Permesso di costruire: necessario in caso di cambio d'uso da abitazione a studio professionale
Consiglio di Stato sentenza n.6562 del 20 Novembre 2018
Con sentenza n.6562/2018 il Consiglio di Stato ha precisato che in caso di cambio d'uso da abitazione a studio professionale è necessario un previo permesso di costruire senza che rilevi l'avvenuta esecuzione di opere, e precisamente:
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Estratto sentenza:
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2408 del 2012, proposto da Massimo Bulgarelli, rappresentato e difeso dagli avvocati Cecilia Martelli, Giovanni Pesce, con domicilio eletto presso lo studio Cecilia Martelli in Roma, piazza Borghese, 3;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Rodolfo Murra, Umberto Garofoli, domiciliata ex lege in Roma, via del Tempio di Giove n.21;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 06659/2011, resa tra le parti, concernente ingiunzione di demolizione e ripristino della destinazione d'uso
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 25 settembre 2018 il Cons. Sergio Santoro e uditi per le parti gli avvocati Cecilia Martelli e Umberto Garofoli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Durante i lavori di ristrutturazione dell’immobile, l’11° Gruppo della Polizia Municipale di Roma Capitale elevava un verbale di accertamento, a seguito del quale era emesso un provvedimento in data 18.06.2009 prot. 31450 di immediata sospensione dei lavori, seguito da un’ingiunzione del 30.07.2009 prot. 38124 di ripristino della destinazione d'uso, entrambi sul rilievo che sarebbe stata mutata la destinazione dell'immobile da unità abitativa a studio medico polispecialistico.
Era quindi proposto ricorso al TAR del Lazio (ric. n. 9403/2009) per l’annullamento di entrambi i provvedimenti, impugnandosi contestualmente anche l'art. 25, comma 15 NTA del nuovo Piano Regolatore Generale di Roma nella parte in cui, nella zona interessata, limita al seminterrato ed al piano terra e al mezzanino la possibilità di modificare la destinazione d'uso da abitazione ad altre funzioni.
L’istanza di sospensione cautelare, rigettata in primo grado, era viceversa accolta con l'ordinanza n. 4424/2010 del 29.09.2010 della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, che ravvisava nei motivi di ricorso la “fondatezza, in relazione alla possibilità di esercitare l’attività medica anche in appartamento ad uso residenziale”.
2. Con la sentenza 6659/2011 del 25/07/2011 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sez. Prima Quater), il ricorso era tuttavia rigettato, con condanna alle spese. Il primo giudice fondava la sua convinzione sulla base delle seguenti considerazioni:
- l’art. 7, 3° comma, della legge regionale n. 2.7.1987, n. 36, prevede che “le modifiche di destinazione d’uso”, indipendentemente dalla circostanza che siano realizzati “con o senza opere a ciò preordinate, quando hanno per oggetto le categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale, sono subordinate al rilascio di apposito permesso di costruire”;
- l’art. 16 della legge regionale n.15 dell’11.8.2008, stabilisce ulteriormente che ove siano eseguiti “cambi di destinazione d’uso da una categoria generale ad un’altra di cui all’articolo 7, terzo comma, della legge regionale 2 luglio 1987, n. 36 (…) in assenza di permesso di costruire” deve ingiungersi “al responsabile dell’abuso, nonché al proprietario, ove non coincidente con il primo, di provvedere (…) alla demolizione dell’opera e al ripristino dello stato dei luoghi”;
- l’art. 33 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380, stabilisce la sanzione demolitoria per i cambi di destinazione d’uso, per effetto del rinvio operato all’art. 10 del medesimo decreto legislativo, il quale, al comma 2, demanda proprio alle regioni la fissazione, con legge, dei mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività;
- la norma di cui all’art. 22, comma 3, del d.P.R. 28.7.2000, n. 270, secondo cui è consentito l’inserimento di ambienti da adibire a studio medico in un appartamento di civile abitazione, con locali dedicati, non sarebbe nella specie applicabile;
-sarebbe irrilevante la sanabilità ex post dell’abuso peraltro ritenuta nella specie impedita dal pur impugnato art. 25, comma 15, delle N.T.A. del P.R.G. del Comune.
Con l’appello in esame, notificato il 10 marzo 2012, la sentenza cit. è impugnata dall’interessato Massimo Bulgarelli sulla base di due articolati motivi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto vari profili, invocandosi oltretutto la più recente giurisprudenza in argomento del Consiglio di Stato, alla cui disamina è opportuno premettere una breve rassegna dell’evoluzione di normativa e giurisprudenza in materia di mutamento della destinazione d’uso.
Si è anche costituita Roma Capitale, controdeducendo puntualmente al gravame.
3. L'art. 8 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 aveva stabilito la necessità di richiesta di concessione edilizia nei casi di mutamento della destinazione d'uso solo se connessa a variazione essenziali del progetto con conseguente variazione degli standard previsti dal D.M. 1444 del 2 aprile 1968, dovendosi così ritenere non necessaria la richiesta di concessione nell’ipotesi di mutamento di destinazione non connessa con modifiche strutturali dell'immobile. Il mutamento di destinazione realizzato con opere interne cui non occorreva la concessione, era assoggettato dall'art. 26 della stessa legge 47/1985 al regime dell'autorizzazione, sempreché non “in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati o approvati e con i regolamenti edilizi vigenti”.
L'ultima parte dell'art. 25 della l. 47/1985 cit. aveva attribuito alle Regioni il potere di fissare con legge i casi in cui il mutamento di destinazione d'uso senza opere dovesse essere sottoposto al regime dell'autorizzazione o della concessione.
Quest’ultima disposizione era stata poi modificata dall'art. 2, comma 60° della l.23 dicembre 1996, n. 662, che aveva riconosciuto alle Regioni la facoltà di poter applicare una disciplina uniforme agli interventi sia di carattere strutturale che funzionale, prevedendo la necessità di sottoporre a concessione edilizia i mutamenti d'uso maggiormente significativi, con maggiore impatto sull'assetto urbanistico-territoriale, ma limitando a semplice autorizzazione quelli realizzati nell’ambito di una medesima categoria funzionale.
Una disposizione di carattere speciale, l’art. 22, commi 2° e 3° D.P.R. 28 luglio 2000, n. 270 (regolamento di esecuzione dell'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale), ha poi stabilito in particolare che “lo studio del medico convenzionato deve essere dotato degli arredi e delle attrezzature indispensabili per l'esercizio della medicina generale, di sala di attesa adeguatamente arredata, di servizi igienici, di illuminazione e areazione idonea, ivi compresi idonei strumenti di ricezione delle chiamate … Detti ambienti possono essere adibiti o esclusivamente ad uso di studio medico con destinazione specifica o anche essere inseriti in un appartamento di civile abitazione, con locali appositamente
dedicati”.
È significativa l’ultima statuizione, secondo cui gli studi medici possono essere anche inseriti in appartamenti destinati a destinazione abitativa, ovviamente riservando loro appositi locali, anche se tale disposizione non sembra potersi inserire, per diversità di ratio, nella disciplina urbanistica applicabile alla controversia in esame.
4. Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico in materia edilizia) ha poi ulteriormente trattato la materia della destinazione d’uso e dei relativi cambiamenti, stabilendo all’art.3, comma 1°, lett. a) che “nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso” (lettera così modificata dall'art. 17, comma 1, lettera a, legge 11 novembre 2014, n. 164 di conversione del decreto-legge 11 settembre 2014, n. 13); nel successivo art.10 comma 1°, lett. c) che “costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: … gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso…” (lettera così modificata dall'art.17, comma 1, lettera d, legge n. 164/2014); nell’art.14 comma 1-bis, che “per gli interventi di ristrutturazione edilizia … è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d'uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico, a condizione che il mutamento di destinazione d'uso non comporti un aumento della superficie coperta prima dell'intervento di ristrutturazione”; all’art. 22 comma 2°, che “sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia”; all’art. 23 ter (inapplicabile nelle Regioni che, come il Lazio, hanno adottato una propria disciplina specifica), che “salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale … la destinazione d'uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile … il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito”; all’art. 32, che sono “ … variazioni essenziali al progetto approvato … quando si verifica una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standard(s) previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968”.
Da questa complessa e articolata normativa può, con riferimento al caso di specie, dedursi che il legislatore, dopo le prime incertezze, ha inteso sistemare razionalmente i casi di mutamento di destinazione che possano incidere sensibilmente sull’assetto del territorio, sottoponendone in generale la realizzazione al regime autorizzatorio o a quello semplificato della dichiarazione d’inizio attività.
5. Non può condividersi dunque quanto talora affermato dalla giurisprudenza più risalente, secondo cui il cambio d'uso da abitazione ad ufficio, anche se eseguito senza opere, non sia mai soggetto a permesso di costruire, e ciò anche perché un immobile destinato ad attività professionale presuppone un traffico di persone e la necessità di servizi e, quindi, di "carico urbanistico" superiore a quello di una semplice abitazione.
Pertanto, il mutamento di destinazione d'uso di un immobile deve considerarsi urbanisticamente rilevante e, come tale, soggetto di per sé all’ottenimento di un titolo edilizio abilitativo, con l’ovvia conseguenza che il mutamento non autorizzato della destinazione d'uso che alteri il carico urbanistico, integra una situazione di illiceità a vario titolo, che può e anzi deve essere rilevata dall'Amministrazione nell'esercizio del suo potere di vigilanza. Ed infatti, l'art. 7 della legge regionale Lazio 2 luglio 1987, n. 36 modificato dall'articolo 35 della legge regionale 11 agosto 2008, n. 15, stabilisce che “le modifiche di destinazione d' uso con o senza opere a ciò preordinate, quando hanno per oggetto le categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale, sono subordinate al rilascio di apposito permesso di costruire mentre quando riguardano gli ambiti di una stessa categoria sono soggette a denuncia di attività da parte del sindaco. Nei centri storici, come definiti dall' articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, è di norma vietato il mutamento delle destinazioni d' uso residenziali”.
6. Soltanto il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incidente sul carico urbanistico) mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una vera e propria modificazione edilizia con incidenza sul carico urbanistico, con conseguente necessità di un previo permesso di costruire, senza che rilevi l’avvenuta esecuzione di opere. Dunque, il mutamento di destinazione d'uso di un fabbricato che determini, dal punto di vista urbanistico, il passaggio tra diverse categorie in rapporto di reciproca autonomia funzionale, comporta inevitabilmente un differente carico ed un maggiore impatto urbanistico, anche se nell’ambito di zone territoriali omogenee, da valutare in relazione ai servizi e agli standard ivi esistenti.
7. Peraltro, occorre considerare che il cambio di destinazione di cui si tratta nella presente controversia è risalente, essendo ovviamente anteriore alle date dei provvedimenti originariamente impugnati (2009) e che comunque, anche se abusivo, dovrebbe essere assoggettato alla specifica disciplina sanzionatoria in vigore al momento della sua realizzazione, tenuto anche conto però che l’art. 25, comma 15, delle N.T.A. del nuovo P.R.G. del Comune di Roma, con riferimento alla zona interessata dall’appartamento di cui trattasi, ammette esplicitamente, “per i piani seminterrati, piani terra e mezzanini”, la possibilità di “cambio di destinazione d’uso da funzioni abitative ad altre funzioni”.
8. A tale proposito, va osservato in particolare che l’art. 16 della legge regionale n.15 dell’11.8.2008, invocato dal TAR nell’appellata sentenza di rigetto del ricorso, indica come suscettibili di sanzione soltanto i “cambi di destinazione d’uso da una categoria generale ad un’altra di cui all’articolo 7, terzo comma, della legge regionale 2 luglio 1987, n. 36” e cioè quelli che “hanno per oggetto le categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale”.
Ma nella specie, come s’è detto, lo strumento urbanistico generale consentiva esplicitamente la possibilità di modificazione d’uso limitatamente a seminterrato, piano terra e mezzanino. Ne consegue che l’eventuale illecito avrebbe potuto tutt’al più essere circoscritto, ai fini sanzionatori, alla diversa e più lieve ipotesi dell’avvenuta collocazione dei locali adibiti a studio medico ai piani superiori, rispetto a quelli espressamente consentiti dallo strumento urbanistico, e ciò senza ovviamente pervenire alla più drastica sanzione della demolizione, ritenuta a torto legittima.
L’appello deve dunque essere accolto, con la riforma della sentenza appellata e l’annullamento degli atti impugnati, salvi gli ulteriori provvedimenti.
Le spese di giudizio possono tuttavia essere interamente compensate, in relazione alla incertezza ed al susseguirsi di norme e pronunce non sempre univoche.
P.Q.M.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2018[...]