Cassazione Penale Sez. 4 del 04 maggio 2015 n. 18439
Infortunio con la macchina "Calandra Bridge". Il dispositivo di sicurezza che provoca l'arresto dei rulli compressori ma non anche la contemporanea inversione del loro moto non è a norma
-1- Con sentenza del 12 aprile 2010, il Gup del Tribunale di Macerata ha dichiarato L.L., legale rappresentante della "D. s.p.a.", che svolgeva l'attività di produzione di fondi per calzature, colpevole del reato di lesioni colpose gravi, commesse in pregiudizio del dipendente B.R., rimasto vittima di un infortunio mentre operava sulla macchina denominata "Calandra Bridge", e lo ha condannato, applicata la diminuente del rito abbreviato, alla pena di due mesi di reclusione ed al risarcimento del danno in favore della persona offesa, costituitasi parte civile. Diritto Il ricorso è infondato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Era accaduto che, mentre il B.R. operava sulla macchina denominata "Calandra Bridge" -utilizzata per assottigliare tramite rulli in acciaio matasse di gomma che venivano inserite dall'operatore all'interno del macchinario fino a che le stesse non avessero raggiunto lo spessore stabilito - la mano sinistra dell'operaio era stata trascinata all'interno dei due rulli della calandra e schiacciata. L'infortunio, a seguito del quale il lavoratore ha subito l'amputazione della falange distale del 3,4,5 dito della mano sinistra, si è verificato benché il B.R. avesse prontamente azionato la barra di protezione presente sul lato posteriore della macchina. Tale meccanismo, invero, aveva bloccato i rulli ma non ne aveva provocato il distanziamento né l'inversione di marcia, tanto che per liberare la mano rimasta intrappolata era dovuto intervenire un compagno di lavoro, S.D., che aveva azionato un tasto del quadro comandi posto nella parte anteriore della macchina.
-2- Dell'infortunio è stato ritenuto responsabile il L.L. per avere, nella qualità di legale rappresentante della "D. s.p.a.", per colpa generica e specifica, quest'ultima individuata nella violazione dell'art. 133 co. 2 del d.p.r. n. 547/55, cagionato le lesioni patite dal lavoratore, non avendo adottato tutte le misure tecniche necessarie ai fini di un utilizzo in sicurezza della macchina.
Secondo il tribunale, che ha richiamato i giudizi espressi dagli ispettori dell'Asur, la macchina in questione non presentava i requisiti di sicurezza previsti dalla normativa in materia poiché, sebbene munita di una barra di sicurezza la cui attivazione provocava l'arresto dei rulli, mancava di un dispositivo capace di determinare, oltre al blocco dei rulli, la contemporanea inversione del loro moto. Il tribunale, quindi, ha disatteso la tesi difensiva secondo la quale la calandra era munita di un ulteriore sistema di sicurezza che provocava tale inversione; meccanismo che era stata introdotto dopo analogo infortunio verificatosi nell'anno 1997. Ove anche tale dispositivo fosse stato presente al momento dell'infortunio, ha sostenuto il primo giudice, esso non aveva evidentemente funzionato se il B.R. non era riuscito a liberare la mano rimasta incastrata tra i rulli fino all'intervento del S.D..
-3- Impugnata dall'imputato, tale decisione è stata confermata dalla Corte d'Appello di Ancona, in punto di affermazione della responsabilità, con sentenza del 14 febbraio 2013 che ha tuttavia rideterminato la pena inflitta dal primo giudice in euro 1000,00 di multa.
-4- Propone il L.L. ricorso per cassazione, con il quale denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 133 del d.p.r. n. 547/55 ed agli artt. 175 e 445 cod. proc. pen., per erronea interpretazione della norma, ed in relazione al diniego del beneficio della non menzione della condanna.
Con riferimento al primo motivo di doglianza, il ricorrente osserva che l'assunto della corte territoriale, secondo il quale la calandra non era fornita del dispositivo che, oltre a bloccare i rulli, ne invertiva il moto, era del tutto erroneo perché in contrasto con il contenuto della documentazione acquisita al fascicolo, che attesta la presenza di tale dispositivo fin dal 1997, e con le stesse dichiarazioni del teste S.D.. I giudici del gravame sarebbero, quindi, incorsi in un duplice errore: l'uno in fatto, laddove hanno negato la presenza del dispositivo in questione, l'altro in diritto, laddove hanno sostenuto la necessità della presenza di un dispositivo automatico di blocco del movimento dei cilindri che dovesse attivarsi pur senza l'intervento manuale dell'operatore. Considerazione che il ricorrente ritiene del tutto arbitraria e non correlata alla realtà, laddove si vorrebbe che la macchina fosse dotata di tanta sensibilità da distinguere il materiale sottoposto a compressione e da bloccarsi automaticamente quando le dita di una mano dovessero accidentalmente finire nell'ingranaggio.
Quanto al secondo motivo di doglianza, osserva il ricorrente che la precedente condanna richiamata dal giudice del gravame per negare il beneficio della non menzione, riguarda una sentenza di patteggiamento risalente al 16.2.95, divenuta irrevocabile il 3.4.95. Precedente che l'esponente ritiene non ostativo atteso che, secondo il disposto dell'art. 445 cod. proc. pen., essendo stata irrogata una pena non superiore a due anni (soli o congiunti a pena pecuniaria), il trascorrere di cinque anni (per i delitti) senza che l'imputato ne commetta un altro, come nel caso di specie, determina l'estinzione del reato e di ogni effetto penale.
-1- In punto di responsabilità, ambedue i giudici di merito hanno osservato che, seppur era vero che la calandra sulla quale operava il B.R. era stata dotata, dopo un analogo infortunio occorso nel 1997 ad altro lavoratore, di un dispositivo di sicurezza, era anche vero che tale dispositivo si limitava a provocare l'arresto dei rulli compressori della macchina, non anche la contemporanea inversione del loro moto, che avrebbe consentito l'immediata liberazione della mano del lavoratore. Hanno aggiunto gli stessi giudici che l'assenza del dispositivo di inversione del moto doveva ritenersi accertata, non solo dalle dichiarazioni del teste S.D., compagno di lavoro dell'operaio infortunato, il quale aveva riferito che il sistema di sicurezza prevedeva l'immediato arresto del moto della calandra, non anche l'inversione del moto dei rulli, ma anche con quanto concretamente accaduto al lavoratore, che non è riuscito a liberare la mano perché i rulli non hanno invertito il senso di marcia né si sono adeguatamente distanziati tra loro, talché solo grazie all'intervento del S.D., che aveva azionato altro dispositivo posto sul quadro comandi, è stato possibile liberare la mano del B.R..
La macchina in questione, dunque, hanno correttamente concluso gli stessi giudici, non era fornita dei dispositivi di sicurezza previsti dalla normativa vigente, correttamente citata dai giudici, che prevede che le calandre come quella sulla quale lavorava il B.R. debbano essere fornite di un congegno che, oltre ad arrestare i rulli, ne inverta il movimento, proprio per consentire la liberazione di un arto dell'operatore che sia rimasto intrappolato.
Nel caso di specie, il meccanismo di inversione non esisteva, ovvero, hanno ancora sostenuto, in termini residuali, i giudici del merito, non era funzionante.
Di qui, la conferma della responsabilità dell'imputato, che il ricorrente contesta riproponendo considerazioni già poste all'esame della corte territoriale e dalla stessa ritenute infondate alla stregua di argomentazioni, del tutto coerenti sul piano logico, rispettose della normativa di riferimento, che non meritano alcuna censura.
-2- Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Il beneficio della non menzione della condanna, di cui all'art. 175 cod. pen., è, come è noto, fondato sul principio dell'emenda e tende a favorire il recupero del soggetto, sicché la concessione dello stesso è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice che, tuttavia, deve indicare le ragioni del rigetto o dell'accoglimento del beneficio stesso.
Orbene, nel caso di specie la corte territoriale ha sostanzialmente ribadito, sia pure con argomentazioni evidentemente correlate alle ragioni esposte nei motivi d'appello, il negativo giudizio prognostico espresso dal primo giudice, il quale, nel negare il beneficio, ha evidenziato il concreto grado di colpa che aveva caratterizzato la condotta dell'imputato, oltre ai precedenti penali -che il ricorrente segnala come unico e riferito a vicenda definita con sentenza di patteggiamento-. Giudizio che, sebbene sinteticamente argomentato, rivela il percorso argomentativo attraverso il quale il giudice ha dato conto del corretto esercizio del potere discrezionale che la legge gli riconosce in detta materia.
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2014.