Presenza di un piano rialzato di lavoro privo di parapetto. Nozione di luogo di lavoro
Penale Sent. Sez. 4 Num. 5900 Anno 2019
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 17/01/2019
1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente N.D., sul gravame proposto dallo stesso, con sentenza del 23/3/2018, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Pistoia il 30/6/2016, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche, ne rideterminava la pena in mesi due di reclusione, confermando nel resto la sentenza con cui ne era stata riconosciuta la penale responsabilità, quale datore di lavoro e legale rappresentante della ISS Palumbo s.r.l., per il reato di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590 co. 2 in relazione all'art. 63 c. 1 e 64 c. 1 D.Lvo 81/08 in riferimento all'allegato IV punto 1.7.3.) in danno del dipendente F.M., commesso in Pistoia il 5/7/2013.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il N.D., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale in punto di affermazione di responsabilità.
Il ricorrente evidenzia che profilo di colpa specifica contestato come nesso causale per il reato di cui all'art 590 cod. pen. è rappresentato, secondo i due precedenti gradi di giudizio, dalla violazione degli art 63 e 64 del D.lgs. 81/08, in riferimento all'allegato 4 punto 1.73. in quanto l'odierno ricorrente non avrebbe dotato di parapetto o altre difese il luogo di lavoro in cui si trovava ad operare il F.M. al momento dell'infortunio.
L'infortunio - prosegue il ricorso- è avvenuto su di un piano costruito appositamente in posizione sopraelevata al fine di permettere ai camion di scaricare dai pianali agevolmente con i mezzi meccanici (muletti o transpallets manuali).
Nel caso di specie la parte offesa si trovava all'interno del piano di caricamento lontano dal bordo delimitante il dislivello, quando inciampando si è portato sul bordo ed è caduto nel livello inferiore riportando le lesioni per cui è processo.
Ebbene, il ricorrente ritiene che l'individuazione del piano sopraelevato come piano di lavoro non corrisponda al vero, in quanto per stessa ammissione degli organi di vigilanza intervenuti quel piano sopraelevato era stato funzionalmente costruito da B. per il carico e lo scarico delle merci all'interno del magazzino ed era destinato funzionalmente a quella tipologia di lavoro.
Si ricorda in ricorso che l'art 63 del Dlgs. 81/08 comma recita: "i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell’allegato IV": E l'art 64 del medesimo decreto, al comma 1) punto a) prevede a sua volta che : "Il datore di lavoro provvede affinché: a) i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all'art 63 commi 1,2,3".
Nel caso che ci occupa pertanto, secondo il ricorrente, la norma su cui dovrà essere incentrata l'attenzione ai fini della sua corretta applicazione è quella di cui all'allegato IV punto 1.7.3. che espressamente riporta: "Le impalcature, le passerelle, i ripiani, le rampe di accesso, i balconi ed i posti di lavoro o di passaggio sopraelevati devono essere provvisti su tutti lati aperti, di parapetti normali con arresto al piede o di difesa equivalenti. Tale protezione non è richiesta per i piani di caricamento di altezza inferiore a m. 2,00".
Ebbene il ricorrente lamenta che cade in errore la Corte di Appello nella parte motiva della sentenza laddove classifica il luogo da cui è caduto il F.M. come posto di lavoro sulla semplice asserzione che in quel luogo il F.M. stava facendo un lavoro diverso dal caricamento. Se così fosse anche gli interni dei rimorchi dei camion potrebbero essere definiti luoghi di lavoro e pertanto dotati di parapetti contro le cadute dall'alto. Ergo ciò impedirebbe di utilizzare i mezzi secondo la loro destinazione naturale.
Quindi l'interpretazione della Corte territoriale non avrebbe minimamente tenuto conto della destinazione naturale di quel luogo di lavoro, destinazione che non può essere modificata per il semplice fatto che qualcuno, errando si sia recato in quel luogo ad effettuare operazioni non proprie del luogo. Infatti laddove si ritenesse il piano in cui è avvenuto l'infortunio un posto di lavoro e non un piano di caricamento, i giudicanti avrebbero dovuto in primis dimostrare che quel piano di caricamento in realtà veniva utilizzato come posto di lavoro e che non venivano in alcun modo sul bordo caricate le merci. L'istruttoria dibattimentale, ha invece provato che in quel luogo venivano caricate le merci e che pertanto quello, indipendentemente dalle operazioni effettuate dal F.M., era un piano di caricamento, per necessità di utilizzo privo di parapetti cosi come stabilito dal punto 1.7.3 dell'allegato IV.
Con un secondo motivo ed un terzo motivo il difensore ricorrente deduce, sotto il duplice profilo dell'inosservanza delle norme processuali di cui agli artt.521, 522 cod. proc. pen. e del vizio motivazionale, che la sentenza di appello avrebbe condannato per il reato di lesioni colpose l’imputato, ritenendolo responsabile della violazione di altro profilo di colpa specifica mai contestato all'imputato e non riconducibile ai profili di colpa specifica ex art 63, 64 D.lgs. 81/08.
Evidenzia, infatti, che la Corte territoriale, nella parte motiva della sentenza, conferma che quel piano su cui stazionava il F.M. era senza dubbio addetto al carico delle merci, ma, essendo adibito anche ad altre operazioni, imputerebbe all'odierno imputato un profilo di colpa specifico diverso rispetto a quello richiamato nel capo di imputazione, laddove afferma che" le difficoltà di porre transenne atte a tale scopo avrebbe dovuto indurre la parte datoriale ad organizzare le operazioni di imballaggio in luoghi più appropriati".
Secondo la Corte di appello -sottolinea il ricorrente- il datore di lavoro non sarebbe incorso nella violazione delle norme contravvenzionali richiamate nel capo di imputazione ma avrebbe dovuto organizzare il lavoro in maniera diversa evitando di fare in quel luogo altre operazioni di imballaggio. Quindi l'odierno imputato, al fine di evitare il verificarsi dell'infortunio non avrebbe violato le norme di cui agli artt. 63 e 64 DLgs. 81/08, ma avrebbe violato le regole imposte dall'art 18 del D.lgs. 81/08.
Tale violazione - si legge in ricorso- non è mai stata contestata all'odierno ricorrente, il quale correttamente nei precedenti gradi di giudizio si è difeso ravvisando che quel piano era un piano di caricamento e che come tale non poteva essere dotato di parapetti come esplicitamente previsto dalla norma
La Corte fiorentina, in altri termini, avrebbe violato le norme processuali cosi come stabilito dagli art 521, 522 cod. proc. pen. in quanto avrebbe previsto un profilo di colpa specifica diverso rispetto a quello contestato nel precedente grado di giudizio, ponendo come presupposto alla realizzazione del reato di cui all'art 590 una fattispecie contravvenzionale diversa rispetto a quella invece richiamata nel procedimento di primo grado
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
1. Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili, in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delie doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato la tesi oggi riproposta, secondo cui il datore di lavoro non aveva alcun obbligo di predisposizione dei parapetti in quanto il sito ove è avvenuto l'infortunio non era una postazione di lavoro, bensì un piano di caricamento asservito alla movimentazione delle merci.
L'odierno ricorrente, in sede di gravame del merito, aveva posto l'accento sul fatto che il teste M. avesse puntualizzato come le merci venivano caricate sul piano direttamente dai camion e quindi smistate verso l’interno; infatti al di là del piano vi erano gli uffici. E aveva sostenuto che una conferma di ciò si ricava anche dalla circostanza che la ASL, dopo l’infortunio, ha acconsentito all’adozione delle catenelle amovibili che non rappresentano un presidio contro il rischio di caduta servendo solo a delimitare l’area. Dunque, trattandosi di piano di caricamento, secondo la tesi difensiva non erano apponibili parapetti che ne avrebbero inibita l’utilizzo. Infatti, il punto 1.7.3 dell’allegato IV del D.Lvo 81/2008 esclude l’obbligo di parapetti o altre protezioni per i piani di caricamento inferiori ai 2 mt. di altezza. Il piano ove è avvenuto l'infortunio del F.M. - era stato dedotto- è operativo da oltre 20 anni e nessun rilievo il personale della USL ha mai sollevato durante le varie ispezioni e controlli che si sono succeduti.
3. La Corte territoriale, tuttavia, con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, aveva già confutato tali tesi.
La vicenda che ci occupa- ricorda la sentenza impugnata- si verificava il 5 luglio 2013 all'interno dello Stabilimento B. di Pistoia, oggi Hitachi Rail Italy, dove la società Palumbo svolgeva attività di logistica nei magazzini di proprietà della committente.
L'infortunio del F.M. ebbe a realizzarsi in un magazzino di proprietà della committente dove, per favorire lo scarico delle merci era presente un piano di caricamento sopraelevato di circa 110 cm rispetto al piano di lavoro, piano rialzato denominato anche "ribalta" in virtù della sua funzione di asservimento alla movimentazione delle merci. Sul tale piano rialzato il personale effettuava operazioni di caricamento e la differenza in altezza era necessaria per agevolare le operazioni di carico da e per i camion che venivano a caricare/scaricare il materiale.
Il F.M. si trovava all'interno del piano di caricamento (ossia la ribalta) quando inciampava e nel tentativo di riprendersi cadeva rovinosamente dal dislivello riportando lesioni, consistite in fratture costali multiple, frattura della colonna anteriore dell'acetabolo dx, frattura del polso destro, che avevano determinato uno stato di malattia per 119 giorni.
Il profilo di colpa contestato al N.D. è quello di non avere provveduto, in violazione degli artt. 63 e 64 D.lvo 81/2008, a dotare di parapetti o altre difese il posto di lavoro sopraelevato rappresentato dal suddetto piano rialzato nel quale venivano solitamente compiute operazioni di carico e scarico di materiale.
Ebbene, come ricordano i giudici del gravame del merito, nel corso del dibattimento la dinamica del sinistro è stata ricostruita sulla base delle dichiarazioni di testi ed in particolare della persona offesa. Il F.M. si trovava in ginocchio sul piano rialzato per mettere una "reggetta" ossia del nastro per legare un carico appoggiato su detto piano, nel mentre stava per alzarsi in piedi ha inciampato nel coperchio di una cassa appoggiato lì vicino cadendo al piano sottostante e procurandosi così le lesioni descritte.
La sentenza impugnata dà atto che sono stati sentiti anche i tecnici del servizio di prevenzione della ASL i quali hanno riferito di avere effettuato un sopralluogo solo nel gennaio dell'anno successivo constatando che il piano rialzato era privo di protezioni atte ad impedire la caduta in basso, di avere quindi impartito la prescrizione di installare un parapetto ovvero eliminare il piano rialzato. E che altri testi hanno descritto come si svolgeva l'attività lavorativa: le merci venivano caricate sul piano rialzato con mezzi meccanici e poi processate per le varie destinazioni.
A seguito dell'infortunio - si legge ancora nella sentenza impugnata- la ditta appose, in adempimento delle prescrizioni, temporaneamente, un parapetto consistente in una catenella all'interno del perimetro a circa un metro e mezzo dal bordo, successivamente la B. eliminò il piano rialzato.
Ebbene, già il giudice di primo grado ritenuto la colpevolezza dell'imputato osservando come fosse del tutto evidente che se vi fossero state delle adeguate protezioni ovvero fossero state date ai lavoratori adeguate indicazioni circa la distanza da tenere dal bordo l'evento non si sarebbe verificato.
Come ricordano i giudici del gravame del merito, già dalla descrizione della dinamica del sinistro offerta dalla parte offesa, non contestata dalla difesa, si evince che il F.M., allorché inciampò nel coperchio di una cassa e cadde al di sotto del piano su cui stava operando, era intento a compiere operazione di imballaggio di merce, ergo stava compiendo una operazione lavorativa diversa da quella del semplice carico o scarico ma semmai preliminare ad essi.
La sentenza impugnata dà anche atto: 1. che il teste C. della ASL ha dichiarato di avere osservato il piano in questione nel corso del suo sopraluogo rilevando che esso era utilizzato sia per il deposito che per compiere altre operazioni in quanto su di esso erano presenti dei macchinari; 2. che il teste Ba. ha riferito che il piano in questione, oltre ad essere utilizzato normalmente come passaggio per accedere agli uffici posti al suo margine interno era normalmente utilizzato per eseguire l'imballaggio delle merci.
Logica appare essere stata la conclusione, in virtù delle sopra richiamate univoche risultanze che il piano rialzato in esame fosse anche un luogo di lavoro e come tale non era dotato di provvidenze atte a contrastare il pericolo di caduta, e che la difficoltà di porre transenne atte a tale scopo avrebbe dovuto indurre il datore di lavoro ad organizzare le operazioni di imballaggio in luoghi appropriati.
Né il richiamo ai più generici doveri in capo al datore di lavoro di cui all'art. 18 d.lgs. 81/08 porta -come lamenta il ricorrente- ad una modifica sostanziale dell'editto accusatorio.
4. Non va trascurato, in proposito, infatti, che questa Corte di legittimità ha in più occasioni sottolineato come in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (così Sez. 4, n. 51516 del 21/6/2013, Miniscalco ed altro, Rv. 257902 in relazione ad una fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; conf. Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro ed altro, Rv. 260161 in un caso in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; Sez. 4, n. 18390 del 15/2/2018, Di Landa, Rv. 273265 in una fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2019