Pericoloso scavo "al buio" e conseguente esplosione
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8094 Anno 2019
Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: CENCI DANIELE
Data Udienza: 16/11/2018
1. La Corte di appello di Bologna il 23 novembre 2017, in parziale riforma della sentenza emessa il 19 dicembre 2016 dal Tribunale di Ferrara all'esito del dibattimento ed appellata dall'imputato, sentenza con la quale l'ing. S.S. è stato riconosciuto responsabile del reato di lesioni colpose nei confronti di M.B., con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 31 maggio 2011, e, in conseguenza, condannato alla pena stimata di giustizia, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e valutate le stesse, unitamente a quella del risarcimento del danno (art. 62, n. 6, cod. pen.), già ritenuta in primo grado, equivalenti all'aggravante di cui all'art. 590, comma 3, prima parte, cod. pen., ha rideterminato, riducendola, la pena; con conferma nel resto.
2. I giudici di merito, in estrema sintesi, hanno ritenuto l'imputato, in qualità di direttore generale della società per azioni "C.A.D.F." e di sostanziale datore di lavoro dell'operaio M.B., responsabile delle lesioni gravi patite dal dipendente, che era intento ad attività di scavo e di perforazione sotto il manto stradale in un cantiere edile, in conseguenza dell'esplosione e dell'incendio causati dalla saturazione dei gas in prossimità della macchina spingitubo "Groundmat" che M.B. stava adoperando, malgrado tale attrezzatura non fosse stata adeguatamente considerata nel documento di valutazione dei rischi (acronimo D.V.R.) aziendale, che si riferiva a scavi a cielo aperto e non già a perforazioni sotto terra, e ciò specifico riferimento alla presenza di linee e di condutture interrate, non essendo stato - si è ritenuto - il dipendente informato, formato ed addestrato all'uso della macchina, con particolare riferimento al pericolo di esplosione e di incendio.
Premesso che la macchina spingitubo "Groundmat", secondo quanto si apprende dalle sentenze di merito, è un mezzo meccanico munito di centralina pneumatica e motore a scoppio provvisto di una punta in acciaio a forma di siluro utilizzato per perforazioni, sostanzialmente un martello pneumatico collegato ad un compressore, era accaduto che l'azione dello spingitubo condotto da M.B. aveva causato la rottura di una condotta di metano collocata sotto terra e che il gas, disperdendosi, aveva spento il motore, appunto a scoppio, della macchina, provocando, in conseguenza, un'esplosione con propagazione di fiamme da cui le lesioni al lavoratore.
3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore, che si affida a sei motivi, con cui denunzia promiscuamente difetto di motivazione e violazione di legge.
3.1. Con il primo motivo, censura difetto di motivazione in ordine all'assenza del nesso causale tra la condotta contestata (cioè omessa valutazione del rischio specifico nel documento di valutazione del rischio, D.V.R.) ed evento in concreto verificatosi e, nel contempo, violazione dell'art. 533 cod. proc. pen. con riferimento alla mancata o insufficiente prova circa l'effetto impeditivo dell'evento della condotta alternativa lecita, ove posta in essere.
Assume il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe trascurato il motivo di appello contenuto alle pp. 6-7 dell'impugnazione di merito, incentrato sulla - ritenuta - assenza di incidenza causale nella verificazione del sinistro per la mancata predisposizione di una specifica previsione nel D.V.R. che ponesse l'obbligo di informazione preventiva sulla posizione delle tubazioni sotterranee anche in caso di perforazioni e non solo in caso di scavo effettuato a cielo aperto.
Sottolinea al riguardo come dalle stesse sentenze di merito si desume che la vittima fosse perfettamente consapevole sia del rischio di intercettare tubazioni sotterranee sia dell'obbligo di chiedere preventivamente informazioni sull'esatta posizione delle tubature. In conseguenza - evidenzia il ricorrente - l'operaio, non avendo ricevuto segnalazioni, ha ritenuto di procedere nella sicura convinzione di non incontrare ostacoli. Stante, dunque, la omessa attivazione da parte del coordinatore di zona P. - ritenuto il preposto - nel richiedere ai vari enti notizie circa l'eventuale presenza di condutture sotterrate, confidando nella conoscenza che derivava a P. dall'avere già lavorato in quel punto, anche valutando tale condotta come comportamento superficiale (come si legge alla p. 5 della sentenza di appello), non si comprende, ad avviso del ricorrente, quale incidenza causale concreta nell'infortunio possa avere avuto l'imperfezione o la inadeguatezza del D.V.R., dovendosi, invece, dimostrare che l'evento non si sarebbe realizzato ove il documento fosse stato più specifico, in particolare esplicitando che, anche in caso di perforazioni e non solo di scavi a cielo aperto, si dovessero previamente richiedere notizie agli enti gestori del terreno.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione laddove la stessa ritiene necessario l'obbligo di effettuare sondaggi o misurazioni preventive in caso di perforazione.
Richiamato un passaggio motivazionale di cui alla p. 5 della sentenza impugnata, si assume che mai è stato contestato all'imputato di avere omesso sondaggi preventivi sul terreno, sicché si tratterebbe di una «tesi elucubrata - per la prima volta - dal giudice d'appello, mai sostenuta da alcuni in sede tecnica, pacificamente escluda dalla normativa tecnica [...]» (p. 7 del ricorso).
Si sottolinea, inoltre, a riprova della illogicità dell'affermazione criticata, che, in ipotesi, sarebbe ben più necessario il sondaggio del terreno nel caso di lavorazioni a cielo aperto che non già in caso di mere perforazioni, in entrambi i casi procedendosi "al buio" ma esercitando la benna di un'escavatrice una forza assai più intensa di quella derivante dall'uso di un mero spingitubo.
3.3. Con il terzo motivo, ci si duole di un preteso vizio di motivazione per manifesta illogicità e per travisamento di prova documentale quanto al corso di formazione frequentato dalla persona offesa.
Il giudice di primo grado, infatti, ad avviso del ricorrente, avrebbe trascurato di prendere in considerazione l'informazione probatoria che si trae da un documento, cioè dal contenuto delle slides proiettate nel corso tenuto il 29 aprile 2011 (acquisite all'udienza del 29 gennaio 2015 su iniziativa del P.M.), slides nelle quali si tratta delle modalità di perforazione dette "no dig" comparandole con le modalità "a cielo aperto". In luogo di trarre da tale dato le dovute conseguenze, che cioè la vittima avesse seguito apposito corso, il Tribunale ha seguito l'asserzione di B., che ha detto di avere frequentato - sì - un corso, come in effetti avvenuto, ma dopo il sinistro, ciò che, però, non elide la valenza della formazione eseguita prima.
La Corte di appello, ad avviso del ricorrente, «non incorre nello stesso travisamento e in un certo senso "corregge il tiro" preferendo insistere sulla carenza di professionalità del docente del corso, Arch. B., non appartenente alla ditta tedesca Tracto-Technik, produttrice dello specifico spingitubo, e non dalla stessa formata o istruita. Si sarebbe reso necessario un addestramento presso la ditta germanica o da questa organizzato, secondo una prescrizione cautelativa, contemplata dal manuale d'uso della casa tedesca. Senonchè l'argomento appare del tutto specioso e illogico, atteso che la ditta produttrice si preoccupa di sovraintendere alle informazioni che concernono l'uso e la manutenzione del mezzo, non certo per ciò che attiene alle informazioni ambientali ed esterne nel contesto in cui avviene la lavorazione, che possono essere le più svariate. In altri termini la cautela di rivolgersi agli enti gestori e gli accertamenti preliminari sulla individuazione della posizione esatta dei tubi sotterranei costituisce prescrizione che nulla ha a che vedere con le istruzioni che la ditta produttrice fornisce in ordine al corretto utilizzo dell'utensile, al suo funzionamento e alla sua manutenzione. Sarebbe come pretendere che la formazione per una guida sicura con l'automobile, in ossequio alla regole cautelari del codice della strada fosse fornita dai singoli fabbricanti delle autovetture, in conformità al manuale d'uso e manutenzione delle stesse. Se dunque la sentenza di primo grado sconta il travisamento della prova di cui si è detto, quella di secondo grado è del tutto illogica, nella parte de quo» (così alla p. 9 del ricorso).
3.4. Con il quarto motivo si denunzia violazione dell'art. 533 cod. proc. pen. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa in ordine alla prova del nesso causale tra l'omissione contestata (cioè inadeguata formazione ed addestramento) e l'evento in concreto verificatosi.
Ad avviso del ricorrente, il sinistro non si è verificato per malfunzionamento della macchina spingitubo o per un uso tecnicamente scorretto o maldestro e nemmeno perché M.B. ignorasse la necessità di richiedere informazioni preventive sulla presenza e, nell'affermativa, sulla posizione di tubi sotto il manto stradale, ma, anzi per la ragione contraria, in quanto la vittima, in ragione della formazione aziendale ricevuta, era consapevole dell'obbligo in capo al preposto, cioè P., di informarsi circa la eventuale presenza di tubazioni ed aveva, quindi, agito nella sicura convinzione di non intercettarle.
Secondo il ricorrente, le sentenze di merito difetterebbero di adeguato «ragionamento controfattuale che dia conto del legame eziologico fra omissione ed evento. Anche ammesso che il M.B. non avesse preso parte ad alcuna specifica formazione o addestramento per l'uso dello spingitubo, le sentenze non spiegano minimamente per quale motivo tale deficit culturale abbia inciso causalmente sull'evento. Invero, dalle dichiarazioni testualmente riportate in sentenza, egli si era correttamente rappresentato il pericolo di intercettare la tubazione, ma tale eventualità egli aveva escluso sulla base della mancata segnalazione di detta presenza da parte del soggetto obbligato [cioè il preposto P.]. Non ha alcuna importanza, e sul punto la sentenza impugnata denuncia illogicità manifesta, che il M.B. non avesse ricevuto un addestramento specifico dagli operatori Tracto-Technik, né che avesse utilizzato di rado lo spingitubo o che fosse alle prime armi (in realtà non era certo un principiante o un apprendista). L'evento non si è determinato in conseguenza di un uso scorretto dell'utensile o per incapacità tecnica o inesperienza, bensì a causa di una mancata, chiara, comunicazione da parte del preposto sulla presenza dei tubo sotterraneo, producendo nella persona offesa l'erroneo convincimento circa l'assenza di tubazioni intercettabili» (p. 11 del ricorso).
3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente censura violazione degli artt. 2, comma, 1, lett. b), del d. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, 192 e 533 cod. proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova con riferimento all'art. 20 dello statuto della soc. C.A.D.F., di cui l'imputato è direttore generale.
Premesso che la società in questione è strutturata su di un'assemblea dei soci, in cui sono presenti i sindaci dei Comuni di una determinata area geografica (il basso ferarrese), assemblea che nomina un consiglio di amministrazione con i compiti di amministrazione attiva, al cui vertice vi è un presidente che ha anche poteri di legale rappresentanza, si osserva che l'ing. S.S. non ha né compiti di indirizzo politico-strategico (che sono riservati all'assemblea dei soci) né di amministrazione o rappresentanza dell'ente (riservati al consiglio di
amministrazione e al presidente), mentre è un dipendente con il ruolo di direttore generale, i cui compiti sono precisati dall'art. 20 dello statuto della società, cioè poteri di gestione del personale, adozione di provvedimenti migliorativi dell'attività tecnica e amministrativa, partecipazione alle commissioni di gara, ma è privo di poteri di spesa o di assunzione.
In conseguenza, erronea sarebbe la individuazione nelle sentenze di merito in capo all'imputato dei compiti del datore di lavoro di cui all'art. 2, comma 1, lett. b), d. Lgs. n. 81 del 2008, mancando i poteri decisionali e di spesa, non avendo il consiglio di amministrazione delegato gli stessi al direttore generale.
Altrettanto erronea e basata su mera, ma indimostrata, inferenza e, anzi, su una vera e propria presunzione, sarebbe l'attribuzione, alla p. 6 della sentenza impugnata, all'imputato del ruolo di amministratore di fatto, mentre altra cosa è l'assemblea dei soci (sindaci), altra invece è il consiglio di amministrazione, con al vertice il suo presidente, ed altra cosa, infine, è essere direttore generale.
La circostanza, evidenziata alla p. 6 della sentenza impugnata, che nel maggio 2008 proprio il direttore generale abbia,con propria delibera, costituito il servizio di prevenzione e protezione non dimostrerebbe l'assunzione da parte dello stesso di poteri datoriali; peraltro, nel capo di accusa si legge - del tutto erroneamente - che l'imputato è stato rinviato a giudizio in veste di legale rappresentante dell'ente, veste che, in realtà, non ha mai avuto.
3.6. Infine, lamenta violazione degli arti. 69, 132 e 133 cod. pen. e vizio di motivazione, che si addita a mancante o meramente apparente, in relazione ai criteri di bilanciamento delle circostanze e alla commisurazione della pena.
Quanto al primo aspetto, la Corte di merito si sarebbe limitata - assai lacunosamente - ad affermare che la duplicità delle attenuanti induce a valutare le stesse equivalenti alle aggravanti (p. 6), senza spiegare l'iter logico seguito.
Erronea sarebbe, da ultimo, l'applicazione dell'art. 133 cod. pen., avendo la Corte di merito trascurato la lieve entità del fatto, la condotta processuale e l'incensuratezza dell'imputato.
1. Premesso che il reato non è prescritto (fatto, 31 maggio 2011 + sette anni e sei mesi = 30 novembre 2019), il ricorso è infondato.
2. Quanto ai motivi di ricorso da nn. 1 a 4, la sentenza impugnata offre adeguata risposta (alle pp. 3-5) a tutte le questioni, sostanzialmente già poste con il primo motivo di appello (v. pp. 1-9 dell'impugnazione di merito, correttamente sintetizzate alle pp. 2-3 della decisione impugnata).
Dalle motivazioni dei giudici di merito si desume che si trattava, in buona sostanza, di un cantiere in cui, dovendosi provvedere a scavare sotto terra in un tratto in cui potevano esservi pericolosi cavi di gas oppure elettrici sotterrati, attività di indubbia pericolosità, non si è provveduto, a causa di una lacunosa organizzazione aziendale, né ad informarsi sulla presenza (e, nell'affermativa, sull'eventuale collocazione) di tubazione non visibile, né ad informare e a formare adeguatamente il personale che doveva condurre il macchinario perforante, il cui costruttore peraltro aveva nel libretto del macchinario fornito espressamente indicazioni che sono risultate essere state disattese, sicché il personale, in pratica, scavava pericolosamente "al buio".
Quanto alla censura involgente la posizione di garanzia dell'imputato (motivo di ricorso n. 5), alle obiezioni già poste in appello (secondo motivo, pp. 10-13) offre risposta sufficiente (irrilevante essendo la - effettiva - imprecisione della Corte di appello nell'indicare una "anomalia" della società, segnalata alla p. 6 del ricorso) la Corte di merito.
Peraltro il ricorrente non tiene conto che la Corte di legittimità ha già - da tempo - condivisibilmente precisato che «In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore generale di una struttura aziendale è destinatario "iure proprio", al pari dei datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti» (Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro Rv. 259228: cfr. spec. la relativa motivazione, sub punto n. 6 del "considerato in diritto").
Su tale premessa, a ben vedere, i giudici di merito hanno, con motivazione adeguata, posto in luce le carenze, sia organizzative che formative, riconducibili all'imputato.
Quanto, infine, all'ultimo motivo di ricorso (n. 6), che è incentrato sulla ritenuta illegittimità del trattamento sanzionatorio (sia in ordine al bilanciamento tra le circostanze sia in ordine al quantum di pena), si osserva che la motivazione esiste e che non è irragionevole ma, prima ancora, che le segnalate violazioni di legge non erano state previamente oggetto di appello (v. infatti l'impugnazione di merito): ne discende la - necessaria - conseguenza di cui all'art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
3. Consegue dalle considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/11/2018.