Sicurezza lavoro
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Sentenza CP n. 33863 del 06 settembre 2024

Cassazione Penale Sez  3 del 06 settembre 2024 n  33863

Sentenza CP n. 33863 del 06 settembre 2024 / L'esistenza di preposti non esonera il DL dagli obblighi 

ID 22533 | 10.09.2024 / In allegato

Cassazione Penale Sez. 3 del 06 settembre 2024 n. 33863 - Plurime contravvenzioni in materia di sicurezza: l'esistenza di preposti non esonera il datore di lavoro dagli obblighi previsti

Fatto

1. Con sentenza del 23 marzo 2023, il Tribunale di Ravenna - concessi la sospensione condizionale della pena ed il beneficio della non menzione - ha condannato l'imputato alla pena di Euro 4.600,00 di ammenda, perché ritenuto responsabile, in qualità di legale rappresentante e datore di lavoro della "**** Srl", di plurime contravvenzioni al D.Lgs. n. 81 del 2008, come contestate ai capi a), b), c), d) ed e) della rubrica.

2. Avverso la sentenza, l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione dell'art. 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., ed il connesso vizio di motivazione in relazione alla richiesta di assoluzione ex art. 131-bis cod. pen., per avere il giudice omesso qualsivoglia motivazione sul punto. Nello specifico, non si sarebbero considerati l'esemplare condotta tenuta dall'imputato, contraddistintosi per l'atteggiamento collaborativo, la particolare esiguità del pericolo, l'entità dell'offesa al bene protetto, nonché la condotta del ricorrente successiva al reato.

2.2. Con un secondo motivo di impugnazione, si deduce la nullità della sentenza impugnata per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 26, 28, 29, 556468 del D.Lgs. n. 81 del 2008, nonché per manifesta illogicità motivazionale in ordine agli elementi costitutivi dei reati contestati. Secondo la prospettazione difensiva, il giudice, nel fondare il proprio convincimento in ordine alla responsabilità penale dell'imputato, avrebbe erroneamente disatteso le doglianze difensive, omettendo, segnatamente, di considerare l'avvenuta designazione, da parte del ricorrente, dei preposti in materia di prevenzione e sicurezza e, dunque, il conseguente adempimento delle deleghe imposte, in materia, dalla legge. Si precisa, altresì, che il documento di valutazione del rischio sarebbe stato correttamente redatto e che pretestuosa, oltre che illogica, sarebbe stata la richiesta dell'AUSL di fornire un documento da parte di un tecnico abilitato per la questione del puntellamento e taccheggio delle imbarcazioni, durante l'attività di rimessaggio, trattandosi di documentazione afferente ad informazioni già contenute nel manuale di ogni singolo natante.

Diritto

1. Il ricorso è fondato in relazione al primo motivo ed inammissibile quanto al secondo; e ciò comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essersi i reati estinti per prescrizione.

2. Giova preliminarmente esaminare, invertendo l'ordine sistematico dei motivi come proposti dal ricorrente, il secondo motivo di ricorso, afferente alla nullità della sentenza impugnata per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e per difetto motivazionale, relativamente agli elementi costitutivi delle contravvenzioni antinfortunistiche contestate.

Trattasi di censura inammissibile, giacché manifestamente infondata, essendo il datore di lavoro, e non il preposto, il destinatario delle prescrizioni specificamente violate nel caso di specie e non potendo ritenersi l'esistenza di altre figure di gestori del rischio infortunistico idonee e sufficiente ad esonerare il datore di lavoro dagli obblighi in contestazione.

Né, del resto, è consentita in questa sede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e già adeguatamente scrutinati dal giudice di secondo grado.

3. Cionondimeno, il ricorso non può essere dichiarato inammissibile, atteso che la censura attinente alla richiesta di assoluzione ex art. 131-bis cod. pen è fondata, non avendo il Tribunale di Ravenna fornito alcuna motivazione sul punto, pur in presenza di una specifica richiesta difensiva.

La non manifesta infondatezza della doglianza del ricorrente, avendo determinato la valida instaurazione del presente grado giurisdizionale, conduce alla dichiarazione, ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen., della estinzione del reato contestato per maturata prescrizione (Sez. U., n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818; Sez. U., n. 23428 del 22/03/2005, Rv. 231164; Sez. U, n. 21 del 11/1171994, dep. 1995, Rv. 199903), con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Né, nel caso di specie, emergono, dal testo del provvedimento impugnato, elementi che possano giustificare l'applicazione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Rv. 258169; Sez. 4, n. 9944 del 27/04/2000, Rv. 217255), in considerazione del fatto che la doglianza proposta dal ricorrente nel secondo motivo di ricorso - l'unica riferibile ad elementi che possano incidere sulla valutazione della responsabilità penale - è, come anticipato, inammissibile.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, il presupposto per l'applicazione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., è costituito dall'evidenza, emergente dagli atti di causa, che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato. Solo in tali casi, infatti, la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla causa di estinzione del reato ed è fatto obbligo al giudice di pronunciare la relativa sentenza. I presupposti per l'immediato proscioglimento devono, però, risultare dagli atti in modo incontrovertibile tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale. È necessario, quindi, che la prova dell'innocenza dell'imputato emerga positivamente dagli atti stessi, senza ulteriori accertamenti, dovendo il giudice procedere non ad un "apprezzamento", ma ad una mera "constatazione" (Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Rv. 258169; Sez. 4, n. 9944 del 27/04/2000, Rv. 217255). L'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità vale anche in sede di legittimità, tanto da escludere che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre al suo annullamento con rinvio, possa essere rilevato dalla Corte di cassazione che, in questi casi, deve invece dichiarare l'estinzione del reato. In caso di annullamento, infatti, il giudice del rinvio si troverebbe nella medesima situazione, che gli impone l'obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244275).

4. Nel caso di specie, dall'esame degli atti a disposizione di questa Corte, risulta che i termini di prescrizione sono già decorsi. Per le contravvenzioni contestate, tutte commesse in data 21 gennaio 2019, infatti, trova applicazione, ai sensi degli artt. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. il termine complessivo di cinque anni, giungendosi così, in assenza di periodi di sospensione, alla data finale del 21 gennaio 2024, precedente alla pronuncia della presente sentenza.

5. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché i reati sono estinti per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché i reati· sono estinti per prescrizione.

Così deciso il 31 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 6 settembre 2024.

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