Cassazione Penale Sez. 4 del 30 giugno 2021 n. 24908
Misure di prevenzione atte a garantire la sicurezza dei lavoratori che si trovino ad operare in quota
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24908 Anno 2021
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 25/05/2021
1. La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 21/04/2016 dal Tribunale di Rimini, ha rideterminato in euro 40.000,00 la sanzione pecuniaria irrogata alla Vega Prefabbricati s.r.l. ai sensi dell'art.12, comma 3, d. lgs. 8 giugno 2001, n.231 confermando la condanna per gli imputati, tra i quali P.G., in relazione al reato previsto dall'art. 589, commi 1 e 2, cod. pen. per aver cagionato, in qualità di datore di lavoro, il 18 dicembre 2009 in Santarcangelo di Romagna, la morte di A.P., dipendente della Vega Prefabbricati s.r.l., avendo omesso, in violazione dell'art. 111, comma 1 lett. a), d. lgs. 9 aprile 2008, n.81, di predisporre il previsto sistema di protezione individuale per consentire al lavoratore di ancorarsi durante il lavoro in quota installando, prima di sollevare e posare l'elemento prefabbricato in quota, le paline o puntoni, ossia elementi di fissaggio e fune di trattenuta ai quali assicurare l'imbragatura che gli operai in quota avrebbero dovuto indossare come previsto dall'art. 115, comma 3, d. lgs. n. 81/2008.
2. Il fatto è stato così ricostruito nelle fasi di merito: il 18 dicembre 2009 erano in corso lavori presso il cantiere edite dove operavano la ditta S.M.S. Costruzioni S.p.A., appaltatrice, e la ditta Vega Prefabbricati s.r.l., subappaltatrice; A.P., dipendente della Vega Prefabbricati s.r.l., stava eseguendo delle misurazioni su una trave prefabbricata sita all'altezza di circa 6 metri dal suolo insieme ad un collega, quando era scivolato e caduto a terra; le lesioni riportate avevano condotto il lavoratore al decesso in data 24 dicembre 2009; nel cantiere non era stata riscontrata la presenza di linee vita; il lavoratore al momento dell'infortunio svolgeva attività pienamente rientranti nelle sue mansioni, consistenti nella misurazione delle travi della struttura in edificazione in vista della posa sulle stesse del solaio; nonostante la difesa avesse evidenziato che il lavoratore, che rivestiva la funzione di preposto, aveva deciso di svolgere tali mansioni senza utilizzare l'apposita piattaforma per salire in quota e nonostante quel giorno vi fosse un divieto di lavorare a causa del ghiaccio presente sulle travi, il datore di lavoro era stato ritenuto responsabile di non aver predisposto nel cantiere le c.d. linee vita.
3. Il giudice di primo grado aveva ritenuto responsabile la società Vega Prefabbricati s.r.l. ai sensi del d. lgs. n.231/2001 individuando il requisito dell'interesse o il vantaggio per l'ente nell'illecito risparmio sulle spese per la sicurezza derivante dalla mancata predisposizione di linee vita nel cantiere.
4. Ha proposto ricorso per cassazione P.G., premettendo quanto segue: a) il datore di lavoro aveva fornito apposite piattaforme meccaniche per svolgere attività in quota; b) le linee vita erano presenti nel cantiere ancorché talune travi ne fossero sprovviste; c) la trave dalla quale è caduto il lavoratore era ad un'altezza raggiungibile con le piattaforme meccaniche, peraltro in minor tempo di quello effettivamente impiegato dalla vittima; d) il lavoratore aveva superato una transenna con divieto di accesso presente sul cantiere e aveva poi percorso una scala in opera per raggiungere la trave dalla quale era poi precipitato; e) tutti i lavoratori avevano a disposizione le cinture di sicurezza, che il A.P. non aveva indossato; f) il lavoratore operava nel cantiere in qualità di preposto e nel cantiere operavano per la medesima ditta Vega Prefabbricati s.r.l., in qualità di dirigente e capo cantiere, due coimputati; g) prima dell'apertura del dibattimento, il ricorrente, per mezzo della società Vega Prefabbricati s.r.l., da lui amministrata e di cui è socio, aveva integralmente risarcito ogni danno derivante dal reato contestato, versando in favore dei prossimi congiunti della vittima la somma pari ad euro 205.000,00 come da transazione prodotta al Tribunale; h) l'Ente e lo stesso P.G., in qualità di socio, non avevano ricavato dalla contestata omessa adozione di opportune cautele se non un risibile vantaggio economico, commisurato alla somma pari ad euro 1.700, irrisoria rispetto alle ingenti spese affrontate in tema di sicurezza sul lavoro; i) non erano state riscontrate gravi carenze organizzative nel cantiere e i lavoratori erano stati regolarmente formati anche sull'utilizzo delle piattaforme elevatrici.
4.1. Poste tali premesse, con il primo motivo di ricorso P. G. deduce vizio di motivazione in ordine all'asserita impossibilità dell'impiego dei dispositivi di protezione collettiva rappresentati dalle piattaforme elevatrici indicando come entrambe le pronunce di merito, pur riconoscendo che i lavoratori fossero stati forniti di cinture di sicurezza e che fossero presenti due piattaforme elevatrici, hanno ritenuto tali circostanze non sufficienti ad assolvere l'obbligo di garanzia in quanto le piattaforme non potevano considerarsi sostitutive rispetto ai dispositivi linee vita, fondando tale assunto sul fatto che in quota dovessero andare due operai mentre nella piattaforma ne entrava uno e l'altro si doveva muovere al limite fino al solaio per cercare di prendere le misure.
4.2. Con un secondo motivo deduce omessa motivazione in merito alle peculiarità della posizione di garanzia che assume il datore di lavoro rispetto alla posizione di dirigenti e preposti nonché omessa distinzione tra il piano valutativo che concerne l'approntamento delle misure antinfortunistiche e quello che concerne la vigilanza sulla concreta attuazione delle stesse. Secondo il ricorrente entrambe le sentenze di merito hanno svolto un percorso argomentativo non accettabile alla stregua dei canoni di elaborazione della motivazione in tema di sicurezza sul lavoro e in tema di posizioni di garanzia elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, posto che non rispettano il criterio di differenziazione della posizione di colui che è tenuto all'approntamento delle misure antinfortunistiche rispetto a quella di colui che è tenuto alla vigilanza sulla concreta attuazione delle stesse. In particolare, l'amministratore e legale rappresentante di una società, specie se di ampie dimensioni, non può essere automaticamente ritenuto penalmente responsabile di ogni violazione degli obblighi antinfortunistici qualora abbia specificamente investito i preposti, tenuti a far osservare le regole di condotta a tutela della sicurezza sul lavoro; secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, l'obbligo di accertare che il preposto usi effettivamente i poteri conferitigli non può estendersi sino a richiedere la continua presenza sul luogo del datore di lavoro, amministratore di società di notevoli dimensioni. L'assunto difensivo per cui il datore di lavoro aveva svolto diligentemente il suo ruolo di garante della sicurezza predisponendo un'adeguata valutazione dei rischi, approntando idonee misure antinfortunistiche e individuando un dirigente ed un preposto per la loro concreta attuazione e per la vigilanza sul rispetto di esse è stato, si assume, platealmente trascurato dai giudici di merito, che hanno fondato la condanna sul presupposto che l'assenza di linee vita sulla trave comportasse l'indistinta responsabilità di tutti gli imputati nonostante il lavoratore infortunato, in qualità di preposto, avrebbe dovuto immediatamente segnalare al datore di lavoro la ipotizzata carenza del sistema di prevenzione e avrebbe dovuto evitare di attraversare la trave ghiacciata in superficie senza indossare alcun tipo di protezione individuale. Nel ricorso si lamenta, altresì, l'omessa distinzione della posizione di garanzia del coordinatore per l'esecuzione dei lavori rispetto a quella del datore di lavoro, essendo emerso che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori aveva omesso di segnalare al committente o responsabile dei lavori l'inosservanza di disposizioni antinfortunistiche e aveva omesso di sospendere le lavorazioni.
4.3. Con un terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'omessa valutazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma 1 n. 6, cod. pen. in quanto, nonostante l'imputato avesse versato prima dell'apertura del dibattimento il risarcimento del danno ai congiunti dell'infortunato, tale circostanza attenuante è stata valutata esclusivamente in senso favorevole all'Ente, senza alcuna motivazione in merito alla doglianza difensiva.
5. La Vega Prefabbricati s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con un primo motivo, nullità ai sensi dell'art. 178 lett.c) cod. proc. pen., debitamente eccepita, in quanto il pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, pur notificando l'avviso previsto dall'art. 415 bis cod. proc. pen., ha omesso di nominare alla Vega Prefabbricati s.r.l. un difensore d'ufficio. L'eccezione è stata rigettata dalla Corte di Appello sul presupposto che la partecipazione al processo da parte dell'Ente fosse subordinata alla costituzione nel procedimento, richiamandosi tuttavia una giurisprudenza superata dalla pronuncia delle Sezioni Unite n.33041/2015 che ha riconosciuto all'Ente indagato ma non ancora costituito la necessità che sia assicurata l'effettività di una difesa piena attraverso la nomina del difensore d'ufficio.
5.1. Con un secondo motivo deduce mancanza della motivazione in quanto la Corte di Appello non si è pronunciata sulla eccezione di nullità della sentenza di primo grado per mancanza delle conclusioni del pubblico ministero; la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi su tale censura, volta a mettere in risalto che la sentenza di condanna in primo grado della Vega Prefabbricati s.r.l. è stata emessa dal tribunale senza che il pubblico ministero rassegnasse le conclusioni nei confronti della persona giuridica.
5.2. Con un terzo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 5, comma 1, d. lgs. n. 231/2001 in punto di riconoscimento del vantaggio della persona giuridica. Secondo la difesa occorre distinguere la nozione di interesse, collegata all'azione della persona fisica, in rapporto di immedesimazione organica con l'Ente, che agisce allo scopo di far conseguire un'utilità alla persona giuridica, dalla nozione di vantaggio, sussistente quando la persona fisica violi sistematicamente le norme di prevenzione realizzando una politica di impresa disattenta alla sicurezza sul lavoro in vista di una riduzione dei costi e di una riduzione di spesa; nel caso in esame, si assume, la
sistematicità della violazione non è stata accertata ed il requisito del vantaggio è
stato assunto apoditticamente, anche perché nel giudizio di merito era emerso che il cantiere non fosse affetto da gravi carenze organizzative e che le scelte imprenditoriali non fossero finalizzate a privilegiare una politica di risparmio rispetto alla sicurezza dei lavoratori. La Corte di Appello ha omesso ogni argomentazione utile a ritenere la violazione della norma cautelare eziologicamente collegata ad una scelta di politica aziendale e non ha evidenziato l'ulteriore criterio oggettivo dell'interesse preordinato al risparmio, omettendo di
valutare la sistematicità della violazione e la sua effettiva riconducibilità a interesse o vantaggio dell'Ente secondo l'interpretazione fornita giurisprudenza di legittimità.
5.3. Con un quarto motivo deduce erronea applicazione dell'art. 12, comma 3, d. lgs. n.231/2001 per avere il giudice di appello erroneamente quantificato la pena, applicando alla sanzione inflitta dal tribunale una riduzione pari a un terzo pur avendo riconosciuto l'applicabilità della disposizione che prevede la riduzione dalla metà a due terzi.
6. Il difensore di P.G. ha depositato memoria contenente un motivo nuovo in punto di elemento soggettivo del reato, avendo la Corte territoriale trascurato le indicazioni in tema di obbligo motivazionale nel reato colposo fornite dalla giurisprudenza di legittimità.
7. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio con riferimento alla circostanza attenuante di cui all'art.62 n.6 cod. pen. e per il rigetto nel resto del ricorso proposto da P.G.; per l'annullamento senza rinvio e rideterminazione della sanzione pecuniaria in euro 20.000,00 e per il rigetto nel resto del ricorso proposto dalla Vega Prefabbricati s.r.l.
8. Il difensore di P.G. ha depositato conclusioni insistendo per l'annullamento della sentenza impugnata.
9. Il difensore della Vega Prefabbricati s.r.l. ha depositato conclusioni insistendo per l'annullamento della sentenza impugnata.
1. Preliminarmente, va esaminata la questione di nullità proposta nel primo motivo di ricorso della Vega Prefabbricati s.r.l., non senza rilevare altrettanto preliminarmente, con riguardo ad altra censura svolta dalla medesima parte ricorrente, la regolare formulazione di conclusioni, riportate nelle intestazioni delle sentenze, da parte della pubblica accusa in entrambe le fasi di merito.
1.1. Deve essere sottolineato che il d. lgs. n.231/2001 ha previsto alcune forme di procedura speciali per l'accertamento della responsabilità delle imprese per illeciti amministrativi dipendenti da reato, regolate dagli artt.34-82 del testo normativo. Risulta, altresì, evocato il principio di sussidiarietà laddove l'art.34, aggiunge che il rito è regolato anche «secondo le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271», in quanto compatibili e l'art.35 prevede che all'impresa si applichino anche, con il solito limite della compatibilità in concreto, «le disposizioni processuali relative all'imputato». La normativa coniuga, dunque, esigenze di effettività dell'accertamento ad esigenze di garanzia del diritto di difesa dell'ente strettamente correlate alla vicinanza dell'illecito amministrativo al fatto-reato, cosicchè le norme del codice di procedura devono essere applicate sulla base del duplice presupposto che non vi sia una norma speciale che disciplini l'atto e che vi sia compatibilità tra le norme speciali e le norme del codice di procedura penale. Con specifico riguardo alla difesa tecnica, l'art.40 prevede che l'ente che non ha nominato un difensore di fiducia o ne e' rimasto privo e' assistito da un difensore di ufficio, mentre con riguardo alla fase che precede la contestazione dell'illecito (art.59), la legge speciale prevede che l'informazione di garanzia inviata all'ente contenga l'invito a dichiarare ovvero eleggere domicilio per le notificazioni nonche' l'avvertimento che per partecipare al procedimento deve depositare la dichiarazione di cui all'articolo 39, comma 2 (art.57). Sul dubbio interpretativo concernente la nozione di «partecipazione» in relazione alla fase delle indagini preliminari, è intervenuta la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite al fine di dirimere la questione se in tale fase l'ente goda del diritto di fruire della assistenza difensiva (ivi comprese le facoltà che il codice riconosce al difensore) indipendentemente dall'atto formale di costituzione posto in essere a norma dell'art. 39.
1.2. La Corte di legittimità, nel suo massimo consesso, ha ritenuto di enucleare dal citato art.57 il principio secondo il quale dalla scansione procedimentale segnata dall'invio dell'informazione di garanzia all'ente, che contiene, tra l'altro, l'avvertimento che, per partecipare al procedimento, deve depositare la dichiarazione di cui all'art. 39, comma 2, l'urgenza della reazione difensiva non può prevalere sulla disciplina speciale dettata da quest'ultima disposizione (Sez. U, n. 33041 del 28/05/2015, Gabrielloni, Rv. 26431301). Da tale momento, dunque, opera la disciplina speciale dettata in tema di responsabilità degli enti, che impone la formalizzazione della rappresentanza dell'ente sin dalle prime fasi del procedimento.
1.3. Nel caso concreto, non potendo dubitarsi del fatto che l'ente disponesse di un termine per gli adempimenti di cui all'art. 39 e per l'espletamento dei diritti difensivi connessi alla notificazione dell'avviso previsto dall'art.415 bis, cod. proc. pen., la decisione operata nelle fasi di merito, in cui si è richiamata l'avvenuta comunicazione dell'informazione di garanzia all'ente, risulta corretta.
2. Tanto premesso, il Collegio osserva che il primo motivo del ricorso proposto da P.G., assorbente rispetto ad ogni altra censura qui proposta dalle parti ricorrenti, è fondato.
2.1. Va premesso che nella sentenza di primo grado (pag.11) si legge che il datore di lavoro «non ha ottemperato allo specifico obbligo derivante a suo carico dall'art.111, comma 1 lettera a), d. lgs. 9 aprile 2008, n.81, in quanto ha omesso di predisporre il previsto sistema di protezione individuale per consentire al lavoratore di ancorarsi durante il lavoro in quota» e che nella sentenza di appello si legge «il d. lgs. 81/2008 contiene specifiche prescrizioni atte a garantire la sicurezza dei lavoratori che si trovino ad operare 'in quota' (art.111) ponendo in capo al datore di lavoro l'obbligo di provvedere affinchè le condizioni di lavoro siano sicure, predisponendo misure di protezione sia 'collettive' che 'individuali ...emerge con chiarezza dal materiale probatorio raccolto in sede di istruttoria dibattimentale l'insufficienza delle misure di protezione predisposte nel cantiere», indicando la Corte territoriale, nel passo della sentenza immediatamente successivo, la carenza di dispositivi di protezione individuale quali le linee vita.
2.2. Data tale premessa, il Collegio ritiene necessario esaminare in dettaglio l'enunciato delle disposizioni contenute nell'art. 111 d.lgs. n.81/2008; tale norma illustra, secondo un preciso schema logico, quale sia la condotta del datore di lavoro che il legislatore ha ritenuto idonea a garantire la sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavori in quota. La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (art.111, comma 1 lettera a); la ratio di tale indicazione risiede nel fatto che i dispositivi di protezione collettiva sono atti ad operare indipendentemente dal fatto, ed a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota (art.111, comma 2); è, quindi, valorizzata la possibilità per il datore di lavoro di optare, in relazione allo stato di fatto, per un sistema piuttosto che per un altro. Un'ulteriore disposizione prevede che il datore di lavoro possa disporre l'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili (art.111, comma 4); tale disposizione rafforza l'indicazione iniziale circa la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in quota. L'obbligo di minimizzare i rischi insiti nelle attrezzature scelte è stato correlato dal legislatore al sistema prescelto dal datore di lavoro e l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute è stato correlato a tale scelta (art. 111 comma 5); è, dunque, nell'ambito del sistema prescelto dal datore di lavoro in ossequio alle disposizioni precedenti che deve essere valutata la responsabilità colposa del datore di lavoro per l'omissione di ulteriori cautele atte a minimizzare il rischio di caduta. Dalla disposizione contenuta nell'art. 111, comma 6, si desume, altresì, che solo l'esecuzione di lavori di natura particolare può giustificare l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute che, in ogni caso, dovrà essere immediatamente ripristinato una volta terminato il lavoro di natura particolare.
2.3. L'intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica, dunque, che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l'adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell'impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un'attrezzatura di lavoro più sicura. Della ratio di tale principio si è detto.
3. Seguendo il percorso indicato dal legislatore, compito del giudice di merito era, dunque, in primo luogo, stabilire quale fosse la misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro, onde verificare se in tale scelta il datore si fosse attenuto ai criteri indicati dalla norma la cui violazione gli era contestata. Le sentenze dei due gradi di merito hanno, invece, sviluppato in via prioritaria la questione inerente alla carenza di dispositivi di sicurezza individuale come se la norma contestata (art.111, comma 1 lettera a) fornisse un criterio di scelta del tutto opposto a quello desumibile dal tenore letterale della disposizione.
3.1. In secondo luogo, era compito del giudice di merito verificare se, in relazione al tipo di sistema di protezione prescelto ed alle attrezzature adottate, il datore avesse correttamente individuato e fornito gli strumenti idonei a minimizzare i rischi per i lavoratori contro le cadute.
3.2. La Corte territoriale, in linea con l'impostazione seguita nella sentenza di primo grado, non si è attenuta allo schema logico-motivazionale indicato e la pronuncia risulta viziata per aver incentrato il giudizio circa la violazione da parte del datore di lavoro della regola cautelare idonea a prevenire il rischio poi concretizzatosi sulla assenza di dispositivi di protezione individuale, quali sono le piattaforme elevatrici, strumento di protezione collettiva, fosse la scelta privilegiata nel caso concreto per consentire al lavoratore di operare in condizioni di massima sicurezza. Né costituisce iter argomentativo coerente con la citata disciplina antinfortunistica affermare che le piattaforme elevatrici non fossero idonee a consentire un'«agevole» misurazione delle travi del fabbricato (pag.11) né tantomeno fossero misure sostitutive rispetto ai dispositivi linee vita, laddove sarebbe stato compito del giudice valutare in primo luogo se le misure di protezione collettiva messe a disposizione degli operai dalla Vega Prefabbricati s.r.l. fossero adeguate a garantire i livelli di sicurezza richiesti dalla normativa antinfortunistica per i lavori in quota, anche a prescindere dal fatto che l'uso di tali dispositivi avrebbe reso meno agevole la misurazione delle travi; è, infatti, compito del giudice, in ossequio alla previsione normativa, esaminare la validità della scelta del dispositivo indicato dal legislatore come prioritario e la concreta utilizzabilità di esso per eseguire il lavoro.
3.3. La motivazione della sentenza impugnata, seppur integrata dalla motivazione della sentenza di primo grado, si presenta, in definitiva, carente nell'esame della condotta omissiva del datore di lavoro; i giudici di merito avrebbero dovuto analizzare la violazione della regola cautelare ascrivibile al datore di lavoro secondo il diverso schema sopra indicato e solo all'esito di tale, completo, esame procedere a valutare l'incidenza causale della violazione accertata sull'evento concretizzatosi.
4. La fondatezza del primo motivo del ricorso proposto da P. G., incidendo sull'elemento materiale del reato, condiziona anche la decisione inerente all'illecito amministrativo dipendente da reato ed impone l'annullamento della sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Bologna altra sezione per nuovo esame. La fondatezza del primo motivo di ricorso risulta assorbente rispetto alle ulteriori censure.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bologna, altra sezione, per nuovo esame.
Così deciso il 25 maggio 2021