Sentenza TAR Lazio n. 3214/2023 del 24 febbraio 2023
ID 19103 | 02.03.2023
Sentenza TAR Lazio n. 3214/2023 del 24 febbraio 2023 - Titolo abilitativo per l'installazione di una canna fumaria
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Estratto
Con il presente gravame il Condominio ricorrente impugna la determinazione in epigrafe con cui Roma Capitale, “Constatato che: il CONDOMINIO … come risulta da accertamento prot. 74107 del 18/09/2012, redatto ai sensi dell'Art.37 del T.U.E. - DPR n.380 del 06/06/2001 e s. m. i. ha eseguito opere di restauro e risanamento conservativo consistenti in COLLOCAZIONE DI NUOVA CANNA FUMARIA A SERVIZIO DELLA CENTRALE TERMICA CONDOMINIALE IN ADERENZA ALLA FACCIATA PROSCPICENTE IL GIARDINO INTERNO DEL FABBRICATO E SOVRAPPOSTA ALLA CANNA FUMARIA IN ETERNIT ESISTENTE,PROBABILMENTE DISMESSA senza aver presentato, ai sensi dell'Art.37 del T.U.E. - DPR n. 380 del 06/06/2001 e s.m.i., una segnalazione certificata inizio attività”, gli ha ingiunto “il pagamento di una sanzione pecuniaria di 25.000,00 pari all'importo determinato da Roma Capitale con delibera Assemblea Capitolina n. 44/2011”.
Parte ricorrente chiede l’annullamento di tale atto, sostanzialmente lamentando quanto segue:
1. la determinazione impugnata, contrariamente a quanto affermato da Roma Capitale non sarebbe stata preceduta da alcun atto prodromico o di avvio del procedimento, con la conseguenza che sarebbe stata radicalmente negata al Condominio la possibilità di accedere alla procedura in sanatoria;
2. l’atto sarebbe, inoltre, viziato per carenza assoluta di motivazione, attesa l’assenza di qualsiasi elemento essenziale necessario per verificare la congruità della sanzione comminata;
3. trattandosi dell’installazione di una canna fumaria a servizio di un impianto tecnologico preesistente, la disciplina da applicarsi al caso concreto sarebbe quella degli interventi di manutenzione ordinaria totalmente liberi o quella propria dell’attività edilizia libera previa comunicazione dell’inizio dei lavori asseverata (c.i.l.a.) e non già l’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 richiamato (in tesi erroneamente) dall’amministrazione comunale;
4. invoca, infine, il Condominio “una errata ma scusabile interpretazione della normativa vigente in materia di titoli abilitativi”, in ragione di un’assunta “impossibilità oggettiva di individuare in un panorama normativo per nulla chiaro e in veloce evoluzione, la disciplina da applicarsi al caso concreto”.
Roma Capitale si costituiva in giudizio, argomentando sulla legittimità del contestato provvedimento nonché versando in atti tutti gli atti del procedimento.
Il Condominio con successiva memoria insisteva per l’accoglimento del gravame proposto.
All’udienza pubblica di smaltimento del 3 febbraio 2023 la causa veniva trattata e, dunque, trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato, attesa la legittimità, sotto i profili contestati, dell’impugnato atto di ingiunzione di pagamento
Deve essere, infatti, innanzi tutto, disattesa la censura con cui parte ricorrente tenta di ricondurre l’opera di cui si discorre alla categoria degli interventi di manutenzione ordinaria totalmente liberi, per i quali non sono previste procedure da osservarsi né sanzioni di alcun genere, o - tutt’al più - soggetti a c.i.l.a., per i quali non è necessario alcun titolo abilitativo e la mancata osservanza della procedura dà luogo ad una esigua sanzione (pari all’epoca ad euro 258,00 qualora i lavori siano stati già ultimati), valorizzando la circostanza che la canna fumaria sarebbe posta a servizio di un impianto tecnologico preesistente (quello di riscaldamento del Condominio) e non già di nuova installazione, peraltro non alterando il volume edilizio dell’edificio entro e fuori terra, né incidendo sulla superficie e sull’aspetto esteriore dello stesso, attesa la sua collocazione in aderenza alla facciata prospiciente il giardino interno del fabbricato.
Ritiene il Collegio che, contrariamente a quanto osservato dalla parte ricorrente, nella fattispecie che occupa l’intervento realizzato rientri a pieno titolo nella categoria dei lavori “di manutenzione straordinaria” e/o “di restauro e di risanamento conservativo” di cui all’art. 22, comma 1, lett. a) e b) (come recepito dall’art. 19, comma 3, della l.r. Lazio n. 15/2008), eseguiti in assenza o in difformità della denuncia di inizio attività, venendo in rilievo una struttura che - pur indubbiamente non alterando la volumetria complessiva degli edifici e non comportando mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico - appare necessaria per realizzare ed integrare i servizi tecnologici a servizio dell’edificio nonché ad assicurarne la funzionalità, attraverso il ripristino e il rinnovo dei relativi impianti, in quanto tale “realizzabil(e) mediante la segnalazione certificata di inizio di attività di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
Del tutto inconferente appare, infatti, la giurisprudenza impropriamente richiamata dal Condominio a supporto dell’assunta non necessità dell’omessa s.c.i.a., a ben vedere riferita ai casi in cui per la realizzazione della canna fumaria non sia necessario il rilascio di il permesso di costruire (tra le altre, la sentenza del T.A.R. Basilicata, n. 589/2021), invero nel caso di specie pacificamente non richiesto dall’amministrazione comunale, così come i riferimenti al carattere preesistente dell’impianto al quale l’opera afferisce, infatti inidoneo ad escludere l’applicabilità dell’adempimento prescritto al citato art. 22, comprendendo gli interventi di restauro e di risanamento conservativo anche quelli volti a garantire la funzionalità degli impianti, mediante il loro rinnovo e ripristino e non già soltanto quelli finalizzati a realizzarli ex novo (in tal senso, il dettato dell’art. 3, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001), nonché comunque risultando la canna fumaria di cui si discorre realizzata non già in sostituzione della preesistente quanto in sua aggiunta.
Né appare ricorrere nel caso di specie un’ipotesi di errore scusabile, invece invocato dal Condominio, attesa la natura oggettiva dell’illecito di cui si discorre, che prescinde, dunque, dalla soggettiva connotazione dell’elemento psichico dell’autore dell’abuso, e, comunque, non rivenendosi alcuna situazione di diritto obiettivamente incerta per instabilità della giurisprudenza, per la novità delle disposizioni normative di dubbia o difficile interpretazione o per la complessità di situazioni di incerta configurazione.
Nemmeno può essere condivisa la censura volta a sostenere l’incongruità della sanzione irrogata, pari ad euro 25.000,00 (venticinquemila,00), risultando la stessa predeterminata a monte nella deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 44 del l4 luglio 2011, punto 8, primo alinea – espressamente richiamata nel corpo nell’atto contesto e non resa oggetto di specifica contestazione da parte del Condominio – ai sensi del quale, infatti “la sanzione pecuniaria per interventi edilizi eseguiti in assenza, o in difformità, della DIA di cui all’art. 22 comma 1 e 2 del D.P.R. n. 380/2001 (articolo 19 della legge n. 15/2008) è così determinata:
- Interventi di manutenzione straordinaria e restauro o risanamento conservativo Zona Omogenea “A” ed “E” del D.M. n. 1444/1968 (art. 19 comma 3) relativi ad unità immobiliari di dimensioni fino a 200 mq. Euro 2.500,00””.
Destituita di fondamento appare, poi, la censura di pretesa carenza assoluta di motivazione, risultando - a ben vedere - la contestata determinazione supportata da un sufficiente corredo motivazionale, attesa l’indicazione sia dei presupposti di fatto e, in particolare, dei dati riassuntivi dell’abuso accertato (l’esecuzione di “opere di restauro e risanamento conservativo consistenti in: collocazione di nuova canna fumaria a servizio della centrale termica condominiale in aderenza alla facciata prospicente il giardino interno del fabbricato e sovrapposta alla canna fumaria in eternit esistente, probabilmente dismessa” giusto “accertamento prot. 74107 del 18/09/2012”), che delle ragioni giuridiche che, in relazione alle risultanze dell'istruttoria, ne hanno determinato l’adozione, considerato il richiamo delle prescrizioni normative in ossequio alle quali la sanzione è irrogata (l’art. 37 del D.P.R. n. 380/2001 e la Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 44 del l4 luglio 2011, punto 8, primo alinea, come visto, relativa agli interventi, come quello di cui si discorre, in zona omogenea “A”), sicché appare smentita anche la doglianza con cui si lamenta l’omessa esplicitazione nel provvedimento sanzionatorio della zona in cui ricade l’immobile oggetto di intervento.
Ne discende come l’atto consenta di ricostruire il percorso logico-giuridico seguito dall’autorità comunale, rendendo comprensibili le concrete ragioni sottese alla determinazione assunta, anche attraverso il richiamo per relationem degli atti dell’istruttoria ed il rimando al contenuto prescrittivo delle norme richiamate, idonei a consentire il controllo esterno circa il corretto esercizio della discrezionalità amministrativa.
Appare, infine, pretestuoso il motivo con il quale parte ricorrente lamenta l’omesso invio della comunicazione di avvio del procedimento, risultando dal deposito eseguito da Roma Capitale il 20 dicembre 2022 come l’amministrazione – ravvisato, in esito all’accertamento tecnico eseguito, il contrasto con la normativa in materia urbanistico-edilizia (la mancata presentazione della s.c.i.a.) – abbia proceduto alla trasmissione della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio ai sensi degli artt. 7 e seguenti della l. n. 241/1990 con nota prot. n. 55211 del 2 luglio 2012, notificata al Condominio ricorrente in data 13 settembre 2012, con lettera raccomandata a/r n. 116715147893 (in tal senso, l’avviso di ricevimento versato in atti, allegato 2, documento 5), risultando, perciò, destituito di fondamento anche l’argomento avanzato dalla ricorrente in merito alla negata possibilità di accedere alla s.c.i.a. in sanatoria.
In conclusione, per tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso deve, dunque, essere respinto.
Sussistono, comunque, giusti motivi – attese le peculiarità della vicenda – per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.
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