Cassazione Civile, Sez. Lav. 21 agosto 2019 n. 21563
Incombe sul datore di lavoro l'onere probatorio ai fini dell'esclusione della natura professionale delle malattie e della causa lavorativa degli infortuni
Civile Sent. Sez. L Num. 21563 Anno 2019
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: GHINOY PAOLA
Data pubblicazione: 21/08/2019
1. La Corte d'appello di Trieste confermava la sentenza del Tribunale di Pordenone che aveva rigettato le domande proposte da Electrolux professional s.p.a. finalizzate ad ottenere l'annullamento del certificato di variazione Inail del 10/12/2007 e in parte del certificato del 8/5/2008 e la rideterminazione del tasso applicabile, con esclusione degli infortuni e delle malattie che assumeva di origine non professionale, con condanna dell' Inail al rimborso dei maggiori premi versati rispetto a quelli che assumeva dovuti.
2. La Corte territoriale, premessa la legittimazione ad agire della ricorrente per contestare giudizialmente l'indennizzabilità di determinati infortuni o la natura professionale di malattie dei dipendenti, ove tale indennizzabilità si ponga quale presupposto della misura del premio dovuto dal datore di lavoro, riteneva che la società ricorrente non avesse assolto gli oneri probatori posti a tale fine a suo carico. Di conseguenza, condivisibilmente il Tribunale non aveva ammesso la richiesta c.t.u., in quanto meramente esplorativa.
3. Per la cassazione della sentenza Electrolux professional s.p.a. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui ha resistito l'Inail con controricorso.
4. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
5. Come primo motivo di ricorso la società deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del d.p.r. n. 1124 del 1965 e degli articoli 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. . Sostiene che nel rapporto tra datore di lavoro e Inail sia quest'ultimo a dover fornire la prova dell' origine professionale della malattia e dell' indennizzabilità degli eventi che hanno determinato l'aumento del premio. Argomenta di avere contestato sin dal momento della denuncia obbligatoria l'origine professionale degli eventi dannosi, denunciati solo per obbligo di legge. Aggiunge che la documentazione in atti sarebbe idonea a comprovare se gli eventi contestati siano meno riconducibili a infortuni lavorativi o malattia professionale, previa valutazione tramite apposita consulenza medico-legale. Riporta il contenuto della documentazione che era stata prodotta in corso di causa.
6. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 c.c., 115, 61 e 62 c.p.c. e sostiene che erroneamente la Corte d'appello avrebbe ritenuto esplorativa la richiesta c.t.u. medico-legale, mentre la stessa era volta ad accertare in base al concreti elementi dedotti la natura non professionale dei singoli infortuni e malattie. Si trattava quindi di c.t.u. con funzione deducente o comunque percipiente, perché solo l'analisi di un consulente in base a criteri medico-legali può determinare la sussistenza della causa lavorativa degli eventi morbosi.
7. Come terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del d.p.r. n. 1124 del 1965 e degli articoli 2697 c.c. ,115 e 116 c.p.c. e riferisce che la Corte d'appello per quanto riguarda tre delle posizioni contestate sarebbe stata già in grado di svolgere in base documenti presenti in atti la diretta valutazione in punto di sussistenza o meno dei presupposti per il riconoscimento del singolo evento come infortunio o malattia, anche senza una valutazione medica, che non è avvenuta.
8. Il ricorso non è fondato.
In relazione al primo motivo, occorre ribadire che il datore di lavoro che - in presenza di oneri effettivamente sostenuti dall'I.N.A.I.L. per l'erogazione di prestazioni assicurative ai lavoratori dell'azienda, per un ammontare tale da implicare oscillazione in aumento del tasso specifico aziendale - assuma di essere tenuto al versamento di un premio di importo inferiore a quello preteso dall'Istituto stesso, assume necessariamente la giuridica inefficacia, nei propri confronti, del fatto costitutivo di siffatta pretesa, solo in tal guisa potendo sottrarsi alle obbligazioni nascenti dal rapporto di assicurazione e dalla specifica disciplina della determinazione dei premi. Ne consegue, in applicazione dei criteri di distribuzione dell'onere della prova dettati dall'art. 2697 cod. civ., che incombe al datore di lavoro l'onere di fornire al giudice la dimostrazione dei fatti sui quali fonda la propria eccezione o la propria domanda (così Cass. n. 17781 del 02/09/2004, Cass. n. 8247 del 11/09/1996, n. 778 del 23/01/1995).
9. La Corte territoriale si è attenuta a tale principio, e, sulla scorta dell'esame del compendio probatorio fornito dal datore di lavoro, ha ritenuto che tale onere non fosse stato assolto.
10. I motivi si risolvono quindi in una richiesta di rivisitazione dell'esito della valutazione sul merito della causa, che può essere compiuta in questa sede di legittimità solo nei limiti delineati dall'art. 360 n. 5 c.p.c.
11. Al presente giudizio si applica però ratione temporis la formulazione dell'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta dall'art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al "minimo costituzionale" il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, né può fondare il motivo in questione l'omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito.
12. E' da escludere che nel caso ci si trovi innanzi a una delle indicate patologie estreme dell'apparato argomentativo, considerato che gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati esaminati dalla Corte territoriale, ma ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o comunque non decisivi. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può dirsi omessa, né può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze.
13. Con riferimento al secondo motivo, si ribadisce che la consulenza tecnica non costituisce un mezzo di prova in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. (Cass. n. 10373 del 12/04/2019, Cass. n. 30218 del 15/12/2017, Cass. n. 15219 del 05/07/2007).
14. Fa eccezione il caso in cui la decisione della controversia dipenda unicamente da fatti accertabili soltanto mediante uso di particolari cognizioni tecniche (cioè dipenda da una CTU percipiente): in tale evenienza non può il giudice da un lato non utilizzare le nozioni tecniche di comune conoscenza e neppure disporre (anche d'ufficio) indagini tecniche e, dall'altro, respingere la domanda perché non risultano provati i fatti che avrebbero potuto accertarsi soltanto con l'impiego di conoscenze tecniche (giurisprudenza costante: cfr., ex aliis, Cass. n. 12884/16; Cass. n. 17399/15; Cass. n. 4853/07).
15. L'evenienza da ultimo descritta non si verifica nel caso in esame, nel quale la Corte territoriale ha ritenuto che, pacifico essendo che i lavoratori fossero affetti dalle denunciate malattie, al fine di escludere la natura professionale delle malattie e la causa lavorativa degli infortuni, il datore di lavoro avrebbe dovuto dimostrare le concrete modalità di accadimento dei primi e le caratteristiche dell'attività produttiva, il che non aveva fatto.
16. La conclusione vale a maggior ragione per le malattie professionali, che la Corte riferisce essere nella quasi totalità tabéllate, sicché il datore di lavoro avrebbe dovuto fornire la prova dell'esistenza di fattori patogeni extralavorativi, dotati di efficacia esclusiva, idonei a superare la presunzione legale di eziologia professionale (Cass. n. 13024 del 24/05/2017).
17. Né il ricorso offre elementi significativi per ritenere che siano stati ignorati fatti decisivi nel senso proposto, riproponendosi il contenuto dei documenti degli atti che sono stati già valutati dal giudice di merito.
18. Anche il terzo motivo di ricorso, per le stesse ragioni, risulta pertanto inammissibile.
19. Segue coerente il rigetto del ricorso.
20. Le spese, liquidate come da dispositivo in ragione del valore e della complessità della controversia, seguono la soccombenza.
21. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 5000,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.5.2019