Cassazione Penale Sez. 4 del 23 luglio 2021, n. 28729
Infortunio con la soda caustica. Responsabilità del datore di lavoro per la totale assenza di adeguati presidi e procedure di sicurezza
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28729 Anno 2021
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: FERRANTI DONATELLA
Data Udienza: 14/07/2021
1. La Corte di Appello di Milano, con la sentenza in epigrafe ha confermato l'affermazione di responsabilità penale pronunciata dal Tribunale di Busto Arsizio nei confronti di B.S. con la sentenza del 26.06.2019 e, in parziale riforma, ha disposto la sostituzione della pena detentiva di mesi tre di reclusione con la corrispondente pena pecuniaria di euro 22.500,00 di multa, con la revoca della sospensione condizionale della pena.
1.1.A B.S., nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della Rainoldi s.r.l., avente tra l'altro come oggetto sociale il trasporto, il commercio all'ingrosso, la trasformazione di prodotti chimici ad uso industriale, si addebita di aver cagionato per colpa a C.C.L., dipendente con la qualifica di operaio conducente di autobotte, lesioni personali gravissime, consistite nella contaminazione dell' occhio sinistro con soda caustica, disepitelizzazione mucose labbra e apice linguale, ustione corneale occhio sinistro con perdita completa del visus dalle quali, derivava una malattia con durata superiore a 40 giorni con un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per 139 giorni. In specie si contesta all'imputato un comportamento colposo per negligenza imprudenza e imperizia e inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e in particolare di non aver elaborato procedure operative per le operazioni di scarico di soda caustica presso l'impianto ACCAM spa di Busto Arsizio i cui accessori o dispositivi di scarico non risultavano sicuri ( art. 28 comma 2 lett. b e 17 comma 1 lett a) art. 63 comma 1 lett. d) d.lgs 81/2008).Tanto che C.C.L., nello svuotare il contenuto della autobotte, composto da soda caustica al 30%, nella zona di scarico presso l'impianto incenerimento ACCAM spa, mediante una tubazione che collegava il serbatoio dell'autocisterna al serbatoio di stoccaggio Accam, giunto al termine dello scarico, durante le operazioni di scollegamento la tubazione dal serbatoio di stoccaggio, a causa della pressione elevata creatasi all'interno, si scollegava improvvisamente con la fuoriuscita di soda caustica che investiva il lavoratore provocandogli le lesioni sopra descritte. Fatto avvenuto in Busto Arsizio il 4.10.2013.
2. I punti della ricostruzione in fatto, condivisi nelle sentenze di merito e sostanzialmente non contestate dalla difesa sono i seguenti.
1. Il C.C.L., dipendente della Rainoldi s.r.l, su incarico del responsabile logistica, il 4.10.2012, alla guida della cisterna contenente soda caustica, entrò nell'impianto stoccaggio ACCAM spa e, una volta parcheggiato il mezzo, estrasse il flessibile e lo collegò all'estremità della tubazione dell'impianto sporgente del pozzetto, legò le due tubazioni con una fascetta industriale; DD., operaio della società incaricata di supervisionare le operazioni, aprì la valvola di intercetto dell'impianto e il C.C.L. attivò la pompa della cisterna al fine di espellere la soda caustica dal veicolo e condurla quindi all'interno dell'impianto ACCAM s.p.a.; terminato lo scarico, per svuotare completamente la cisterna oltre che il flessibile e la tubazione dell'impianto, poiché la cisterna era vecchia e a causa della cavitazione non era in grado di espellere completamente la sostanza, il C.C.L. aumentò la pressione all'interno del serbatoio della cisterna sfruttando un meccanismo artigianale, abusivamente installato nell'autocarro di proprietà della ditta da qualche precedente autista che consentiva di trasferire la pressione esercitata dai freni all'interno della cisterna, andando così ad ottenere l'effetto di un compressore, senza però che fosse previsto un manometro né un regolatore di pressione o una valvola di sfiatamento (fol 6/7 sentenza di primo grado); quindi il C.C.L. si avvicinò al pozzetto e ritenendo che la pressione fosse diminuita slegò la fascetta che saldava il flessibile e il bocchettone, nel frattempo il DD. a causa di un difetto di coordinamento chiuse la valvola di intercetto dell'impianto, cosicchè vi fu una violenta fuoriuscita di soda caustica dal bocchettone mentre la persona offesa stava rimuovendo la fascetta. In definitiva il C.C.L. subì la gravissima lesione a causa di una fuoriuscita violenta ed improvvisa di soda caustica dal bocchettone al quale era congiunto il flessibile della cisterna.
3. Il ricorso
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato deducendo:
I) violazione per manifesta illogicità della motivazione in ordine alla individuazione della omissione rilevante in capo al datore di lavoro, al contenuto concreto della posizione di garanzia in presenza di diverse e concorrenti posizioni di garanzia, alla sussistenza della colpa specifica e al travisamento delle prove dichiarative della persona offesa e dei testimoni oltre che dei consulenti tecnici e dell'Ing. P., Responsabile del servizio prevenzione e protezione dell'azienda.
In specie contesta che il Giudici di merito hanno ritenuto la cisterna inidonea all'operazione prevista; seppure ammette che il serbatoio di cui era dotata fosse soggetto a fenomeni di sfiato dai boccaporti non vuol dire che espellesse sostanze chimiche.
Passa in rassegna riportandole nei motivi di ricorso le dichiarazioni dei testi OMISSIS che avrebbero valorizzato, contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici, la vetustà della cisterna ma non la inidoneità della cisterna.
Così come evidenzia che la persona offesa, autista di mezzi di trasporto in regime ADR da almeno 11 anni, aveva effettuato l'operazione di scarico della soda caustica per almeno 10 volte senza problemi.
Deduce il travisamento della prova anche con riferimento al mancato funzionamento delle pompe di aspirazione dell'impianto ricevente di Accam s.p.a., in quanto se è vero che le pompe installate non funzionavano ciò era stato rilevato già da P. in sede di valutazioni preliminari nella sottoscrizione del contratto di appalto tanto che i tecnici avevano qualificato lo scarico a pompa mandante. Contesta il ricorrente che il mancato funzionamento delle pompe non fu una scoperta del giorno dell'infortunio ma al contrario si trattava di una situazione preesistente che fu valutata su delega del datore di lavoro da parte del RSPP P., che aveva qualificato lo scarico e lo aveva ritenuto compatibile con la procedura PR0l0.
II) Violazione di legge con riferimento alla violazione dell'art. 28 comma 2 e art. 17 lett. a 26,63 e 64 Dlgs 81/2008; vizio di motivazione con riferimento alla omissione rilevante, alla individuazione della condotta alternativa doverosa e alla omessa attribuzione del rischio specifico facente capo al committente del contratto di appalto di trasporto di sostanze pericolose, nella specie Accam s.p.a., che, attraverso il proprio dipendente DD., presente alle operazioni di scarico ha posto in essere una imperita chiusura della valvola di intercetto dell'impianto ricevente e ha omesso di effettuare il doveroso coordinamento e di valutare il rischio interferenziale.
III) Violazione di legge con riferimento agli artt. 40 cpv 42 43 cod.pen. e vizio di motivazione in relazione alla omessa considerazione della posizione di garanzia del responsabile del servizio di protezione preposto e delegato alle operazioni di scarico ing. P. con riferimento al sopralluogo effettuato il 8.09.2011 e alla delega prodotta all'udienza del 13.06.2018. Lamenta che tale doglianza proposta in appello è stata del tutto pretermessa.
IV) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al concreto contenuto della posizione di garanzia rivestita dall'imputato e alla sussistenza del nesso causale con riferimento all'evento. In particolare evidenziava il Duvri elaborato dal committente individuava quale oggetto del contratto il trasporto lo scarico e il flussaggio della condotta tra la cisterna e attacco impianto Accam s.p.a., non vi era previsione di operazioni che imponevano la liberazione, il flussaggio, della conduttura interna dell'impianto di carico Accam s.p.a. posta tra l'attacco e il serbatoio di stoccaggio della soda caustica. La gestione dello specifico rischio era attribuita al committente e la condotta alternativa doverosa che avrebbe impedito l'evento e la sua eventuale omissione non erano riferibili all'imputato ma allo stesso committente stante la certa riferibilità della condotta imperita del dipendete DD. che chiudeva la valvola di intercetto dell'impianto ricevente prima che il C.C.L. togliesse pressione alla condotta, generando la presenza di soda caustica nella manichetta, nel momento in cui l'autista si accingeva a staccare la tubazione dall'attacco dell'impianto ricevente.
Lamenta che è stata erroneamente attribuita al datore di lavoro la tolleranza o l'avallo della prassi posta in essere da alcuni autisti di alterazione dei sistemi di protezione a corredo della cisterna mediante l'utilizzo del circuito frenante del veicolo da cui derivava la elusione di tutte le valvole di sicurezza in dotazione delle cisterne compresa quella utilizzata dal lavoratore. Non è stata compiuto nessun accertamento sull'effettiva responsabilità dell'organo di vertice.
V) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla concorrente posizione di garanzia del responsabile del servizio di protezione e del responsabile logistico dedotto nei motivi di appello.
VI) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla idoneità a generare l'evento della sola condotta del dipendete del committente DD. che ha chiuso improvvidamente la valvola di intercetto della condotta ricevente dell'impianto Accam s.p.a. e del concorso causale della stessa con la condotta imprudente del lavoratore, parte lesa, che aveva immesso nella condotta aria sotto pressione dell'impianto frenante del mezzo. La Corte territoriale ha omesso di verificare in concreto l'efficienza determinante della mera esposizione a rischio del lavoratore nel contesto lavorativo dato.
VII) vizio di motivazione in relazione al mancato giudizio di prevalenza dell'attenuanti generiche sull'aggravante contestata e in relazione alla pena irrogata in misura superiore al minimo edittale anche in considerazione dell'avvenuto risarcimento del danno documentato in sede di appello, mediante atto di transazione con la persona offesa.
4. Il Procuratore Generale in sede con requisitoria scritta, che ha ripercorso nelle conclusioni orali ha chiesto il rigetto del ricorso.
1. Alcune considerazioni di premessa giovano ad una più spedita trattazione dei motivi di ricorso appena riassunti.
Il sistema di sicurezza aziendale si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi e tale logica riguarda anche la gestione dei rischi in caso di affidamento dei lavori a singole imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno dell'azienda o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito del ciclo produttivo dell'azienda medesima.
Giova richiamare a tal proposito che questa Suprema Corte ha da tempo chiarito che, se sono più i titolari della posizione di garanzia, come nel caso di specie pare prospettare la difesa, ciascun garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire l'evento fino a che non si esaurisca il rapporto che ha originato la singola posizione di garanzia (Sez.4 n. 46849 del 3.11.2011 rv 252149; Sez. 4 n.8593 del 22.01.2008 rv.238936).
E, ancora, che, quando l'obbligo di impedire un evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in momenti diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi un concorso di cause ex art. 41 comma primo cod. pen ( Sez. 4 n. 244455 del 22.04.2015 rv 263733-0l;sez. 4 n. 37992 del 11.07.2012 rv 254368-01; sez. 4 n.1194 del 15.11.2013 rv 258232).
Si è poi precisato che, ai fini della attività di valutazione di coordinamento e cooperazione connessa al rischio interferenziale, secondo quanto previsto dall'art. 7 D.lgs 626/1994 ( ora art. 26 D.lgs 81/08), occorre avere riguardo inoltre, non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro -contratto di appalto, d'opera o di somministrazione-, ma all'effetto che da tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza e coesistenza - nella specie operazioni di scarico e stoccaggio della soda caustica di più organizzazioni, che genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni ( sez. 4 n. 44792 del 17.06.2015 rv 264957-01).
Tale coinvolgimento, funzionale nella procedura di lavoro di diversi plessi organizzativi, non esclude poi la necessità di adottare le misure previste per i diversi rischi specifici, a meno che non risultino inefficaci o dannose ai fini della sicurezza dell'ambiente di lavoro (Sez. 4 n.18200 del 7.01.2016 rv 266640-01).
Gli obblighi di cooperazione e coordinamento gravanti a norma dell'art. ora art. 26 D.lgs 81/08 sui datori di lavoro rappresentano la "cifra" della loro posizione di garanzia e sono rilevanti anche per delimitare l'ambito della loro responsabilità.
L'assolvimento di tali obblighi risponde all'esigenza antinfortunistica - avvertita come primaria anche dal legislatore europeo - di gestire preventivamente tale categoria di rischio.
La vigente tutela penale dell'integrità psicofisica dei lavoratori risente, infatti, della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all'attività lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione globale del sistema di sicurezza aziendale, nonché su un modello collaborativo e informativo di gestione del rischio da attività lavorativa, dovendosi così ricomprendere nell'ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi.
La identificazione dell'area di rischio e dei soggetti deputati alla sua gestione serve ad arginare la potenziale espansività della causalità condizionalistica, consentendo di imputare il fatto solo a coloro che erano chiamati a gestire il rischio concretizzatosi.
Parimenti, in tema di aggravante speciale della violazione di norme antinfortunistiche va altresì ricordato che in materia di reati colposi derivanti da infortunio sul lavoro, per la configurabilità dell'aggravante speciale della violazione delle norme antinfortunistiche (rilevante per la procedibilità di ufficio in caso di lesioni gravi e gravissime e per il raddoppio della prescrizione ai sensi dell'art. 157 cod. pen) non occorre che sia integrata la violazione di norme specifiche dettate per prevenire infortuni sul lavoro, giacché per l'addebito di colpa specifica, è sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa della violazione del citato art. 2087, che fa carico all'imprenditore di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori (Sezione 4, del 4 luglio 2006,Civelli).
Infatti, il datore di lavoro e gli altri soggetti investiti della posizione di garanzia devono in proposito ispirare la loro condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza, per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. In sintesi, sussiste una posizione di garanzia a condizione che: un bene giuridico necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo; una fonte giuridica - anche negoziale - abbia la finalità di tutelarlo; tale obbligo gravi su una o più persone specificamente individuate sulla base di un'investitura formale o l'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante; queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, ovvero siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l'evento dannoso sia cagionato (Sez. 4, n. 9855 del 27/01/2015, Chiappa, Rv. 262440; Sez 4,n.2536 del23/10/2015, Rv. 265797;Sez.4, n. 38991 del 10/06/2010, Quaglierini, Rv. 248849).
Con la conseguenza che, in caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli artt. 40 e 41 cod.pen.
2. Va premesso, per quanto attiene alle doglianze avanzate dal B.S., che possono essere esaminate congiuntamente, sono inammissibili in quanto già peraltro esposte nei motivi di appello, vagliate dalla sentenza impugnata in uno con la sentenza di primo grado che affronta motivatamente ed esaurientemente tutti i punti attinti dal ricorso, mentre le censure sostanzialmente attengono al fatto.
In specie, il ricorrente critica in definitiva la vicenda per come ricostruita dai giudici, ritenendola frutto di una erronea interpretazione delle prove, cercando di offrire una rilettura dei fatti secondo considerazioni che appaiono riconducibili non tanto ad una consentita censura di travisamento della prova, quanto ad un presunto travisamento dei fatti, vizio pacificamente non sindacabile in sede di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 27321701; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 26548201; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012 Minervini, Rv. 25309901).
2.1 Inoltre, nel caso che occupa, ci si trova di fronte ad una c.d. "doppia conforme" di condanna, per cui le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ciò tanto più ove, come nel caso di specie, i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle -determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv.25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 dep. 2012, Valerio, Rv.25261501; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 23618101).1 primi sei motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, sono manifestamente infondati.
2.1. Con particolare riferimento alla ricostruzione della vicenda vanno, peraltro, ribaditi come argomentato dai giudici di merito, a fol 12 e seguenti della sentenza di primo grado, sulla base del materiale probatorio ( fonti dichiarative testimoniali e documentali) che:
- il contratto di appalto tra Rainoldi s.r.l. e Accam s.p.a. prevedeva che la prima si obbligava a fornire ed a trasportare alla seconda sostanze chimiche, assumendo su di sé la piena responsabilità civile e penale nei confronti del proprio personale (art. 7 del contratto);
- tra gli obblighi di Rainoldi e quindi degli autisti vi era quello di flussare le tubature dell'impianto Accam.;
- la Rainoldi nel novembre 2009 aveva elaborato una procedura operativa denominata PR010 versione 4, approvata da B.S. per le attività che prevedono lo scarico, il carico e la movimentazione dei prodotti manipolati; tale procedura valeva per le attività di carico e scarico all'interno dello stabilimento e per lo scarico presso terzi; ma era varata specificatamente per essere applicata all'impianto dotato di pompe di aspirazione dell'impianto di stoccaggio;
- il sopralluogo effettuato presso l'Accam s.p.a nel 2011, effettuato proprio dal P. responsabile dei servizi di prevenzione e protezione della Rainoldi, aveva evidenziato che non erano funzionanti le pompe di aspirazione e quindi il metodo migliore per effettuare lo scarico di soda caustica doveva essere realizzato attraverso la pompa della cisterna ( fol 12);
- l'Accam aveva però predisposto un'altra procedura operativa per il proprio impianto facente parte integrante del contratto di appalto e dello speciale capitolato in cui veniva evidenziato un ruolo più attivo e quindi rischioso dell'autista trasportatore (le cui operazioni sono analiticamente descritte a fol 14) che, dopo le operazioni di scarico, attraverso il collegamento del tubo di scarico con il punto di raccordi indicato dall'operatore impianto, doveva flussare con aria la linea di collegamento per svuotarla completamente, per poi scollegare le tubazioni facendo attenzione agli sversamenti; al termine dello scarico l'operatore doveva chiudere la valvola dell'impianto e l'autista scollegare la manichetta e drenarla nel pozzetto;
-il B.S., titolare della posizione di garanzia, non risulta aver fornito deleghe in materia di igiene e sicurezza sul lavoro( fol 19 ), aveva omesso di far elaborare una procedura operativa per le operazioni di scarico di soda caustica presso l'impianto Accam, in relazione alle specificità del contratto di appalto e delle istruzioni operative ( fol 20) oltre che dello stato dei luoghi ( richiesta delle operazioni di flussaggio e mancato funzionamento delle pompe di aspirazione) e non aveva fornito accessori e dispositivi per le procedure di scarico.
L'istruttoria ha evidenziato, come sottolineato dal Giudice di merito a fol. 24, che l'operazione rischiosa e pericolosa di scarico da parte degli autisti era di fatto, per prassi, gestita in maniera autonoma dagli stessi autisti sulla base dell'esperienza di autisti più esperti che affiancavano i meno esperti, mediante l'utilizzo di strumenti di fattura artigianale, come quello relativo all'impianto frenante della cisterna utilizzato nel caso di specie dalla persona offesa per effettuare il flussaggio e che risultava montato abusivamente sull'automezzo fornito dalla società datrice di lavoro ed era assolutamente pericoloso.
Era pertanto concretamene prevedibile che si potesse verificare un incidente, come poi si è verificato, anche a causa del mancato coordinamento tra operatore presso l'Accam, che gestiva la valvola di intercetto, e l'autista addetto allo scarico e al flussaggio e ciò costituiva come affermato dai Giudici di merito (a fol 23,25) proprio la conseguenza della mancata messa a punto di una procedura di scarico sicura ed adeguata.
Risulta che vi erano state varie segnalazioni di criticità nell'impianto Accam che avrebbero dovuto o dovevano allertare il B.S. e i suoi collaboratori circa la pericolosità delle operazioni di scarico effettuate nell'impianto, tanto più che la cisterna, guidata dal C., pur dotata di compressore non era in grado di sostenere la sovraesposizione generata da quest'ultimo a causa dell'obsolescenza e del cattivo stato di manutenzione ( fol 25/26); il compressore, infatti, era inutilizzabile, il suo uso avrebbe reso l'operazione certamente più sicura di quella dell'utilizzo dell'impianto frenante che determinò uno sconsiderato aumento della pressione all'interno delle tubazioni in alcun modo controllabile né verificabile attraverso manometri o valvole di sfiatamento. In conclusione, argomentano i Giudici di merito, attraverso un percorso logico e coerente basato sull'attenta ricostruzione dei fatti, non solo non sono state adottate procedure adeguate per le operazioni di scarico presso ACCAM ma è stato messo a disposizione dell'autista C.C.L. un automezzo privo delle caratteristiche necessarie di sicurezza per realizzare lo scarico presso un impianto in cui era richiesta l'operazione di flussaggio e in cui non erano funzionanti le pompe di aspirazione (fol 27). La motivazione della sentenza impugnata, che ha evidenziato la negligenza del datore di lavoro sia sotto il profilo della colpa generica, che sotto quella della colpa specifica, appare immune da profili di illogicità; la sentenza ha evidenziato che il B.S. era a conoscenza dei difetti di funzionamento delle pompe dell'impianto Accam s.p.a. e quindi avrebbe dovuto scongiurare il pericolo che l'autista della cisterna, che scaricava altresì la sostanza chimica pericolosa potesse essere vittima di un infortunio anche perché non abituato a lavorare con i dipendenti di altre società, oltre che poco esperto di procedure di scarico; il B.S. non ha predisposto procedure operative "specifiche" per lo sversamento di soda caustica perché la procedura elaborata dalla Rainoldi S.r.l. era valida nel caso di pompe di aspirazione dell'impianto funzionanti e tali non erano quelle in oggetto (sul punto la sentenza ha evidenziato dichiarazioni di vari testi); che quindi per tutelare i lavoratori da una possibile fuoriuscita di soda caustica doveva essere adottata una nuova procedura; che anche la manovra improvvida di DD., supervisore delle operazioni, che non si coordinò con la persona offesa e chiuse la valvola di ingresso, prima che la persona offesa chiudesse la valvola del serbatoio di pressione, fu solo una concausa dell'incidente, come appunto concausa fu il comportamento negligente del datore di lavoro che avrebbe dovuto predisporre non solo una procedura specifica per lo scarico della soda caustica, ma anche che il lavoratore C.C. l'avesse ben compresa e fosse in grado di gestirla.
2.2. Va ribadito che la interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente dei lavoratori, secondo i principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv.261106, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Rv.264365; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 25409), deriva dalla condotta del lavoratore che si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è «interruttivo» non perché «eccezionale» ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez.4 n.15124 del 13.12.2016,Rv.269603).
In tema di rapporto di causalità, ai sensi dell'art.41, terzo comma, cod.pen., il nesso di causalità non resta escluso inoltre dal fatto altrui, cioè quando l'evento è dovuto anche all'imprudenza di un terzo o dello stesso offeso, poiché il fatto umano, involontario o volontario, realizza anch'esso un fattore causale, al pari degli altri fattori accidentali o naturali (Sez. 4, n. 31679 del 08/06/2010, Rv. 248113), a meno che tale comportamento non sia qualificabile come concausa qualificata, capace di assumere di per sé rilievo dirimente nella spiegazione del processo causale e nella determinazione dell'evento.
La Corte territoriale, correttamente così come il primo Giudice, ha escluso che possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando, come nel caso di specie, il sistema della sicurezza approntato presenti gravi criticità (Sez.4, n.22044 del 2.05.2012,n.m; Sez.4, n.16888, del 7/02/2012, Rv.252373). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n. 4114 del 13/01/2011, n.m.; Sez.F, n. 32357 del 12/08/2010, Rv. 2479962).
2.3. La Corte d'Appello ha sottolineato come fosse del tutto prevedibile il verificarsi dell'evento infortunio a seguito della possibile fuoriuscita di soda caustica, in assenza di qualsivoglia presidio e procedura di sicurezza, stante la messa a disposizione, da parte di chi era titolare di una posizione di garanzia di un' attrezzatura del tutto inadeguata, vetusta, di una procedura operativa denominata PROlO non idonea a regolare la proceduta di scarico presso l'Accam, in cui era richiesto il flussaggio e non erano attive le pompe di aspirazione (fol 6 e 7 sentenza impugnata).
2.4. Vale la pena rammentare che in tema di prevenzione infortuni, se il datore di lavoro è una persona giuridica, destinatario delle norme è il legale rappresentante dell'ente imprenditore, quale persona fisica attraverso la quale il soggetto collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive, così che la sua responsabilità penale, in assenza di valida delega, è indipendente dallo svolgimento o meno di mansioni tecniche, attesa la sua qualità di preposto alla gestione societaria, Sez. 3, n. 28358 del 04/07/2006 Ud. (dep.08/08/2006 ) Rv. 234949-01 (Nell'occasione la Corte ha ulteriormente affermato che il legale rappresentante non può esimersi da responsabilità adducendo una propria incapacità tecnica, in quanto tale condizione lo obbliga al conferimento a terzi dei compiti in materia antinfortunistica).
In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, destinatario delle normativa antinfortunistica in una impresa strutturata come persona giuridica, quale è nel caso di specie la Rainoldi, è il suo legale rappresentante B.S., persona fisica attraverso cui l'ente ha agito e agisce nel campo delle relazioni intersoggettive; ne consegue che la responsabilità penale del predetto, ad eccezione delle ipotesi di valida delega, deriva proprio dalla sua qualità di preposto alla gestione societaria ed è indipendente dallo svolgimento, o meno, di mansioni tecniche ( Cfr.Sez. 3, n. 17426 del 10/03/2016 Ud. (dep. 28/04/2016) Rv. 267026 - 01.
2.5. Logica e immune da vizi di rilievo in questa sede è la motivazione della sentenza impugnata anche in punto di trattamento sanzionatorio, in quanto il Giudice, pur concedendo le attenuanti generiche, le ha ritenute equivalenti ex art. 69 cod.pen. rispetto alla contestata aggravante dell'art. 590 comma 3 cod.pen. argomentando l'esclusione del giudizio di prevalenza in considerazione della gravissime lesioni subite dalla persona offesa che ha perso l'uso dell'occhio e giustificando l'entità della pena di mesi tre di reclusione in relazione al grado di colpa rilevante.
3. Alla dichiarazioni di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 14.07.2021