Amputazione di una mano durante il taglio della legna con una sega a nastro su ruote
Mancata formazione e nessun comportamento abnorme della vittima
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8088 Anno 2019
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DAWAN DANIELA
Data Udienza: 08/11/2018
1. Il 12/12/2016, la Corte di appello di Ancona ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha condannato G.P. alla pena (sospesa) di mesi tre di reclusione.
2. Questi è chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3, cod. pen. perché, in qualità di datore di lavoro dell'omonima ditta individuale, per colpa generica ed inosservanza dell'art. 37 d. lgs. n. 81/2008, cagionava un infortunio sul lavoro a seguito del quale R.S. subiva l'amputazione della mano destra. Il R.S., collaborava al taglio della legna con G.E. (dipendente del padre del l'imputato) che utilizzava la sega a nastro su ruote, dotata anche di uno spaccalegna orizzontale. Nel corso delle operazioni, mentre il R.S. era intento a rimuovere un pezzo di legno rimasto incastrato nel cuneo fisso dello spaccalegna, G.E., che non poteva vederlo, avviava il punzone spingi pezzo che, a fine corsa, amputava la mano destra del primo.
Al G.P. si imputa di non aver adeguatamente informato i dipendenti sull'uso della sega a nastro su ruote che doveva avvenire esclusivamente da parte del solo operatore essendo la macchina munita di dispositivi tali da impedire la messa in movimento quando l'operatore è in terra. Con l'aggravante di aver cagionato l'indebolimento permanente di un organo. In Arcevia, il 23/08/2011.
2. Avverso la prefata sentenza di appello, ricorre G.P. articolando tre motivi tutti deducenti vizio di motivazione. Con il primo, lamenta il travisamento della prova sotto il profilo dell'omissione della valutazione della prova decisiva costituita dalla testimonianza del citato G.E. il quale, riferendo che, il giorno dell'infortunio, era stato lui a mettere in funzione la sega, in assenza dell'imputato e senza alcuna indicazione da parte sua, lo aveva di fatto scagionato da qualsivoglia responsabilità.
Con il secondo motivo, si evidenzia la carenza ed illogicità della motivazione laddove afferma che «... lo specifico pericolo era sempre presente durante l'attività lavorativa...». Non è infatti dato sapere da dove il giudice di appello abbia tratto questo convincimento atteso che il testimone G.E., dipendente peraltro di altra ditta, ha più volte ribadito che l'azionamento del macchinario è stata una sua iniziativa, assunta al di fuori di ogni direttiva dell'imputato che mai avrebbe potuto prevedere che il R.S., assunto con mansioni di bracciante agricolo per le quali non era affatto previsto l'utilizzo di macchine, compisse un atto esorbitante dalle mansioni contemplate nel contratto di lavoro.
Con il terzo motivo, infine, il vizio di motivazione viene in rilievo quanto al comportamento eccezionale, abnorme del tutto imprevedibile del lavoratore. Il datore di lavoro non può essere ritenuto colpevole di aver omesso misure cautelari previste per un'attività che il lavoratore non doveva svolgere e che gli era stata espressamente vietata.
1. Il ricorso è infondato.
2. Costituisce ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, anche alla luce della novella del 2006, che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attenga pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico-argomentativo e quindi l'accettabilità razionale (Sez. 3, sent. n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, sent. n. 23528 del 06/06/2006, Bonifazi, Rv. 234155). Il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve pertanto essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria" ovvero sia esente da antinomie e da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo", indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente, nei motivi posti a sostegno del ricorso, in misura tale da risultare radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 1, sent. n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516).
3. Quanto alla prima doglianza, il Collegio osserva che dalla ricostruzione dei fatti, così come operata dai giudici del merito, è emerso con sufficiente chiarezza che la mattina dei fatti G.E. era stato incaricato da V.P., suo datore di lavoro e padre dell'odierno ricorrente, di tagliare la legna per l'imputato il quale aveva provveduto a farlo coadiuvare da R.S. il quale, fino a quel momento, era stato impiegato solo nella sorveglianza del gregge e nel trasporto della legna dal bosco. In particolare, la persona offesa avrebbe dovuto collaborare con altra persona addetta specificamente all'utensile elettrico, porgendo alla stessa la legna da terra, aiutandola a caricare i pezzi più pesanti. Lo stesso imputato aveva dichiarato che inizialmente, quel giorno, detta attività del R.S. era stata intrapresa con lui che ad un certo punto si era dovuto allontanare in auto per una commissione. Egli dunque sapeva che il R.S. lavorava alla legna, anche per avergli, a suo dire, richiesto di formare, in sua assenza, un secondo accatastamento di legna vicino al macchinario.
La Corte di appello reputa non credibile che G.P., prima di allontanarsi, abbia dato disposizioni di non utilizzare la sega: «tale assunto è in contrasto con il fatto che la persona offesa ha svolto la specifica attività che - secondo quanto ammesso dall'imputato - avrebbe dovuto svolgere quel giorno e con il fatto che la sega fosse impugnata da altro operatore (dipendente del padre dell'imputato) che certamente non avrebbe assunto l'iniziativa da solo e che, da solo, non avrebbe potuto svolgere quelle funzioni».
Quanto alla mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, della testimonianza del predetto G.E. lamentata dal ricorrente, la doglianza è implicitamente disattesa dall'ordito motivazionale della sentenza di appello la quale, peraltro, evidenzia come già il primo giudice abbia considerato contraddittorie e poco attendibili le dichiarazioni favorevoli all'imputato rese dai testi a discarico.
Come è noto, in giurisprudenza è ammessa la motivazione implicita, nel senso che il giudice di merito, per giustificare la decisione, non deve prendere in esame tutte le tematiche prospettate e le argomentazioni formulate dalle parti ma solo quelle ritenute essenziali per la formazione del suo convincimento, dovendosi considerare implicitamente disattese, alla stregua della struttura argomentativa della sentenza, le prospettazioni di parte non menzionate. In sede di legittimità, pertanto, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione formulata con il gravame allorché la stessa debba considerarsi disattesa sulla base della motivazione della sentenza, complessivamente considerata. Non è dunque necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere il vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca implicitamente alla reiezione della deduzione difensiva. Sicché ove il provvedimento indichi, con adeguatezza e logicità, come avvenuto nel caso in disamina, quali circostanze ed emergenze processuali si siano rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del vizio di preterizione (Sez. 2, sent. n. 29434 del 19/05/2004, Candiano e altri, Rv. 229220).
Va inoltre osservato che, conformemente al tema dell'imputazione, l'impugnata sentenza ascrive al G.P. la responsabilità di non aver formato e informato il lavoratore sul funzionamento della sega elettrica e sui rischi a questo connessi. Se, invero, fosse stato informato del grave pericolo che correva nel compiere quella operazione, l'evento non si sarebbe verificato.
4. Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente perché entrambi ascrivono la responsabilità dell'accaduto al comportamento abnorme - esorbitante dalle mansioni affidategli - del lavoratore. In conformità ai principi costantemente espressi da questa Corte, la sentenza impugnata richiama l'obbligo per il datore di lavoro di apprestare dispositivi e misure di sicurezza tali da tutelare il lavoratore dagli incidenti derivanti da un suo comportamento imperito, negligente o imprudente.
Va, infatti, correttamente evidenziato che sul tema dell'incidenza causale della condotta imprudente del lavoratore in occasione dell'infortunio di cui lo stesso rimanga vittima, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha raggiunto approdi consolidati che consentono di ritenere nello specifico la condotta dell'infortunato non abnorme né imprevedibile, ma anzi realizzata proprio in quanto non sussistente al momento del fatto una sostanziale ed efficace vigilanza da parte del responsabile della ditta individuale alle cui dipendenze lavorava l'infortunato. Secondo il dictum di questa Corte di legittimità, il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro (ex multis, Sez. 4., sent. n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Ritiene il Collegio di condividere il principio affermato da questa Sez. 4 con la sentenza n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321, secondo cui non esclude la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia riconducibile comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento imprudente.
Il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori - si è peraltro affermato in altre condivisibili pronunce- ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile [Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 (dep. il 27/01/2015), Bonelli, Rv. 261946; Sez. 4, sent. n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365].
Peraltro, la prevedibilità della condotta della vittima può desumersi dalla circostanza che questa è stata descritta dai testimoni come una persona debole, con difficoltà di espressione e di relazione, che vieppiù dunque avrebbe dovuto essere istruita sui rischi derivanti dall'attività che andava a svolgere.
La condotta dell'Infortunato, inoltre, non può dirsi abnorme anche perché egli non ha svolto un'attività estranea alle mansioni di cui era stato incaricato: come si è più sopra detto, infatti, l'imputato ebbe a dichiarare che prima di allontanarsi con l'auto operava lui stesso con la sega elettrica coadiuvato dal R.S. che gli avvicinava i pezzi di legna.
Non potendosi, in conseguenza, ritenere abnorme, in quanto non radicalmente, ontologicamente lontana dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro, la condotta dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento (art. 41 comma 2, cod. pen.) e a da determinare l'interruzione del nesso causale.
Con motivazione logica e congrua - e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità- la Corte territoriale ribadisce come nel caso in disamina non possa parlarsi di comportamento abnorme del lavoratore.
5. Si tratta, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l'itinerario concettuale esperito dal giudice di merito.
D'altronde, il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell'art 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., legittima il ricorso per cassazione, implica che il ricorrente dimostri che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione nulla ha a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, sent. n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv.202903). La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non può infatti essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, giacché esso è attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che, come nel caso in disamina, il processo formativo del libero convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento derivante da una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova legittimità [Sez. U, sent. n. 2110 del 23/11/1995 (dep. il 23/02/1996), Fachini e altri, Rv. 203767].
Dedurre infatti vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non già opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto ragionevole (Sez. U, sent. n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv.205621).
6. In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 8 novembre 2018