Mancata concessione di riposi settimanali
Civile Sent. Sez. L Num. 3469 Anno 2019
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: DE FELICE ALFONSINA
Data pubblicazione: 06/02/2019
La Corte d'Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vercelli, ha rigettato le opposizioni proposte dall'ASL n.11 di Vercelli e da M.B., Direttore Generale della stessa, avverso l'ordinanza-ingiunzione emessa dalla Direzione Provinciale del Lavoro, con la quale gli stessi erano stati condannati al pagamento in solido di una sanzione amministrativa irrogata per la mancata concessione di riposi settimanali ad alcuni lavoratori, per l'ammontare di Euro 21.445.
In particolare, la sanzione amministrativa riguardava la violazione dell'art. 9, co. l del d.lgs. n. 66 del 2003 da parte dell'Asl per mancata concessione di detti riposi per almeno ventiquattro ore consecutive nei confronti di ventisette fra infermieri professionali e tecnici di radiologia, per un totale di centodue giornate di lavoro, nel periodo 1 gennaio 2005 - 30 giugno 2007.
La Corte territoriale ha stabilito che la Direzione provinciale del lavoro:
a) nel notificare l'ordinanza - ingiunzione aveva rispettato il diritto di difesa dei destinatari del provvedimento sanzionatorio;
b) aveva correttamente individuato l'autore dell'illecito nel dott. M.B., rappresentante legale dell'ente, non essendosi raggiunta in giudizio la prova che le funzioni di datore di lavoro fossero state delegate a dirigenti dei singoli Dipartimenti in ragione della natura articolata e complessa della struttura sanitaria;
c) aveva correttamente ritenuto ratione temporis applicabile alla fattispecie l'art. 9 del d.lgs. n. 66 del 2003, di cui risultava pacifica la violazione;
d) ha considerato fondata la censura del Ministero, rivolta al capo della sentenza di primo grado che aveva accolto le eccezioni degli opponenti tese a escludere dal computo le giornate rese in regime di pronta reperibilità, avendo accertato che nel calcolo della sanzione amministrativa erano state ricomprese unicamente le giornate di mancato godimento del riposo settimanale in cui la disponibilità si era convertita in una chiamata al lavoro, rilevando che la predetta ipotesi in nulla si differenzia dall'altra in cui il mancato riposo deriva dallo svolgimento di un'ordinaria prestazione lavorativa.
e) ha affermato che il primo Giudice, nel quantificare la sanzione amministrativa comminata ai sensi dell'art. 18 bis del d.lgs. n.66 del 2003, avesse fatto corretta applicazione dell'art.8 della legge n.689 del 1981, escludendo dal computo il criterio del cumulo giuridico in favore di quello del cumulo materiale, pur meno favorevole all'azienda sanitaria.
La cassazione della sentenza è domandata dall'Asl n.ll di Vercelli e dal dott. M.B., con due distinti ricorsi, il primo basato su tre motivi illustrati da memoria, e il secondo fondato su due motivi.
Nel ricorso dell'Asl il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e la Direzione Provinciale del lavoro di Vercelli si costituiscono al solo fine di partecipare all'Udienza Pubblica, mentre M.B. rimane intimato.
Nel ricorso presentato da M.B., il Ministero delle Politiche Sociali e la Direzione Provinciale del lavoro di Vercelli, nonché l'Asl n. 11 di Vercelli, rimangono intimati.
Si riassumono di seguito i motivi contenuti nel ricorso dell'Asl n.ll di Vercelli.
Con il primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 e n. 5 cod. proc. civ., la ricorrente deduce "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio". Secondo l'azienda sanitaria la sentenza gravata avrebbe errato nel ritenere responsabile dell'illecito contestato il Direttore Generale e non il dirigente preposto al settore al quale facevano riferimento i dipendenti, in quanto al primo competerebbe unicamente la gestione complessiva dell'azienda.
Quanto all'affermazione contenuta in motivazione circa il mancato raggiungimento della prova del conferimento di deleghe in capo ai singoli dirigenti, la censura lamenta che la statuizione non è adeguatamente sorretta sul piano argomentativo, ed è altresì contraria alle norme di diritto sulla dirigenza pubblica. Fin dalle cd. leggi Bassanini n.59 e n. 127 del 1997, e, specificamente per il settore della sanità, dal d.lgs. n.502 del 1992 (artt. 3, 15 e 15 bis) successivamente modificato dal d.lgs. n.299 del 1999, le responsabilità connesse alla gestione sono divenute appannaggio dei singoli dirigenti, mentre in capo al Direttore Generale è rimasta la responsabilità della gestione complessiva dell'azienda e della nomina dei responsabili delle strutture operative, di tal che il riferimento alla "delega delle responsabilità" da parte della Corte d'Appello torinese sarebbe del tutto inconferente, atteso che è la legge che affida direttamente le responsabilità di gestione ai dirigenti delle singole strutture operative.
Anche quanto alla statuizione della Corte territoriale circa l'organizzazione dell'Asl di Vercelli in struttura semplice, tale da non giustificare l'affidamento, mediante espressa delega, della gestione del personale a un'unità separata, secondo la ricorrente la sentenza gravata sarebbe frutto di un'errata interpretazione delle norme di legge nonché viziata da un evidente difetto di motivazione. Sotto tale profilo, infatti, il Giudice dell'Appello nulla avrebbe detto circa il contenuto dell'atto aziendale prodotto in giudizio dall'Azienda sanitaria, da cui si trarrebbe una precisa conclusione in merito alla specificità organizzativa dell'Asl.
In merito all'asserita sussistenza di un generale obbligo di vigilanza in capo al Direttore Generale dell'Asl, circa l'osservanza delle norme imperative in tema di adempimenti correlati con i rapporti di lavoro del dipendenti dell'Azienda, l'argomento sarebbe stato introdotto per la prima volta nella sentenza d'Appello, e risulterebbe fuorviante rispetto al contenuto dell'ordinanza - ingiunzione, nella quale una responsabilità per culpa in vigilando non era stata affatto ipotizzata. Essa contrasterebbe altresì con il quadro normativo vigente, in base al quale, in capo al Direttore Generale la legge non porrebbe alcun obbligo di vigilanza sull'operato dei dirigenti, bensì unicamente una responsabilità della gestione complessiva dell'azienda.
Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 e n. 5 cod. proc. civ., l'Asl ricorrente contesta "Violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio". La contestazione da parte del Ministero non sarebbe stata sollecitata dal personale infermieristico, bensì intimata in seguito a una visita ispettiva. L'intervento ispettivo, secondo la ricorrente, si porrebbe in aperto contrasto con l'esigenza della struttura ospedaliera di soddisfare il fondamentale diritto alla salute, esigenza di cui sarebbero ben consapevoli i dipendenti i quali, pur di non interrompere il rapporto assistenziale ponendo a rischio la salute dei ricoverati, sarebbero soliti aderire alla prassi di concludere accordi con i responsabili delle strutture, che contemplano turni più gravosi.
Di tale necessaria elasticità, rispetto all'originaria previsione di cui all'art. 9, co. 1 dei d.lgs. n.66 del 2003, si è fatto carico anche il legislatore, che col d.l. n.112 del 2008, convertito in l. n.133 del 2008, ha riveduto l'articolazione dei turni di lavoro e dei riposi, proprio al fine di venire incontro alle esigenze primarie del comparto della sanità. La sentenza gravata avrebbe erroneamente ignorato tale normativa, tesa ad alleggerire le rigide regole in materia di riposi nel settore della sanità, la quale costituisce una linea di tendenza confermata con la l. n.183 del 2010 (art. 7), ritenendola inapplicabile al caso di specie solo perché successiva alle violazioni contestate.
Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 1 e n. 3 cod. proc. civ., l'Asl contesta "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio". La sentenza impugnata avrebbe erroneamente escluso il criterio del cumulo giuridico dal computo della sanzione complessiva, applicando la somma aritmetica delle violazioni secondo il criterio del cumulo materiale. Tale scelta, secondo parte ricorrente, si porrebbe in contrasto con la realtà di fatto, dovendo, nel caso di specie, il criterio di computo ispirarsi al principio della continuazione, atteso che le violazioni contestate sono della stessa specie e sono state commesse nell'ambito di un unico disegno.
Veniamo adesso all'illustrazione dei motivi oggetto del ricorso presentato da M.B., Direttore Generale dell'Asl n.ll di Vercelli all'epoca dei fatti.
Coi primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 e n. 5 cod. proc. civ., egli contesta "Nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione in ordine al motivo sub "a" a sostegno dell'appello incidentale del Dott. M.B. inerente la violazione del suo diritto di difesa per non essere stato reso destinatario di notificazione della prima ordinanza-ingiunzione sì da escluderlo dalla possibilità di proporre ricorso gerarchico ex art. 16 D.lgs. 23.4.2004 n.124 norma di cui, congiuntamente qui si denuncia la violazione e/o erronea applicazione". Il M.B., cessato dal servizio nel 2009, denuncia di non aver ricevuto notifica della prima ordinanza-ingiunzione emessa dalla Direzione provinciale del lavoro presso la sua residenza di Chiavari, bensì presso l'Asl, all'epoca legalmente rappresentata da un altro soggetto. Detta notificazione non avrebbe perciò dispiegato effetti nei suoi confronti, mentre al contrario, la seconda ordinanza-ingiunzione gli sarebbe stata correttamente notificata. A causa dell'omessa notificazione nella prima fase amministrativa egli deduce di essere stato privato della possibilità di adire la via gerarchica, secondo quanto stabilito dall'art. 16 del d.lgs. n.124 del 2004. Di tale circostanza, puntualmente dedotta dal M.B. nella comparsa di costituzione in appello e nel ricorso incidentale, la sentenza gravata non avrebbe tenuto conto, da cui la censura anche per vizio di omessa motivazione.
Con il secondo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 cod. proc. civ., il ricorrente lamenta "Nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 6 ed 11 della legge n.689 del 24.11.1981 nonché dell'art. 115 co.2 c.p.c.".
La sentenza d'appello avrebbe errato nell'identificare in modo aprioristico il datore di lavoro col legale rappresentante dell'Ente, prescindendo dalla normativa specifica in materia sanitaria e dalla giurisprudenza di legittimità consolidata in tema di delega di responsabilità per settori in ambito di organizzazioni aziendali complesse e articolate.
Si esaminano di seguito i motivi di ricorso prospettati dall'Asl n.ll Vercelli.
Il primo motivo, che contesta l'individuazione dell'autore materiale delle violazioni m materia di riposi settimanali nella persona del Direttore Generale dell'Azienda, è infondato.
Nel caso in esame la responsabilità è stata correttamente attribuita dalla Corte territoriale in capo a M.B., atteso che il Direttore Generale non soltanto riveste all'interno dell'Asl la qualifica apicale, ma, trattandosi di una pubblica amministrazione, è altresì il destinatario quale legale rappresentante dell'ente, della funzione di garanzia dell'osservanza e della corretta applicazione delle norme legali e contrattuali che disciplinano i rapporti di lavoro. La sua responsabilità non può ritenersi limitata, pertanto, a sovrintendere alla gestione complessiva dell'azienda.
Di tale criterio di attribuzione soggettiva di responsabilità dell'ente pubblico si trova conferma in una specifica previsione in materia di sicurezza e igiene sul lavoro (art. 2 lett. b) del d.lgs. n. 626 del 1994), ove il legislatore ha individuato la funzione datoriale nella persona del legale rappresentante dell'ente. La giurisprudenza di legittimità in sede di accertamento della responsabilità penale, ha riaffermato il principio secondo cui il rappresentante legale dell'azienda ha la responsabilità dell'organizzazione amministrativa e gestionale della struttura sanitaria, anche al di là degli obblighi in materia di sicurezza e igiene sul lavoro (Cass. n.3961 del 2006), sicché detto principio cardine dell'ordinamento deve considerarsi valido anche nel settore sanitario.
A tal proposito, il d.lgs. n. 299 del 1999, che ha modificato il d.lgs. n. 502 del 1992, stabilisce che organi dell'azienda sono il Direttore Generale e il Collegio Sindacale (art.3), e che il Direttore amministrativo e il Direttore sanitario "partecipano, unitamente al Direttore Generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell'azienda.. ed assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza" (art. 3, comma 1 quinquies).
L'organizzazione e il funzionamento delle Asl, enti con personalità giuridica pubblica, sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, in coerenza con il carattere imprenditoriale, strumentale delle stesse rispetto al raggiungimento del fine pubblico dell'azienda (Sez. Un. n.25048 del 2016). All'atto aziendale è affidato il compito di prevedere che singole responsabilità, per specifiche materie, possano essere delegate ai dirigenti o ai collaboratori per mezzo di un provvedimento ad hoc del Direttore Generale.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha accertato che non è stata raggiunta la prova che alcuna delle prerogative datoriali fosse stata delegata ai dirigenti dei Settori dell 'Asl: né l'atto aziendale del 17.6.2004 che si limitava ad individuare le competenze dei vari servizi né le successive delibere del 31.5.2006 e 6.6.2008 in base alle quali veniva conferita alla dott.ssa R. l'incarico di dirigente del servizio infermieristico, tecnico sanitario e della riabilitazione, senza, tuttavia, aggiungere niente in ordine ad eventuali deleghe e alle connesse responsabilità.
Ha inoltre accertato che non era stato offerto alcun elemento dal quale potersi dedurre che all'Azienda sanitaria, in virtù della complessità della sua organizzazione, necessitasse affidare la gestione del personale a una struttura separata il cui dirigente avrebbe assunto ogni responsabilità in materia di gestione del personale, tale da escludere quella del legale rappresentante.
La Corte d'appello richiamandosi al generale obbligo di vigilanza del Direttore Generale sull'osservanza, da parte degli organi di gestione, delle norme imperative che disciplinano i rapporti di lavoro, identifica, anche sotto il profilo della culpa in vigilando una responsabilità dello stesso nella causazione dell'illecito oggetto della sanzione amministrativa.
L'iter logico argomentativo seguito dalla Corte territoriale è puntuale e si pone in conformità ai principi ordinamentali in tema di responsabilità datoriale nelle pubbliche amministrazioni. L'identificazione del garante dell'osservanza delle norme sui rapporti d'impiego nel Direttore Generale quale organo apicale dell'ente, è confermata, nel caso in esame, dall'accertamento di merito circa l'assenza, nell'atto aziendale, di una qual si voglia delega di responsabilità datoriali al dirigente del Settore infermieristico e tecnico da cui dipendevano i lavoratori o, comunque, ad altro ufficio separato.
Il secondo motivo presenta profili sia d'inammissibilità sia d infondatezza.
Quanto al primo, la censura (p. 27 del ricorso) fa riferimento alla prassi aziendale di stipulare accordi ad hoc fra dirigenti responsabili delle strutture e dipendenti in materia di fruizione dei riposi settimanali, al fine di tener conto delle esigenze di servizio". La censura sostiene che tale prassi non avrebbe mai scontentato né i dipendenti né gli assistiti e che l'art. 20 del C.C.N.L. dell'1.9.1995 del Comparto sanità avrebbe previsto espressamente che "il riposo settimanale coincide di norma con la giornata domenicale", introducendo la possibilità di un'articolazione dei riposi non così burocratica e "occhiuta" come quella proposta dall'Ispettorato del lavoro.
L'argomento si basa sulla sussistenza di accordi intercorsi con l'Azienda, che tuttavia parte ricorrente omette di trascrivere e di produrre non consentendo, perciò a questa Corte di avere l'esatta conoscenza della domanda, in difetto del requisito della specificità del motivo di ricorso di cui all'art. 366, n.4 cod. proc. civ.
La censura è altresì infondata, là dove vorrebbe giustificare la violazione dell'art. 9, del d.lgs. n.66 del 2008 (pacificamente accertata), sulla base di deroghe al sistema delle turnazioni e dei riposi settimanali introdotte da una legislazione successiva al verificarsi dei fatti oggetto del giudizio (occorsi tra l'1 gennaio 2005 e il 30 giugno 2007).
La Corte d'appello ha in proposito stabilito che la norma applicabile all'illecito contestato non contiene alcuna deroga al diritto al riposo settimanale, così come non nessuna deroga prevede il contratto collettivo per il comparto sanità dell'1.9.1995 (art. 20) richiamato dagli appellanti incidentali (ma prodotto solo dal Ministero del Lavoro) il quale si è limitato a regolare il caso in cui sussiste coincidenza tra la fruizione del riposo e la domenica.
Vero è, come sostiene la ricorrente, che lo stesso contratto collettivo, all'art. 20, al co.2, stabilisce che "Ove non possa essere fruito nella giornata domenicale, il riposo settimanale deve essere fruito di norma entro la settimana successiva, in giorno va concordato fra il dipendente ed il dirigente responsabile della struttura, avuto riguardo alle esigenze di servizio", ma, il ricorrere di tale eventualità è stata esclusa dalla Corte territoriale. Essa ha, infatti, accertato che, anche volendo attribuire valore derogatorio ai riferimento alla fruizione del riposo nella settimana successiva, l'ordinanza ingiunzione degli ispettori del lavoro è riferita "secondo un dato non contestato" (p. 16 seni.) ai soli casi in cui la prestazione lavorativa si era protratta dai 13 ai 27 giorni consecutivi senza fruizione di riposi, e, dunque, la doglianza esula comunque dall'ipotesi contemplata nella fonte negoziale.
La pretesa di estendere al sistema sanzionatone di cui alla legge n. 689 del 1981 discipline introdotte da disposizioni successive al verificarsi dell'illecito, sebbene contenenti previsioni più favorevoli al destinatario dell'obbligo violato è da considerarsi priva di fondamento. In base all'orientamento della giurisprudenza di legittimità al quale in questa sede s'intende dare continuità, "... i principi di legalità e irretroattività di cui all'art. 1 della l. n. 689 del 1981, comportano l'assoggettamento del fatto alla legge del tempo del suo verificarsi e rendono inapplicabile la disciplina posteriore eventualmente più favorevole" (Cass. n.7485 del 2018).
Anche la terza censura prospettata dall'Asl, che si duole della mancata applicazione alla fattispecie del regime del cumulo giuridico, che avrebbe portato a una quantificazione dell'indennità meno sfavorevole alla ricorrente, è infondata.
La Corte d'Appello, dopo aver premesso che, per quanto attiene alle modalità di applicazione della sanzione amministrativa, il Giudice di primo grado aveva fatto corretta attuazione dell'art. 18 bis del d.lgs. n. 66 del 2003, introdotto dalla l. n.9 del 2014, contenente la disciplina delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni in materia di riposi settimanali (p.18 sent.), ha accertato altresì la conformità della scelta di applicare il criterio del cumulo materiale in luogo del più favorevole cumulo giuridico, per le plurime violazioni perpetrate ai danni di ventisette dipendenti.
Nel disciplinare il criterio del cumulo giuridico, l'art. 8 della I. n.689 del 1981, rubricato: "Più violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative", al comma 1 dispone che: "Salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con un'azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo."
La stessa norma, al comma 2, prevede che "Alla stessa sanzione prevista dal precedente comma soggiace anche chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno posto in essere in violazione di norme che stabiliscono sanzioni amministrative, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse norme di legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie."
Nel caso di specie, pertanto, le reiterate violazioni sono state attuate "con più azioni od omissioni", perché perpetrate, anche in tempi diversi, nei confronti di ventisette tra infermieri professionali e tecnici di radiologia. La scelta operata dal Giudice del merito di applicare al calcolo della sanzione amministrativa il criterio del cumulo materiale si rivela, pertanto, pienamente conforme alla norma dispositiva, posto che nel verificarsi di una pluralità di azioni od omissioni, il legislatore ha escluso ¡1 computo secondo il criterio del cumulo materiale (tot crimina, tot poenae) alla sola ipotesi in cui vengano violate le norme in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, delle quali non fanno, ovviamente, parte quelle in tema di riposi settimanali.
Passando all'esame del ricorso presentato da M.B., il primo motivo lamenta la violazione del diritto di difesa, per non essere stata notificata, presso la sua residenza la prima ordinanza - ingiunzione, trovandosi egli già in pensione, e qumdi per essergli stata preclusa la proposizione del ricorso gerarchico ai sensi deil'art. 16 del d.lgs. n.124 del 2004.
Il motivo non merita accoglimento.
La prima ordinanza ingiunzione, afferma la sentenza d'appello (pag. 11), era stata regolarmente notificata all'Asl, responsabile in solido col M.B. del pagamento della sanzione amministrativa. La seconda ordinanza - ingiunzione, costituente esatta duplicazione della prima, conteneva una sanzione di ammontare ridotto a carico del ricorrente, avendo il Ministero riconosciuto che nel primo provvedimento era stata inserita erroneamente una somma non dovuta, in quanto riferita a un periodo in cui il M.B. si trovava già in quiescenza. Tale secondo provvedimento, ha accertato la Corte d'Appello, era stato regolarmente notificato al M.B. presso la sua residenza di Chiavari, tant'è che sia l'Asl sia il Direttore Generale, si erano ritualmente opposti, prospettando le varie questioni preliminari e di merito esaminate nel giudizio.
Di qui la statuizione coerente ed esente da vizi logico - argomentativi del Giudice dell'appello, secondo cui il diritto di difesa del Direttore Generale era stato pienamente rispettato dal Ministero odierno intimato.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Esso si appunta sull'erronea motivazione della Corte d'appello con riguardo a quella che il ricorrente definisce "aprioristica difesa del principio di assimilazione datore di lavoro/legale rappresentante dell'ente" (p. 10 ric.), compiuta senza analizzare la normativa sul servizio sanitario nazionale e la giurisprudenza di legittimità in tema di deleghe di responsabilità.
Il motivo deve essere rigettato sulla base delle ragioni esposte in merito al primo motivo di ricorso dell'Asl n.11 di Vercelli, atteso che esso non aggiunge alcuna nuova doglianza a quelle già in precedenza esaminate.
In definitiva, sia il ricorso dell'Asl n. 11 di Vercelli che il ricorso di M.B. vanno rigettati. Non si provvede sulle spese del presente giudizio in mancanza di attività difensiva da parte degli intimati.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte di entrambi i ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1 ois dell'art. 13 del d.P.R. n.115 del 2002.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Nulla spese.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a nonna del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all'Udienza Pubblica del 14 Novembre 2018