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Sentenza Cassazione Civile n. 12790 del 10 Maggio 2024

Sentenza Cassazione Civile n  12790 del 10 Maggio 2024

Sentenza Cassazione Civile n. 12790 del 10 Maggio 2024 / Mancata partecipazione a corsi di formazione sulla sicurezza

ID 21912 | 22.05.2024 / In allegato

I corsi di formazione in tema di salute e sicurezza sul luogo di lavoro si possono svolgere anche in orari di lavoro che non corrispondono a quello ordinario del lavoratore, ma comunque esigibili dal datore di lavoro come orario straordinario.

Lo ribadisce la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12790/2024.

Definitivo così, il rigetto del ricorso avanzato da un dipendente rimasto in aspettativa non retribuita per nove mesi dopo aver rifiutato di partecipare al corso di formazione, poi seguito solo in parte.

Nel pronunciarsi i giudici evidenziano come la nozione di orario di lavoro, contenuta nell’art. 1, comma 2 del dlgs. 66/2003 abbia un significato ampio e comprende anche i periodi in cui il lavoratore presta l’attività oltre l’orario ordinario previsto dalla legge o dal contratto collettivo, con diritto alle maggiorazioni retributive dovute.

Rilevato che

1. La Corte d’Appello di Cagliari - sez. dist. di Sassari - ha respinto l’appello proposto da M.G. avverso la sentenza del Tribunale di Sassari, in funzione di giudice del lavoro, con la quale era stato rigettato il ricorso del medesimo (introdotto nel merito dopo definizione con ordinanza di rigetto di ricorso ex art 700 c.p.c., confermata dal Collegio) diretto ad accertare che il datore di lavoro (omissis) era tenuto a organizzare i corsi di formazione e sicurezza dei lavoratori durante l’orario di lavoro e senza oneri economici per il lavoratore, ad accertare la legittimità del rifiuto a partecipare a corsi di formazione calendati fuori dal normale orario di lavoro e con oneri economici a carico del lavoratore, dichiarare la nullità del provvedimento di collocamento in aspettativa d’ufficio senza retribuzione per mancata partecipazione ai corsi, condannare il datore di lavoro a versare in favore del lavoratore le somme trattenute dalla retribuzione per effetto del suddetto provvedimento;

2. la Corte territoriale ha ritenuto, in sostanza, il lavoratore comunque tenuto all’effettuazione della formazione nell’orario a tal fine stabilito dalla società, qualificando tale partecipazione, ai fini della relativa remunerazione, nella misura in cui fosse svolta al di fuori dell’orario dal medesimo normalmente seguito, come prestazione di lavoro straordinario, esigibile dalla società; più in dettaglio, ha osservato che il lavoratore era stato sospeso senza retribuzione mediante provvedimento di collocamento in aspettativa d’ufficio per circa 9 mesi, in quanto aveva omesso di partecipare al corso sulla sicurezza, frequentandolo infine solo tra novembre e dicembre 2014; ha interpretato, così come il Tribunale, il disposto dell’art. 37, comma 12, d. lgs. n. 81/2008 nel senso che esso non impone l’obbligo per il datore di lavoro di organizzare i corsi di formazione in tema di sicurezza durante il turno di lavoro di ogni singolo dipendente, né l’obbligo di adattare il predetto turno di lavoro sì da consentire a ciascun lavoratore di seguire il corso durante il proprio orario di lavoro, bensì invita il datore di lavoro a organizzare i corsi prioritariamente durante i turni di lavoro dei suoi dipendenti, compatibilmente con le esigenze aziendali, e di considerare la frequenza come orario di lavoro; ciò tenuto conto che, nella specie, il dipendente lavorava come addetto al centralino con orario dalle 3:45 alle 10:15, che il corso era di complessive 12 ore (frequentabili in 3 turni di 4 ore o 4 di 3 ore), che al lavoratore era stata offerta la possibilità di frequentare in Sassari oppure in Olbia il corso, calcolando le ore di formazione parzialmente ricadenti al di fuori del suo orario come lavoro straordinario, che il piano formativo era stato predisposto in accordo con le organizzazioni sindacali e riguardava 2141 dipendenti;

3. per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore con unico articolato motivo; resiste il datore di lavoro con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

Considerato che

1. parte ricorrente impugna la sentenza di merito per violazione dell’art. 5 dlgs. 66/2003 e dell’art. 37, comma 12, d. lgs. n. 81/2008, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; in particolare, argomenta che l’attività del corso di sicurezza deve rientrare nel monte orario ordinario e non in quello straordinario;

2. il ricorso non è fondato;

3. la Corte territoriale ha condivisibilmente osservato (conformemente ai provvedimenti nel doppio grado cautelare e in primo grado di merito) che certamente la normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro impone al datore di lavoro di organizzare i corsi di formazione e sicurezza dei lavoratori durante l’orario di lavoro e senza oneri economici per il lavoratore; ma ha altresì rilevato che detta disposizione non prevede (né lo potrebbe, salvo ipotizzare corsi organizzati per 24 ore al giorno) che la formazione del singolo dipendente avvenga durante il relativo orario di lavoro di quel lavoratore; al contrario, dispone che la formazione dei lavoratori avvenga durante l’orario di lavoro, espressione, quest’ultima, non riferita alle specifiche ore giornaliere di lavoro svolte da ciascun dipendente, ma da intendersi come volta a precisare che il corso deve essere tenuto durante l’orario di lavoro, eventualmente straordinario; in questo senso, il tempo dedicato alla formazione deve intendersi come tempo di lavoro e, dunque, retribuito come tale;

4. in fatto, i giudici di merito hanno accertato che al lavoratore era stata fornita la possibilità più di una volta di seguire il corso nella sua città (quindi senza oneri economici) o in sede limitrofa;

5. dalla suddetta interpretazione della norma in discussione, conforme al dovere di collaborazione del lavoratore anche in materia di sicurezza, e dagli accertamenti fattuali svolti, è conseguita la valutazione dell’illegittimità del rifiuto del lavoratore a seguire il corso di complessive 12 ore come programmato dall’azienda, tenendo conto dell’elevato numero di dipendenti e della procedura ad evidenza pubblica seguita per individuare l’attuatore del piano formativo; il rifiuto del lavoratore è stato ritenuto in violazione del dovere di partecipazione ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro di cui all’art. 20, lett. h), d. lgs. 81/2008; la messa in aspettativa d’ufficio fino alla frequenza del corso è stata qualificata come misura di sicurezza per l’incolumità dello stesso lavoratore e impedimento all’utilizzo delle sue prestazioni, potenziale fonte di responsabilità del datore nei confronti di lavoratore non formato in materia di sicurezza in adempimento di preciso obbligo di legge;

6. questa Corte, con recente pronuncia n. 20259/2023, cui il Collegio intende dare continuità (e le cui motivazioni si richiamano), ha precisato che l’art. 37, comma 12, del d.lgs. n. 81/2008, nella parte in cui prescrive che la formazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro deve avvenire “durante l’orario di lavoro”, va interpretato nel senso che tale locuzione sia comprensiva anche dell’orario relativo a prestazioni esigibili al di fuori dell’orario di lavoro ordinario, di legge o previsto dal contratto collettivo, per i lavoratori a tempo pieno, e di quello concordato, per i lavoratori a tempo parziale (in tale caso è stata confermata la sentenza che aveva ritenuto un lavoratore con rapporto a tempo parziale tenuto all’effettuazione della formazione nell’orario, pur non corrispondente a quello concordato tra le parti, a tal fine stabilito dal datore di lavoro, qualificando tale partecipazione come prestazione di lavoro straordinario, esigibile dal datore di lavoro);

7. si è specificato in tale arresto che l’obbligo per il soggetto datore di assicurare ai dipendenti un’adeguata formazione in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro si inscrive nel quadro della più generale disciplina dettata dal d. lgs. n. 81/2008, di attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro;

8. in particolare, il relativo art. 15 del d. lgs. cit. nello stabilire “le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro”, annovera fra queste anche la formazione ed informazione dei lavoratori, dei dirigenti e preposti e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

9. l’art. 37 d. lgs. cit. pone specificamente a carico del soggetto datore di lavoro l’obbligo di assicurare ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza (comma 1), dettando un’articolata disciplina circa le modalità e i contenuti di tale obbligo, in particolare stabilendo al comma 2 che la “durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”;

10. infine, il comma 12, di immediato rilievo in relazione alla presente controversia, stabilisce che la “formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l’attività’ del datore di lavoro, durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori”;

11. dal complesso delle richiamate disposizioni si evince il carattere ineludibile per il soggetto datore di lavoro dell’obbligo di assicurare ai dipendenti un’adeguata formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; tale tema intercetta quello rappresentato dalla verifica dell’esigibilità da parte del soggetto datore della partecipazione del dipendente ad un corso di formazione che si tenga in orario non corrispondente a quello ordinario, e in che limiti possa avvenire in orario non coincidente con la normale articolazione oraria della prestazione;

12. la soluzione propugnata dall’odierno ricorrente non trova conforto nel dato testuale dell’art. 37, comma 12, d. lgs. n. 81/2008, il quale si limita a stabilire che la formazione debba avvenire “durante l’orario di lavoro”, senza ulteriori specificazioni;

13. nel ricostruire la portata normativa di tale disposizione, ritiene la Corte che non possa prescindersi dalla definizione di orario di lavoro di cui all’art. 1, comma 2, legge n. 66/2003, vigente all’epoca di emanazione del d. lgs. n. 81/2008 e quindi evidentemente tenuta presente dal legislatore del 2008;

14. per l’art. 1, comma 2, legge n. 66/2003 l’orario di lavoro è “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”; si tratta di una definizione che conferisce all’espressione “orario di lavoro” un significato molto ampio, comprensivo di ogni periodo in cui venga prestata attività di lavoro e quindi anche di attività prestata in orario eccedente quello ordinario o “normale”;

15. tale ampiezza di formulazione è destinata a riverberarsi sul significato normativo da attribuire all’espressione “durante l’orario di lavoro” utilizzata dall’art. 37, comma 12, d. lgs. n.81/2008, nel senso di farvi ricadere l’orario corrispondente a prestazioni, anche al di fuori dell’orario di lavoro “ordinario”, comunque esigibili dal datore di lavoro;

16. tale approdo ermeneutico risulta avvalorato, sempre sul piano testuale, dal fatto che il legislatore del 2008, nello stabilire che l’attività di formazione deve avvenire “durante l’orario di lavoro”, chiarisce contestualmente che essa non può comportare oneri a carico del lavoratore; il che rappresenta un implicito riconoscimento della possibilità datoriale di richiedere che la formazione avvenga in orario corrispondente a prestazioni di lavoro esigibili oltre l’orario normale, fermo restando, sotto il profilo della relativa remunerazione, l’applicazione delle prescritte maggiorazioni;

17. al di là del dato testuale, vi è una considerazione di ordine generale che conforta la soluzione accolta e che scaturisce dalla natura e dalla rilevanza, anche costituzionale, degli interessi coinvolti in coerenza con la ratio di tutela del bene “sicurezza” e del bene “salute” sui luoghi di lavoro che sorregge l’impianto normativo del d. lgs. n. 81/2015; rispetto alle necessità di offrire al dipendente un’adeguata formazione, indispensabile a prevenire rischi per la sicurezza e la salute non solo del singolo ma dell’intera comunità dei lavoratori, nonché dei terzi che vengano in contatto con l’ambiente di lavoro, la pretesa dell’odierno ricorrente al completamento della formazione solo nell’orario corrispondente al proprio turno costituisce espressione di un interesse che non può che essere recessivo rispetto a quelli tutelati dal legislatore del 2008;

18. l’opposta soluzione finirebbe, invero, per pregiudicare, o rendere comunque eccessivamente difficoltoso, l’adempimento dell’obbligo formativo da parte del datore di lavoro; se, infatti, questo dovesse necessariamente modularsi sull’articolazione del “normale” orario di lavoro del dipendente potrebbe darsi una oggettiva difficoltà, se non impossibilità di rispettare tale obbligo, considerato che esso di regola postula la necessaria collaborazione di enti formatori e di tutto il personale operante su vari turni;

19. le considerazioni che precedono orientano quindi nel senso della ragionevolezza di una lettura, meno rigida di quella propugnata dal lavoratore ricorrente, dell’espressione “orario di lavoro” nella norma di cui si discute, da intendersi quindi come comprensiva anche dell’orario relativo a prestazioni esigibili al di fuori dell’orario di lavoro ordinario, di legge o previsto dal contratto collettivo, ferma la retribuzione dovuta con le eventuali maggiorazioni spettanti;

20. la decisione impugnata, pertanto, resiste alle censure proposte, e il ricorso deve essere respinto;

21. le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

22. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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