Corte di Giustizia Sentenza Sez. 5 del 17 marzo 2021 n. 585
Periodo minimo di riposo giornaliero del lavoratore
SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione) 17 marzo 2021 C-585/19
«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori – Organizzazione dell’orario di lavoro – Direttiva 2003/88/CE – Articolo 2 – Nozione di “orario di lavoro” – Articolo 3 – Periodo minimo di riposo giornaliero – Lavoratori che hanno stipulato più contratti di lavoro con un medesimo datore di lavoro – Applicazione per lavoratore»
Sentenza
[panel]1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, punto 1, dell’articolo 3 e dell’articolo 6, lettera b), della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU 2003, L 299, pag. 9).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’Academia de Studii Economice din Bucureşti (Accademia degli Studi Economici di Bucarest, Romania) (in prosieguo: l’«ASE») e l’Organismul Intermediar pentru Programul Operaţional Capital Uman – Ministerul Educaţiei Naţionale (Organismo Intermedio per il Programma Operativo Capitale Umano – Ministero dell’Istruzione Nazionale, Romania) (in prosieguo: l’«OI POCU MEN») in merito a una rettifica finanziaria effettuata da quest’ultimo, nell’ambito di un programma di finanziamento, per mancato rispetto da parte dell’ASE del numero massimo di ore di lavoro al giorno per persona.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 L’articolo 1 della direttiva 2003/88 così dispone:
«1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.
2. La presente direttiva si applica:
a) ai periodi minimi di riposo giornaliero, riposo settimanale e ferie annuali nonché alla pausa ed alla durata massima settimanale del lavoro; e
b) a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro.
3. La presente direttiva si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 89/391/CEE [del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU 1989, L 183, pag. 1], fermi restando gli articoli 14, 17, 18 e 19 della presente direttiva.
(...)».
4 Secondo l’articolo 2 della direttiva 2003/88:
«Ai sensi della presente direttiva si intende per:
1. “orario di lavoro”: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali;
2. “periodo di riposo”: qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro;
(...)».
5 L’articolo 3 della medesima direttiva, rubricato «Riposo giornaliero», prevede quanto segue:
«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive».
6 L’articolo 6 di detta direttiva, intitolato «Durata massima settimanale del lavoro», così dispone:
«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori:
a) la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali;
b) la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario».
7 Secondo l’articolo 17 della medesima direttiva:
«1. Nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, gli Stati membri possono derogare agli articoli 3, 4, 5, 6, 8 e 16 quando la durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata e/o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta:
a) di dirigenti o di altre persone aventi potere di decisione autonomo;
b) di manodopera familiare; o
c) di lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose. (...)».
8 L’articolo 23 della direttiva 2003/88 prevede quanto segue:
«Fatto salvo il diritto degli Stati membri di fissare, alla luce dell’evoluzione della situazione, disposizioni legislative, regolamentari, amministrative e convenzionali diverse nel campo dell’orario di lavoro, a condizione che i requisiti minimi previsti dalla presente direttiva siano rispettati, l’attuazione di quest’ultima non costituisce una giustificazione per il regresso del livello generale di protezione dei lavoratori».
Diritto rumeno
9 L’articolo 111 della Legea nr. 53/2003 privind Codul muncii (legge n. 53/2003 sul Codice del lavoro), del 24 gennaio 2003, come modificata (Monitorul Oficial al României, Parte I, n. 345 del 18 maggio 2011) (in prosieguo: il «Codice del lavoro»), così dispone:
«Per orario di lavoro si intende qualsiasi periodo durante il quale il lavoratore è al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle disposizioni del suo contratto di lavoro, del contratto collettivo applicabile e/o della legislazione in vigore».
10 L’articolo 112, paragrafo 1, del Codice del lavoro prevede quanto segue:
«L’orario di lavoro normale per i lavoratori a tempo pieno è di 8 ore al giorno e di 40 ore alla settimana».
11 L’articolo 114, paragrafo 1, di tale Codice così dispone:
«La durata massima legale dell’orario di lavoro non può superare le 48 ore settimanali, compresi gli straordinari».
12 Secondo l’articolo 119 del suddetto Codice:
«Il datore di lavoro è obbligato a tenere un registro delle ore di lavoro prestate da ogni dipendente e a presentare tale registro all’Ispettorato del Lavoro per l’ispezione ogni volta che gli viene richiesto».
13 L’articolo 120 del medesimo Codice prevede quando segue:
«1. Il lavoro svolto al di fuori della durata normale dell’orario di lavoro settimanale, prevista dall’articolo 112, è considerato lavoro straordinario.
2. Il lavoro straordinario non può essere effettuato senza l’accordo del dipendente, tranne nei casi di forza maggiore o per compiti urgenti diretti a prevenire gli incidenti o a eliminarne le conseguenze».
14 L’articolo 135, paragrafo 1, del Codice del lavoro così dispone:
«Tra due giorni di lavoro, i lavoratori hanno diritto a un periodo di riposo non inferiore a 12 ore consecutive».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
15 L’ASE partecipa al progetto POSDRU/89/1.5/S/59184, un programma operativo settoriale per lo sviluppo delle risorse umane, dal titolo «Performance e eccellenza nella ricerca post-dottorato nell’ambito delle scienze economiche in Romania» (in prosieguo: il «progetto»).
16 Con verbale di accertamento di irregolarità e di determinazione di rettifiche finanziarie del 4 giugno 2018 (in prosieguo: il «verbale di accertamento di irregolarità»), l’OI POCU MEN ha posto a carico dell’ASE un credito di bilancio di un importo pari a 13 490,42 lei rumeni (RON) (EUR 2 800 circa), relativo a costi salariali per lavoratori del team di implementazione del progetto. Le somme corrispondenti a tali costi sono state dichiarate non ammissibili a motivo del superamento del limite massimo del numero di ore di lavoro quotidiano per tali dipendenti.
17 Il ricorso amministrativo proposto dall’ASE contro il verbale di accertamento di irregolarità è stato respinto dall’OI POCU MEN, sulla base, in particolare, dell’articolo 3 della direttiva 2003/88, che prevedrebbe per un dipendente un limite di 13 ore di lavoro al giorno, limite che non si applica, secondo tale autorità, a ciascun contratto di lavoro di tale dipendente considerato singolarmente.
18 Con ricorso proposto dinanzi al giudice del rinvio, l’ASE contesta tale decisione di rigetto.
19 Il giudice del rinvio precisa che le somme dichiarate non ammissibili corrispondono ai costi relativi alle retribuzioni di taluni esperti che, nel periodo compreso tra ottobre 2012 e gennaio 2013, avrebbero cumulato, in determinati giorni, le ore lavorate nell’ambito dell’orario di base, ossia otto ore al giorno, con le ore lavorate nell’ambito del progetto e nell’ambito di altri progetti o attività. Il numero totale di ore di lavoro al giorno avrebbe superato, per tali esperti, il limite di 13 ore al giorno stabilito dalle istruzioni dell’autorità di gestione del progetto, limite massimo che deriva, secondo l’OI POCU MEN, dagli articoli 3 e 6 della direttiva 2003/88.
20 In tale contesto, il Tribunalul Bucureşti (Tribunale superiore di Bucarest, Romania) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se con [l’espressione] “orario di lavoro”, come definita all’articolo 2, punto 1 della direttiva 2003/88 (…), si intenda “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni” in base ad un singolo contratto (a tempo pieno) oppure in base a tutti i contratti (di lavoro) conclusi da tale lavoratore.
2) Se i requisiti stabiliti a carico degli Stati membri con l’articolo 3 della direttiva 2003/88(...) (obbligo di prendere le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive) e con l’articolo 6, lettera b) della direttiva 2003/88(...) (fissazione del limite massimo di 48 ore, in media, per l’orario di lavoro settimanale, comprese le ore straordinarie) debbano essere interpretati nel senso che istituiscono limiti in relazione ad un singolo contratto oppure in relazione a tutti i contratti conclusi con il medesimo datore di lavoro o con datori di lavoro diversi.
3) Nell’ipotesi in cui le risposte alla prima e alla seconda questione comportino un’interpretazione tale da escludere la possibilità che gli Stati membri possano disciplinare, a livello nazionale, l’applicazione in relazione a [ciascun] contratto dell’articolo 3 e dell’articolo 6, lettera b), della direttiva 2003/88/CE, in assenza di previsioni legislative nazionali che disciplinino il fatto che il riposo quotidiano minimo e l’orario massimo di lavoro settimanale devono essere in relazione al lavoratore (a prescindere da quanti contratti di lavoro concluda con il medesimo datore di lavoro o con datori di lavoro diversi), se un’istituzione pubblica di uno Stato membro, la quale agisce in nome dello Stato, sia in grado di invocare l’applicazione diretta delle previsioni dell’articolo 3 e dell’articolo 6, lettera b), della direttiva 2003/88 (...) e di sanzionare il datore di lavoro per il mancato rispetto dei limiti previsti dalla direttiva per il riposo quotidiano e/o per l’orario di lavoro massimo settimanale».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali
21 La Commissione europea sostiene che la situazione di fatto e di diritto presentata dal giudice del rinvio non contiene sufficienti precisazioni e spiegazioni che giustifichino le questioni sollevate nonché la necessità di rispondervi. Inoltre, essa indica, al pari del governo polacco, che la seconda e la terza questione sollevate sono irricevibili nella parte in cui vertono sull’articolo 6 della direttiva 2003/88. Il governo polacco aggiunge che una risposta della Corte relativa all’ipotesi in cui un lavoratore abbia stipulato contratti con più datori di lavoro diversi è priva di qualsivoglia utilità per il giudice del rinvio, dal momento che l’analisi fornita in una pronuncia pregiudiziale deve riferirsi alla situazione di cui trattasi nella controversia di cui al procedimento principale, ossia, nel caso di specie, una situazione in cui il lavoratore ha stipulato più contratti con un solo datore di lavoro. Inoltre, la Commissione esprime dubbi sull’applicabilità della direttiva 2003/88 alla controversia di cui al procedimento principale, per il motivo che quest’ultima solleverebbe la questione della retribuzione dei lavoratori mentre, secondo la giurisprudenza, tale direttiva non disciplinerebbe detta questione.
22 A tal riguardo, occorre rammentare che, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenza del 19 dicembre 2019, Darie, C-592/18, EU:C:2019:1140, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).
23 Ne consegue che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione sono assistite da una presunzione di rilevanza. Il diniego della Corte di statuire su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile solo quando appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza dell’8 ottobre 2020, Union des industries de la protection des plantes, C-514/19, EU:C:2020:803, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
24 Nel caso di specie, in primo luogo, per quanto riguarda le questioni sollevate nella parte in cui vertono sul periodo minimo di riposo giornaliero, occorre rilevare che la decisione di rinvio fornisce le informazioni necessarie relative ai fatti della controversia di cui al procedimento principale e menziona le disposizioni applicabili del diritto dell’Unione e della legislazione nazionale, consentendo di comprendere sufficientemente l’oggetto di tale controversia e le questioni pregiudiziali.
25 In particolare, oltre alla menzione delle disposizioni del Codice del lavoro relative agli orari di lavoro e di riposo giornalieri, ossia gli articoli 111, 112 e 135 del Codice del lavoro, la decisione di rinvio indica che l’OI POCU MEN ha emesso il titolo di credito per il motivo che l’ASE non aveva rispettato la normativa relativa al numero massimo di ore di lavoro al giorno per persona e fornisce precisazioni quanto al calcolo delle ore di lavoro giornaliero fornite dagli esperti impiegati dall’ASE.
26 Di conseguenza, le questioni sollevate sono ricevibili sotto tale profilo.
27 In secondo luogo, per quanto attiene alla seconda e alla terza questione sollevate nella parte in cui vertono sul mancato rispetto della durata massima settimanale del lavoro, occorre rilevare che, anche se, secondo la decisione di rinvio, l’OI POCU MEN ha invocato, per giustificare il verbale di accertamento di irregolarità, sia l’articolo 3 della direttiva 2003/88 sia l’articolo 6, lettera b), della medesima, il giudice del rinvio non fornisce, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 23 delle sue conclusioni, alcuna indicazione sul perché quest’ultima disposizione sarebbe rilevante, essendo precisato solo il mancato rispetto del periodo minimo di riposo giornaliero contestato all’ASE.
28 In tali circostanze, la seconda e la terza questione sollevate, nella parte in cui riguardano l’articolo 6 della direttiva 2003/88, sono irricevibili.
29 In terzo luogo, per quanto attiene alle questioni sollevate nella parte in cui vertono sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2003/88 nel caso di contratti di lavoro stipulati da un lavoratore con più datori di lavoro, occorre rilevare che dalla decisione di rinvio non emerge affatto che le retribuzioni che l’OI POCU MEN ha considerato come spese non ammissibili, nel verbale di accertamento di irregolarità, sarebbero connesse a contratti di lavoro che gli esperti avrebbero stipulato, da un lato, con l’ASE e, dall’altro, con altri datori di lavoro. Infatti, sono indicate solo le spese connesse ai contratti di lavoro che tali esperti hanno stipulato con l’ASE.
30 Le questioni sollevate sono, di conseguenza, altresì irricevibili nella parte in cui vertono sull’interpretazione dell’articolo 2, punto 1, e dell’articolo 3 della direttiva 2003/88 nel caso di contratti di lavoro stipulati da un lavoratore con più datori di lavoro.
31 In quarto luogo, per quanto attiene alla posizione espressa dalla Commissione secondo cui, dal momento che la controversia di cui al procedimento principale verte sulla retribuzione dei lavoratori, essa non riguarderebbe la direttiva 2003/88, occorre ricordare che, eccezion fatta per l’ipotesi particolare di ferie annuali retribuite, di cui all’articolo 7, paragrafo 1, di detta direttiva, quest’ultima si limita a disciplinare taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro al fine di garantire la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, cosicché, in linea di principio, essa non si applica alla retribuzione dei lavoratori (sentenza del 30 aprile 2020, Készenléti Rendőrség, C-211/19, EU:C:2020:344, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).
32 Tuttavia, tale constatazione non implica che non si debba rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate nella presente causa.
33 Infatti, il giudice del rinvio ritiene che l’interpretazione di talune disposizioni della direttiva 2003/88 sia necessaria per consentirgli di risolvere la questione della legittimità del credito di bilancio rivendicato dall’OI POCU MEN. In particolare, al fine di determinare se, correttamente, l’ASE abbia retribuito le ore di lavoro svolte dai suoi esperti, esso chiede se quest’ultima abbia rispettato la normativa relativa al numero massimo di ore di lavoro al giorno per persona.
34 Ciò premesso, si deve ritenere che le questioni sollevate, nella parte in cui vertono sul mancato rispetto delle disposizioni della direttiva 2003/88 relative al numero massimo di ore di lavoro al giorno per persona, siano rilevanti ai fini della soluzione della controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio e che, di conseguenza, sono ricevibili.
Sulle questioni prima e seconda
35 Con la prima e la seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, punto 1, e l’articolo 3 della direttiva 2003/88 debbano essere interpretati nel senso che, qualora un lavoratore abbia stipulato con un medesimo datore di lavoro più contratti di lavoro, il periodo minimo di riposo giornaliero, previsto da tale articolo 3, si applica a tali contratti considerati nel loro insieme oppure a ciascuno di detti contratti considerato separatamente.
36 In via preliminare, occorre rammentare che il diritto di ciascun lavoratore a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo, in particolare giornaliero, costituisce non solo una norma del diritto sociale dell’Unione che riveste una particolare importanza, ma è anche espressamente sancito all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, cui l’articolo 6, paragrafo 1, TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei trattati (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO, C-55/18, EU:C:2019:402, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).
37 Le disposizioni della direttiva 2003/88, in particolare il suo articolo 3, precisano tale diritto fondamentale e devono, pertanto, essere interpretate alla luce di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO, C-55/18, EU:C:2019:402, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
38 Ciò premesso, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che, per interpretare una disposizione di diritto dell’Unione occorre tener conto non soltanto della lettera di questa disposizione, ma anche del contesto in cui si inserisce e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., segnatamente, sentenza del 6 ottobre 2020, Jobcenter Krefeld, C-181/19, EU:C:2020:794, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).
39 Per quanto riguarda, in primo luogo, la formulazione degli articoli 2, punto 1, e 3 della direttiva 2003/88, occorre rilevare che l’articolo 2, punto 1, di tale direttiva definisce la nozione di «orario di lavoro» come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.
40 Quanto all’articolo 3 della direttiva in parola, esso impone agli Stati membri l’obbligo di prendere le misure necessarie affinché «ogni lavoratore» benefici, nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore, di un periodo minimo di riposo di undici ore consecutive (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO, C-55/18, EU:C:2019:402, punto 38).
41 L’uso dell’espressione «ogni lavoratore» depone a favore di un’interpretazione di tale articolo 3 nel senso di un’applicazione per lavoratore, nel caso in cui più contratti di lavoro siano stati stipulati tra un lavoratore e uno stesso datore di lavoro. Infatti, attraverso l’uso dell’aggettivo indefinito «ogni», il suddetto articolo 3 si concentra, per poter beneficiare, nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore, di un periodo minimo di riposo di undici ore consecutive, sul lavoratore, chiunque esso sia, che abbia o meno stipulato più contratti con il suo datore di lavoro.
42 Per quanto attiene, in secondo luogo, al contesto in cui si inseriscono l’articolo 2, punto 1, e l’articolo 3 della direttiva 2003/88, occorre rilevare che, all’articolo 2, punto 2, di tale direttiva, il «periodo di riposo» è definito come qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro.
43 La Corte ha ripetutamente dichiarato che tale nozione e quella di «orario di lavoro» si escludono a vicenda e che la direttiva 2003/88 non prevede una categoria intermedia tra i periodi di lavoro e quelli di riposo (sentenza del 10 settembre 2015, Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras, C-266/14, EU:C:2015:578, punti 25 et 26 nonché giurisprudenza ivi citata).
44 Inoltre, l’articolo 2 di tale direttiva non figura tra le disposizioni della stessa alle quali sono ammesse deroghe (sentenza del 10 settembre 2015, Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras, C-266/14, EU:C:2015:578, punto 28 e giurisprudenza citata).
45 In tali circostanze, non può essere soddisfatto il requisito di cui all’articolo 3 di tale direttiva, vale a dire che ogni lavoratore benefici quotidianamente di almeno undici ore di riposo consecutive, se tali periodi di riposo sono esaminati separatamente per ogni contratto che vincola tale lavoratore al suo datore di lavoro. Infatti, in un caso del genere, le ore che si considerano costituire periodi di riposo nell’ambito di un contratto sarebbero, come illustrato dalla controversia principale, atte a costituire orario di lavoro nell’ambito di un altro contratto. Orbene, uno stesso periodo non può, conformemente alla giurisprudenza menzionata al punto 43 della presente sentenza, essere qualificato allo stesso tempo come orario di lavoro e periodo di riposo.
46 Ne consegue che i contratti di lavoro stipulati da un lavoratore con il suo datore di lavoro devono essere esaminati congiuntamente affinché si possa constatare che il periodo qualificato come riposo giornaliero corrisponde alla definizione del periodo di riposo di cui all’articolo 2, punto 2, della direttiva 2003/88, ossia che si tratta di un periodo che non costituisce orario di lavoro.
47 In terzo luogo, l’interpretazione che discende dalla formulazione e dal contesto dell’articolo 2, punto 1, e dell’articolo 3 della direttiva 2003/88 è anche confermata dall’obiettivo di tale direttiva.
48 Infatti, secondo una giurisprudenza costante, l’obiettivo della direttiva 2003/88 è fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante un ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti, in particolare, la durata dell’orario di lavoro (sentenza del 14 maggio 2019, CCOO, C-55/18, EU:C:2019:402, punto 36 e giurisprudenza citata).
49 Tale armonizzazione a livello dell’Unione europea in materia di organizzazione dell’orario di lavoro è intesa a garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo beneficiare questi ultimi di periodi minimi di riposo, in particolare giornaliero (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO, C-55/18, EU:C:2019:402, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).
50 Se le prescrizioni minime previste dall’articolo 3 della direttiva 2003/88 fossero interpretate nel senso che esse si applicano, in modo distinto, a ciascun contratto stipulato dal lavoratore con il suo datore di lavoro, la garanzia di una migliore tutela di tale lavoratore sarebbe indebolita, dal momento che, attraverso il cumulo dell’orario di lavoro previsto separatamente in ciascuno dei contratti stipulati con il datore di lavoro, potrebbe essere reso impossibile garantire il periodo di riposo di undici ore consecutive per ogni periodo di 24 ore, sebbene detto periodo sia stato considerato dal legislatore dell’Unione come un minimo necessario per consentire al lavoratore di recuperare la stanchezza connessa al lavoro quotidiano.
51 Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte, il lavoratore dev’essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti (sentenza del 14 maggio 2019, CCOO, C-55/18, EU:C:2019:402, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).
52 Tenuto conto di tale situazione di debolezza, un lavoratore può essere dissuaso dal far valere espressamente i suoi diritti nei confronti del suo datore di lavoro, dal momento che, in particolare, la loro rivendicazione potrebbe esporlo a misure adottate da quest’ultimo in grado di incidere sul rapporto di lavoro in danno di detto lavoratore (sentenza del 14 maggio 2019, CCOO, C-55/18, EU:C:2019:402, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
53 Orbene, se le disposizioni della direttiva 2003/88 relative al periodo minimo di riposo giornaliero dovessero essere interpretate nel senso che si applicano, in modo distinto, a ciascun contratto di lavoro stipulato da un lavoratore con lo stesso datore di lavoro, ciò esporrebbe tale lavoratore alla possibilità di pressioni da parte del suo datore di lavoro destinate a suddividere il suo orario di lavoro in più contratti, circostanza che è idonea a privare tali disposizioni del loro effetto utile.
54 Occorre infine precisare che il margine di manovra, invocato dall’ASE e dai governi polacco e rumeno, di cui dispongono gli Stati membri per determinare le modalità di attuazione delle disposizioni dell’articolo 3 di tale direttiva, è irrilevante ai fini della risposta che deve essere fornita alle questioni sollevate prima e seconda. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 57 delle sue conclusioni, la questione sottoposta alla Corte non riguarda le modalità di attuazione di tali disposizioni, ma piuttosto la portata delle stesse. Orbene, ai sensi dell’articolo 23 di tale direttiva, fermo restando il diritto degli Stati membri di sviluppare disposizioni legislative, regolamentari, amministrative e convenzionali diverse nel campo dell’orario di lavoro, i requisiti minimi stabiliti dalla direttiva 2003/88 devono essere rispettati.
55 Dall’analisi che precede discende che, nel caso di specie, poiché taluni esperti impiegati nell’attuazione del progetto sono vincolati all’ASE da più contratti di lavoro, è necessario, per verificare se le disposizioni dell’articolo 3 della direttiva 2003/88 siano state rispettate, che tali contratti siano esaminati congiuntamente.
56 Occorre aggiungere che, tenuto conto delle caratteristiche peculiari degli esperti di cui al procedimento principale, la Commissione sottolinea, in sostanza, che la direttiva 2003/88 si applica solo ai «lavoratori» ai sensi di tale direttiva.
57 Secondo la giurisprudenza della Corte, la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in cambio delle quali percepisca una retribuzione (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a., C-147/17, EU:C:2018:926, punto 41).
58 Ne consegue che un rapporto di lavoro presuppone l’esistenza di un vincolo di subordinazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro. L’esistenza di un siffatto vincolo dev’essere valutata caso per caso in funzione di tutti gli elementi e di tutte le circostanze che caratterizzano i rapporti tra le parti (sentenza dell’11 aprile 2019, Bosworth e Hurley, C-603/17, EU:C:2019:310, punto 26).
59 Di conseguenza, il tempo trascorso dagli esperti di cui al procedimento principale nel fornire prestazioni nell’ambito del progetto è rilevante per verificare che il periodo minimo di riposo giornaliero, previsto dall’articolo 3 della direttiva 2003/88, sia stato rispettato solo a condizione che, nell’ambito di tale progetto, sia sussistito un rapporto di subordinazione tra l’ASE e tali esperti. Dal fascicolo di cui dispone la Corte sembra emergere che ciò è avvenuto, ma spetta al giudice del rinvio verificare tale circostanza.
60 Inoltre, l’ASE e il governo danese hanno invocato le disposizioni derogatorie della direttiva 2003/88, più precisamente l’articolo 17, paragrafo 1, di quest’ultima, per giustificare la mancata applicazione dell’articolo 3 di detta direttiva a taluni lavoratori.
61 Orbene, occorre rammentare che, secondo giurisprudenza della Corte, per quanto riguarda le possibilità di deroga previste dalla direttiva 2003/88, in particolare all’articolo 17 della stessa, in quanto eccezioni al regime dell’Unione in materia di organizzazione dell’orario di lavoro previsto da tale direttiva, tali deroghe devono essere interpretate in modo che la loro portata sia limitata a quanto strettamente necessario alla tutela degli interessi che esse permettono di proteggere (sentenza del 21 febbraio 2018, Matzak, C-518/15, EU:C:2018:82, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).
62 Inoltre, è stato giudicato che l’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 si applica ai lavoratori il cui orario di lavoro, nel suo complesso, non è misurato o predeterminato, o può essere determinato dai lavoratori stessi in ragione delle particolari caratteristiche dell’attività esercitata (sentenza del 26 luglio 2017, Hälvä e a., C-175/16, EU:C:2017:617, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
63 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio emerge che gli esperti di cui trattasi nella controversia di cui al procedimento principale possedevano contratti di lavoro a tempo pieno che prevedevano 40 ore di lavoro alla settimana. In tali circostanze, risulta che almeno una parte dell’orario di lavoro di tali esperti, anche nel caso dei docenti universitari, fosse determinata dal loro datore di lavoro, il che escluderebbe la possibilità che la deroga di cui all’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 possa essere loro applicabile. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare tale aspetto.
64 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alle questioni sollevate prima e la seconda dichiarando che l’articolo 2, punto 1, e l’articolo 3 della direttiva 2003/88 devono essere interpretati nel senso che, qualora un lavoratore abbia stipulato con un medesimo datore di lavoro più contratti di lavoro, il periodo minimo di riposo giornaliero, previsto da tale articolo 3, si applica a tali contratti considerati nel loro insieme e non a ciascuno di detti contratti considerato separatamente.
Sulla terza questione
65 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, nell’ipotesi in cui l’articolo 3 della direttiva 2003/88 dovesse essere interpretato nel senso che il periodo minimo di riposo giornaliero, previsto da tale disposizione, si riferisce all’insieme dei contratti di lavoro stipulati da un lavoratore con lo stesso datore di lavoro, un’istituzione pubblica che agisce per conto dello Stato possa invocare l’effetto diretto di tale disposizione nei confronti di un datore di lavoro che non la rispetti.
66 Da una costante giurisprudenza della Corte risulta che, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, esse possono essere fatte valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato membro, vuoi qualora esso abbia omesso di trasporre la direttiva nel diritto nazionale entro i termini, vuoi qualora l’abbia recepita in modo non corretto (v., in tal senso, sentenza del 6 novembre 2018, Max-Planck- Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, C-684/16, EU:C:2018:874, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
67 Tuttavia, occorre precisare innanzitutto che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 81 delle sue conclusioni, non vi è alcuna contestazione di una norma nazionale, nel caso di specie, per il fatto che sarebbe incompatibile con le disposizioni della direttiva 2003/88.
68 Occorre aggiungere che la questione sulla necessità di disapplicare una disposizione nazionale contraria al diritto dell’Unione si pone solo se non risulta possibile alcuna interpretazione di tale disposizione conforme a tale diritto (sentenza del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth, C-569/16 e C-570/16, EU:C:2018:871, punto 65).
69 Il principio dell’interpretazione conforme al diritto nazionale, in forza del quale il giudice nazionale è tenuto a fornire al diritto interno, quanto più possibile, un’interpretazione conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione, attiene al sistema dei trattati, in quanto consente a tale giudice di assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolve la controversia ad esso sottoposta (sentenza del 14 maggio 2020, Staatsanwaltschaft Offenburg, C-615/18, EU:C:2020:376, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).
70 Orbene, nel caso di specie, il governo rumeno sottolinea, nelle sue osservazioni scritte, che, in Romania, quando un dipendente stipula più contratti con lo stesso datore di lavoro, occorre applicare l’articolo 135, paragrafo 1, del Codice del lavoro, in combinato disposto con gli articoli 119 e 120 di tale Codice.
71 Tale articolo 135, paragrafo 1, prevede che i dipendenti hanno diritto, tra due giorni lavorativi, a un riposo che non può essere inferiore a 12 ore consecutive.
72 Pertanto, i diritti riconosciuti da tale articolo 135, paragrafo 1, appaiono più protettivi rispetto a quelli previsti dall’articolo 3 della direttiva 2003/88, in forza della quale la durata prevista per il periodo minimo di riposo, in ogni periodo di 24 ore, è di 11 ore consecutive.
73 In tali circostanze, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 82 delle sue conclusioni, nessun elemento lascia supporre che l’OI POCU MEN non avrebbe potuto basare la sua decisione sulle disposizioni della legge rumena interpretate alla luce delle pertinenti disposizioni della direttiva 2003/88.
74 In assenza di qualsivoglia contestazione della conformità del diritto rumeno all’articolo 3 della direttiva 2003/88 e, in ogni caso, nei limiti in cui appare chiaramente che è possibile interpretare tale diritto in modo conforme a detto articolo, non è necessario rispondere alla terza questione sollevata.
Sulla limitazione degli effetti nel tempo della presente sentenza
75 Il governo rumeno e l’ASE chiedono alla Corte, nelle loro osservazioni scritte, di limitare gli effetti nel tempo della presente sentenza.
76 Per quanto attiene, in primo luogo, alla richiesta avanzata dal governo rumeno nel caso in cui la Corte accogliesse un’applicazione per lavoratore dell’articolo 2, punto 1, e dell’articolo 3 della direttiva 2003/88, occorre rilevare che tale richiesta è motivata dal fatto che un’applicazione del genere avrebbe un impatto sistemico sul mercato del lavoro in Romania in cui, secondo tale governo, numerosi lavoratori hanno contratti con più datori di lavoro. La domanda concerne, di conseguenza, l’ipotesi in cui la presente sentenza riguardi casi di contratti di lavoro stipulati con più datori di lavoro. Orbene, poiché la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile nella parte in cui riguarda l’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2003/88 per casi siffatti, non è necessario rispondere alla richiesta di limitazione degli effetti nel tempo della presente sentenza, a tale riguardo.
77 Per quanto attiene poi alla richiesta formulata dal governo rumeno nel caso in cui la Corte accogliesse un’applicazione dell’articolo 2, punto 1, e dell’articolo 3 della direttiva 2003/88 per ciascuno dei contratti, considerati separatamente, stipulati dal lavoratore con il suo datore di lavoro, non è necessario rispondere neppure ad essa, dal momento che dal punto 64 della presente sentenza emerge che il periodo minimo di riposo giornaliero, quale previsto dall’articolo 3 di tale direttiva, si riferisce all’insieme dei contratti stipulati dal lavoratore con il medesimo datore di lavoro.
78 Per quanto attiene, infine, alla domanda formulata dall’ASE, occorre ricordare che, conformemente a una giurisprudenza costante, l’interpretazione che la Corte dà di una norma di diritto dell’Unione, nell’esercizio della competenza attribuitale dall’articolo 267 TFUE, chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa, come deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne deriva che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda di interpretazione, purché sussistano, peraltro, i presupposti per sottoporre al giudice competente una controversia relativa all’applicazione di detta norma (sentenza del 3 ottobre 2019, Schuch-Ghannadan, C-274/18, EU:C:2019:828, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).
79 Solo in via del tutto eccezionale, in applicazione di un principio generale di certezza del diritto intrinseco all’ordinamento giuridico dell’Unione, la Corte può essere indotta a limitare la possibilità, per gli interessati, di invocare una disposizione da essa interpretata al fine di rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, vale a dire la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi inconvenienti (sentenza del 3 ottobre 2019, Schuch-Ghannadan, C-274/18, EU:C:2019:828, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).
80 Più specificamente, la Corte ha fatto ricorso a tale soluzione soltanto in circostanze ben precise, in particolare quando vi era un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute, segnatamente, all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente e quando risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti ad adottare un comportamento non conforme al diritto dell’Unione in ragione di una oggettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni di diritto dell’Unione, incertezza alla quale avevano eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione (sentenza del 3 ottobre 2019, WESTbahn Schuch-Ghannadan, C-274/18, EU:C:2019:828, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).
81 Orbene, nel caso di specie, occorre rilevare che l’ASE si limita ad affermare, senza nessun altro elemento, che si deve tener conto sia della buona fede degli interessati sia del rischio di gravi perturbazioni dell’economia in Romania. Così facendo, essa non adduce elementi sufficienti che consentano di dimostrare che il criterio relativo alla buona fede degli ambienti interessati sia stato provato, né fornisce alla Corte elementi precisi quanto al numero dei rapporti giuridici interessati o alla natura e alla portata delle eventuali ripercussioni economiche della presente sentenza. Pertanto, non si può ritenere che siano soddisfatti i due criteri di cui al punto 79 della presente sentenza, che potrebbero giustificare la limitazione degli effetti nel tempo della presente sentenza.
82 Dalle considerazioni che precedono risulta che non è necessario limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza.
Sulle spese
83 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
L’articolo 2, punto 1, e l’articolo 3 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, devono essere interpretati nel senso che, qualora un lavoratore abbia stipulato con un medesimo datore di lavoro più contratti di lavoro, il periodo minimo di riposo giornaliero, previsto da tale articolo 3, si applica a tali contratti considerati nel loro insieme e non a ciascuno di detti contratti considerato separatamente.[/panel]
Collegati