Sicurezza lavoro

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 1683 | 17 Gennaio 2020

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 17 gennaio 2020 n. 1683

Prassi contra legem nelle operazioni di sollevamento e di carico delle casseforme. Responsabilità di un preposto

Penale Sent. Sez. 4 Num. 1683 Anno 2020
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: ESPOSITO ALDO
Data Udienza: 24/09/2019

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo del 1° ottobre 2014, con cui C.E. (imputato non ricorrente) e B.G. erano stati condannati rispettivamente alla pena di mesi cinque di reclusione e di mesi tre di reclusione per il reato di cui agli artt. 113, 590, commi 1A, 2A e 3, cod. pen., perché, in cooperazione colposa tra loro, il C.E., quale amministratore delegato della I.E.G.A. Costruzioni s.p.a., di direttore tecnico di cantiere e di referente per la sicurezza sul cantiere edile sito in via Predore n. 6, e il B.G., in qualità di preposto della I.E.G.A. e di capocantiere presente in occasione dell'infortunio, cagionavano lesioni gravi a T.C., dipendente della I.E.G.A., il quale, mentre si trovava sul cassone di autocarro Mercedes dotato di gru dietro la cabina e stava effettuando operazioni di imbracatura di casseforme a telaio Trio prodotte dalia ditta Peri s.p.a. e, in particolare, aveva appena imbracato tre casseforme a telaio delle dimensioni di circa 1,20 mt. di larghezza e 3,30 mt. di altezza e del peso di kg. 195 ciascuna, utilizzando n. 2 fasce in tessuto ed una catena di sollevamento, veniva schiacciato contro la sponda posteriore dell'automezzo delle casseforme che, durante le operazioni di sollevamento effettuate dal collega A.A., scivolavano a causa dell'inidonea modalità di imbracatura mediante l'uso di fasce in tessuto e non tramite ganci o brache di sollevamento, come previsto dal manuale di istruzione ed uso della ditta Peri, così procurando alla persona offesa lacerazione epatica, rottura del bacinetto renale destro, frattura del gran trocantere e ala sacrale, contusioni polmonari bilaterali, fratture costali multiple e frattura sternale dalle quali derivava una malattia di durata superiore a quaranta giorni - colpa generica e specifica: per il C.E., violazione dell'alt. 18, comma 1, lett. F), D. Lgs. n. 81 del 2008, per non aver richiesto al T.C. l'osservanza delle norme di procedura per il sollevamento delle casseforme in conformità al manuale di istruzioni ed uso alla ditta Peri produttrice delle casseforme; per il B.G., violazione dell'art. 19, comma 1, lett. A), D. Lgs. n. 81 cit., per avere omesso di sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei lavoratori del cantiere degli obblighi di legge e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza previste nel piano operativo di sicurezza e, in particolare, perché non disponeva e non esigeva che le operazioni di movimentazione delle casseforme fossero effettuate secondo le indicazioni del manuale - in Sarnico il 13 aprile 2012).
In base alla ricostruzione dei fatti, il T.C. riportava le lesioni, mentre si trovava su un camion dell'impresa per la quale lavorava a seguito dello scivolamento di alcuni pannelloni di metallo situati nel cassone del mezzo e che stava movimentando con la gru del veicolo azionata. 
Il T.C. dichiarava di aver seguito tre corsi di formazione sull'uso della gru, sull'impiego dei "pannelloni" e sulla sicurezza in cantiere e di aver appreso dal B.G. e dal C.E. di dover movimentare i pannelloni mediante appositi ganci e con delle "manine" attaccate al pannello. Sottolineava che, come avveniva anche in altri cantieri, il giorno del fatto erano state adoperate le fasce in luogo dei ganci.
Il Tribunale aveva evidenziato che l'uso delle fasce non era assolutamente previsto dal manuale di istruzione Peri, disposizione di particolare rigore determinata dal peso notevole delle casseforme in questione. Il teste A.A., autista, sosteneva che le fasce erano state adoperate sistematicamente, senza che il capocantiere o altri ne sconsigliasse l'uso o controllasse lo stato di usura.
La sua indicazione di aver seguito un corso risentiva di una notevole approssimazione, essendo egli erroneamente convinto che il manuale di istruzione consentisse le fasce. Dal controllo dei provvedimenti disciplinari, peraltro, il T.C. non risultava essere stato rimproverato per l'uso delle fasce. Il B.G. effettuava il corso sull'uso dei ganci solo dopo l'incidente occorso al T.C.. Egli aveva violato proprio il compito di sovraintendere ad ogni attività di cantiere. La Corte territoriale ha rilevato che, dalla documentazione in atti, il T.C. non risultava aver frequentato il corso sull'uso di pannelloni, ma solo gli altri due corsi suindicati.
A prescindere dalla non documentata formazione del T.C., in ogni caso permaneva il concreto problema della corretta osservanza delle norme, delle misure di sicurezza e della relativa vigilanza da parte degli imputati nella loro posizione di garanzia. Le fasce consentivano di svolgere il lavoro più velocemente e per questo costituivano una dotazione del cantiere, già impiegata in precedenti occasioni. Il sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro conteneva delle criticità, dovendo egli dominare ed evitare l'instaurarsi di prassi di lavoro non corrette.
2. Il B.G., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'elemento oggettivo del reato.
Si deduce che erroneamente la Corte territoriale ha fondato il proprio giudizio di responsabilità sulla circostanza dell'abituale uso nel cantiere delle fasce anziché dei ganci, mentre sarebbe stato necessario stabilire se l'utilizzo delle fasce aveva provocato l'evento morte. La Corte di merito erroneamente aveva ritenuto attendibili il T.C. e il teste A.A., nella parte in cui avevano dato atto della prassi dell'uso delle fasce e, in seguito, li aveva considerati inattendibili nella parte in cui avevano raccontato di aver partecipato a corsi formativi e di aver deciso autonomamente le modalità di azione in occasione dell'evento lesivo.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al nesso di causalità. 
Si rileva che la Corte lombarda ha basato la propria decisione sul solo accertamento della violazione o meno di norme in materia di sicurezza sul lavoro e non su un reato di evento. Essa, inoltre, ha omesso di verificare la causalità nella colpa sotto i profili della concretizzazione del rischio e dell'evitabilità dell'evento.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che, alla luce della normativa prevenzionistica vigente, sul datore di lavoro grava l'obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e attraverso tale adempimento pervenire alla individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione, non mancando di assicurarsi l'osservanza di tali misure da parte dei lavoratori.
Nella maggioranza dei casi, tuttavia, la complessità dei processi aziendali richiede la presenza di dirigenti e di preposti che in diverso modo coadiuvano il datore di lavoro. I primi attuano le direttive del datore di lavoro, organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa [art. 2, co. 1, lett. d), d.lgs. n. 81 del 2008]; i secondi sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa [art. 2, co. 1, lett. e), d.lgs. n. 81 del 2008].
Pertanto, già nel tessuto normativo è prevista la vigilanza del datore di lavoro attuata attraverso figure dell'organigramma aziendale che - perché investiti dei relativi poteri e doveri - risultano garanti della prevenzione a titolo originario. Il datore di lavoro può assolvere all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019, Arrigoni, Rv. 275577).
Prendendo atto di tali previsioni, questa Corte ha già affermato il principio secondo il quale, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269972). 
Pertanto, anche in relazione all'obbligo di vigilanza, le modalità di assolvimento vanno rapportate al ruolo che viene in considerazione; il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli.
Ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo o di lesioni colpose aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960, in un caso di omicidio colposo; in conformità, in un'ipotesi di lesioni colpose, Sez. 4, n. 18638 del 16/01/2004, Policarpo, Rv. 228344; principio risalente a Sez. 4, n. 17941 del 16/11/1989, Raho, Rv. 182857).
2. Ciò posto sui principi operanti in materia di preposti e di prassi lavorative, va osservato che la presente vicenda concerne l'infortunio sul lavoro occorso all'operaio T.C., il quale, mentre si trovava su un camion dell'impresa di appartenenza, subiva lesioni gravi cagionate per effetto dello scivolamento di alcuni pannelloni di metallo situati nel cassone del mezzo e che stava movimentando con la gru del veicolo, azionato da A.A., autista, altro dipendente, per essere scaricati a terra. Il lavoratore era schiacciato contro la sponda posteriore dell'automezzo dalle casseforme che, durante le operazioni di sollevamento effettuate dal collega A.A., scivolavano a causa dell'inidonea modalità di imbracatura mediante l'uso di fasce in tessuto e non tramite ganci o brache di sollevamento, come previsto dal manuale di istruzione ed uso della ditta Peri.
La Corte territoriale ha evidenziato che la persona offesa aveva riferito in dibattimento quanto segue: era stata resa edotta dal preposto B.M. o da C.E. delle modalità di spostamento dei pannelloni, i quali andavano movimentati con appositi ganci e poi con le "manine" (dette anche agganci o maniglie) attaccate al pannello, consistenti in pinze che si chiudevano agganciandosi al pannello; il giorno del fatto non aveva usato le manine, bensì delle fasce, adoperate anche in altri cantieri, per imbracare due pannelli del peso di kg. 200 ciascuno; per la movimentazione erano consigliati gli appositi ganci, anche se potevano essere usate le fasce; non era mai stato ammonito per l'uso delle fasce; quel giorno, aveva usato le fasce, che consentivano un'operazione più veloce, perché l'autista aveva fretta, dovendo portare del materiale in un altro cantiere. 
La Corte di merito ha altresì chiarito che il manuale d'uso Peri non prevedeva l'uso di fasce di tessuto, ma esclusivamente di ganci di sollevamento, per i quali era prevista un'ispezione ad intervalli regolari, disposizione di particolare rigore introdotta per il peso notevole e per l'elevato ingombro delle casseforme; si trattava di ganci - con dichiarazione di conformità CE - collaudati per quelle specifiche casseforme, e contenenti l'indicazione del limite di carico.
Nella sentenza impugnata sono state evidenziate altresì l'impiego abituale delle fasce e la conoscenza approssimativa del T.C. e dell'A.A. del manuale Peri; il T.C. non aveva mai seguito un corso per l'uso delle casseforme. L'affermazione del T.C. di essere stato più volte redarguito per la scelta di usare le fasce trovava smentita nella verifica dei provvedimenti disciplinari adottati dalla ditta, tra i quali non era ricompresa la sanzione della sospensione dal lavoro, che egli avrebbe subito per l'inosservanza. Dal rilevante costo delle fasce di tessuto era desumibile che il loro impiego non poteva dipendere da una mera iniziativa dei dipendenti.
Il B.G. censura la mancata dimostrazione della sussistenza del nesso causale.
La Corte bresciana, tuttavia, ha illustrato l'approssimazione nell'espletamento di un'attività pericolosa e l'utilizzazione di fasce non consentite, spiegando che esse risultavano del tutto inidonee a sostenere il peso delle casseforme e a scongiurare eventi lesivi, come quello poi effettivamente verificatosi ai danni del T.C.. Ha chiarito le ragioni per le quali ha considerato inattendibile il T.C. nella parte in cui affermava di aver seguito corsi formativi e di aver autonomamente scelto le modalità concrete di compimento dell'azione lesiva.
Il giudice a quo, pertanto, ha risposto adeguatamente a tutte le censure in fatto formulate dal B.G. con l'atto di appello e ha affrontato in modo completo ed esauriente il tema della causalità. In ogni caso, la dedotta insussistenza del nesso eziologico non aveva formato oggetto di specifico motivo di appello.
La Corte territoriale ha riconosciuto mediante idoneo apparato argomentativo l'esistenza di una prassi contra legem osservata per le operazioni di sollevamento e di carico delle casseforme. Né l'esistenza di tale prassi (e della sua conoscibilità da parte dei vertici aziendali) poteva essere desunta dalle ammissioni della persona offesa e di un altro lavoratore di aver effettuato in precedenza la medesima manovra pericolosa.
Si è quindi dimostrato che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, non si era attenuto alle disposizioni di legge, tollerando una prassi particolarmente pericolosa per gli addetti e suggerita dalla società, non predisponendo le opportune precauzioni per scongiurarne l'utilizzo nonché non sorvegliando l'operato dei dipendenti.
2. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato. 
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (art. 616 cod. proc. pen.).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 24 settembre 2019.

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