Cassazione Penale, Sez. 4, 06 dicembre 2016, n. 51947 - Caduta al suolo di un tuttofare in nero. Ampia nozione di lavoratore
1. Con sentenza in data 27 novembre 2015 la Corte d'Appello di Milano confermava la condanna pronunciata dal locale Tribunale nei confronti di A.F., titolare dell'impresa individuale di decorazioni pubblicitarie "Aeffe Pubblicità", ritenuto responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore I.I.D., operaio in nero, il quale, all'Interno dello stabilimento dell'impresa, durante le operazioni di posa in opera di pannelli in policarbonato isolanti di ampie dimensioni da collocarsi sulla controsoffittatura degli uffici, fino a raggiungere il colmo del capannone, dopo essere salito su una scala a forbice, era precipitato al suolo da un'altezza di tre metri circa e si era schiantato sulla sottostante scrivania in cristallo, riportando gravissime lesioni ad un occhio e al massiccio facciale.
All'imputato era stata contestata sia una colpa generica sia la violazione di specifiche norme in materia di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, e precisamente: la mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi di cui all'art. 17 comma 1 lett.a) D.lgs.n.81/2008, contenente l'individuazione delle procedure per l'esecuzione dei lavori in quota; la mancata richiesta ai lavoratori del rispetto delle norme di sicurezza (utilizzo di un trabattello e dei necessari dispositivi di protezione individuale), in violazione dell'art. 18 comma 1 lett f) D.lgs.n.81/2008; il mancato controllo dell'osservanza di queste prescrizioni; il mancato adempimento, in favore della persona offesa, degli obblighi di informazione e di formazione sui rischi specifici cui ciascun lavoratore era esposto in ragione dell'attività svolta e sulle conseguenti misure di prevenzione e protezione (artt.36 e 37 D.lgs.n.81/2008); una negligenza, ricavabile dall'art.2087 c.c., consistita nella mancata adozione, nell'esercizio dell'impresa, delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori anche occasionali, e, nello specifico, delle tecniche necessarie a ridurre al minimo i rischi connessi all'esecuzione dei lavori in quota.
La compiuta istruttoria aveva consentito di appurare tali condotte omissive e di verificare, attraverso le testimonianze raccolte, la pericolosità del lavoro che stava svolgendo l'I.I.D.: questi infatti, dopo essere salito su una prima scala a forbice collocata sul pavimento, si era spostato sul muro, vicino al quale andava installato il pannello isolante, ed operava su altra scala a forbice di una larghezza esattamente identica allo spessore del muro su cui era appoggiata, sì da non disporre di alcuna superficie utile circostante, ma avendo anzi lateralmente il vuoto fino al pavimento, mentre i fragili riquadri della controsoffittatura erano utilizzati sia come passaggio di persone sia come appoggio di materiali.
La Corte di Milano aveva quindi deciso che le modalità di svolgimento del lavoro erano di estrema pericolosità, che il datore di lavoro non aveva adottato alcuna misura di prevenzione idonea al tipo di lavorazione in quota, che nella condotta dell'infortunato non era ravvisabile un comportamento abnorme, che gli obblighi gravanti sull'imprenditore di predisporre le misure di protezione collettiva ed i dispositivi di protezione individuale avevano come destinatari non solo i lavoratori subordinati ma tutti i soggetti operanti nell'ambiente di lavoro, e dunque, nello specifico caso, anche l'I.I.D. che lavorava, senza un regolare contratto, come "tuttofare" e veniva chiamato secondo necessità.
2. Ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, per due motivi.
2.1. Con un primo motivo lamenta violazione di legge per erronea applicazione dell'art.40, secondo comma, c.p. La Corte territoriale, una volta esclusa l'esistenza di un lavoro subordinato, avrebbe dovuto accertare almeno l'esistenza di un lavoro autonomo, che comprendesse l'attività da cui era poi originato l'evento, mentre nel caso di specie all'I.I.D. non era stato affidato alcun incarico di collaborare con gli altri operai nelle opere di manutenzione interna del capannone. Per tale ragione non era ravvisabile alcun profilo di colpa del datore di lavoro, poiché nel processo di causazione dell'evento lesivo si era inserita, come causa estranea, la condotta dello stesso infortunato, esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute.
2.2. Con un secondo motivo prospetta contraddittorietà, manifesta illogicità della sentenza in punto di nesso causale. La Corte, una volta accertata la causa naturale dell'evento, aveva ritenuto del tutto genericamente che le misure antinfortunistiche disertate, sarebbero state idonee, ove applicate, alla tutela del lavoratore, senza procedere ad un'ulteriore verifica sugli effetti concretamente preventivi delle misure pretermesse.