Cassazione Penale Sez. 4 del 19 dicembre 2018 n. 57361
Infortunio mortale durante le operazioni di scavo: in presenza di mezzi meccanici va vietata la presenza di operai nel campo di azione del macchinario. Mancanza di un preposto
Penale Sent. Sez. 4 Num. 57361 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 29/11/2018
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«Nei lavori di escavazione con mezzi meccanici deve essere vietata la presenza degli operai nel campo di azione dell'escavatore e sul ciglio dei fronte di attacco»; la violazione di tale regola era espressamente indicata nel capo d'imputazione, unitamente all'altra, prevista dall'art.19 d. lgs. n.81/2008, che disciplina gli obblighi gravanti sul preposto, con il chiaro obiettivo di delineare il comportamento alternativo corretto che il datore di lavoro avrebbe dovuto tenere per evitare l'evento. Nella sentenza si è affermato, in linea con l'impostazione accusatoria, che, per prevenire la concretizzazione del rischio che la regola posta dall'art.118, comma 3, d. lgs. n.81/2008 mira ad evitare, il datore di lavoro avrebbe dovuto garantire la presenza di una persona che vigilasse affinchè, nel momento dell'avvio della lavorazione, l'area interessata fosse libera da persone, non essendo a tal fine sufficiente la misura in concreto adottata, segnatamente la recinzione dell'area, né la mera prescrizione orale o la presenza di cartellonistica o segnaletica visiva. Le due pronunce conformi risultano esaustive anche per aver affermato che non vi fosse la prova che il datore di lavoro avesse provveduto al coordinamento spazio-temporale tra le due lavorazioni.
1. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha riformato limitatamente al trattamento sanzionatorio, con giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Roma il 26/09/2016 nei confronti di P.F., in relazione al reato di cui agli artt.40 e 589 cod. pen. commesso in Roma il 20 febbraio 2009. All'imputato si era contestato, in qualità di datore di lavoro, amministratore unico della Multiservizi P.F. s.r.l., di aver cagionato la morte del lavoratore B.N. per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché nella violazione della normativa in materia di infortuni sul lavoro, segnatamente per non aver vietato la presenza di operai nel raggio di azione dell'escavatore marca Hitachi ZX 240 in fase operativa e per non aver nominato formalmente alcun preposto che, in sua assenza, sovrintendesse e vigilasse alle operazioni di scavo.
2. Il fatto è stato così ricostruito nelle fasi di merito: all'interno di un cantiere sito in via Collatina, ove erano in corso opere di allaccio della fognatura dell'asilo nido di Lunghezza, l'escavatorista A.E. si trovava ai comandi di un Hitachi ZX240; il lavoratore aveva intrapreso la lavorazione senza avvedersi della presenza di B.N., operaio esperto e specializzato, incaricato di eseguire alcuni rilievi nell'area di manovra della benna dell'escavatore; nella movimentazione verso destra, la benna aveva preso a contrasto l'operaio cagionandogli un trauma, prevalentemente toracico, dall'esito mortale.
3. P.F. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata, con un primo motivo, per inosservanza e erronea applicazione degli artt.40 e 589, secondo comma, cod. pen., 118, comma 3, 159, comma 1 lett.a), 19, comma 1 lett.a), e 56, comma 1 lett.a), d. Lgs. 9 aprile 2008, n.81. I giudici di merito hanno riconosciuto la violazione di obblighi non previsti dalla legge, affermando la responsabilità dell'imputato in assenza di profili di colpa specifica da porsi in relazione causale con l'evento. Nel corso dell'istruttoria dibattimentale era emerso che l'imputato, sulla scorta dell'esaustivo piano operativo di sicurezza (POS) e dell'altrettanto scrupoloso piano di sicurezza e coordinamento (PSC) avesse individuato correttamente i fattori di rischio ed elaborato, per quanto di competenza, misure, sistemi e procedure per assicurare la sicurezza di tutti i lavoratori del cantiere. L'area era stata delimitata con paletti in ferro infissi nel terreno e rete rossa in plastica al fine di interdire a tutte le maestranze la zona interessata dal raggio di azione della macchina, in ottemperanza a quanto previsto dall'art.118, comma 3, d.lgs. n.81/2008; non vi era, d'altro canto, l'obbligo di nominare un preposto a terra per le operazioni di scavo, trattandosi di scelta discrezionale del datore di lavoro in base all'organizzazione ed alla complessità della sua azienda. La Corte territoriale, contraddicendosi sul punto, ha affermato che la nomina di un preposto o altro soggetto addetto alla vigilanza delle operazioni non fosse obbligatoria ma sarebbe stata opportuna. Secondo il ricorrente, il datore di lavoro risponde dell'incolumità fisica dei lavoratori nell'alveo della previsione del rischio e nell'attuazione delle misure per farvi fronte, non anche per la mancata supervisione di ogni operazione lavorativa all'interno del cantiere. Il rischio era stato individuato, le misure per evitarlo erano state adottate mediante la recinzione dell'area di scavo, l'operaio era stato informato del fatto che l'accesso allo scavo per le misurazioni sarebbe stato consentito a scavo completato e quando la macchina escavatrice si fosse allontanata dal raggio d'azione. In difetto di norme antinfortunistiche la cui violazione fosse addebitabile all'imputato, nessun addebito di colpa specifica avrebbe potuto essergli ascritto.
Con il secondo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt.157, comma 4, e 589 cod. pen. per intervenuta prescrizione del reato, in assenza di violazioni di norme antinfortunistiche.
Con il terzo motivo deduce contraddittorietà ed illogicità della motivazione laddove i giudici di appello hanno, dapprima, riconosciuto la corretta organizzazione del cantiere, la corretta valutazione del rischio e la mancanza dell'obbligo di nominare un preposto e, successivamente, hanno evidenziato profili di carenza organizzativa.
4. Con memoria depositata il 7 novembre 2018 l'INAIL ha concluso per il rigetto del ricorso.
1. Il ricorso è infondato.
2. Le censure s'incentrano tutte sull'asserita rispondenza della condotta del datore di lavoro alle norme antinfortunistiche applicabili al caso concreto e sulla, conseguente, assenza di colposa omissione di doverose cautele: il rischio era stato correttamente individuato ed altrettanto corrette erano state le misure attuate per evitarlo, segnatamente la recinzione dell'area di scavo; l'operaio era, inoltre, informato del fatto che l'ingresso nell'area di scavo gli fosse consentita solamente dopo il completamento dello scavo e l'allontanamento della macchina escavatrice dal raggio d'azione.
3. Giova premettere che, ai fini dell’operatività della clausola di equivalenza di cui all’art.40, secondo comma, cod. pen., l’accertamento dell'obbligo impeditivo è il primo passaggio necessario per individuare il soggetto responsabile del reato omissivo improprio. In relazione a tale norma, la giurisprudenza di legittimità, sin dagli anni novanta del secolo scorso, ha infatti elaborato la «teoria del garante», muovendo dall’osservazione - e dalla valorizzazione - del significato profondo che deve riconoscersi agli «obblighi di garanzia», discendenti dallo speciale vincolo di tutela che lega il soggetto garante, rispetto ad un determinato bene giuridico, per il caso in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di proteggerlo autonomamente (Sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990, dep. 1991, Bonetti, in motivazione). E' compito dell'interprete procedere alla selezione delle posizioni di garanzia, per tutti i casi della vita - non tipizzati dal legislatore - corrispondenti ad una situazione di passività, in cui versi il titolare del bene protetto, ma non meno complesso si presenta il compito dell'interprete chiamato a definire il contenuto della condotta protettiva anche in relazione a garanti già individuati dalla legge. Tanto chiarito, preme pure evidenziare che la Corte regolatrice, nel rilevare la complessità delle valutazioni conducenti alla selezione delle posizioni di garanzia, da intendersi come locuzione che esprime in modo condensato l’obbligo giuridico di impedire l’evento, ha espressamente considerato: che occorre guardarsi dall’idea ingenua, e foriera di fraintendimenti, in base alla quale la sfera di responsabilità penale di ciascuno possa essere sempre definita e separata con una rigida linea di confine e che questa stessa linea crei la sfera di competenza e responsabilità di alcuno escludendo automaticamente quella di altri; che particolarmente complessa risulta la selezione dei garanti e l’individuazione di aree di competenza pienamente autonome, che giustifichino la compartimentazione della responsabilità penale, specialmente nell’ambito della figura della cooperazione colposa; che l’interprete deve avere sempre presente lo scopo del diritto penale, che «è proprio quello di tentare di governare tali intricati scenari, nella già indicata prospettiva di ricercare responsabilità e non capri espiatori» (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison, Rv. 25409401).
3.1. Il principio interpretativo che deve guidare il giudice nell'applicazione della clausola di equivalenza di cui all’art. 40, secondo comma, cod. pen., al fine di accertare la posizione di garanzia, ma che regola come un faro anche i giudizi che ne costituiscono il corollario, si sostanzia nel tenere presente la fonte da cui scaturisce l’obbligo giuridico protettivo, che può essere la legge, il contratto, la precedente attività svolta, o altra fonte obbligante e, in tale ambito ricostruttivo, al fine di individuare lo specifico contenuto dell'obbligo, come scaturente dalla determinata fonte di cui si tratta, nel valutare sia le finalità protettive fondanti la stessa posizione di garanzia, sia la natura dei beni dei quali è titolare il soggetto garantito, che costituiscono l'obiettivo della tutela rafforzata, alla cui effettività mira la clausola di equivalenza (Sez. 4, n. 9855 del 27/01/2015, Chiappa, Rv. 26244001).
3.2. Nella materia degli infortuni sul lavoro la posizione di garanzia del datore di lavoro trova, di regola, la sua fonte nel contratto; una volta individuato il garante, è necessario illustrare lo specifico contenuto dell'obbligo alla cui violazione sia riconducibile il rischio che s'intende prevenire, giovando a tal fine sia la consapevolezza che le norme cautelari «elastiche» richiedono l'esame delle circostanze del caso concreto per la definizione contenutistica, sia la delimitazione dell'area di rischio tutelata dalla regola cautelare. In tale ottica, il contenuto dell'obbligo impeditivo viene, di volta in volta, calibrato sulla regola «elastica» che impone al datore di lavoro il generale e generico dovere di tutelare l'integrità fisica del lavoratore (art.2087 cod. civ.) o sulle specifiche regole cautelari dettate da leggi speciali, che non sempre definiscono in maniera «rigida» la condotta doverosa. Nel caso qui in esame, ratione temporis, si è contestata la violazione di alcune regole cautelari imposte dal d. Lgs. 9 aprile 2008, n.81 (di attuazione dell'art.1 L. 3 agosto 2007, n.123, con cui è stata conferita al Governo la delega per il riassetto e la riforma della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro).
4. Nel pieno rispetto del procedimento logico-giuridico che regola il giudizio di responsabilità nel campo dei reati omissivi impropri, la Corte territoriale ha richiamato la regola cautelare prevista dall'art. 118, comma 3, d. Lgs. 9 aprile 2008, n.81 per desumerne l'obbligo giuridico la cui violazione fosse ascrivibile all'imputato. La norma recita: «Nei lavori di escavazione con mezzi meccanici deve essere vietata la presenza degli operai nel campo di azione dell'escavatore e sul ciglio dei fronte di attacco»; la violazione di tale regola era espressamente indicata nel capo d'imputazione, unitamente all'altra, prevista dall'art.19 d. Lgs. 9 aprile 2008, n.81, che disciplina gli obblighi gravanti sul preposto, con il chiaro obiettivo di delineare il comportamento alternativo corretto che il datore di lavoro avrebbe dovuto tenere per evitare l'evento. Nella sentenza si è affermato, in linea con l'impostazione accusatoria, che, per prevenire la concretizzazione del rischio che la regola posta dall'art.118, comma 3, d. Lgs. 9 aprile 2008, n.81 mira ad evitare, il datore di lavoro avrebbe dovuto garantire la presenza di una persona che vigilasse affinchè, nel momento dell'avvio della lavorazione, l'area interessata fosse libera da persone, non essendo a tal fine sufficiente la misura in concreto adottata, segnatamente la recinzione dell'area, né la mera prescrizione orale o la presenza di cartellonistica o segnaletica visiva. Le due pronunce conformi risultano esaustive anche per aver affermato che non vi fosse la prova che il datore di lavoro avesse provveduto al coordinamento spazio-temporale tra le due lavorazioni commissionate al B.N. e all'A.E..
4.1. Non corrisponde, dunque, al tenore del provvedimento l'affermazione, contenuta nel ricorso, secondo la quale la responsabilità dell'imputato sarebbe stata affermata senza fare riferimento ad alcuna norma del d. lgs. n.81/2008 o senza individuare alcuna condotta specificamente antigiuridica o tralasciando integralmente gli specifici addebiti mossi al P.F. nel capo d'imputazione. Al contrario, i giudici di merito hanno puntualmente richiamato la regola cautelare indicata nel capo d'imputazione, avendo cura di definire il contenuto del divieto imposto da tale regola con la precisazione che, a prescindere dall'applicabilità dell'altra regola che prevede l'obbligo di nominare un preposto con compiti di vigilanza, in ogni caso già in base alla prima regola cautelare il datore di lavoro si sarebbe dovuto attivare per prevenire l'evento con misure efficaci, nell'ambito dell'area di rischio già individuata, specialmente nella fase di avvio della lavorazione ed in considerazione di due condizioni accertate in concreto, ossia la circostanza che l'operaio deceduto era incaricato di eseguire alcune misurazioni nella zona dello scavo e la circostanza che l'addetto all'escavatore aveva la visuale frontale preclusa.
4.2. Si tratta, in altre parole, dell'attribuzione della colpa a colui che, in quanto garante del rischio, era anche dotato di poteri di natura tale da impedire il verificarsi dell'evento. In presenza di norme cautelari dal contenuto comportamentale non rigidamente definito sono proprio le situazioni concrete a determinare l’ambito dei poteri impeditivi esigibili da parte del garante, dunque a determinare il livello d'intervento da considerare adeguato, ferma restando la necessità che la condotta adeguata sia individuata con valutazione ex ante.
5. La pronuncia qui impugnata risulta avere colto, in definitiva, la diversa portata del giudizio quando si tratti di applicare regole cautelari «elastiche» piuttosto che «rigide» (Sez. 4, n. 37606 del 06/07/2007, Rinaldi, Rv. 23705001; Sez. 4, n. 29206 del 20/06/2007, Di Caterina, Rv. 23690501; Sez. 4, n. 24823 del 02/03/2007, Mazzoleni, Rv. 23698801). Applicando la distinzione al caso concreto, il comportamento alternativo corretto, in presenza di norme cautelari «elastiche», è stato individuato in quella condotta che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, avrebbe evitato il verificarsi dell’evento. Per aversi un comportamento alternativo corretto può non essere sufficiente, in altre parole, una mera condotta osservante delle regole cautelari (contrapposta alla condotta inosservante delle medesime regole) ma è necessaria quella condotta che, in relazione alle circostanze del caso concreto, sarebbe stata idonea ad evitare l'evento (Sez.4, n.40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 27387101).
6. Alla luce di tale criterio interpretativo, non risulta contraddittorio il riconoscimento rivolto al P.F. dai giudici di merito per aver ben organizzato il cantiere, per essere in regola con i piani e la documentazione di sicurezza, per avere istruito e formato il personale, trattandosi di un giudizio che opera su un piano diverso e che descrive un generale atteggiamento diligente del datore di lavoro, non incompatibile con la omessa individuazione, in uno alla formale osservanza delle regole cautelari, di quali fossero le modalità di adempimento degli obblighi giuridici genericamente dettati che si sarebbero rivelate efficaci nella prevenzione del rischio in concreto verificatosi.
7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; segue, a norma dell'art. 616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese in favore dell'I.N.A.I.L, liquidate come in dispositivo.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione in favore dell'INAIL delle spese di questo giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 29 novembre 2018