Cassazione Penale, Sez. 4, 23 novembre 2016, n. 49623 - Esplosione e infortunio dell'operaio addetto ai forni fusori. Macchina fuori uso e sostituzione con una meno sicura: responsabilità di un dirigente
1. La Corte d'appello di Milano, con pronunzia resa il 5 febbraio 2016, riformava parzialmente la sentenza con la quale, in data 4 novembre 2014, il Tribunale di Milano in composizione monocratica aveva condannato G.M. (unitamente a G.T.) per il reato di lesioni personali colpose ex artt. 113 e 590 cod.pen., con violazione di norme prevenzionistiche e l'aggravante della previsione dell'evento ex art. 61, n. 3, cod.pen., commesso in Cormano il 23 giugno 2010 in danno di N.B.. Con la sentenza d'appello, mentre il G.T. veniva assolto per non avere commesso il fatto, al G.M. veniva riconosciuta la non menzione della condanna sul certificato dei casellario giudiziale; nel resto, la pronunzia di primo grado veniva confermata.
Nell'ambito della vicenda per cui é processo, il G.M. risponde del reato suddetto quale procuratore con delega in materia di igiene e sicurezza del lavoro della società Form S.p.A..
1.1. L'evento lesivo oggetto d'imputazione si verificava presso il reparto fonderia della detta Società, dalla quale il N.B. dipendeva quale operaio addetto ai forni fusori: costui, con una ruspa dotata di benna, stava caricando frontalmente rottami di alluminio all'interno di un forno, sebbene solitamente per tale attività si adoperasse un altro mezzo, denominato Tomorrow e munito di un particolare sistema di protezione per le operazioni di carico, che però - secondo quanto riferito dal N.B. in giudizio - non funzionava da oltre un mese e, secondo altre fonti di prova orali, era in manutenzione ma era stato già riparato e doveva essere rifornito unicamente di olio. Improvvisamente, si verificava una violenta esplosione (cagionata, secondo quanto emerso nel giudizio di merito, dalla presenza di acqua nei rottami) con fuoriuscita di una significativa quantità di metallo fuso, che investiva la ruspa sulla quale stava operando il N.B. e penetrava nell'abitacolo; l'operaio dapprima cercava di indietreggiare ma, essendosi reso conto della presenza di metallo fuso nell'abitacolo, scendeva dalla ruspa e, a quel punto, scivolava sul metallo fuso sparsosi sul pavimento e cadeva in terra, provocandosi le gravi ustioni di cui all'imputazione.
1.2. La ricostruzione dei fatti e delle responsabilità, emersa in primo grado sulla scorta delle testimonianze e dei rilievi eseguiti dall'ASL, veniva in sostanza confermata dalla Corte territoriale, che escludeva la possibilità che il liquido si fosse mischiato per cause accidentali all'alluminio; affermava che il N.B., nell'operare sulla ruspa, non era protetto, atteso che sulla stessa mancavano i vetri laterali non solo quel giorno, ma già da tempo, come precisato dalla stessa persona offesa e confermato dall'assenza di frammenti di vetro sul luogo dell'incidente; e concludeva, pertanto, che, pur essendo previsto dal DVR che la ruspa potesse essere usata in mancanza del Tomorrow per le operazioni di carico dei rottami, essa era meno adatta a proteggere i lavoratori e oltretutto, nel momento dell'Incidente, essa era priva di vetri laterali e dunque inidonea a proteggere i dipendenti che la usassero per tali operazioni.
Nella predetta qualità, secondo l'imputazione, viene addebitato al G.M. di avere cagionato l'evento lesivo in violazione dell'art. 71, commi 1 e 4 n. 2, D.Lgs. 81/2008, per avere messo a disposizione del N.B. un mezzo inidoneo a proteggerlo (ossia la ruspa), per di più in carente stato di manutenzione, e per averlo cosi costretto a un'uscita precipitosa dall'abitacolo della ruspa, nel quale erano penetrati schizzi di alluminio fuso, e ciò lo poneva nelle condizioni di scivolare sul metallo fuso sparsosi sul pavimento e di procurarsi le lesioni di cui all'imputazione.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il G.M., per il tramite del suo difensore di fiducia. Il ricorso, corredato da una copiosa produzione documentale, si articola in tre ordini di motivi.
2.1. Il primo motivo, con il quale si denuncia vizio di motivazione (e, nella sostanza, anche travisamento di prove), concerne in realtà una pluralità di profili: in primo luogo, la difforme valutazione delle cause dell'incidente da parte della Corte di merito (che collega eziologicamente l'evento alla mancanza dei vetri laterali di protezione della ruspa, di per sé considerata come strumento alternativo al Tomorrow) rispetto al giudice di primo grado (secondo il quale la causa del sinistro é da ricercarsi nell'Indisponibilità del sistema Tomorrow Technology, caratterizzato da ben maggiore sicurezza ed efficacia protettiva); in secondo luogo, l'omessa valutazione del fatto che, a differenza di quanto sostenuto dal teste A. e come confermato dalla stessa persona offesa, l'ordine di utilizzare la ruspa non provenne dal G.M., ma dal preposto, ossia dal capo reparto A.G.; in terzo luogo, quest'ultimo, pur essendo incaricato di avvertire l'ing. G.M. di eventuali guasti o rotture, omise di dare avviso all'imputato della rottura dei vetri della ruspa, come confermato sia dal G.M. che dallo stesso A.G., il quale ha dichiarato in dibattimento che non era al corrente della rottura dei vetri.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione in riferimento alla ricostruzione alternativa dell'episodio fornita dal consulente tecnico della difesa, dott. M., il quale ha evidenziato la possibilità che fosse presente, all'interno del box scarti e rottame ubicato nel forno, il liquido contenuto in lattine da bibita, considerato che (come erroneamente escluso nel giudizio di merito ma confermato dallo stesso teste D. dell'ASL) era presente in prossimità della fonderia un distributore di bevande: ciò, deduce l'esponente, integrerebbe l'interruzione del nesso di causalità fra la condotta contestata e l'evento, risalendo quest'ultimo sui piano eziologico alla condotta abnorme, eccezionale e imprevedibile di qualche lavoratore che avrebbe abbandonato una lattina di alluminio, contenente liquido, nel box scarti e rottami.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia la carenza di motivazione, sia nella sentenza impugnata che in quella di primo grado, in ordine alla riconosciuta aggravante della colpa con previsione ex art. 61, n. 3, cod.pen..