Cassazione Penale Sez. 4 del 02 novembre 2020, n. 30278
Fuoriuscita di gas combustibile: pluralità di omissioni e negligenze nella vigilanza e nella manutenzione dell'impianto di GPL
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30278 Anno 2020
Presidente: MENICHETTI CARLA
Relatore: PAVICH GIUSEPPE
Data Udienza: 22/10/2020
1. La Corte d'appello di Campobasso, in data 26 settembre 2019, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Campobasso, il 16 febbraio 2018, aveva condannato P.P. alla pena ritenuta di giustizia per i reati p. e p. dagli artt. 434 e 449 cod.pen. (capo A) e 451 cod.pen. (capo B), a lei contestati come commessi il 28 febbraio 2013 in Ripalimosani.
Alla P.P. si addebita, nella sua qualità di legale rappresentante della 50.PE.A. s.a.s. e gestore di un deposito di GPL sito all'interno di un distributore di carburanti:
Al capo A, di avere omesso il controllo dovuto sul corretto funzionamento dei dispositivi di sicurezza e di allarme dell'impianto; di avere fatto riempire il serbatoio di gas propano liquido in misura eccedente 1'85% della capienza, in violazione della normativa di settore, e di averne consentito il riempimento fino al 98,5% senza tenere conto delle anomalie dei dispositivi di sicurezza, che erano state già segnalate dal tecnico manutentore M.M.; di avere fatto installare due ulteriori tubazioni prive di dispositivi di intercettazione automatizzata, in difformità rispetto agli schemi d'impianto depositati presso le competenti autorità. Tali condotte, secondo l'imputazione, cagionavano sovrapressioni e sollecitazioni anomale su tutto l'impianto, nonché il blocco dei galleggianti della sonda di livello del GPL, con rottura di una delle pompe presenti nell'impianto, con conseguente fuoriuscita di gas combustibile dall'impianto stesso e pericolo di un'esplosione dell'intero impianto e di disfacimento e crollo dello stesso: ciò che determinava la chiusura di tutte le attività commerciali, industriali e artigianali della zona, la chiusura al traffico della SP 59 e l'evacuazione delle abitazioni vicine per il periodo durante il quale venivano eseguite le operazioni di messa in sicurezza dell'area;
Al capo B, di avere reso inservibili (attraverso le condotte di cui al capo A) i dispositivi di allarme e di sicurezza dell'impianto di distribuzione di carburanti, destinati al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro.
La Corte molisana ha disatteso le lagnanze della P.P. riferite sia ai profili della colpa (con particolare riguardo alla violazione di regole cautelari e di obblighi di controllo e di formazione dei dipendenti connessi alla posizione di garanzia dell'imputata), sia ai profili del nesso di causalità tra le condotte a lei addebitate e l'evento che ne é conseguito.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre la P.P., con atto articolato in cinque motivi di doglianza.
1. Con il primo, ampio motivo la ricorrente, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, anche con travisamento della prova, si duole dell'affermazione di responsabilità a suo carico in relazione ai profili colposi ravvisati nella sua condotta; affermazione di responsabilità basata, a suo dire, su un vero e proprio errore percettivo della prova: la P.P., infatti, non era a conoscenza della manutenzione dell'impianto eseguita il 26 febbraio 2013, né del riempimento dello stesso avvenuto il giorno dopo; tali operazioni erano infatti state poste in essere dal personale addetto, a tal fine debitamente formato. Al riguardo nessun dovere di sorveglianza poteva utilmente essere osservato dalla ricorrente, anche perché l'.esito della manutenzione le era stato descritto come "regolare" dal manutentore e dagli addetti all'impianto. Quanto poi alla c.d. "seconda linea" dell'impianto, che secondo il consulente del P.M. avrebbe avuto una funzione di potenziamento e sarebbe servita a bypassare il dispositivo di intercettazione automatico (in difformità rispetto alla normativa in materia), la Corte di merito non ha tenuto conto delle diverse conclusioni del consulente della difesa, secondo cui essa era stata realizzata prima del 1988 ed aveva la funzione di spurgo dell'impianto. Al più gli addebiti di negligenza, imprudenza e imperizia potrebbero essere formulati a carico del personale addetto, non certo dell'odierna ricorrente, che. aveva fatto affidamento sul loro operato, non aveva alcuna competenza per poterne sindacare le operazioni e si era affidata a un tecnico manutentore (M.M.). Infine, lamenta la ricorrente che la Corte di merito ha ravvisato a suo carico profili di colpa connessi alle disposizioni che la P.P. avrebbe dato in seguito al blocco del dispositivo di misurazione all'interno della cisterna, dando corso al riempimento di quest'ultima nel limite di 24.000 litri; in tal modo non si é tenuto conto delle difformi dichiarazioni rese dai testi I. e Ia., secondo i quali la P.P. non era stata messa al corrente dell'esito della manutenzione del 26 febbraio 2013, se non dopo l'evento.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al nesso di causalità. La Corte distrettuale, basandosi esclusivamente sulle considerazioni del consulente del P.M., ha ritenuto che il disinteresse della ricorrente rispetto alle problematiche aziendali fosse comprovato dalla presenza, nell'impianto, di valvole di intercettazione manuale contrarie alla normativa, e che l'omesso controllo sulla gestione dell'impianto stesso (che consentiva di violare la normativa vigente, bypassando la valvola di blocco automatico e lasciando la saracinesca manuale aperta sulla linea di prelievo e di spurgo) avrebbe avuto un ruolo nella causazione dell'evento. Non é stato però considerato quanto argomentato nell'atto d'appello, circa il fatto che il rifornimento era stato curato dai responsabili dell'impianto e che la c.d. seconda linea esisteva fin dalla realizzazione dell'impianto (1988/89), né si é tenuto conto delle fonti di prova che hanno riscontrato tale assunto e che hanno confermato che alcun addebito potesse essere mosso all'odierna ricorrente:L'impianto era munito di tutti i sistemi di allarme necessari e delle richieste autorizzazioni da parte delle autorità competenti, di tal che alcun ulteriore obbligo gravava sulla P.P., che non avrebbe comunque avuto la possibilità di prevenire e di evitare le cause che hanno determinato l'evento. L'unico malfunzionamento riscontrato dal tecnico M.M. in sede di manutenzione riguardava il galleggiante, ma non il sistema di sicurezza e di allarme, tant'é che per questo motivo l'esito dell'intervento fu descritto come "regolare". Anche il presunto riempimento dell'impianto oltre 1'85% é stato addebitato alla ricorrente, anziché agli addetti all'impianto, i quali però hanno escluso il superamento di tale soglia. In tale quadro, conclude la ricorrente, non si vede a quale titolo possa addebitarsi alla P.P. la causazione dell'evento, che lo stesso consulente del P.M. ha fondato su mere ipotesi.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, nuovamente sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, l'assunto in base al quale la P.P. avrebbe omesso di conferire apposita delega scritta ai dipendenti ai fini dell'attribuzione delle funzioni di responsabilità per l'esercizio dell'attività pericolosa di gestione dell'impianto. Apoditticamente la Corte di merito ha ritenuto che l'odierna ricorrente avrebbe dovuto vigilare direttamente sull'operato dei dipendenti anche adottando disposizioni adeguate alle problematiche emerse nei giorni precedenti e controllando il rispetto della normativa vigente in materia, ed avendo escluso che i dipendenti Ia. e I., pur avendo frequentato appositi corsi, potessero assumere funzioni di responsabilità per il corretto esercizio dell'attività. Inoltre la Corte distrettuale si contraddice riconoscendo, da un lato, che le operazioni di riempimento del serbatoio oltre il limite consentito (in data 27 febbraio 2013) non furono disposte dalla P.P.; ma, dall'altro, ravvisandone la responsabilità sul rilievo che la valvola limitatrice del carico non era funzionante e che la stessa imputata non avrebbe vigilato giorno per giorno sul livello delle giacenze di GPL. In definitiva, la sentenza impugnata non considera che la vicenda andava inquadrata sulla base del c.d. principio di affidamento, avendo la titolare dell'attività confidato sul rispetto delle regole cautelari da parte degli altri soggetti interagenti.
2.4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia nuovamente violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla mancata considerazione di alcune emergenze processuali, laddove la Corte di merito ha fondato il proprio convincimento esclusivamente su alcune fonti di prova (in specie sulle considerazioni del consulente del P.M.), trascurandone altre e ricorrendo altresì al rinvio ad atti del procedimento, così da impedire alla parte di determinarsi in modo congruo ai fin dell'impugnazione. Di fronte al contrasto tecnico fra i consulenti, bene avrebbe fatto la Corte molisana a nominare d'ufficio un perito, così come chiesto con l'atto d'appello.
2.5. Con il quinto e ultimo motivo la ricorrente lamenta di nuovo violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al mancato proscioglimento ex art. 530, comma 2, cod.proc.pen. e con specifico riferimento alla funzione delle tubazioni aggiuntive (che, ribadisce la ricorrente, non erano volte al potenziamento dell'impianto e non hanno perciò avuto alcun rilievo nella causazione del pericolo di disastro, in quanto venivano utilizzate solo a impianto fermo per le operazioni di spurgo).
1. Il ricorso, considerato nel suo complesso e in ciascuno dei cinque motivi in cui esso é articolato (largamente riportanti lagnanze ripetitive e in buona parte coincidenti con quelle prospettate con l'atto d'appello), é inammissibile, in quanto manifestamente infondato e proteso, nell'essenziale, a sollecitare indebitamente in sede di legittimità una rivalutazione del materiale probatorio, pur a fronte di un percorso argomentativo completo ed esaustivo come quello della sentenza impugnata e, ancor più, di quella di primo grado, da leggersi congiuntamente trattandosi di "doppia conforme" (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Si ricorda infatti che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
Tanto premesso, pur nell'ampio e articolato incedere argomentativo dei cinque motivi di ricorso, le questioni prospettate dalla ricorrente si risolvono, a ben vedere, in due profili fondamentali: q1,1ello della responsabilità colposa della P.P. quale titolare dell'impianto e datrice di lavoro del personale tecnico ad esso assegnato, sia in relazione alle caratteristiche costruttive e funzionali dell'impianto stesso, sia in relazione ai profili di culpa in vigilando denunciati a più riprese come insussistenti nel ricorso; e quello del nesso di causalità tra le condotte - in larga parte omissive - addebitate alla P.P. e l'evento di pericolo venutosi a concretizzare con la fuoriuscita di gas.
Ora, se é vero che l'episodio per cui é processo ha avuto una sua causa scatenante (occasionale) nell'eccessivo riempimento del serbatoio di GPL (pur a fronte di quanto segnalato dal tecnico M.M. agli operai presenti in loco circa l'esigenza di non riempire ulteriormente il serbatoio a seguito del blocco del rilevatore del livello di carburante, ma di erogarne il contenuto fino all'esaurimento dello stesso onde consentire la riparazione), é pur vero che la causa originaria della fuoriuscita di GPL é stata ravvisata nella rottura di una delle pompe presenti nel vano pompe (facilitata dalla presenza di una valvola di intercettazione manuale lasciata aperta); che i riempimenti di serbatoio venivano eseguiti spesso oltre i limiti consentiti dalla normativa, così da creare pressioni e sollecitazioni anomale sull'impianto e, indirettamente, la rottura della pompa; che la rottura delle pompe elettriche era stata rilevata precedentemente in più occasioni, senza che la titolare avesse mai provveduto al riguardo.
Va chiarito inoltre che, anche con riguardo all'impianto di che trattasi, trova applicazione la nozione di "luogo di lavoro", rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche: in tale nozione rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa (da ultimo vds., proprio in relazione a un impianto di distribuzione di GPL, Sez. F, Sentenza n. 45316 del 27/08/2019, Giorni, Rv. 277292). Su tale base é di tutta evidenza che il titolare, nella sua posizione datoriale, mantiene intatti gli obblighi di vigilanza sull'attività dei dipendenti, non solo nel caso in cui (come nell'occorso) essi non siano provvisti di delega scritta, ma anche nel caso in cui lo siano: é noto infatti che gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, fermo restando, comunque, l'obbligo, per il datore di lavoro, di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (cfr. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261108; e più di recente Sez. 4, Sentenza n. 24908 del 29/01/2019, Ferrari, Rv. 276335). Dunque la ricorrente non può fondatamente asserire di essere sottratta a tali obblighi di vigilanza sulla base del fatto che il personale assegnato alle operazioni di gestione dell'impianto fosse provvisto di formazione al riguardo, laddove, quand'anche la P.P. avesse formalmente conferito delega ai suoi dipendenti ivi impiegati, i suoi doveri di vigilanza non sarebbero comunque venuti delegante non comporta il controllo continuativo delle modalità di svolgimento delle funzioni trasferite, richiedendosi la mera verifica della correttezza della complessiva gestione del delegato: cfr. in tal senso, da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 15941 del 12/02/2020, Fissolo, Rv. 278879). A maggior motivo però i doveri di vigilanza sull'operato dei suoi dipendenti Ia. e I., nell'ambito oltretutto di un'attività pericolosa come quella di gestione di un deposito di materiale combustibile e altamente infiammabile, gravavano sulla P.P. in mancanza del conferimento di una delega scritta a tal fine, come invece espressamente richiesto dall'art. 16, d.lgs. n. 81/2008, quale che fosse il livello di preparazione tecnica e di autonomia operativa dei suddetti dipendenti.
Nel caso di specie, del resto, gli elementi probatori emersi a proposito delle ripetute negligenze e manchevolezze nella realizzazione dell'impianto (ivi compresi gli interventi di modifica oggetto dell'imputazione) e nella sua gestione e manutenzione (dai reiterati riempimenti oltre il consentito alle ripetute rotture di altre pompe e agli allagamenti senza alcun intervento da parte dell'odierna ricorrente) depongono per una sistematica violazione dei predetti doveri di vigilanza, ed anzi per una ripetuta elusione delle disposizioni vigenti nel settore; non certo per una occasionale emergenza da cui sarebbe scaturita l'uscita di gas al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte della P.P.. Anche a proposito della realizzazione della tubazione costituente la c.d. "seconda linea" le allegazioni della ricorrente, sostanzialmente reiterative di quelle già prospettate in appello, si risolvono nella mera allegazione della finalità di spurgo e di pulizia dei circuiti (laddove la lettura tecnica di tale dispositivo - accolta dalla Corte di merito, come già dal primo giudice, con ampio percorso argomentativo - é nel senso della finalità di potenziamento dell'impianto) e nel riferimento al fatto che la tubazione aggiuntiva era già presente nei progetti presentati nel 1988 (laddove però tale tubazione non risulta riportata negli schemi tecnici presentati alle autorità negli anni 2005 - 2006).
Anche sotto il profilo del nesso di causalità, l'iter argomentativo della sentenza impugnata é ampiamente chiarificatore ed espone convenientemente le ragioni per cui l'evento di pericolo é stato visto come la risultante di una pluralità di omissioni e negligenze nella vigilanza e nella manutenzione dell'impianto da parte dell'imputata, nella sua qualità di garante. La fuga di gas, indicata come causa sopravvenuta e idonea a interrompere il nesso di causalità, é invece stata correttamente indicata come l'effetto della reiterata condotta omissiva ed elusiva della P.P., oltreché come evento necessariamente suscettibile di prevedibilità da parte del titolare di un impianto di GPL; la Corte molisana affronta anche, in modo del tutto adeguato, il ragionamento controfattuale, deducendo - sulla base dall'istruttoria dibattimentale - che, ove l'imputata avesse ottemperato ai ridetti obblighi di vigilanza e si fosse attenuta alle disposizioni di settore, l'evento non si sarebbe verificato.
2. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», la ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2020.