Sicurezza lavoro

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 34348 | 03 Dicembre 2020

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 03 dicembre 2020 n. 34348

Braccio incastrato nel rullo del nastro trasportatore.

La formazione e l'esperienza della vittima non hanno reso imprevedibile - fino all'abnormità - il pur incauto comportamento

Penale Sent. Sez. 4 Num. 34348 Anno 2020
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 18/11/2020

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Bari, in data 16 maggio 2019, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Bari, il 5 marzo 2018, aveva condannato V.P. alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di omicidio colposo con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (in specie artt. 70, comma 1, e 71, comma 3, d.lgs. n. 81/2008) contestato come commesso il 13 gennaio 2010 in danno di A.S.
Secondo la tesi accusatoria accolta nel giudizio di merito, in occasione dell'incidente che gli costò la vita, lo A.S., dipendente della Betonimpianti (società di cui il V.P. era amministratore delegato), stava rimuovendo materiali inerti dalla parte sottostante un nastro trasportatore (denominato linea A) della cui manutenzione egli era incaricato; contemporaneamente veniva segnalato da un centralinista a V.S. (nipote della vittima e a sua volta dipendente dalla stessa Società) l'arrivo di una betoniera da caricare sulla stessa linea; V.S. chiedeva allo zio se non fosse il caso di procedere al carico su altra linea (la B), ma A.S. rispondeva che era meglio provare il funzionamento della linea A. Perciò poco dopo V.S., che non aveva più in quel momento la possibilità di comunicare con la sala tecnica dove era posizionato il nastro della linea A, lo rimetteva in funzione, attivando i comandi per effettuare due cicli di carico; ma, dopo avere fermato la macchina al termine del primo ciclo e avendola nuovamente azionata per il secondo, notava sul monitor la comparsa del segnale di allarme tecnico; si recava quindi presso la sala tecnica, ove scopriva il corpo dello zio in posizione supina e adagiato sul nastro trasportatore, con il braccio sinistro incastrato nel rullo; gli operatori del 118 non potevano fare altro che constatarne il decesso.
Al V.P., nell'anzidetta qualità apicale, si rimprovera in sostanza di non avere adottato le necessarie cautele e misure, nonché i necessari dispositivi di sicurezza, per impedire infortuni del tipo di quello occorso allo A.S., dovuti al contatto del lavoratore con gli organi in movimento dell'impianto; di non avere indicato, nel redigere il documento di valutazione dei rischi relativi all'uso del macchinario, l'obbligo di procedere alle operazioni di manutenzione a macchina ferma; e di non avere posizionato nella zona dell'impianto qualsiasi segnaletica di sicurezza e di avviso di pericolo e di divieto.
La Corte barese ha disatteso la prospettazione difensiva, confermando la configurabilità delle violazioni addebitate al V.P. nella sua posizione datoriale ed escludendo che l'infortunio - che pure era stato cagionato anche dal comportamento imprudente dello A.S. - fosse dovuto a condotta eccezionale e imprevedibile del lavoratore, tale da interrompere il nesso causale e da esonerare da colpe l'imputato.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il V.P.. Il ricorso, corredato da un'ampia premessa riassuntiva, é articolato in tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione, in primo luogo, con riguardo alla disposta inutilizzabilità delle dichiarazioni di V.S. (che aveva assunto la qualità di coimputato), sulle quali pure si era basata la ricostruzione della dinamica dell'incidente da parte del perito e dei consulenti tecnici; in secondo luogo, con riguardo al fatto che l'incidente fu cagionato dalla condotta della persona offesa, gravemente imprudente e del tutto imprevedibile - e non meramente concausale -, a considerare che lo A.S. era soggetto compiutamente formato e informato per le mansioni che stava svolgendo; che il DVR indicava la specifica procedura di manutenzione del macchinario, che nella specie lo A.S. non aveva osservato, non avendo egli provveduto ad azionare l'apposita cordicella di fermo nastro. Conseguentemente non poteva parlarsi di manchevolezze nella redazione del D.V.R., tant'é che gli stessi giudici dell'appello riconoscono che, per la linea di carico contrassegnata dalla lettera B (del tutto identica a quella ove si verificò l'infortunio), il rischio affrontato dalla vittima era stato correttamente affrontato.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al fatto che la Corte distrettuale ha ritenuto fondato il rimprovero mosso al V.P. di non avere adottato le necessarie cautele, laddove l'incidente fu provocato unicamente dall'imprudente e imprevedibile operazione posta in essere dallo A.S., dipendente esperto e specificamente formato in ordine al rischio in esame: quand'anche il locale ove era posizionata la linea A fosse stato chiuso con porta e serratura e vi fossero ripari fissi quali carter, gabbie e reti rigide invalicabili, ciò non avrebbe influito sulla dinamica dell'evento; lo stesso é a dirsi per la minore o maggiore distanza del cordino di fermo nastro. Contesta poi il ricorrente che l'ispettore dello SPISAL M. abbia dichiarato che la partenza del secondo ciclo non fosse stata segnalata acusticamente, avendo egli dichiarato anche l'esatto contrario; ed allega altresì l'esponente che non ha avuto alcuna rilevanza concausale la censurata assenza di possibilità di comunicazione audio o visiva tra la sala tecnica e la centrale di comando dell'impianto.
2.3. Con il terzo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al decorso causale, ribadendo l'imprevedibilità e l'imprevenibilità della condotta dello A.S., il quale, nonostante la sua comprovata esperienza e la sua formazione, non azionò la cordicella di fermo impianto. Una condotta, conclude l'esponente, qualificabile come causa esclusiva dell'accaduto.

3. Si dà atto che il difensore del ricorrente ha fatto pervenire in Cancelleria, in data 2 novembre 2020, una memoria con la quale insiste per l'accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso si appalesa manifestamente infondato nella parte in cui si censura la decisione di qualificare come inutilizzabili le dichiarazioni rese dal coimputato V.S., laddove - lo si ricava agevolmente dalla lettura della motivazione della sentenza - era stata la stessa difesa a sollevare la questione dell'inutilizzabilità di dette dichiarazioni. L'argomento é tanto più privo di consistenza in quanto é lo stesso ricorrente a dare per acquisito che la dinamica del sinistro (ossia ciò su cui V.S. avrebbe potuto riferire) «non é oggetto di rilievi o censure» (pag. 9 ricorso).
Nel prosieguo, il motivo di ricorso in esame risulta comunque infondato nell'enunciare due argomenti che costituiscono a ben vedere l'oggetto (anche) dei motivi di ricorso successivi: ossia l'idoneità del D.V.R. a delineare e prevenire il rischio nella specie concretizzatosi, nonché la natura eccezionale e imprevedibile del comportamento imprudente della vittima.
1.1. Invero, quanto al primo aspetto, é noto che il documento di valutazione dei rischi, previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori; é compito del datore di lavoro, una volta individuato il rischio, predisporre le misure precauzionali e procedimentali, ove necessarie, per impedire l'evento (cfr. la recente Sez. 4, n. 27186 del 10/01/2019, D'Ottavio, Rv. 276703). La Corte di merito, con ampio e conducente percorso argomentativo, ha escluso che tale compito sia stato correttamente assolto dal V.P. nella sua qualità datoriale, evidenziando una serie di manchevolezze che, tra loro coordinate, hanno assunto rilevanza sul decorso causale dell'infortunio e che, ove non vi fossero state, avrebbero ragionevolmente evitato l'esito mortale dell'incidente. Il D.V.R., osserva la Corte barese (pag. 16 sentenza), non si é fatto carico di chiarire quali fossero le modalità comunicative audio-video tra la sala tecnica - ove si trovava il nastro trasportatore - e il comando della macchina ove operava il nipote della vittima: é chiaro che, se vi fosse stata la possibilità di comunicare fra i due protagonisti dell'episodio, V.S. non avrebbe azionato l'impianto mentre lo zio vi stava operando per rimuovere il materiale inerte. La Corte di merito ha altresì chiarito che il cordino di sicurezza era posizionato in modo del tutto inadeguato rispetto a quanto stabilito dalla normativa, sia per essere collocato solo su un lato del nastro, sia per la distanza eccessivamente ravvicinata rispetto al rullo (pag. 12 sentenza). Inoltre, é stato evidenziato che vi era totale carenza di dispositivi di sicurezza (sensori, fotocellule per far scattare l'arresto automatico dell'impianto, ecc.) che sollevassero il lavoratore da un onere di attenzione che si traduceva, di fatto, in un affidamento esclusivo del rischio a suo carico (pp. 13 e 20 sentenza). La Corte di merito ha altresì richiamato le prescrizioni di cui agli allegati V e VI al D.Lgs. 81/2008 (con particolare riguardo, rispettivamente, ai requisiti di sicurezza di elementi mobili e all'uso delle attrezzature di lavoro in cui siano presenti elementi mobili) per evidenziare come nel caso di specie le cautele ivi prescritte non fossero state adeguatamente attuate (pp. 15 - 16 sentenza). In definitiva, la Corte distrettuale ha ampiamente evidenziato gli elementi di lacunosità rispetto alle misure da adottare per prevenire i rischi del tipo di quello concretizzatosi in occasione dell'incidente.
1.2. Quanto all'aspetto concernente l'asserita esclusività della colpa dell'accaduto in capo alla vittima, tale da integrare un comportamento di tale abnorme imprudenza da non essere prevedibile né prevenibile, si rammenta il principio, affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247); oppure, quanto meno, che il rischio concretizzatosi rientri bensì nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, Sentenza n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Di contro, l'impugnata sentenza (pp. 17 - 20) rende ampiamente ragione dell'impossibilità di qualificare il comportamento dello A.S. - quantunque indubbiamente caratterizzato da imprudenza e, come tale, idoneo a concorrere causalmente all'infortunio e al suo esito letale - come idoneo ad assorbire l'intera incidenza causale dell'evento mortale, rilevando di contro la prevedibilità ed evitabilità di un simile comportamento da parte dell'odierno ricorrente, ed essendo del resto di tutta evidenza che nell'ambito della sfera di rischio nella specie concretizzatasi rientrava anche la circostanza che l'operatore, nell'effettuare la manutenzione e la pulizia del nastro trasportatore in base alle sue mansioni, posizionasse la mano e il braccio all'interno di un macchinario pericoloso. Risulta comunque evidente, ed ampiamente argomentato dalla Corte di merito, che la formazione e l'esperienza del lavoratore non hanno reso imprevedibile fino all'abnormità il pur incauto comportamento dello A.S..

2. Gli aspetti fin qui evidenziati rendono evidente anche l'infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso, in cui il ricorrente si diffonde nel cercare di argomentare circa l'asserita imprevedibilità del comportamento della vittima, di cui si é però rilevata l'insussistenza, nonché a proposito dell'asserita interruttività di detto comportamento nel decorso causale dell'infortunio: interruttività che, per le considerazioni appena svolte, non é in alcun modo configurabile.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2020.

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