Sicurezza lavoro

Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 58366 | 28 Dicembre 2018

Sentenze cassazione penale

Crollo di una parete instabile durante i lavori di ristrutturazione e rischio seppellimento

Responsabilità del coordinatore per la sicurezza.

Penale Sent. Sez. 4 Num. 58366 Anno 2018
Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: TORNESI DANIELA RITA
Data Udienza: 19/10/2018

Ritenuto in fatto 

1. La Corte d'Appello di Bologna, con sentenza del 17 novembre 2017, confermava la pronuncia con la quale il Tribunale di Rimini condannava B.F., previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, alla pena di un mese di reclusione per il reato di cui all'art. 590, commi 2 e 3, cod. pen.
Il B.F. era altresì condannato al risarcimento sofferto dalla parte civile da liquidare nel giudizio civile, con il riconoscimento di una provvisionale di euro 1.500/oltre alla rifusione delle spese processuali.
1.1. Al predetto imputato, nella qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori, era contestato di avere cagionato, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonché nella violazione di norme antinfortunistiche, lesioni personali della durata superiore ai quaranta giorni a O.T., il quale, lavorando nel cantiere edile per la ristrutturazione di civile abitazione sita in Rimini, dopo che era stata eseguita la demolizione dell'immobile con il mantenimento dei soli muri perimetrali per un'altezza di cm. 310, veniva investito da una parete in precaria condizione di stabilità, ribaltatasi improvvisamente, essendo stata costruita con mattoni inefficacemente legati fra loro da una malta composta di cemento e sabbia marina, sotto la quale erano stati eseguiti lavori di scavo per la realizzazione di travi rovesce e del basamento del nuovo edificio, e che era quasi completamente scollegata dalle altre pareti dell'edificio.
In particolare si addebitava al B.F. la violazione dell'art. 92, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008 per non avere verificato l'applicazione, da parte dell'impresa Edil N. di M.N., delle previsioni contenute a pag. 37 del Piano di Sicurezza e Coordinamento relative alle misure preventive e protettive atte a scongiurare il rischio di seppellimento dei lavoratori, dovuto a crolli intempestivi e cioè che le precarie pareti perimetrali fossero puntellate e rafforzate adeguatamente.
In Rimini il 09 novembre 2010.
2. La vicenda processuale veniva così ricostruita dai giudici di merito. L'infortunio era avvenuto in un cantiere sito a Rimini, in via Modena 14, avente ad oggetto la ristrutturazione di un fabbricato, originariamente costituito da un piano terreno e da un primo piano coperto da un tetto, quest'ultimo già rimosso, al momento del sinistro, unitamente a parte dei muri perimetrali (in particolare quelli del primo piano). L'incidente era stato provocato da un crollo verso l'interno nella zona in cui si trovavano gli operai (tra cui l'O.T.) intenti, a fine giornata, a sistemare gli attrezzi della parte centrale della parete est del fabbricato.
I funzionari della locale AUSL avevano accertato che:
- la parte del muro crollata non era stata in precedenza né tutelata né ingabbiata con la necessaria puntellatura, e nel punto del crollo era stata praticata un'apertura di circa 2-2,5 metri per fare entrare un escavatorino, con conseguente necessario smontamento di parte dell'impalcatura esterna;
- tale impalcatura esterna rappresentava solamente una protezione verso l'esterno, mentre all'interno non vi era alcuna puntellatura;
- la costruzione era stata a suo tempo realizzata con malta cementizia mescolata con sabbia, e che pertanto risultava poco stabile.
Il muro era crollato a causa di un ribaltamento per un'improvvisa inclinazione verso l'interno della base su cui poggiava, dovuta alla pioggia, caduta copiosamente in quei giorni, ed alla scarsissima stabilità delle pareti, in quanto il muro risultava totalmente scollegato rispetto al resto dell'edificio, non potendosi considerare sufficiente a realizzare un vincolo statico l'unico collegamento rimasto in piedi, vale a dire la trave posta al di sopra dell'ingresso.
2.1. I giudici di merito accertavano la responsabilità del B.F., il quale era chiamato a rispondere del contenuto del P.S.C. (Piano di Sicurezza e Coordinamento) da lui redatto e sottoscritto e del P.O.S. (Piano Operativo di Sicurezza), il quale, seppure sottoscritto dal M.N., quale titolare della impresa costruttrice, era stato da lui avallato e fatto proprio, nella qualità di Coordinatore per la sicurezza sia nella fase progettuale che in quella esecutiva, con l'apposizione della firma "per presa visione". In particolare il predetto non aveva verificato la completa coerenza tra i due piani e non aveva provveduto ad adeguarli in relazione ai lavori da eseguire.
Veniva infatti accertato che mentre nel P.S.C. era stato espressamente previsto il rischio di "seppellimento" e di "sprofondamento" a seguito di slittamento, frana, crollo o cedimento nelle operazioni di scavo o di demolizione, nel P.O.S. tale rischio era previsto solo in relazione alle operazioni di scavo ed era mancante dell'indicazione delle misure di prevenzione da adottare per fronteggiare tale rischio.
Inoltre non aveva vigilato sulla corretta osservanza, da parte dell'Impresa esecutrice dei lavori, delle norme del P.S.C.
3. B.F., a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza elevando, quale unico motivo, il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale in relazione all'affermazione di responsabilità nella duplice veste di coordinatore per la sicurezza nella fase progettuale (CSP) e di coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva (CSE).
3.1. Il ricorrente sottolinea come, a norma degli arti. 91 e 92, d.lgs. n. 81/2008, non vi era alcun obbligo da parte suo di integrare il P.O.S. con il rischio specifico di seppellimento da demolizione, dato che lo stesso era previsto nel P.S.C., unitamente a tutte le misure idonee a scongiurarlo.
Sostiene inoltre che era stata l'impresa edile a porre in essere palesi violazioni del P.S.C. (ad esempio l'apertura di un varco nei muri perimetrali), determinando un'evoluzione del cantiere in senso difforme rispetto ad esso e al progetto strutturale creando, così, pericoli nuovi e non previsti senza che nulla venisse comunicato al B.F.. Altra violazione del P.S.C. posta in essere dall'impresa esecutrice riguardava il cronoprogramma allegato al piano medesimo. Sostiene dunque che l'instabilità del cantiere, la quale è stata la vera causa dell'infortunio, è stata il frutto di una attività dell'impresa esecutrice, la quale ha disatteso ogni prescrizione impartita dal CSE e dai progettisti, oltre che dai piani per la sicurezza.
Infine rappresenta che avrebbe potuto rendersi conto dell'evoluzione del cantiere solo con una presenza quotidiana sul luogo non prevista da alcuna disposizione di legge.
3.2. Con memoria depositata in data 10 ottobre 2018 il ricorrente articola motivi aggiunti evidenziando altri profili di manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che era compito del B.F. prevedere che, a fronte del ritrovamento di un elemento costruttivo sconosciuto e non previsto, la ditta esecutrice sarebbe stata costretta a modificare il progetto originale optando per quella precisa soluzione progettuale.
Osserva al riguardo che non era possibile richiedere al coordinatore per la sicurezza sia in fase progettuale che in fase esecutiva di prevedere, già al momento della redazione del piano di coordinamento della sicurezza e, poi, in sede esecutiva, una decisione della ditta esecutrice tesa a stravolgere il progetto predisposto ed approvato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non presenta profili di manifesta infondatezza ed impone, pertanto, di rilevare, agli effetti penali, l'intervenuto decorso del termine massimo di prescrizione del reato maturato in data 13 gennaio 2018 e, dunque, in data successiva alla pronuncia di appello. 
La delibazione dei motivi fa escludere l'emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell'evidente innocenza del B.F..
Sul punto, l'orientamento della Corte di Cassazione è univoco. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art.129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosicché la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n.35490 del 28/05/2009, Rv. 24427501).
Nel caso di specie, restando al vaglio previsto dall'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., l'assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento di innocenza dell'imputato impone l’applicazione della causa estintiva.
2. Si soggiunge che, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice o dal giudice di appello ed essendo ancora pendente l'azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell'art.578 cod. proc. pen., è tenuto, quando accerti l'estinzione del reato per prescrizione, ad esaminare il fondamento dell'azione civile. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell'impugnazione deve verificare, senza alcun limite, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunziata dal primo giudice o, come nel caso in esame, confermata dal giudice di appello.
2.1. Con riguardo, in particolare, all'impugnazione proposta anche in relazione alle statuizioni civili, secondo quanto già affermato da questa Sezione (Sez.4, n. 10802 del 21/01/2009, Rv.24397601), trova applicazione il principio cosiddetto di immanenza della costituzione di parte civile.
In ragione di tale principio, normativamente previsto dall'art.76, comma 2, cod. proc. pen., secondo il quale «la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo», il giudice di legittimità è tenuto a verificare l'esistenza dei presupposti per l'affermazione della responsabilità penale ai soli fini della pronuncia sull'azione civile, allorché abbia rilevato una causa estintiva del reato. Tale principio comporta, infatti, che la parte civile, una volta costituita, debba ritenersi presente nel processo anche se non compaia, debba essere citata anche nei successivi gradi di giudizio anche se non impugnante e senza che sia necessario per ogni grado di giudizio un nuovo atto di costituzione.
2.2. Corollario di questo principio generale è che l'immanenza viene meno soltanto nel caso di revoca espressa e che i casi di revoca implicita - previsti dall'art.82, comma 2, cod. proc. pen., nel caso di mancata presentazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado o di promozione dell'azione davanti al giudice civile - non possono essere estesi al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dalla norma indicata (Sez. 5, n.39471 del 04/06/2013, Rv. 25719901;Sez. 6, n.48397 del 11/12/2008, Rv. 24213201).
3. Ciò posto, si osserva che il ricorso va rigettato agli effetti civili.
4. Si premette, a tal proposito, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, le posizioni di garanzia del coordinatore per la sicurezza nella fase progettuale e del coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva sono autonome rispetto a quelle del committente e del datore di lavoro, affiancandosi ad esse per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell'incolumità dei lavoratori (Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013, Rv. 256636; Sez. 4, n. 7443 del 17/01/2013, Rv. 255102).
Tanto premesso, la figura del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP), è prevista specificamente dall'art. 91, d.lgs. n. 81/2008, il quale gli attribuisce essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori (Sez. 4, n. 18472 del 04/03/2008, , Rv. 240393).
La posizione di garanzia del coordinatore per l'esecuzione dei lavori (CSE), è disciplinata dell'art. 92, d.lgs. n. 81/2008, con il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell'incolumità dei lavoratori nonché di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni (Sez. 4, n. 31296 del 18/04/2013, Rv. 256427; Sez. 4, n. 18651 del 20/03/2013, Rv. 255106).
La Suprema Corte ha affermato che egli svolge una funzione di c.d. "alta vigilanza", ossia una funzione di autonoma vigilanza che ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto (Sez. 4, n. 46991 del 12/11/2015, Rv. 265661).
Tale funzione ha, dunque, ad oggetto esclusivamente il rischio c.d. generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di più imprese; ne consegue che il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell'attività dell'impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo (Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, Rv. 269046).
In definitiva il coordinatore della sicurezza ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettandogli compiti di alta vigilanza, consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, Rv. 269046; Sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013, Rv. 257167).
4.1.Tutto ciò considerato, i giudici di merito hanno correttamente ricostruito la posizione di garanzia gravante sul B.F. cui è stata in particolare rimproverata la violazione degli specifici doveri imposti dall'art. 92, d.lgs. n. 81/2008 di alta vigilanza e di raccordo fra i piani per la sicurezza (P.S.C. e P.O.S.) che costituiscono l'essenza della posizione di garanzia del Coordinatore per la Sicurezza nella fase progettuale.
In particolare è stato accertato che mentre nel P.S.C. lo specifico rischio di seppellimento da demolizione era previsto ed adeguatamente fronteggiato, non altrettanto poteva dirsi con riferimento al P.O.S., nel quale l'indicazione di tale rischio mancava.
La Corte distrettuale ha correttamente rigettato la tesi difensiva secondo cui sarebbe stato sufficiente il rinvio contenuto nel P.O.S. al P.S.C., trattandosi di due documenti distinti, e rilevando, sul piano dell'esecuzione dei lavori, il primo di essi.
Ed ancora risultano congrue le argomentazioni dei giudici di secondo grado che sottolineano che la esecuzione delle opere di demolizione e di sbancamento era prevista nell'arco di poche settimane e, pertanto, doveva essere predisposto ab initio un adeguato puntellamento delle pareti anche verso l'interno del manufatto.
Tali considerazioni rivelano l'infondatezza delle censure articolate dal ricorrente in relazione alla circostanza dell'accelerazione dei lavori da parte della impresa edile, giustamente ritenuta dalla Corte distrettuale di per sè ininfluente ai fini della invocata esclusione di responsabilità del B.F..
5. Alla stregua delle sopraesposte considerazioni la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione.
Il ricorso va rigettato agli effetti civili.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Così deciso il 19 ottobre 2018

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