Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 3226 del 11 febbraio 2008
In tema di controlli sulle assenze per malattia dei lavoratori dipendenti, volti a contrastare il fenomeno dell'assenteismo e basati sull'introduzione di fasce orarie entro le quali devono essere operati dai servizi competenti accessi presso le abitazioni dei dipendenti assenti dal lavoro, ai sensi dell'art. 5, comma quattordicesimo, D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla legge n. 638 del 1983, la violazione da parte del lavoratore dell'obbligo di rendersi disponibile per l'espletamento della visita domiciliare di controllo entro tali fasce assume rilevanza di per sè, a prescindere dalla presenza o meno dello stato di malattia e può anche costituire giusta causa di licenziamento.
1. Con ricorso al tribunale di Bolzano, quale giudice del lavoro, C.L.B.H. conveniva in giudizio la società "System Service s.r.l." al fine di ottenere l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento, intimatogli in data 7.2.2005, dal rapporto di lavoro che egli intratteneva a far tempo dai 1.3.2004 (ovvero dal 1.1.2005, allorquando era stato riassunto dopo il subentro della System Service alla precedente datrice di lavoro) in qualità di cuoco, con le conseguenti condanne alla reintegrazione, al pagamento dell'indennità di legge ed al risarcimento del danno (oltre al pagamento di una differenza retributiva relativa al periodo iniziale del rapporto). Il ricorrente rappresentava di essersi assentato dal lavoro il giorno 22.1.2005 (sabato) e di essere stato sottoposto a visita dal medico curante il successivo 24.1.2005 che gli aveva rilasciato un certificato medico attestante malattia durevole sino al 1.2.2005, certificato inviato alla società datrice di lavoro e all'INPS; che in seguito gli era stata contestata l'assenza ingiustificata di un giorno e la sanzione di un giorno di sospensione e poi gli era stata ancora contestata l'assenza ingiustificata per ulteriori giorni (più di cinque), sul presupposto che era risultato assente vuoi alla visita di controllo domiciliare vuoi alla visita di controllo ambulatoriale da espletarsi rispettivamente in data 25/27.1.2005 e 26/28.1.2005.
Addotta la giustificazione di detta assenza (e cioè il fatto di essersi recato durante la malattia presso il domicilio di una cugina onde farsi assistere, nell'ignoranza di essere soggetto all'obbligo di reperibilità per la visita ispettiva), l'appellante aveva ricevuto comunicazione della sanzione disciplinare espulsiva, adottata con lettera dell'1.2.2005 ai sensi dell'art. 167 c.c.n.l. per i dipendenti di pubblici esercizi che la prevedeva per l'assenza ingiustificata superiore a giorni 5, e l'aveva impugnata prima avanti al collegio di conciliazione e poi nella sede giudiziaria.
2. La convenuta datrice di lavoro si costituiva e resisteva alla domanda.
3. Senza espletamento della richiesta istruttoria orale, il giudice adito, con sentenza n. 360/05 del 25.11.2005, respingeva la domanda di accertamento del licenziamento (ed accoglieva invece quella di condanna al pagamento delle differenze retributive, liquidate nel più ridotto importo di Euro 400,90).
4. Di tale pronuncia si doleva con atto d'appello il lavoratore. Deduceva che il giudice di primo grado aveva scelto (tra i due diversi orientamenti giurisprudenziali individuati e confrontati) quello secondo cui l'assenza ingiustificata alla visita di controllo può comportare non solo la decadenza dal diritto al trattamento economico (ai sensi della L. n. 638 del 1983, art. 5), ma anche l'applicazione di una sanzione disciplinare in quanto la condotta integra anche violazione dei doveri inerenti al rapporto di lavoro. L'appellante insisteva sull'erroneità della anzidetta impostazione, atteso che la malattia (nella specie non contestata) era idonea a giustificare di per sé l'assenza ed essendo la mera assenza al controllo già sanzionata ex lege con la perdita del trattamento economico.
L'appellante censurava inoltre la pronuncia del primo giudice per avere ritenuto che la sanzione inflitta fosse proporzionata alla asserita violazione delle regole di condotta, per quanto semplicemente connessa alla mera assenza ai controlli ispettivi e per quanto fosse stato implicitamente riconosciuto (e comunque in difetto della prova contraria) che la malattia denunciata era vera e reale.
Non trattandosi di assenteismo arbitrario e neppure di omessa trasmissione del certificato di malattia, ma di semplice assenza al controllo ispettivo, l'irrogazione della sanzione espulsiva avrebbe dovuto considerarsi del tutto sproporzionata rispetto alla gravità dell'addebito ed avrebbe dovuto perciò essere dichiarata illegittima. In difetto di situazioni di "particolare gravità" (e non potendosi contestare la recidiva, perchè l'assenza del 22.1.2005 si era di fatto inserita nel medesimo contesto di inabilità, che non poteva considerarsi parcellizzato per il fatto della duplice contestazione), l'appellante deduceva anche che la previsione contrattuale relativa alla assenza di durata superiore ai cinque giorni non poteva ritenersi applicabile ai fatti di causa appunto perchè afferente alle assenze ingiustificate e non anche alla fattispecie di omessa reperibilità alla visita di controllo.
5. Radicatosi il contraddittorio, la parte appellata contestava le censure avversarie e chiedeva rigettarsi l'impugnazione.
6. L'adita Corte di appello di Trento, sez. di Bolzano, con sentenza del 21 - 26 giugno 2006, rigettava l'appello avverso la sentenza del giudice di primo grado e compensava integralmente tra le parti le spese anche per questo grado di giudizio.
7. Avverso questa pronuncia il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi.
Ha resistito con controricorso la società intimata. Il ricorrente ha depositato memoria.
1. Il ricorso è articolato in cinque motivi.
Con il primo motivo il ricorrente pone il seguente quesito di diritto: "Può la violazione, da parte del lavoratore, dell'obbligo di reperibilità durante le fasce orarie previste per le visite mediche di controllo costituire ragione di licenziamento disciplinare anche nelle ipotesi in cui il fatto in sè non sia idoneo a smentire la sussistenza della malattia ovvero, ed a maggior ragione, nell'ipotesi in cui la sussistenza della malattia non sia contestata dal datore di lavoro o risulti altrimenti provata?".
Con il secondo motivo il ricorrente pone il seguente quesito di diritto: "In considerazione del principio generale della proporzionalità in materia sanzionatoria (art. 2106 c.c.) e del divieto costituzionale di trattamento uguale in situazioni tutt'affatto diseguali (art. 3 Cost.) il datore di lavoro può adottare nei confronti del lavoratore la massima sanzione disciplinare del licenziamento, oltre che in caso di assenza ingiustificata dal lavoro per difetto di malattia vera e reale nonché (eventualmente) in caso di assenza ingiustificata dal lavoro per omessa trasmissione al datore di lavoro del certificato di malattia, anche in caso di mera assenza ingiustificata alle visite mediche di controllo (e dunque in presenza di malattia vera e reale e pur essendo stato regolarmente trasmesso al datore di lavoro il relativo certificato)?".
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione omessa o insufficiente in riferimento alle ragioni per cui il fatto addebitato era stato considerato di particolare gravità.
Con il quarto motivo il ricorrente di duole ancora del vizio di motivazione omessa o insufficiente in riferimento alle ragioni per cui sono state rigettate le istanze istruttorie orali formulate nell'atto di appello.
Con il quinto motivo il ricorrente pone il seguente quesito di diritto: "Ai fini dell'applicazione dell'art. 139, comma 5, lett. b), c.c.n.l. 10 febbraio 1999 per i dipendenti da aziende dell'industria turistica, che prevede la assenza ingiustificata del lavoratore quale giusta causa di licenziamento se protratta oltre cinque giorni, devono intendersi come "ingiustificate" solo le assenze non riconducibili alla sussistenza di una malattia vera e reale (o, al più, anche al mancato inoltro al datore di lavoro del certificato medico) oppure anche le assenze alla visita medica di controllo pur essendo previsto per tale ipotesi dall'art. 117, comma 4, c.c.n.l. cit. il solo obbligo di rientro immediato in azienda? L'obbligo di immediato rientro in azienda in ipotesi di mancato rispetto dell'obbligo di reperibilità per le visite mediche di controllo previsto dall'art. 117, comma 4, c.c.n.l. cit. deve essere compatibile con lo stato di salute del lavoratore o prescinde da questo? In caso di violazione da parte del lavoratore dell'obbligo di reperibilità per le visite mediche di controllo l'obbligo di immediato rientro in azienda previsto dall'art. 117, comma 4, c.c.n.l. cit. è subordinato all'invito fattogli pervenire dal datore di lavoro? In caso di assenza alla visita medica di controllo il lavoratore è obbligato all'immediato rientro in azienda indipendentemente dal fatto che egli sappia o non sappia che il medico si è recato nel suo domicilio e non lo ha ivi trovato?". 2.1 primi due motivi del ricorso - che possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi - sono infondati.
La giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass., sez. lav., 13 dicembre 2005, n. 27429) ha da tempo affermato che la giustificazione dell'assenza nelle fasce di reperibilità deve essere fondata su motivi seri che determinano l'impossibilità di osservare l'obbligo di reperibilità e che la violazione dell'obbligo di reperibilità alla visita medica di controllo può giustificare il licenziamento; la valutazione complessiva della gravità dell'infrazione deve tener conto delle violazioni anteriori e delle sanzioni disciplinari inflitte. Cfr. anche Cass., sez. lav., 3 maggio 1997 n. 3837 secondo cui l'assenza del lavoratore dalla propria abitazione durante la malattia - oltre a dar luogo a sanzioni (quali la perdita del trattamento economico) comminate per violazione dell'obbligo di reperibilità facente carico sul lavoratore medesimo durante le cosiddette fasce orarie (D.L. n. 496 del 1983, art. 5, comma 14, conv. in L. n. 638 del 1983) - può integrare anche un inadempimento sanzionabile (nel rispetto delle regole del contraddittorio poste dall'art. 7 Stat. lav.) con una sanzione disciplinare, quale il licenziamento disciplinare, ove la condotta del dipendente importi anche la violazione di obblighi derivanti dal contratto di lavoro.
Quindi, al fine della giustificatezza del licenziamento, rileva la violazione di un obbligo, quale quello di reperibilità, che inficia il nesso fiduciario ex se, senza necessità che risulti la falsità della allegazione della malattia.
La valutazione dell'incidenza di questa violazione sul vincolo fiduciario è rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della insufficienza o contraddittorietà della motivazione, non potendo predicarsi invece - come fa il ricorrente - un generale difetto di proporzionalità e quindi di inidoneità ad integrare un'ipotesi di giusta causa di licenziamento.
Nella specie la Corte d'appello ha correttamente preso le mosse in diritto dal principio secondo cui la violazione dell'obbligo di reperibilità durante le fasce orarie previste per le visite mediche ispettive costituisce ragione autonoma e sufficiente non solo per l'applicazione della conseguenza di legge automaticamente connessa (la perdita del trattamento economico, nei limiti previsti dalla cit. L. n. 683 del 1983), ma anche per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari quali il licenziamento.
Quanto alla valutazione della gravità del fatto la Corte d'appello ha osservato che l'inizio del periodo di congedo per malattia (il giorno 22.1.2005) è stato connotato da una riconosciuta indifferenza del lavoratore rispetto all'obbligo di diligenza, atteso che egli non ebbe ad avvisare in alcun modo la datrice di lavoro e neppure si recò quello stesso giorno dal medico per munirsi della opportuna certificazione; indifferenza che aveva una particolare connotazione di gravità stante le mansioni specifiche del lavoratore - quelle di cuoco - che non erano agevolmente fungibili. Aggiunge la Corte d'appello che tutto ciò si saldava poi con la natura della patologia invalidante, successivamente certificata, che non era sicuramente tale da impedire di provvedere alla pronta e tempestiva comunicazione al datore di lavoro del luogo di provvisoria dimora e per dare ragguagli sul luogo di sua pronta reperibilità; ciò che invece il lavoratore omise di fare fino alla data del suo rientro e cioè fino al 2.2.2005.
Osserva anche la Corte che la prolungata ingiustificata assenza del lavoratore non poteva non aver provocato disagi rilevanti per la società, soprattutto a causa della rilevata qualifica specializzata da quello rivestita che implicava specifiche difficoltà di sua sostituzione, specie in termini rapidi e senza preavviso.
Infine la Corte d'appello ha considerato che la stessa contrattazione collettiva applicabile al rapporto considerava sufficiente un periodo di assenza ingiustificata protrattasi per più di cinque giorni ai fini della applicazione della sanzione espulsiva; limite nella specie ampiamente superato con conseguente ritenuta congruità della sanzione rispetto all'addebito.
In definitiva i giudici di merito, di primo e di secondo grado, hanno ritenuto che la condotta contestata costituiva ragione di irreversibile lesione del vincolo fiduciario e perciò idoneo supporto per l'adozione del più grave dei provvedimenti disciplinari, vale a dire quello espulsivo.
4. Anche il terzo motivo è infondato non sussistendo il denunciato vizio di motivazione. L'impugnata sentenza è infatti dotata di motivazione ampia e coerente che, muovendo - come già rilevato - dall'enunciato principio di diritto in ordine alla rilevanza, al fini della legittimità del licenziamento disciplinare, della violazione dell'obbligo di reperibilità, ha proceduto a valutare la gravità dell'inadempimento considerando le peculiarità del caso di specie e nient'affatto ipotizzando l'insussistenza della malattia del lavoratore.
5. Il quarto motivo è inammissibile atteso che le circostanze di fatto in ordine alle quali non è stata ammessa la prova testimoniale da parte dei giudici di merito (assistenza del lavoratore ammalato da parte della cugina in luogo diverso da quello dell'abituale dimora; mancata consegna, da parte del coinquilino del lavoratore, dell'avviso di presentarsi alla visita ambulatoriale) sono irrilevanti considerato che i giudici di merito hanno ritenuto che la violazione dell'obbligo di reperibilità in sè, e non già la (non ipotizzata) insussistenza della malattia, avesse leso l'indefettibile vincolo fiduciario del rapporto.
6. Infine il quinto motivo è parimenti infondato.
La Corte d'appello ha fatto riferimento alla nozione legale di giusta causa di licenziamento ed ha evocato la norma contrattuale (art. 139 c.c.n.l. 10 febbraio 1999 per i dipendenti da aziende turistiche) unicamente per trarre da essa un parametro di valutazione al fine di verificare la proporzionalità della sanzione espulsiva all'addebito; sanzione che la norma contrattuale raccorda all'assenza ingiustificata per più di cinque giorni. Gli artt. 116 e 117 del medesimo contratto collettivo - e segnatamente l'art. 117 nella parte in cui prevede come conseguenza della violazione dell'obbligo di reperibilità in caso di malattia l'applicazione delle sanzioni previste dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, art. 5, "nonchè l'obbligo dell'immediato rientro in azienda" - non contraddicono la valutazione fatta dai giudici di merito. Anzi il fatto che il lavoratore, assente alla visita di controllo, non sia rientrato in azienda (nè - può aggiungersi - abbia comunicato il luogo, diverso dall'abituale dimora, in cui era reperibile), come prescritto dalla citata norma contrattuale, comporta proprio che il prolungamento dell'assenza, in mancanza di una situazione di impedimento che giustifichi la mancata reperibilità, sia stato considerato da tale normativa come assimilabile all'assenza ingiustificata ed autorizza la considerazione dei Giudici di merito che, al fine di valutare la gravità dell'inadempimento, hanno anche tenuto conto della previsione dell'art. 139 cit., che appunto prevede la sanzione espulsiva in caso di assenza ingiustificata protrattasi per più di cinque giorni.
6. Il ricorso va quindi rigettato.
Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione (ex art. 92 c.p.c., comma 2, come sostituito dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2) stante la peculiarità del caso di specie.
La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.
Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2008.