Infortunio con una pialla a filo
Mancanza di idonei accorgimenti per allontanare le mani dall'utensile durante la sagomatura dei pezzi
Penale Sent. Sez. 4 Num. 58350 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: TORNESI DANIELA RITA
Data Udienza: 19/09/2018
l. Con sentenza emessa in data 07 febbraio 2014 il Tribunale di Brescia dichiarava la penale responsabilità di P.L.D. e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi due di reclusione.
2. Con pronuncia del 20 ottobre 2015 la Corte di appello di Brescia concedeva al P.L.D. il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, confermando nel resto l'impugnata sentenza.
2.1. Al predetto imputato era ascritto il reato di cui agli artt. 40 cpv, 590, commi 1 e 3, 583, comma 1, n. 1 e 2, cod. pen. «per avere, nella qualità di legale rappresentante della società F.A.L.P.A. s.r.l., con sede legale e produttiva in Fiero (BS), per colpa cagionato a E.A.H.M.M., lavoratore dipendente della predetta società, lesioni personali gravi consistite nella ferita ed amputazione parziale falange del dito mano sinistra, giudicate guaribili in 96 giorni, per le quali l'INAIL riconosceva al predetto una invalidità pari a 4 punti, in quanto mentre il lavoratore, adibito alla macchina pialla a filo marca Primultini senza targa identificativa, dovendo effettuare la sagomatura di un pezzo di legno di piccole dimensioni sulla pialla predetta, senza l'uso di idonee attrezzature (portapezzi, spingitoi e simili) che hanno la funzione di protezione contro il contatto accidentale con un utensile in movimento, inavvertitamente la mano sinistra finiva contro l'utensile subendo sopra descritte conseguenze lesive; colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme per la prevenzione sugli infortuni del lavoro, per non avere adottato le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori ed in particolare nella violazione:
- dell'art. 71, comma 3, in relazione al punto 9, allegato VI del d.lgs. n. 81/2008, per non aver adottato le misure tecniche ed organizzative necessarie al fine di ridurre al minimo i rischi di contatto accidentale dell’operatore con gli organi lavoratori pericolosi delle macchine stesse, nello specifico, per non aver fornito, disposto e preteso l'uso di idonei portapezzi, spingitoi e simili durante l'uso della pialla a filo per la lavorazione di pezzi in legno di piccole dimensioni, al fine di allontanare le mani dall'utensile durante la sagomatura dei pezzi stessi;
- dell'art. 18, comma 1, lettera f) del d.lgs. n. 81/2008 per non aver richiesto e preteso dai lavoratori il rispetto delle norme vigenti nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza sul lavoro in quanto tollerava che per prassi aziendale l'uso di attrezzature inidonee per realizzare la sagomatura degli elementi di legno, al fine di evitare il contatto diretto dell'operatore con l'utensile in movimento.
Fatto aggravato per aver cagionato lesioni gravi e perché commesso con violazioni delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
In Fiero (BS) il 27.11.08.
2. P.L.D., a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza elevando i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato contestato rappresentando che la Corte di appello di Brescia non ha operato alcuna rivalutazione critica delle risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio di primo grado nonostante le puntuali censure difensive che comprovavano:
a) la mancata utilità aziendale della costruzione del cuneo di legno, pezzo su cui lavorava il lavoratore infortunato;
b) l'assenza di qualsiasi elemento di prova a sostegno dell'asserita riferibilità in capo all'odierno ricorrente dell'ordine di costruzione del pezzo anomalo;
c) l'innegabile incapacità del dipendente infortunato ad esprimersi e capire la lingua italiana;
d) le risultanze obiettive portate dall'ufficiale dell'U.P.G.;
d) l'assenza fisica in azienda del ricorrente al momento del fatto
Sottolinea, inoltre, che non vi è prova del fatto che sia stato il P.L.D. a dare l'ordine di costruire il pezzo anomalo in quanto la persona offesa è incorsa in evidenti contraddizioni ed inoltre aveva un interesse particolare in quanto aveva (e tuttora ha) una causa pendente con l’INPS nei confronti della società F.AL.PA. s.r.l. la cui soluzione risarcitoria è in stretta dipendenza con quella della causa de qua.
Ribadisce che non era a conoscenza di questa iniziativa del lavoratore e che al momento dell'infortunio non era in azienda.
Rileva che la condotta del lavoratore presenta i caratteri della abnormità posto che la creazione di un ausilio strutturale inventato autonomamente dal lavoratore non rientrava certo fra le mansioni ad esso assegnate all'interno della produzione aziendale.
2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata rappresentando che all'interno della F.AL.PA s.r.l. il preposto alla sicurezza ed al rispetto della normativa antinfortunistica sul luogo di lavoro è G.P., fratello del ricorrente, in forza di delega conferita nell'assemblea ordinaria della società tenutasi in data 20.05.2008, specificando che il predetto non è un semplice preposto alla sicurezza ma è, altresì, co-amministratore della F.AL.PA s.r.l., quindi pienamente coinvolto nei processi decisionali di destinazione delle risorse aziendali.
2.3. Conclude chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
1. Il ricorso non può trovare accoglimento, pur dovendosi dare atto del decorso del termine massimo di prescrizione di cui al combinato disposto degli artt. 157 e 161 cod. pen. perfezionatosi in data 27 maggio 2016 e, dunque, in data successiva alla pronuncia di appello.
Pertanto, non rilevandosi profili di manifesta infondatezza del ricorso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione.
Ed invero, le risultanze già poste dai giudici di merito a fondamento della affermazione di responsabilità non consentono di pervenire ad una più favorevole declaratoria di non punibilità per ragioni di merito ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
Si rammenta che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. Un. n. 28954 del 27/04/2017; Sez. Un. n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244274), in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi della predetta disposizione, solo nei casi in cui gli elementi da cui poter evincere l'inesistenza del fatto, l'irrilevanza penale di esso o la non commissione dello stesso da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, con la conseguenza che la valutazione richiesta attiene più al concetto di «constatazione», ossia di percezione ictu oculi, che non a quello di «apprezzamento», senza che possa assumere rilievo la mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede, invece, un vaglio ponderato tra opposte risultanze.
Orbene, nella fattispecie in esame, la Corte distrettuale ha ritenuto comprovato, coerentemente alle risultanze processuali acquisite e con argomentazioni congrue e logiche, che l'infortunio è avvenuto durante l'utilizzo, da parte della persona offesa, della palla a filo marca Primultini per sagomare un pezzo di legno della lunghezza di trenta centimetri che gli serviva per realizzare un sostegno per alcune perline così da mantenerle dritte e facilitare la loro introduzione in un altro macchinario; mentre stava svolgendo tale attività, facendo passare il legno sopra la lama e accompagnandolo con le mani, la lama stessa incocciava in un nodo del legno, cosicché perdeva la presa sul pezzo con la conseguenza che la sua mano sinistra entrava in contatto con la lama della palla che gli cagionava le lesioni personali contestate nell'imputazione.
Da tale ricostruzione dei fatti ne deriva che l'infortunio non è di certo ascrivibile ad una condotta abnorme del lavoratore.
Si rammenta che, secondo la giurisprudenza di legittimità ( Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017 - Rv. 269603), in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme ed idonea ad escludere il nesso di causalità tra il comportamento del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.
I giudici di secondo grado precisavano, inoltre, che G.P. era stato semplicemente nominato quale rappresentante della società innanzi alle autorità giudiziarie e agli enti e organi preposti all'esercizio delle funzioni di controllo e vigilanza per la sicurezza sul lavoro, per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e per la protezione. Peraltro tale atto di nomina era privo di data certa e non attribuiva al delegato quell'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate ed era quindi sprovvisto dei requisiti prescritti dall'art. 16 del d.lgs. n. 81/2008. Si soggiungeva che tale delega non era idonea ad escludere, in capo al datore di lavoro, l'obbligo di vigilanza sul corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite. Il datore di lavoro era giustamente individuato, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett.b) d.lgs. n. 81/2008 proprio in P.L.D., amministratore delegato, il quale era peraltro anche socio lavorante con incarichi attinenti alla produzione; proprio per questo egli era a diretto contatto con le maestranze e, dunque, aveva comunque l'obbligo di impedire, a prescindere da qualsiasi delega di funzioni, comportamenti scorretti e pericolosi dei lavoratori ai quali fosse venuto a conoscenza e, così, anche condotte del tipo di quelle poste in essere dalla persona offesa alle quali aveva più volte assistito.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 19/09/2018