Sentenza Tar Campania 5 giugno 2018 n. 3718 | edifici vincolati e direzione lavori
Riserva di competenza degli architetti per ogni tipologia di intervento su edifici vincolati, ad eccezione delle attività propriamente tecniche di edilizia civile
La direzione lavori è riservata agli architetti per il restauro e recupero di edifici vincolati in quanto beni culturali e di interesse storico-artistico. Lo sottolinea il Tar Napoli nella sentenza 3718/2018.
Un comune aveva indetto una gara tra architetti, applicando l’articolo 52 del Rd 2537/1925, che gli riserva questo tipo di progettazione e direzione lavori. L'art. 52 del Regio decreto 23 ottobre 1925 n. 2537, recante il regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto, stabilisce che “le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l'antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere”.
La stessa norma consente che la parte tecnica possa essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere, nel caso specifico un ingegnere, in precedenza progettista, contestava la gara riservata agli architetti, perché a suo parere i lavori erano di matrice impiantistica. Il Tar ha respinto il ricorso dell’ingegnere, dando peso alla tipologia dei lavori e alla circostanza che l’impresa esecutrice possedeva la categoria OG2, che abilita a restauro e manutenzione di immobili sottoposti a tutela.
Il criterio generale posto dalla norma tende a garantire che i progetti su immobili di particolare interesse siano affidati a professionisti forniti di specifica preparazione; agli ingegneri, su tali immobili, rimangono quindi solo lavori di natura prevalentemente tecnica, quali l’adeguamento impiantistico, l’intervento su alcune parti strutturali per rimuovere barriere architettoniche, senza intaccare l’aspetto estetico dell’immobile (Tar Catania 2519/2015). Quindi l’ingegnere può progettare e seguire gli impianti elettrici e idrici, di riscaldamento, trasmissione dati, antincendio, realizzare anche una scala esterna, ma senza mai interferire con valori architettonici, artistici e culturali.
Ad esempio, eccede dalle competenze dell’ingegnere l’intervento di efficientamento su un immobile vincolato, se si prevede la sostituzione di infissi esterni, l’isolamento termico mediante pannelli, la demolizione di un tetto (Tar Salerno, 149/2015): per tali interventi è necessario un architetto, quanto meno (Tar Lazio, 7997/2011) a firma congiunta.
La riserva agli architetti opera (Consiglio Stato 21/2014) tutte le volte che siano necessarie scelte culturali connesse ad una specifica preparazione accademica nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico, restando nella competenza dell’ingegnere la parte tecnica, ossia le attività progettuali e di direzione lavori che riguardano l’edilizia civile (Consiglio Stato, 5239/2006), ad esempio un impianto di riscaldamento (Tar Lecce 708/2012). La riserva per l’architetto quindi prevale se le lavorazioni strutturali e impiantistiche sono residuali.
______
Estratto Sentenza Tar Campania 5 giugno 2018 n. 3718:
Fatto e diritto
Con il presente ricorso si duole della propria pretermissione disposta con determina dirigenziale n. 558 del 1 settembre 2014 dalla procedura successivamente indetta dall’ente locale per l’affidamento dell’incarico di direttore dei lavori de quibus, essendogli stato preferito l’architetto controinteressato. Nel provvedimento impugnato l’amministrazione ha richiamato una pronuncia del T.A.R. Veneto n. 743/2014 secondo cui gli interventi di restauro e recupero di edifici vincolati come beni culturali e di interesse storico – artistico, come l’edificio oggetto dell’intervento, sono di competenza esclusiva degli architetti e non degli ingegneri; pertanto, l’amministrazione ha affidato l’incarico in parola all’architetto individuato all’esito di una specifica procedura selettiva.
L’istante espone di aver inoltrato invano atto di diffida all’esercizio del potere di autotutela, ma di non aver mai proposto impugnazione nel termine di legge. Lamenta quindi la violazione dell’art. 130 del D.Lgs. n. 163/2006 che, nella formulazione vigente ratione temporis, sanciva un ordine di priorità nella scelta dei soggetti chiamati ad espletare l’incarico di direzione dei lavori in caso di carenza di personale tecnico nell’organico dell’amministrazione, indicando alla lett. b) il professionista incaricato della progettazione (“il progettista incaricato ai sensi dell’articolo 90 comma 6”); parte ricorrente ritiene quindi che, in forza di tale previsione, l’amministrazione avrebbe dovutoì preferirlo, avendo il medesimo curato la progettazione esecutiva.
Deduce inoltre la violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990 in quanto il richiamo alla sentenza del T.A.R. Veneto n. 743/2014 non sarebbe sufficiente ad assolvere all’obbligo di motivazione e, in ogni caso, riguarderebbe una diversa fattispecie, quella di immobili sottoposti a vincolo, che non sussisterebbe nella fattispecie; inoltre, assume anche la contraddittorietà dell’azione amministrativa poiché, nelle precedenti fasi della progettazione preliminare e definitiva, l’incarico è stato svolto da un ingegnere, ragion per cui non avrebbe senso richiedere una diversa professionalità per un’attività, quella di direzione dei lavori, che si pone su un piano di diretta esecuzione e completamento della prima.
Sulla base di tali considerazioni, il ricorrente lamenta di essere stato privato di una importante occasione di crescita professionale e, ravvisati l’illegittimità dell’azione amministrativa e l’elemento soggettivo della colpa, chiede la condanna del Comune al
risarcimento dei danni che quantifica come segue: I) lucro cessante commisurato al mancato compenso per l’esecuzione dell’incarico di direzione: € 27.740,00 (prezzo posto a base d’asta) o, in subordine, quello offerto dal professionista incaricato di € 27.046,50;
II) danno curriculare, pari al 5% del prezzo posto a base d’asta (€ 1.387,00); III) danno non patrimoniale per danno all’immagine del professionista illegittimamente escluso, 3% del prezzo posto a base d’asta (€ 832,20).
Si è costituito il controinteressato che si oppone all’accoglimento del gravame. Resiste in giudizio il Comune di che eccepisce la tardività del deposito del ricorso, effettuato il 16 gennaio 2015 oltre il termine dimidiato di 15 giorni ex artt. 119 - 120 c.p.a. decorrente dalla relativa notifica (23 dicembre 2014); nel merito, l’amministrazione replica alle censure e chiede il rigetto del gravame.
Con memoria depositata il 6 maggio 2018 l’amministrazione comunale eccepisce l’inutilizzabilità dei documenti versati il 5 aprile 2018 oltre le ore 12.00 dalla difesa del ricorrente, per violazione del termine di cui all’art. 73, comma 1 (“Le parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell'udienza”) nonché all’art. 4, comma 4, delle norme di attuazione al c.p.a. (“Agli effetti dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12:00 dell'ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo”).
La parte ricorrente obietta che il deposito è tempestivo, siccome effettuato entro le ore 24.00 dell’ultimo giorno utile, richiamando in proposito il medesimo art. 4, comma 4, delle norme di attuazione al c.p.a. secondo cui “E' assicurata la possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza fino alle ore 24:00 dell'ultimo giorno consentito. Il deposito è tempestivo se entro le ore 24:00 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, ove il deposito risulti, anche successivamente, andato a buon fine”. Evidenzia inoltre che, a voler dar credito all’ermeneutica della resistente, sarebbe inutilizzabile anche la memoria difensiva dell’amministrazione comunale, siccome depositata il 14 aprile 2018 alle ore
20.57, quindi l’ultimo giorno utile ma oltre le ore 12.00.
All’udienza pubblica del 16 maggio 2018 la causa è stata infine trattenuta in decisione.
In limine litis, va respinta l’eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata dalla difesa dell’amministrazione per presunta violazione del termine dimidiato per il deposito del ricorso.
L’argomentazione in rito non ha pregio poiché il gravame ha ad oggetto una richiesta di risarcimento danni per attività illegittima dell’amministrazione, quindi si è al di fuori dell’ambito di applicazione del rito speciale in materia di appalti pubblici ex artt. 119, comma 2, e 120 del c.p.a. che, si rammenta, prevede termini dimezzati per la proposizione dell’azione impugnatoria.
Quanto alle eccezioni concernenti l’inutilizzabilità di documenti depositati dal ricorrente e della memoria difensiva dell’amministrazione comunale del 14 aprile 2018, la Sezione ritiene, rispettivamente, di prescindere dalla prima – trattandosi di atti irrilevanti ai fini della decisione del giudizio – e di respingere la seconda in quanto il deposito, a prescindere dall’orario, è avvenuto nel rispetto del termine di 30 giorni dalla celebrazione dell’udienza, fissato dall’art. 73 c.p.a..
Nel merito, il ricorso è infondato per i motivi di seguito riportati.
E’ stata prodotta agli atti di causa la nota della Soprintendenza BB.AA.CC. di prot. n. 20145 del 10 ottobre 2013 recante parere favorevole ex art. 21 del D.Lgs. n. 42/2004 in ordine ai lavori di “riqualificazione ed adeguamento della struttura comunale adiacente al palazzo ” (cfr. doc. 1 depositato il 6 maggio 2015) con cui l’amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali rappresenta l’opportunità di affidare i lavori de quibus ad impresa qualificata per la categoria del restauro (OG2), dato l’interesse storico-artistico dell’immobile.
Alla luce di tale situazione di fatto, non si appalesa illegittima la scelta dell’amministrazione comunale resistente di riservare la direzione dei lavori ad un professionista in possesso della qualifica di architetto. Tanto in virtù dell’art. 52 del R.D. n. 2537/1925 recante il regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto, secondo cui “le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l'antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere”. A tale proposito, non è condivisibile la tesi di parte ricorrente che riconduce l’intervento a meri lavori a carattere edile di completamento e di natura impiantistica; invero, la deduzione collide con le risultanze di causa e, segnatamente, con il descritto parere della Soprintendenza che, come si è visto, ha ritenuto imprescindibile la qualificazione della impresa incaricata per la categoria OG2 che, come noto, attiene più in generale al restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela ai sensi delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali
(quindi ad un complesso di interventi più ampio rispetto alla mera attività di impiantistica e di completamento edile prospettato dalla parte istante).
Ciò posto, secondo l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, n. 21/2014; T.A.R. Lazio, Roma, n. 7997/2011 e T.A.R. Campania, Salerno, n. 149/2015) la riserva di competenza degli architetti sussiste per ogni tipologia di intervento su immobili gravati da vincolo storico - artistico, ad eccezione delle attività propriamente tecniche di edilizia civile per le quali il citato art. 52 prevede la competenza anche degli ingegneri; la competenza degli architetti, poi, si estende anche agli interventi realizzati su immobili non assoggettati a vincolo quando presentino “rilevante interesse artistico” (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, n. 7997/2011), come nel caso in trattazione.
Nel dettaglio, con sentenza n. 21/2014 (richiamata nella pronuncia del T.A.R. Veneto n. 743/2014, a sua volta citata nel provvedimento impugnato) il Consiglio di Stato, richiamando anche giurisprudenza comunitaria, ha chiarito come non sia esatto affermare che l’ordinamento comunitario riconosca a tutti gli ingegneri di Paesi dell’U.E. diversi dall’Italia (con esclusione dei soli ingegneri italiani) l’indiscriminato esercizio delle attività tipiche della professione di architetto (tra cui le attività relative ad immobili di interesse storico-artistico); al contrario, giusta la normativa comunitaria, si è ritenuto che l’esercizio di tali attività - in regime di mutuo riconoscimento – è consentito ai soli professionisti che (al di là del nomen iuris del titolo posseduto) possano vantare un percorso formativo adeguatamente finalizzato all’esercizio delle attività tipiche della professione di architetto. In altri termini, è sempre vigente ed applicabile, non contrastando con il diritto comunitario, la su citata normativa nazionale secondo cui la progettazione e la direzione lavori su beni di interesse storico e/o artistico è riservata agli architetti, ovvero a coloro che hanno compiuto un percorso formativo equiparabile a quello che in Italia è necessario per conseguire tale titolo. Quindi, la giurisprudenza amministrativa ha concluso sul punto che la norma in questione, nella misura in cui vuole garantire che a progettare interventi edilizi su immobili di interesse storico-artistico siano professionisti forniti di una specifica preparazione nel campo delle arti, e segnatamente di una adeguata formazione umanistica, deve ritenersi tuttora vigente.
Quanto agli ulteriori rilievi, valgano le considerazioni di seguito illustrate; - il provvedimento reca compiuta indicazione delle ragioni logico – giuridiche, mediante per relationem con rinvio alla sentenza del T.A.R. Veneto sopra indicata, tant’è che la parte ha potuto attivare il rimedio giurisdizionale con cognizione di causa, contestando nel merito il costrutto argomentativo svolto dall’ente locale; - la circostanza che la progettazione esecutiva sia stata eseguita da un ingegnere e non da un architetto non esclude che, avvedutasi delle proprie scelte, l’amministrazione non potesse legittimamente “correggere il tiro” e affidare la direzione dei lavori in conformità alla richiamata disposizione normativa.
In conclusione, non si ravvisa alcuna illegittimità nella scelta perseguita dall’azione amministrativa; la carenza di un presupposto dell’azione risarcitoria, costituita dalla illegittimità dell’azione amministrativa, conduce al rigetto della domanda risarcitoria.
In ragione della specificità delle questioni trattate, il Collegio ritiene di disporre l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti costituite.
P.Q.M.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa
...
Collegati: