiazioni Ionizzanti e Risonanza Magnetica.
[panel]DPR 542/94 ... Art. 7. Vigilanza e controlli
1. La vigilanza sulle apparecchiature R.M. e' demandata all'unita' sanitaria locale.
2. Accertamenti ispettivi per verificare la conformita' della installazione e dell'uso delle apparecchiature alle prescrizioni possono essere effettuati in ogni tempo dal Ministero, nonche' dall'Istituto superiore di sanita' e dall'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza nel lavoro anche su richiesta del Ministero stesso, della regione o provincia autonoma.
3. L'accertata violazione delle prescrizioni puo' comportare la sospensione temporanea o la revoca dell'autorizzazione.[/panel]
Le figure del MR dell’impianto e dell’ER per la sicurezza sono obbligatorie per tutte le tipologie di apparecchiatura RM, in quanto la necessità di rispettare gli standard di sicurezza vigenti, come rappresentata dall’articolo 2 del sopra richiamato DPR, non prevede alcuna deroga.
Il ruolo dell’ER è quello di esprimere un preventivo benestare all’installazione, e successivamente, gestire gli aspetti di sicurezza e qualità sia del tomografo e di tutti gli impianti accessori necessari al corretto funzionamento dell’apparecchiatura diagnostica. Per assumere una tale responsabilità di incarico, ad oggi è richiesto avere un diploma di laurea e un curriculum professionale specifico attestante le competenze acquisite in materia, così come esplicitamente previsto dall’articolo 2 del D.M. 29/11/1985.
Chiunque intende procedere alla installazione di apparecchiature a risonanza magnetica nucleare ad uso diagnostico deve fare domanda di autorizzazione al Ministero della sanità - Direzione generale degli ospedali, con le seguenti indicazioni:
a) tipo di apparecchiatura a risonanza magnetica nucleare con menzione esplicita della intensità del campo magnetico e del tipo di magnete (resistivo o superconduttore) che si intende utilizzare oltreché delle finalità d'uso di tale apparecchiatura (diagnostica mediante immagini o diagnostica mediante immagini e spettroscopia in vivo);
b) descrizione con relativa documentazione del sito di installazione dell'apparecchiatura, dei sistemi di schermatura del campo magnetico e della radiofrequenza, con allegata planimetria dei locali destinati alla macchina, alla strumentazione di controllo e di visualizzazione dei risultati, alla preparazione del paziente, all'archivio dati, ai servizi, agli uffici ecc. Nella planimetria dovrà risultare l'indicazione dei limiti delle diverse aree ed accesso controllato. Dovranno essere altresì descritte le misure adottate entro tali limiti per la sicurezza dei pazienti, dei volontari, dei lavoratori e dei visitatori;
c) documentazione sulla disponibilità dei mezzi tradizionali di diagnostica per immagini (tomografia assiale computerizzata, angiografia, medicina nucleare, ultrasonografia, ecc.);
d) l'elenco degli esperti in diagnostica per immagini, degli esperti in tecnologia della risonanza magnetica nucleare e degli esperti nei campi interdisciplinari previsti per la utilizzazione della risonanza magnetica nucleare con spettroscopia in vivo. Per ciascuno di essi deve essere prodotta la documentazione sulla loro specifica competenza (curriculum professionale, pubblicazioni, ecc.);
e) indicazione quantitativa e qualitativa della presumibile patologia afferente dal relativo bacino di utenza;
f) previsione del carico lavorativo e conseguente modalità di gestione anche al fine di garantire la più ampia utilizzazione dell'apparecchiatura onde valutare la validità dell'indagine basata sulla risonanza magnetica nucleare su una più ampia varietà di patologie.[/panel]
Sale e zone in un presidio di risonanza magnetica
All’interno di un presidio di risonanza magnetica, è possibile identificare la zona di accesso controllato, la zona di rispetto, e la zona controllata.
Vengono date indicazioni particolari anche per quelle che sono le sale di attesa ed accettazione, le sale di anamnesi, gli spogliatoi, i servizi igienici, la sala di preparazione, la sala di emergenza, la sala magnete, il locale tecnico, la sala refertazione e l’archivio.
È importante dire che un presidio di risonanza magnetica deve essere confinato nel suo perimetro ed avere un unico accesso rigidamente controllato e riservato al solo personale autorizzato e a pazienti da esso accompagnati. Opportuna segnaletica identificatrice (fig. 1) apposta sull’esterno delle porte deve indicare sia i rischi all’esposizione ai campi magnetici presenti all’interno, sia le opportune restrizioni di accesso e gestione.
Fig.1 - Segnaletica di avvertimento
Di seguito, con riferimento alla normativa, si riporta la principale classificazione delle zone all’interno di un presidio di RMN:
- La zona di rispetto si definisce come quella in cui il campo magnetico disperso va da 0.1 mT (1Gauss) a 0.5 mT (5 Gauss). Deve essere completamente contenuta all’interno della proprietà di pertinenza del datore di lavoro possessore del tomografo RM e non può essere utilizzata per scopi o finalità che prevedano postazioni di lavoro fisse. Inoltre, la zona di rispetto deve avere al suo interno dotazioni che tengano conto delle problematiche esistenti connesse alla compatibilità elettromagnetica con apparecchi elettronici e della possibile magnetizzazione di apparati ferromagnetici.
- La zona controllata è quella in cui il campo magnetico disperso e uguale o superiore a 0.5 mT (5 Gauss). La linea di campo dei 5 gauss deve necessariamente essere contenuta all’interno della zona ad accesso controllato, e per lo più si trova ad essere confinata all’interno della sala magnete.
- Le zone esterne alla sala magnete eventualmente interessate vanno interdette con barriere fisse ed identificate con cartellonistica che indichi i rischi all’esposizione ai campi magnetici presenti all’interno e le restrizioni di accesso.
Oltre alle zone, è possibile definire le sale. La prima è la sala magnete dove vengono definite quelle che sono le condizioni ambientali, vedendo come la ventilazione e la climatizzazione della sala magnete devono garantire una temperatura costante di 22 ± 2 °C ed una umidità relativa del 40-60%, al fine di salvaguardare il benessere del paziente. Per ottenere quanto riportato, occorre garantire all’interno della sala 6-10 ricambi/ora di aria in condizioni di normale esercizio, e 18-20 ricambi/ora in condizioni di emergenza. In caso di presenza di tomografi raffreddati ad elio, il dispositivo di sicurezza fondamentale è il sensore ossigeno, capace di rilevare fughe d’elio dall’apparecchiatura mediante la rilevazione dell’abbassamento della concentrazione di O2 nella sala. Il suo posizionamento e critico: l’ideale potrebbe essere rappresentato da una quota di circa 2.5 metri da terra, sulla torretta di raffreddamento della macchina RM, ed in prossimità della prima flangia di raccordo del tubo del quench di dotazione all’apparecchiatura. La zona di preparazione è un locale o area attrezzata destinata a trattamenti medici sul paziente che precedono l’esame RM. Se le procedure di gestione prevedono la possibilità che due pazienti siano contemporaneamente presenti all’interno del sito RM, la zona preparazione deve essere ben distinta dalla zona emergenza, e delimitata da barriere fisse o mobili che garantiscono la privacy del paziente trattato. La dotazione minima e il cabinet per i farmaci, il lettino/barella amagnetica, la disponibilità di gas anestetici e dispositivi medici specifici.
La zona di emergenza è un locale o area attrezzata, destinata per un eventuale primo soccorso medico sul paziente che, nel corso dell’esame, necessiti di pronto intervento. Tale zona non deve essere delimitata da porte o altro tipo di barriera fissa che possa creare impedimento alle procedure di soccorso. Le postazioni di emergenza attrezzate devono essere tante quante sono le apparecchiature RM presenti nel sito. La dotazione minima propone cabinet per i farmaci, la barella amagnetica, la disponibilità di gas rianimanti e dispositivi specifici. Qualora la stessa postazione sia adibita sia a preparazione e sia ad emergenza, occorre definire e formalmente istituire delle procedure restrittive di esecuzione degli esami.
Sicurezza in un presidio di RMN
Una volta conclusa l’installazione dell’impianto, è importante che la conduzione delle indagini RMN venga eseguita in modo tale da proteggere le tre categorie interessate: - pazienti, - lavoratori - pubblico.
Vengono dunque ripresi alcuni riferimenti normativi nei quali sono contenute una serie di indicazioni, linee guida e limiti previsti tali da garantire l’obiettivo di sicurezza da raggiungere. La normativa di riferimento è la seguente:
- D.M. 29 novembre 1985 Disciplina dell'autorizzazione e uso delle apparecchiature diagnostiche a risonanza magnetica nucleare (R.M.N.) sul territorio nazionale (GU n. 290 del 10 dicembre 1985) - D.M. 2 agosto 1991 Autorizzazione alla installazione ed uso di apparecchiature diagnostiche a risonanza magnetica. (GU n.194 del 20-08-1991 - SO n. 51) - Circolare del Ministero della Sanità (Prot.900.2/4.1-AG/581 del 28/4/1992); - Decreto Ministeriale 3 agosto 1993 Aggiornamento di alcune norme concernenti l'autorizzazione all'installazione ed all'uso di apparecchiature a risonanza magnetica (GU n. 187 del 11 agosto 1993) - D.P.R. 8 agosto 1994, n. 542 Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento di autorizzazione all'uso diagnostico di apparecchiature a risonanza magnetica nucleare sul territorio nazionale. (GU n. 219 del 19 settembre 1994) - Circolare 65420 del 01 Dicembre 2016 Legge 7 agosto 2016, n. 160 (G.U. n. 194 del 20 agosto 2016) - Art. 21bis - Autorizzazione all’installazione di apparecchiature a Risonanza Magnetica (RM) con campo magnetico statico tra 2 e 4 Tesla - Passaggio di competenza - Precisazioni. - ISPESL RM: Procedure autorizzative e gestionali relative all’installazione ed uso di apparecchiature diagnostiche a risonanza magnetica (2004); - REPORT AIFM n.2 -2004: Raccomandazioni per l’assicurazione di qualità in risonanza magnetica; - ISS Valutazione sicurezza apparecchiature RM: Valutazione della sicurezza dell’installazione di apparecchiature diagnostiche a risonanza magnetica per campi superiori a 2 Tesla. - CEI EN 60601-2-33: contenente prescrizioni particolari di sicurezza relative agli apparecchi a risonanza magnetica per diagnostica medica (02-2004). Si riferisce ad apparecchiature per esami in vivo e non comprende il loro utilizzo nel campo della ricerca medica. Ha lo scopo di proteggere il paziente, l’operatore, il personale e la popolazione, fornendo metodi per misurare le caratteristiche richieste; - DIRETTIVA 2004/40/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004 , sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (abrogata da DIRETTIVA 2013/35/UE) - DIRETTIVA 2013/35/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (ventesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) e che abroga la direttiva 2004/40/CE. - ICNIRP Health Physics: Vol 87, N 2, 197-216, Agosto 2004 - INAIL Soluzioni strutturali per la progettazione e la realizzazione a regola d'arte di un sito di risonanza magnetica | 2013 - INAIL Indicazioni operative dell’Inail per la gestione della sicurezza e della qualità in Risonanza Magnetica | 2015 - INAIL Apparecchiature di risonanza magnetica | 2017
I riferimenti normativi e legislativi appena evidenziati, consentono di analizzare e governare i rischi connessi all’esercizio dell’attività in un presidio di risonanza magnetica.
È possibile identificare le seguenti sorgenti di rischio, derivanti dall’esposizione a:
- campo magnetico statico; - campo magnetico variabile nel tempo; - radiofrequenza; - rumore; - liquidi criogeni.
Campo magnetico statico: effetti e normativa
Il campo magnetico statico è responsabile di diversi possibili effetti nel paziente, quali la creazione di forze elettrodinamiche, che su elettroliti in movimento nei vasi sanguigni generano potenziali elettrici e teoricamente portano alla diminuzione della velocità del flusso. È inoltre in grado di alterare l’onda dell’elettrocardiogramma. Vengono indotte forze di attrazione e torsione insieme a movimenti di traslazione e rotazione, osservabili solo con esperimenti in laboratorio. Ciò nonostante non esistono evidenze significative di effetti dannosi o irreversibili per esposizione di pazienti a campi magnetici statici ≤ 2T. Viene preso come limite per esami clinici whole body 4T. Movimenti di traslazione e rotazione divengono importanti nel caso di presenza di impianti metallici nelle vicinanze di vasi sanguigni o tessuti delicati.
La presenza di clips intracraniche, protesi ortopediche, valvole cardiache, apparecchi dentali, può essere incompatibile con il normale funzionamento del tomografo RM. I neurostimolatori o pace-maker possono alterare la loro funzionalità in presenza di campo > 0.5mT. Si parla anche di effetto missile come la capacità del campo magnetico statico periferico di attrarre oggetti ferromagnetici in direzione delle linee di campo verso il centro del magnete. La forza di attrazione e torsione dipende dalle proprietà magnetiche del materiale, dall’intensità del campo (>3mT), dal gradiente di campo, dalla massa e dalla forma dell’oggetto. Il rischio esistente si traduce dunque in pericolo per il paziente o per chiunque si trovi nella traiettoria. La Normativa vigente prevede dei limiti di esposizione per i lavoratori che prestano costante servizio in presenza di intenso campo magnetico disperso, al fine di garantire la riduzione del rischio ed evitare problematiche come quelle individuate precedentemente.
Tali limiti di esposizione sono previsti nel D.M. 2 agosto 1991 e sono riportati nella tabella IV. Laddove possibile, è buona norma che l’esposizione non sia continuativa, ma frazionata, alternandosi, per esempio, con i colleghi nelle mansioni che possono comportare l’esposizione. Chiunque debba operare a qualsiasi titolo presso il presidio e che possa essere soggetto all’esposizione deve essere preventivamente visitato e valutato idoneo dal Medico Responsabile. Il suddetto decreto introduce inoltre le due figure di riferimento per un presidio di risonanza magnetica, il Medico Responsabile e l’Esperto Responsabile.
I limiti di esposizione riportati nella tabella IV non si applicano ai pazienti, in quanto la loro esposizione e considerata una tantum e non continuativa. Restano validi anche per i pazienti i criteri di esclusione integrati dalle altre informazioni presenti nel questionario preliminare all’indagine RM. Per la popolazione, il limite di esposizione continua (tempo lungo) a campo magnetico statico e pari a 40mT (400G). E’ stato posto il divieto di accesso per i portatori di pace-maker o altre protesi a controllo elettronico, ad aree con induzione magnetica superiore a 0.5mT (5G), quindi è necessario intraprendere una serie di iniziative mirate ad avvertire la popolazione della presenza di un campo magnetico con valori uguali o superiori a quanto precedentemente indicato.
Norme generali inerenti le aree di rischio nel sito RMN
La normativa attualmente vigente in materia di sicurezza di impianti RM ad uso medico stabilisce che:
- Gli accessi a tutte le zone in cui il campo disperso di induzione magnetica supera il valore 0.5 mT debbono essere rigorosamente controllati mediante barriere fisiche fisse, quali porte apribili liberamente solo dall’interno, recinzioni o altre strutture fisiche idonee ad impedire di fatto l’ingresso accidentale di persone non autorizzate (Allegato I, D.M. 02-08-1991).
- Agli ingressi delle zone controllate e alla sala magnete verrà affissa idonea segnaletica permanente, atta a segnalare con chiarezza la presenza del campo magnetico e il divieto di ingresso a portatori di pace-maker, nonché alle altre categorie di persone per cui esista controindicazione all’esposizione al campo magnetico. All’ingresso del locale del magnete dovrà essere apposta una segnaletica, idonea a garantire il rispetto dei protocolli di sicurezza adottati per impedire l’introduzione accidentale di oggetti ferromagnetici mobili (Allegato I D.M. 02- 08-1991).
- L’accesso al sito da parte dei pazienti e delle persone occasionalmente esposte dovrà essere realizzato attraverso un unico ingresso controllato. I controlli saranno eseguiti da personale responsabile, addestrato. Altri eventuali ingressi al sito dovranno essere riservati al personale autorizzato (Allegato I D.M. 02-08-1991)
- L’ingresso alle zone ad accesso controllato e riservato al personale medico e non medico autorizzato, pazienti o volontari sani da sottoporre all’esame RM (per il tempo necessario allo stesso) e, a seguito di autorizzazione esplicita, eventuali accompagnatori e/o visitatori (Allegato I D.M. 02-08-1991).
- Non possono essere adibite ad operazioni nelle zone di accesso controllato ne al rabbocco dei liquidi criogeni donne in gravidanza, ne soggetti portatori di pace-maker o altre protesi dotate di circuiti elettronici, clips vascolari o preparati metallici intracranici (o comunque situati in prossimità di strutture anatomiche vitali) o schegge in materiale ferromagnetico (Allegato I D.M. 02-08-1991)
- la destinazione d’uso dei locali compresi nelle aree ad accesso controllato e nelle zone di rispetto dovranno garantire che il corretto funzionamento degli apparati e dei dispositivi installati sia compatibile con la presenza del campo magnetico (Allegato I D.M. 02-08-1991)
- E’compito dell’Esperto Responsabile per gli aspetti fisici e del Medico Responsabile per gli aspetti medici di controllare il primo il permanere delle condizioni di rischio, il secondo la 26 permanenza dell’idoneità allo svolgimento dell’attività lavorativa, mediante controlli medici almeno annuali (Allegato I D.M. 02-08-1991).
Al fine di ottemperare alle suddette norme la zona ad accesso controllato viene segnalata mediante nastro adesivo di colore generalmente rosso applicato sul pavimento. La presenza del campo statico di induzione magnetica e delle onde elettromagnetiche a radiofrequenza (RF), unitamente ai principali rischi connessi, sono indicati da apposita segnaletica apposta all’ingresso dell’accesso controllato del sito RM e della sala magnete.
Per quanto concerne le aree individuate come zona di rispetto non sono previste precise e rigide prescrizioni come per le aree delimitate zona ad accesso controllato. In relazione ai valori del campo disperso di induzione magnetica, le zone di rispetto devono essere considerate comunque aree sorvegliate per quanto riguarda la sorveglianza fisica. Particolare attenzione deve essere posta all’eventuale impiego di strumenti ed apparati elettronici all’interno della zona di rispetto, nonché alla destinazione d’uso dei locali interessati ed all’eventuale presenza di postazioni di lavoro fisse al loro interno riservate a personale non idoneo ad accedere alla zona ad accesso controllato del sito RM.
La presenza del campo statico di induzione magnetica potrebbe, infatti, interferire con il corretto funzionamento di strumenti, apparati elettromedicali o altro. Nelle aree non individuate come zona ad accesso controllato o zona di rispetto i valori del campo disperso di induzione magnetica sono confrontabili con il valore del campo magnetico terrestre.
I rischi da agenti fisici connessi alla presenza del campo statico di induzione magnetica risultano non rilevanti.
Il Regolamento di Sicurezza si completa nel momento in cui vengono definite una serie di norme da condividere con le categorie operanti nel presidio RM, fornendo particolari indicazioni ai lavoratori e ai tecnici addetti alle manutenzioni. Le disposizioni per i pazienti ed il pubblico vengono fornite distribuendo adeguate indicazioni in termini di cartellonistica, oppure mediante comunicazioni verbali e scritte da parte dei lavoratori operanti.
Norme generali di sicurezza per i lavoratori
Fra i lavoratori direttamente o indirettamente coinvolti nell’attività di diagnostica mediante RM, oltre alla figura del medico radiologo e del tecnico sanitario di radiologia medica, rientrano l’Esperto Responsabile per la sicurezza, il Medico Responsabile dell’impianto RM, gli infermieri, il personale addetto alle pulizie, il personale addetto alla manutenzione ed al rabbocco dei criogeni. I lavoratori direttamente connessi all’attività svolta nel sito RM, e quindi caratterizzati da una presenza, magari non prolungata, ma comunque pressoché continuativa all’interno del sito RM, devono essere formalizzati all’interno di un elenco nominativo. I lavoratori la cui presenza risulta, invece, essere non continuativa all’interno del sito RM, devono essere di volta in volta autorizzati, ciascuno per quanto di propria specifica competenza, dall’Esperto Responsabile e dal Medico Responsabile dell’impianto RM, ai quali e dato il compito di illustrare i protocolli comportamentali da rispettare all’atto dell’accesso al sito RM. Le norme generali di sicurezza per le categorie di lavoratori coinvolte riguardano la sorveglianza medica, la sorveglianza fisica, e la gestione operativa dell’impianto. Vengono riportate di seguito alcune disposizioni rilevanti specifiche per i lavoratori che operano continuamente nei presidi RM:
- I lavoratori individuati nell’elenco del personale autorizzato, anche sulla base degli atti effettuati, per quanto di competenza, dal Medico Responsabile dell’impianto RM e dall’Esperto Responsabile formalmente incaricati, devono sottoporsi alle visite ed agli esami periodici prescritti dal Medico Competente, al fine di valutare il mantenimento dell’idoneità a svolgere la propria attività presso il sito RM, comunicando tempestivamente eventuali variazioni del proprio stato di salute tali da rendere impossibile l’attività nel presidio RM.
- Le lavoratrici devono comunicare al Medico Responsabile dell’impianto RM e al medico competente l’eventuale stato di gravidanza. Alle lavoratrici in stato di gravidanza e vietato operare nella zona ad accesso controllato ed e sconsigliato prestare servizio all’interno della zona di rispetto del sito RM soprattutto nei primi tre mesi di gravidanza.
- Tutti i lavoratori devono astenersi dal compiere, all’interno del sito RM, operazioni che non siano di propria competenza e devono essere informati sui rischi.
- I lavoratori adibiti all’attività diagnostica che prestano servizio presso il sito RM devono controllare sull’apposito display e registrare giornalmente i valori di temperatura ed umidità all’interno della sala magnete, i valori della percentuale di riempimento del serbatoio dell’elio, i valori della concentrazione dell’ossigeno e l’integrità dei contatti finger fra la porta della sala magnete e la struttura della gabbia di Faraday. Eventuali anomalie devono essere segnalate al Medico Responsabile dell’impianto RM e all’Esperto Responsabile. Per il livello di ossigeno, in caso di valori significativamente inferiori a 20.9% ed assenza di segnalazioni di allarme e necessario avvertire prontamente l’Esperto Responsabile e il Medico Responsabile dell’impianto RM.
- I lavoratori non devono permanere per più di 1 ora al giorno oltre la linea isomagnetica di 200 mT nell’area ad alto campo. Tale linea risulta indicata dal nastro adesivo di colore applicato sul pavimento della sala magnete.
[panel] L. 7 agosto 2016, n. 160
Art. 21 bis Semplificazione delle procedure autorizzative per le apparecchiature a risonanza magnetica
2. Le apparecchiature a risonanza magnetica (RM) con valore di campo statico di induzione magnetica non superiore a 4 tesla sono soggette ad autorizzazione all'installazione da parte della regione o della provincia autonoma.
3. Le apparecchiature a RM con valore di campo statico di induzione magnetica superiore a 4 tesla sono soggette all'autorizzazione all'installazione e all'uso da parte del Ministero della salute, sentiti il Consiglio superiore di sanita', l'Istituto superiore di sanita' e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. La collocazione di apparecchiature a RM con valore di campo statico superiore a 4 tesla e' consentita presso grandi complessi di ricerca e studio di alto livello scientifico, quali universita' ed enti di ricerca, policlinici, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, ai fini della validazione clinica di metodologie di RM innovative. La domanda di autorizzazione deve essere corredata della documentazione relativa al progetto di ricerca scientifica o clinica programmata, da cui risultino le motivazioni che rendono necessario l'uso di campi magnetici superiori a 4 tesla. L'autorizzazione ha validita' di cinque anni e puo' essere rinnovata.
4. Il Ministro della salute, con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto delle disposizioni previste dal decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46, di attuazione della direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, disciplina le modalita' per l'installazione, l'utilizzo e la gestione delle apparecchiature a RM di cui al comma 3 del presente articolo da parte delle strutture sanitarie, assicurando l'adeguamento allo sviluppo tecnologico e all'evoluzione delle conoscenze scientifiche, con particolare riferimento alla sicurezza d'uso e alle indicazioni cliniche dei dispositivi medici in relazione all'intensita' del campo magnetico statico espressa in tesla.[/panel]
Salute e Sicurezza lavoratori industrie estrattive | D.lgs 624/1996
Ed. 1.0 del 03 giugno 2018
I testi consolidati proposti, strutturati da formativo nativo epub, sono ottimizzati per la navigazione e per visualizzazione in dispositivi mobile.
Decreto Legislativo 25 novembre 1996, n. 624 "Attuazione della direttiva 92/91/CEErelativa alla sicurezza e salute dei lavoratori nelle industrie estrattive per trivellazione e delladirettiva 92/104/CEErelativa alla sicurezza e salute dei lavoratori nelle industrie estrattive a cielo aperto o sotterranee" (G.U. n. 293 del 14 dicembre 1996 – S.O n. 219)
Il D.Lgs. n. 624/96 si applica ai lavori di prospezione, ricerca e coltivazione delle sostanze minerali e degli idrocarburi liquidi e gassosi, nonché ai lavori svolti negli impianti connessi all’attività estrattiva e nelle pertinenze minerarieIl D.Lgs. n. 624/96 si applica ai lavori di prospezione, ricerca e coltivazione delle sostanze minerali e degli idrocarburi liquidi e gassosi, nonché ai lavori svolti negli impianti connessi all’attività estrattiva e nelle pertinenze minerarie.
[panel]Art. 1 (Attivita' soggette) 1. Il presente decreto legislativo prescrive misure per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro nelle attivita' estrattive di sostanze minerali di prima e di seconda categoria, cosi' come definite dall'articolo 2 del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, e successive modifiche. 2. Le norme del presente decreto si applicano: a) ai lavori di prospezione, ricerca e coltivazione delle sostanze minerali; b) ai lavori svolti negli impianti connessi alle attivita' minerarie, esistenti entro il perimetro dei permessi di ricerca, delle concessioni o delle autorizzazioni; c) ai lavori svolti negli impianti che costituiscono pertinenze della miniera ai sensi dell'articolo 23 del regio decreto n. 1443 del 1927, anche se ubicati fuori del perimetro delle concessioni; d) ai lavori di frantumazione, vagliatura, squadratura e lizzatura dei prodotti delle cave ed alle operazioni di caricamento di tali prodotti dai piazzali; e) alle attivita' di prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio degli idrocarburi liquidi e gassosi nel territorio nazionale, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale e nelle altre aree sottomarine comunque soggette ai poteri dello Stato. 3. Per quanto non diversamente disposto, o modificato dal presente decreto, si applicano le norme di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 9 aprile 1959, n. 128, e successive modifiche, 24 maggio 1979, n. 886, e successive modifiche, all'articolo 11 della legge 30 luglio 1990, n. 221, al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, come modificato dal decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 242, di seguito complessivamente denominato decreto legislativo n. 626 del 1994. 4. Le disposizioni del presente decreto si applicano, nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano, compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.[/panel]
Gli ambiti lavorativi che risultano esclusi sono comunque coperti da normative di prevenzione, igiene e sicurezza del lavoro e un’eventuale estensione dell’applicazione al D.Lgs. n. 624/96 potrebbe risolversi in soli adempimenti formali, privi pertanto di contenuti prevenzionistici.
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Formato: pdf Pagine: +40 Edizione: 1.0 2018 Pubblicato: 03/06/2018 Autore: Ing. Marco Maccarelli Editore: Certifico s.r.l. Lingue: Italiano ISBN: 978-88-98550-28-9 Abbonati: Sicurezza, 2X, 3X, 4X, Full
Gestione dei lavori in ambienti confinati Linee di Indirizzo del Sistema SGI-AE | Allegato 6
Il presente documento è un estratto delle “Linee di Indirizzo del Sistema SGI-AE”. [INAIL ED. 2013]
Le “Linee di indirizzo SGI - AE” rappresentano uno strumento, ritenuto concordemente dal Gruppo misto, operativo in grado di affrontare, in una logica di sistema integrato di prevenzione, qualsiasi rischio, nella prospettiva concreta di realizzare una dinamica di miglioramento continuo.
[box-info]Questo documento è rivolto a chi esegue effettivamente i lavori in ambienti confinati; con questo si intende che il datore di lavoro, il preposto/sovrintendente, il controllore e l’operatore qui citati, appartengono, nel caso i lavori siano affidati a terzi, alla società che effettua i lavori stessi (appaltatrice); dipendono invece dalla società che gestisce gli ambienti, nel caso i lavori siano affidati a personale dipendente (manutenzione). Si ricorda che nei lavori affidati a terzi, la società appaltante deve anzitutto attuare tutto quanto prescritto dagli articoli 26 o 97 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., promuovendo il dovuto controllo e coordinamento.[/box-info]
Sono stati integrati, tra l’altro, gli aggiornamenti legislativi derivanti dall’applicazione del D.P.R. 177/2011, dalla precedente Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n.42/2010, e tenendo conto delle indicazioni per Procedure di sicurezza riportate sul “Manuale illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ai sensi dell’art. 3 comma 3 del D.P.R. 177/2011”, pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
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INDICE
PREFAZIONE
ALLEGATO 6 GESTIONE DEI LAVORI IN AMBIENTI CONFINATI
PREMESSA
1. DEFINIZIONI Ambiente confinato Ingresso in Ambiente Confinato
2. NORMATIVA ALLEGATO IV - REQUISITI DEI LUOGHI DI LAVORO PRESENZA NEI LUOGHI DI LAVORO DI AGENTI NOCIVI VASCHE, CANALIZZAZIONI, TUBAZIONI, SERBATOI, RECIPIENTI, SILOS
3. CAUSE/CARENZE PIÙ COMUNI IN CASO DI INCIDENTE
4. I PERICOLI NEGLI AMBIENTI CONFINATI Livello di ossigeno non sicuro
Deficienza di ossigeno Arricchimento in ossigeno Atmosfere infiammabili ed esplosive Gas e vapori infiammabili Agenti chimici pericolosi per la salute Vie di esposizione Sprofondamento Altri rischi
5. GESTIONE DEI RISCHI Valutazione dei rischi in ambienti confinati Sistemi e procedure di lavoro sicuri Procedura di sicurezza Permesso di Lavoro Addetti Sovrintendente dei lavori Controllore esterno Impiego di Operatori idonei al tipo di lavoro Gestione dell’ambiente confinato Verifica dell’idoneità delle vie di accesso/uscita Ventilazione dell’ambiente Verifica dell’aria contenuta nell’ambiente confinato Risanamento/bonifica atmosfera dell’ambiente confinato Controllo dell’atmosfera Controllo dell’ossigeno
Sistema di comunicazione Controllo e allarme
6. MODALITÀ DI ACCESSO ALL’AMBIENTE CONFINATO Ambienti confinati con atmosfera inquinata Ambienti confinati con atmosfera infiammabile/esplosiva Prescrizioni aggiuntive per lavori a caldo Minime attività indispensabili
7. EMERGENZA Piani e procedure di emergenza Idoneità degli Addetti al soccorso Comunicazioni Equipaggiamenti di soccorso e rianimazione Servizio di Pubblico Soccorso Misure di emergenza
8. CONSIDERAZIONI SUL RECUPERO DA FOSSE O SCAVI Scenario di soccorso programmato Scenario di soccorso non programmato
9. DPI, STRUMENTAZIONE, SEGNALETICA DI SICUREZZA DPI Strumentazione Segnaletica di sicurezza
10. FORMAZIONE
Formazione e addestramento generale Formazione specifica Formazione/addestramento per Preposti/Supervisori Formazione/addestramento per il Personale di pronto intervento Verifica della formazione/addestramento
ALLEGATO 6-a ESEMPIO DI PROCEDURA 1 - Scopo 2 - Campo di applicazione 3 - Riferimenti normativi 4 - Definizioni Bonifica Ciecatura Permesso di lavoro (pdl) Punto di isolamento Responsabile in turno o Capo turno Schema di isolamento Sezionamento elettrico Ambiente confinato Supervisore/preposto 5 - Pericoli 6 - Precauzioni 7 - Attività e verifiche preliminari Addetti alle attività Vie di accesso/uscita Illuminazione Sistema di comunicazione Controllo e allarme Bonifica apparecchiature dall’esterno Bonifica con Azoto e Flussaggio con Aria Collegamenti elettrici o pneumatici Verifiche ambientali 8 - Ingresso 9 - Esecuzione lavori Ingresso nell’apparecchiatura Prescrizioni aggiuntive per lavori a caldo 10 - Emergenza 11 - Informazione, formazione, addestramento e idoneità sanitaria
Allegato 6b: Modulo autorizzazione ingresso in ambiente confinato (in allegato formato word/compilabile)
Guida alla sicurezza intorno a una zona di carico del veicolo
Una zona di carico/scarico è uno spazio all'interno di un edificio o di un impianto dove i veicoli vengono caricati e scaricati, in cui esiste un dislivello.
I veicoli sono normalmente caricati/scaricati con una rampa rampa, forbice, piastra ponte o carico.
Per una rappresentazione visiva più dettagliata consultare l'Appendice 1/2.
Per fornire agli utenti, progettisti e fornitori con la consapevolezza dei pericoli principali intorno alla zona di carico/scarico, insieme a una selezione di soluzioni riconosciute, sono fornite le relative norme e direttive applicabili alle attrezzature utilizzate nella zona.
Il presente documento non è esaustivo; nuovi prodotti possono essere progettati in qualsiasi momento, per fornire soluzioni alternative.
Da notare che questo documento non include i dettagli specifici relativi al funzionamento/manutenzione delle attrezzature.
1. Che cosa è una zona di carico/ scarico? 2. Scopo di questa linea guida 3. Pericoli principali e le possibili soluzioni 4. Sistemi interbloccati 5. Direttive, norme e linee guida applicabili alle aree di carico/scarico 6. Requisiti e raccomandazioni supplementari
Analisi normativa rischio MMC: ISO 11228 e il Metodo NIOSH
Criteri per la Valutazione dei Rischi Movimentazione Manuale dei Carichi
Negli ultimi anni, le metodologie adottate nella valutazione dei rischi per la Movimentazione Manuale dei Carichi, hanno creato confusione sia nel web che nella letteratura. Il presente documento si propone di rendere più chiara l’evoluzione nel tempo riguardo l’utilizzo delle varie metodologie di valutazione e le normative vigenti.
La norma ISO 11228
Nel 2003 il comitato tecnico ISO ha elaborato la norma internazionale 11228. Nel 2009, la commissione tecnica UNI ha giudicato la Norma ISO 11228 idonea da un punto di vista tecnico alle esigenze nazionali e ne ha proposto alla Commissione Centrale Tecnica dell’UNI l’adozione della versione inglese. La ISO 11228 viene presentata sotto il titolo generale Ergonomics- manual handling, ed è divisa in tre parti:
ISO 11228-1 Lifting and carrying (sollevamento e trasporto) ISO 11228-2 Pushing and pulling (traino e spinta) ISO 11228-3 Handling of low loads at high frequency (movimentazione dei carichi leggeri ad alta frequenza)
La norma ISO 11228 e il metodo NIOSH
L'Istituto nazionale per la sicurezza e la salute (NIOSH) è l'agenzia federale statunitense responsabile per la conduzione della ricerca e la formulazione di raccomandazioni per la prevenzione di infortuni e malattie sul lavoro. NIOSH fa parte dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) presso il Dipartimento di Salute e Servizi Sociali.
La Valutazione dei Rischi nella norma ISO 11228
La metodologia di valutazione del rischio adottabile per D.Lgs. 81/2008, è presente nella ISO 11228, infatti, dopo aver definito i termini, lo scopo e le normative su cui essa si basa, descrive i metodi utilizzati per la valutazione del rischio.
In particolare, le metodologie adottate per la valutazione dei rischi nella norma 11228 sono metodi elaborati dai ricercatori del NIOSH e del LMIC statunitensi:
1. Il Lifting Index di Waters, Putz- Anderson e Garg per quanto riguarda le attività di movimentazione con sollevamento dei carichi.
2. Le tavole di Snook e Ciriello per quanto riguarda le attività di traino e spinta.
I nuovi segnali UNI e UNI EN ISO sugli ambienti confinati
Update 20 Luglio 2017
Oltre al segnale UNI7545-32-10 sugli ambienti confinati, pubblicato da UNI l'emendamento A7 della EN ISO 7010:2017, che introduce tra l'altro, a livello internazionale il segnale per gli Ambienti confinati W041, in allegato la scheda dettaglio.
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I riferimenti normativi e tecnici nazionali per gli ambienti confinati sono:
- D.P.R. 177/2011 Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
In relazione all'uso della segnaletica di sicurezza di cui all'Allegato D.Lgs n. 81/2008 e s.m.i, che non è aggiornata e armonizzata rispetto alla segnaletica EN ISO 7010 si è espresso il MLPS con la:
- Circolare n. 30 del 16.07.2013 Segnaletica di sicurezza - D.Lgs n. 81/2008 e s.m.mi. allegato XXV - Prescrizioni generali. Uso e rispondenza dei pittogrammi con la Norma UNI EN ISO 7010:2012 - Chiarimenti.
La segnalazione degli ambienti confinati può essere effettuata con i segnali grafici di UNI (solo UNI) e ISO (UNI EN ISO 7010:2017) di cui sotto.
UNI 7545-32:2016
Segni grafici per segnali di pericolo - Parte 32: Ambienti confinati
Hazard Asphyxiation due to exposure to asphyxiating atmosphere
Human behaviour that is intended to be caused after understanding the safety sign’s meaning Taking care to avoid exposure to asphyxiating atmosphere
Related referents ---
Additional information Test data obtained according to ISO 9186-1:2014 are not available. Consequently, a supplementary text sign shall be used to increase comprehension except when the safety sign is supplemented by manuals, instructions or training.
Per esse si deve adottare la procedura prevista alla lettera A dell’allegato I al DM 07/08/2012 per le attività non normate.
Quadro attività
1. Attività soggette
Il DPR n.° 151 del 1° agosto 2011, abrogando il vecchio DM 16 febbraio 1982, ha individuato le seguenti possibili attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, per il rilascio del CPI (Certificato prevenzione incendi):
Attività n.
Descrizione
14
Officine o laboratori per la verniciatura con vernici infiammabili e/o combustibili con oltre 5 addetti.
53
Officine per la riparazione di: - veicoli a motore, rimorchi per autoveicoli e carrozzerie, di superficie coperta superiore a 300 m2;
74
Impianti per la produzione di calore alimentati a combustibile solido, liquido o gassoso con potenzialità superiore a 116 kW
2. Correlazione tra DPR n.° 151 del 1° agosto 2011 e DM 16 febbraio 1982
N.
ATTIVITÀ (DPR 151/2011)
CATEGORIA
N.
ATTIVITA' (DM 16/02/82)
A
B
C
14
Officine o laboratori per la verniciatura con vernici infiammabili e/o combustibili con oltre 5 addetti.
Fino a 25 addetti
Oltre 25 addetti
21
Officine o laboratori per la verniciatura con vernici infiammabili e/o combustibili con oltre 5 addetti
Principali differenze fra le attività di equiparazione
Non vi sono differenze fra le due attività.
N.
ATTIVITÀ
(DPR 151/2011)
CATEGORIA
N.
ATTIVITA' (DM 16/02/82)
A
B
C
53
Officine per la riparazione di:
- veicoli a motore, rimorchi per autoveicoli e carrozzerie, di superficie coperta superiore a 300 m2;
a) officine per veicoli a motore, rimorchi per autoveicoli e carrozzerie, di superficie fino a 1.000 m2
a) officine per veicoli a motore, rimorchi per autoveicoli e carrozzerie, di superficie superiore a 1.000 m2
72
Officine per la riparazione di autoveicoli con capienza superiore a 9 autoveicoli; officine meccaniche per lavorazioni a freddo con oltre venticinque addetti
Principali differenze fra le attività di equiparazione
La nuova attività, che contempla solo la prima parte della ex 72 (la seconda viene inserita nella nuova att. 54), modifica il parametro per determinare l’assogettabilità ai controlli di prevenzione incendi, sostituendo, per le officine di autoveicoli, i “9 autoveicoli” con “300 m2” di superficie coperta dell’officina; introduce le officine per la riparazione di materiale rotabile ferroviario, tramviario e di aeromobili, di superficie superiore a 1.000 m2.
Disposizioni comunitarie riguardanti la sicurezza in caso d’incendio. Nota informativa sulle direttive 90/396/CEE “Gas”, 94/9/CE “ATEX”, 97/23/CE “PED”, 98/37/CE e 2006/42/CE “Macchine”, 95/16/CE “Ascensori”. Indicazioni applicative.
Prevenzione incendi: chiarimenti interpretativi di vigenti disposizioni e pareri espressi dal Comitato centrale tecnico scientifico per la prevenzione incendi su questioni e problemi di prevenzione incendi.
14/01/1975
Circolare 14/01/75, n° 3
Deroga in via generale all’art. 91 del decreto ministeriale 31 luglio 1934.
Requisiti per la migrazione a ISO 45001: 2018 da OHSAS 18001: 2007
IAF MD 21:2018 - Requirements for the Migration to ISO 45001:2018 from OHSAS 18001:2007
Questo documento fornisce i requisiti per la migrazione da OHSAS 18001: 2007 a ISO 45001: 2018, pubblicata il 12 marzo 2018.
Il presente elaborato stato predisposto dal Forum internazionale di accreditamento (IAF) di collaborazione con il gruppo di progetto OHSAS e ISO per fornire consulenza agli interessati in merito alle modalità di migrazione che devono essere prese in considerazione prima di attuare la norma ISO 45001.
Le parti interessate rilevanti che beneficeranno di questo documento includono:
i) Organizzazioni certificate e / o utilizzando OHSAS 18001: 2007. ii) Organismi di accreditamento (AB). iii) Organismi di certificazione (CB). iv) Legislatori e regolatori. v) Commissioni di commercio /appalto/approvvigionamento. vi) Lavoratori. vii) Società.
Periodo di migrazione
I requisiti di migrazione si applicano solo per la migrazione di OHSAS 18001: da 2007 a ISO 45001:2018 dallo stesso ente di certificazione.
Dal 12 marzo 2018 , data di pubblicazione della ISO 45001: 2018, lo stato ufficiale di OHSAS 18001:2007 è considerato come "Ritirato" tenendo conto del periodo di migrazione di tre anni.
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TABLE OF CONTENTS 1. INTRODUCTION 2. MIGRATION 2.1 General 2.2 Validity of Accredited Certifications to OHSAS 18001:2007 3. SPECIFIC GUIDANCE FOR INTERESTED PARTIES INVOLVED IN CERTIFICATION AND ACCREDITATION 3.1 Organizations Using OHSAS 18001:2007 4. IAF MIGRATION REQUIREMENTS 4.1 Implementation of Migration of Certification from OHSAS 18001:2007 to ISO 45001:2018 4.2 General Requirements for Accreditation Bodies and Certification Bodies
Fonte: IAF Issued: 18 January 2018 Application Date: March 2018 IAF MD 21:2018, Issue 1
Pericoli di incendio atmosfere arricchite di ossigeno
Fire hazards of oxygen and oxygen-enriched atmospheres
EIGA 04/2018 (Revised publication)
Questa pubblicazione spiega i rischi di incendio derivanti dalla manipolazione dell'ossigeno e della relativa protezione misure che dovrebbero essere prese.
Descrive le informazioni essenziali necessarie e le misure protettive pertinenti da adottare per prevenire i rischi di incendio derivanti dalla manipolazione dell'ossigeno.
Un'appendice fornisce un sommario delle informazioni contenute nella pubblicazione che può essere riprodotto come opuscolo da consegnare a coloro che sono coinvolti in operazioni quotidiane che comportano l'uso di ossigeno o essere utilizzato come supplemento alle presentazioni di sicurezza.
Una seconda appendice elenca alcuni incidenti che si sono verificati negli ultimi anni e può essere utilizzata come esempio per sottolineare i pericoli dell'ossigeno e delle atmosfere arricchite di ossigeno.
Questa pubblicazione può essere utilizzata come un pacchetto di formazione adatto a supervisori, direttori di linea, lavoratori diretti e utenti, ovunque l'ossigeno sia prodotto, immagazzinato, usato o in cui potrebbero altrimenti verificarsi atmosfere arricchite di ossigeno.
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Table of Contents
1 Introduction 2 Scope and purpose 3 Definitions 3.1 Publication terminology 3.2 Technical definitions 4 General properties 4.1 Oxygen supports and accelerates combustion 4.2 Oxygen gives no warning 4.3 Oxygen is heavier than air 5 Fire hazards with oxygen 5.1 Necessary conditions for a fire 5.2 Oxygen 5.3 Combustible material 5.4 Ignition sources 6 Prevention of fires in oxygen systems 6.1 Information/training 6.2 Design 6.3 Prevention of oxygen enrichment 6.4 Oxygen cleanliness 6.5 Control of hot work 7 Methods of oxygen detection 8 Protection of personnel 8.1 Clothes 8.2 Analysis 8.3 Firefighting equipment 8.4 Smoking 8.5 Emergency response and rescue 9 Summary of recommendations 10 References 11 Additional references APPENDIX A - Pamphlet for daily operations involving oxygen APPENDIX B - Examples of the hazards of oxygen and oxygen-enriched atmospheres B1 Examples of oxygen enrichment incidents B2 Examples of improper use of oxygen B3 Examples of incorrect design of oxygen system B4 Examples of incorrect operation and maintenance of oxygen equipment B5 Examples of use of incorrect materials with oxygen service