Cassazione Penale Sez. 4 del 03 novembre 2022 n. 41349
Primo giorno di lavoro e infortunio del lavoratore somministrato con la macchina pressatrice priva di requisiti di sicurezza
Penale Sent. Sez. 4 Num. 41349 Anno 2022
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 20/10/2022
1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia di condanna emessa il 15 gennaio 2021 dal Tribunale di Cuneo nei confronti di M.M., imputato del delitto previsto dall'art.590, commi 1,2 e 3, in riferimento all'art. 583, comma 1, nn.1 e 2 cod. pen. perché, nella sua qualità di datore di lavoro in quanto titolare dell'omonima ditta individuale M.M. alle cui dipendenze prestava attività lavorativa, in regime di somministrazione, B.A. con contratto di assunzione di somministrazione di lavoro a tempo determinato per il periodo 7/14 febbraio 2014, aveva impiegato alla data dell'infortunio il lavoratore adibendolo nella prima giornata di lavoro anche allo stampaggio a piastre mediante pressa idraulica marca Cesare Galdabini modello RPRS50 n.25919 costruita nel 1969 in violazione dell'art. 70, comma 2, d. lgs. 9 aprile 2008, n.81, omettendo di mettere in sicurezza l'attrezzatura di lavoro, costruita antecedentemente all'emanazione di disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, in violazione dell'art. 28, comma 2 lett. a) d.lgs. n.81/2008; omettendo di adottare il documento di valutazione dei rischi contenente una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, in particolare essendo il documento relativo a macchine del reparto taglio e piegatura non comprensivo di tutti i rischi per la sicurezza in quanto non vi erano valutati quelli relativi alla pressa di cui sopra; violando l'art. 37, comma 1, d. lgs. n.81/2008 per aver omesso di assicurare che ciascun lavoratore ricevesse una formazione sufficiente e adeguata con particolare riferimento ai rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell'azienda, in particolare per non aver assicurato che il lavoratore ricevesse prima dell'assegnazione una formazione sufficiente e adeguata. In conseguenza di tali violazioni il lavoratore, durante l'effettuazione della lavorazione comandata, operando alla pressa sopra indicata, dopo aver inserito nello stampo l'ennesima piastra e aver premuto il pedale per lo stampaggio, dopo essersi accorto di non aver posizionato correttamente la piastra, aveva istintivamente allungato la mano sinistra per correggere il posizionamento mentre lo stampo raggiungeva il controstampa, con conseguente schiacciamento dell'estremità della mano sinistra, da cui erano determinati l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni nonche l'indebolimento permanente della funzione prensile. Fatto avvenuto in Scarnafigi il 7 febbraio 2014.
2. M.M. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata, con un primo motivo, per violazione, falsa applicazione della legge penale, inosservanza di norme stabilite a pena di inutilizzabilità, contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione sulla sussistenza del reato contestato in ordine al primo motivo di appello. Secondo la difesa, la Corte di appello ha rigettato il primo motivo di gravame con motivazione apodittica, sebbene non fosse stata raggiunta la prova che M.M. avesse dato l'ordine al signor B.A. di recarsi a lavorare alla pressa nel suo primo giorno di lavoro. L'imputato neppure si trovava in azienda; è emerso che sia stato un operaio a dire al lavoratore di operare alla pressa; essendo il primo giorno di lavoro era matematicamente impossibile per il titolare poter completare la formazione del neo-dipendente. Inoltre, l'attività formativa di fatto è stata posta in essere dall'operaio anziano, factotum dell'azienda, il quale ha compiutamente spiegato il funzionamento della pressa al lavoratore, che pe1· una mera fatalità nel primo giorno di lavoro si è infortunato sebbene dovesse attenersi alla sola visita dei locali.
2.1. Con un secondo motivo deduce violazione, falsa applicazione della legge penale, inosservanza di norme stabilite a pena di inutilizzabilità, contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione in ordine al secondo motivo di appello, con il quale si era lamentata l'eccessività della pena. La Corte di appello ha ritenuto non applicabile l'art. 131 bis cod. pen. sebbene il lavoratore, al quale era stato spiegato dall'operaio anziano il funzionamento della pressa, avesse agito discostandosi dalle regole cautelari che governano il settore di attività.
2.2. Con un terzo motivo deduce violazione, falsa applicazione della legge penale, inosservanza della causa estintiva del reato e delle norme stabilite con riferimento alla prescrizione del reato in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, il termine prescrizionale di anni 7 e mesi 6 è ormai decorso.
3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
4. Il primo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, trattandosi di censura che tende ad introdurre nella fase di legittimità una nuova valutazione del compendio istruttorio. Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, la Corte di appello ha esaminato puntualmente il motivo di appello inerente alla responsabilità dell'imputato, giungendo ad affermare che la versione difensiva, secondo la quale il datore di lavoro avrebbe indicato al lavoratore esclusivamente di provvedere alla pulizia dei locali, non è stata provata, essendo invece emerso dalla prova dichiarativa che l'imputato, assente nel primo giorno di lavoro del B.A., avesse affidato il lavoratore al figlio, che a sua volta lo avrebbe affidato al lavoratore anziano affinché lo formasse. La censura omette di confrontarsi con tali emergenze istruttorie e rappresenta un vizio motivazionale che non trova riscontro nel provvedimento impugnato. I giudici di merito hanno, inoltre, sottolineato l'inadeguatezza del macchinario presente nell'impresa e l'omessa formazione del lavoratore, ritenendo provata la violazione delle norme cautelari enunciate nel capo d'imputazione.
4.1. Con particolare riguardo all'inadeguatezza della macchina pressatrice presente in azienda, in un caso analogo la Corte di legittimità ha già ricordato che sul datore di lavoro grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare un macchinario e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n.26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 25694801). Correttamente, dunque, giudici di merito hanno ritenuto responsabile il datore di lavoro per avere messo a disposiziione del lavoratore una pressa priva dei necessari presidi di sicurezza in quanto non sottoposta ai necessari ammodernamenti, richiesti dalla sopravvenuta normativa di matrice europea (Sez.4, n.36153 del 22/09/2021, Dossena, Rv.28188601) e consentiti dal progresso tecnologico.
4.2. L'assunto secondo il quale, essendo il primo giorno di lavoro, il datore non avrebbe avuto il tempo di formare adeguatamente il lavoratore, sostiene il giudizio espresso dalla Corte territoriale circa la condotta colposa del datore, piuttosto che confutare tale giudizio. L'attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, deve necessariamente precedere l'adibizione del lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto, non può essere esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, nè dal travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. L'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione previste dalla legge (Sez.4, n.21242 del 12/02/2014, Nogherot, Rv. 25921901).
5. Il secondo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità in quanto generico. Ivi si fa riferimento a una condotta colposa del lavoratore a sostegno del giudizio di particolare tenuità del fatto sebbene tale profilo non abbia formato oggetto di specifica censura. Nella sentenza impugnata si è ritenuta la doglianza inerente al trattamento sanzionatorio al limite della inammissibilità e purtuttavia la Corte territoriale ha replicato ritenendo che le regole cautelari asseritamente violate dal lavoratore fossero a quest'ultimo del tutto ignote in·quanto privo di adeguata formazione, dunque con motivazione congrua ed esente da manifesta illogicità. Giova ricordare che la questione della deducibilità dell'istanza di applicazione dell'art. 131 bis cod. pen. per la prima volta in cassazione, è risolta negativamente dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n.19207 del 16/03/2017, Celentano, Rv.26991301).
6. Con riguardo al terzo motivo di ricorso, il Collegio osserva che alla data in cui è stata emessa la sentenza di appello, il 3 maggio 2022, il termine prescrizionale non era decorso, come correttamente argomentato dalla Corte territoriale, essendo rimasto sospeso per complessivi anni 1, mesi 3 giorni 2 a seguito di una serie di rinvii disposti su richiesta della difesa dell'imputato e per astensione dalle udienze del difensore dell'imputato. Va ricordato, inoltre, che l'evidenziata inammissibilità del ricorso osta all'applicazione della disciplina in materia di prescrizione. Invero, le Sezioni Unite della Corte regolatrice hanno da tempo chiarito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. che sarebbero maturate, come nel caso in esame, successivamente rispetto alla sentenza impugnata (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).
7. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a nor ma dell'art.616 cod.proc.pen. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 20 ottobre 2022