Cassazione Penale Sez. 4 del 17 settembre 2020 n. 26132
Rischio di sovrappressione all'interno della cisterna e salto della botola. Responsabilità del dirigente con procura speciale
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26132 Anno 2020
Presidente: BRICCHETTI RENATO GIUSEPPE
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO
Data Udienza: 27/02/2020
1. Con sentenza pronunciata in data 24/11/2016, il Tribunale di Torino dichiarava M.A. colpevole del reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3, c.p. e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena alla. pena di€ 2.000,00 di multa.
1.1. Con sentenza n. 4010 del giorno 30/05/2019, la Corte di Appello di Torino, adita dall'imputato, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza, rideterminava la pena inflitta in € 250,00 di multa, eliminando le statuizioni civili (intendendosi revocata la costituzione della parte civile soddisfatta nelle more) e confermando nel resto.
2. Avverso tale sentenza d'appello propone ricorso per cassazione M.A., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
I) vizi motivazionali in relazione alla rilevanza attribuita alla mancata installazione di un segnalatore di "troppo pieno" del silos in posizione visibile alla persona offesa.
Deduce che l'odierno imputato rivestiva al tempo del fatto la qualifica di dirigente con procura speciale in materia di igiene e sicurezza sul lavoro di E. INTERNATIONAL S.p.A. e che la persona offesa - A.N. - il giorno dell'infortunio si trovava presso lo stabilimento E. per effettuare lo scarico di una fornitura di materiale plastico in qualità di dipendente dell'impresa individuale di trasporti in conto terzi di T. (originariamente coimputato insieme a M.A.).
Sostiene che la Corte territoriale ha ritenuto che la botola sia saltata allorché, essendosi riempito integralmente il silos e non riuscendo più il materiale residuo a confluirvi all'interno, si sarebbe determinato un improvviso incremento di pressione all'interno della cisterna; il sistema di chiusura della botola, non essendo perfettamente ermetico a causa della vetustà e della cattiva manutenzione del mezzo, non avrebbe a quel punto retto alla sovrappressione proveniente dall'interno e così la botola sarebbe improvvisamente saltata, colpendo accidentalmente il lavoratore. Sulla base di questa ricostruzione la stessa Corte ha ritenuto rilevante, ai fini della responsabilità dell'odierno ricorrente, la mancanza di un segnalatore di "troppo pieno" che fosse visibile all'autista della ditta T. e che evidenziasse il rischio del verificarsi di una condizione di sovrappressione all'interno della cisterna.
Assume che l'ipotesi che alla base dell'infortunio vi sia stato il determinarsi di una condizione di sovrappressione all'interno della cisterna dovuta al "troppo pieno" del silos è del tutto sfornita di evidenze tecniche di supporto oltre che in dichiarato contrasto con le indicazioni tecniche fornite dal consulente tecnico della difesa che ha spiegato in dibattimento che è impossibile che il raggiungimento del limite di capacità massima del silos abbia determinato come conseguenza un incremento della pressione all'interno della cisterna. Per altro, lo stesso Dott. Porcellana, l'Ufficiale di Polizia Giudiziaria SPRESAL, ha esplicitamente escluso che l'apertura della botola fosse di per sé riconducibile ad un aumento interno di pressione della cisterna.
Rimarca che appare del tutto illogico attribuire rilevanza -come affermato dei giudici di merito- alla mancanza del segnalatore del troppo pieno, quando tale segnale avrebbe soltanto evidenziato la conclusione delle operazioni di scarico, mentre è pacifico che l'infortunio si è verificato nella fase successiva dell'apertura della valvola di sfiato, che sarebbe stata in ogni caso necessaria per poter scollegare l'autocisterna dal silos.
II) violazione di legge in relazione all'art. 26, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 81/2008, con riferimento alla mancata predisposizione di una linea vita quale punto di vincolo per l'imbracatura di sicurezza.
Deduce che i giudicanti di merito hanno associato la responsabilità dell'imputato al mancato presidio volto ad evitare il rischio di caduta dall'alto ma tale rischio non può essere considerato un rischio interferenziale. Infatti, il rischio da interferenza è il rischio "ulteriore" generato da interferenza "tra lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera"; il necessario presupposto per l'applicabilità dell'art. 26 del d.lgs. 81/2008 è dunque l'esistenza di un rischio di interferenza tra i lavoratori delle diverse imprese o tra le diverse organizzazioni, tali per cui si crea una situazione di complessità ulteriore rispetto ai singoli rischi che devono necessariamente essere presi in considerazione dai singoli datori di lavoro. Ove non vi sia contemporaneità spazio-temporale né contatto con il personale o con l'organizzazione del committente non è ravvisabile alcun rischio interferenziale e ciascuna azienda dovrà valutare e prevenire i rischi propri delle proprie lavorazioni, in relazione a propri lavoratori.
Sostiene che il committente non è il supplente dell'appaltatore, ma il gestore di uno specifico rischio (quello da interferenza) che si distingue dai rischi degli appaltatori.
Rimarca che affermare -come fanno i giudici territoriali- che il rischio di caduta era emendabile, e quindi attribuibile come profilo di colpa all'odierno imputato, attraverso la predisposizione da parte di E. di una struttura fissa risulta esito di un'erronea applicazione della disciplina di cui all'art. 26 del d.lgs. n. 81/2008.
3. Il ricorso è infondato e va rigettato.
4. Il motivo sub I) è inammissibile, posto che la Corte territoriale ha fornito puntuale spiegazione del ragionamento a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto ed è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute, anche implicitamente, infondate dal giudice dell'appello, dovendosi gli stessi considerare non specifici (cfr. Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, dep.1998, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 4, n. 44139 del 27/10/2015).
4.1. Sul punto va, poi, ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
4.2. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione, per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
4.3. Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né ali' apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
4.4. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
4.5. In realtà il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
4.6. Quanto ai richiami agli esiti di consulenze, occorre rammentare che è sufficiente che il giudice del merito dia congrua ragione della scelta, e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Entro questi limiti, è del pari certo, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, di per sé, l'omesso esame critico di ogni più minuto passaggio delle consulenze, poiché la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all'onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità -come nella specie- gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (v. anche, Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018 Ud. -dep. 09/11/2018- Rv. 274478; Sez. 5, n. 10835 del 08/07/1988 Ud. - dep. 11/11/1988 - Rv. 179651).
4.7. Ciò posto, non possono assumere rilievo -in questa sede- le censure relative alla ricostruzione del fatto dato che la Corte territoriale ha fondato la propria decisione essenzialmente sulla mancata predisposizione di «una linea cui il lavoratore avrebbe potuto assicurare la fune collegata alla propria imbragatura nel caso in cui l'autocisterna ne fosse sfornita, come accaduto nella vicenda oggetto del presente procedimento» poiché il rischio di caduta dall'alto era sempre incombente durante l'attività di scarico. E ciò anche a prescindere dalle cause di apertura violenta della botola situata, comunque, a breve distanza dalla valvola di sfiato collocata sul tetto della cisterna. In vero, i giudicanti dell'appello hanno evidenziato che il «la salita sul tetto del container dell'autocisterna era necessaria per effettuare due operazioni, una prima delle operazioni di scarico, l'altra dopo, entrambe da eseguirsi con il container in posizione orizzontale (cioè 'chiuso') e non sollevato a 45" per facilitare il deflusso del materiale all'interno del silos durante la fase di scarico>>.
Quanto all'asserito comportamento abnorme, imprevedibile ed eccezionale del lavoratore -che, secondo la difesa, sarebbe salito sul tetto del container per prendere a martellate lo sportello di una delle botole, prima di far fuoriuscire dalla cisterna l'aria compressa azionando la valvola di sfogo-, la Corte del merito ha -correttamente- osservato che «tale argomento difensivo si basa esclusivamente sulle dichiarazioni del teste C., dipendente della società E., che, a suo dire, sarebbe riuscito a vedere da terra N. prendere a martellate i galletti della botola e l'improvvisa apertura dello sportello di chiusura>>; sul punto, i giudicanti precisano che «C., dalla sua posizione a terra, difficilmente avrebbe potuto distinguere se l'operatore stesse martellando la valvola oppure i 'galletti' dello sportello di una delle botole [... ] considerata l'altezza della cisterna (oltre tre metri) e l'ingombro complessivo del mezzo, è assolutamente impossibile vedere dalla posizione in cui si trovava il teste che cosa la persona offesa stesse martellando».
5. In ordine alla doglianza sub II), mette conto, preliminarmente, riaffermare che, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi all'esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall'art. 26 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro -contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione- ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (cfr. Sez. 4, n. 1777 del 06/12/2018 Ud. -dep. 16/01/2019- Rv. 275077; Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018 Ud. -dep. 28/02/2018- Rv. 273257).
5.1. Nella specie, la Corte d'appello ha fatto corretta applicazione dei principi di matrice giurisprudenziale che il Collegio condivide e fa propri. Deve, infatti, precisarsi che il concetto di "rischio interferenziale" non riceve una declinazione normativa; una definizione, in vero, può rinvenirsi nella Determinazione n. 3/2008 dell'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che la intende come «circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti» (cfr. Sez. 4 n. 30557 del 07/06/2016).
Ne discende che la ratio dell'art. 26, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 81/2008 è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative nel medesimo luogo di lavoro e far sì che il datore di lavoro committente organizzi la prevenzione dei rischi interferenziali, derivanti da tale compresenza, attivando e promuovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione e soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la loro attività lavorativa.
Se questa è la ratio della norma, ciò che rileva per ravvisarne l'operatività, non è dunque la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quanto l'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte.
6. Alla luce di tali principi, pertanto, deve escludersi la violazione di legge denunciata, avendo la Corte territoriale operato una interpretazione della norma del tutto coerente con la ratio dell'istituto.
Il ragionamento svolto dai giudici del merito in ordine alla violazione degli obblighi derivanti dalla posizione di garanzia ravvisata in capo all'imputato è del tutto congruo, logico e coerente con le risultanze.
Rileva, infatti, il giudice dell'appello che <<risulta ravvisabile un rischio interferenziale fra le attività delle due aziende, in relazione al quale l'imputato avrebbe dovuto attivarsi cooperando per assicurare al lavoratore di procedere in sicurezza alle operazioni di scarico, da un lato, collocando il segnalatore del "troppo pieno" in una posizione visibile da parte dell'autista [ ... ] dall'altro, predisponendo una linea cui il lavoratore avrebbe potuto assicurare la fune collegata alla propria imbragatura nel caso in cui l'autocisterna ne fosse sfornita, come accaduto nella vicenda oggetto del presente procedimento». Evidenzia, ancora e soprattutto, la Corte territoriale che «il rischio di caduta dall'alto era sempre incombente durante l'attività di scarico, in quanto era prevista la salita, sul tetto della cisterna del lavoratore nella fase iniziale delle operazioni, e, quindi, anche a prescindere dall'ubicazione della valvola, che in alcuni mezzi utilizzati dalla ditta T. era posizionata sul tetto, in altri lateralmente in basso [ ... ] tale rischio, come emerso dall'inchiesta Spresal, era emendabile attraverso la predisposizione da parte di E. di una struttura fissa, che permettesse al lavoratore di operare in sicurezza, agganciandovi i DPI (imbracatura con fune di trattenuta) forniti dalla ditta T. ai propri dipendenti nei caso in cui il mezzo in dotazione - come quello in uso a N. quel giorno - non fosse munito di mancorrente>>.
Occorre, infine, evidenziare che il committente non è esonerato dalla responsabilità dell'infortunio occorso al dipendente dell'appaltatore caduto dall'alto. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (cfr. Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007). Ovvero, l'esclusione è prevista non per le generiche precauzioni, da adottarsi negli ambienti di lavoro per evitare il verificarsi di incidenti, ma per quelle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale.
Per questa ragione non può ritenersi escluso il "generico" rischio di caduta dall'alto. Diversamente opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia, il quale prevede che pur sempre a carico del committente permangano obblighi di vigilanza ed intervento sostitutivo (v. Sez. 4, n. 37049 del 03/06/2008). L'appaltante, in vero, risponde come datore di lavoro dell'assolvimento degli obblighi nei confronti dei dipendenti dell'appaltatore, anche se ciò non fa venir meno gli obblighi e le responsabilità dell'appaltatore stesso (v. Sez. 4, n. 26490 del 03/05/2016).
7. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso si riduca all'offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).
8. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/02/2020