Modalità di contestazione del licenziamento / Note
ID 20383 | Rev. 0.0 del 20.09.2023 / Note complete in allegato
In caso di licenziamento ritenuto illegittimo, il lavoratore deve comunicare per iscritto al datore di lavoro, entro il termine di decadenza di 60 giorni, la propria chiara volontà di contestare il licenziamento e poi (a pena di inefficacia), entro i successivi 180 giorni, depositare il ricorso presso il tribunale del lavoro o, in alternativa al ricorso, presentare una richiesta di tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 e ss. del c.p.c. (all'Ispettorato del Lavoro competente per territorio).
Si precisa che il datore di lavoro con i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo comma, della L. n. 300/1970 (più di 15 dipendenti, o più di 5 se si tratta di impresa agricola) che intenda licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo è tenuto a trasmettere, prima del licenziamento, una comunicazione all'Ispettorato territoriale del lavoro e, in conoscenza, al lavoratore per esperire un tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 e ss c.p.c. (tentativo obbligatorio di conciliazione).
Tale obbligo non sussiste se il lavoratore:
- è un dirigente;
- è stato licenziato al superamento del periodo di comporto ai sensi dell'articolo 2110 c.c.;
- è stato licenziato al termine di un appalto, se clausole sociali o contrattuali, ne prevedano la ricollocazione presso il nuovo appaltatore, o al termine di un cantiere o per fine fase lavorativa;
- è stato assunto con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (a partire dal 7 marzo 2015, ai sensi del D.Lg. 4 marzo 2015 n. 23) o è stato assunto prima del 7 marzo 2015 con contratto a tempo determinato che è stato successivamente convertito a tempo indeterminato;
- è stato assunto prima del 7 marzo 2015 da un datore di lavoro senza i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo comma, della L. n. 300/1970 ma che, a seguito di successive assunzioni a tempo indeterminato, abbia poi raggiunto tali requisiti;
- è stato assunto prima del 7 marzo 2015 con contratto di apprendistato e successivamente stabilizzato al termine del periodo formativo;
- è stato licenziato nell'ambito di un licenziamento collettivo (almeno 5 dipendenti) per cui trova applicazione la differente procedura di cui all'articolo 24 della Legge n. 223/1991.
Le tipologie di licenziamento sono le seguenti: - licenziamento per giusta causa è determinato da una mancanza del lavoratore e scatta quando il datore di lavoro ritiene talmente grave il comportamento del dipendente da sentire la necessità di licenziarlo in tronco senza nemmeno attendere il periodo di preavviso fissato dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. E’ il caso, ad esempio, del lavoratore sorpreso in flagrante a rubare merce aziendale. - licenziamento per giustificato motivo soggettivo: è sempre determinato da un inadempimento del lavoratore tuttavia la mancanza del dipendente è tale da portare alla cessazione del rapporto ma all’esito del periodo di preavviso previsto dal CCNL applicabile al rapporto di lavoro. - licenziamento per giustificato motivo oggettivo: in questo caso la motivazione è legata a motivi economici e produttivi (crisi aziendale, riorganizzazione, soppressione del posto di lavoro, esternalizzazione dell’attività). In tale ipotesi il datore di lavoro decide di licenziare il dipendente non per un comportamento commesso dal lavoratore, ma per esigenze tecniche, produttive ed organizzative legate all’andamento dell’impresa. Si pensi al caso di una forte contrazione del fatturato che rende necessaria una riorganizzazione interna dell’azienda, oppure il caso in cui l’azienda decida di dismettere una certa linea produttiva e dunque di licenziare i lavoratori che vi erano addetti.
La forma del licenziamento
Il licenziamento deve avere sempre forma scritta. E’ infatti nullo se effettuato in modo orale. Deve essere, inoltre, comunicato al lavoratore. La forma della comunicazione non è però prescritta dalla legge tanto che, di recente, è stato addirittura ammesso il licenziamento tramite WhatsApp o tramite e-mail. Ciò che conta è che giunga a conoscenza del lavoratore. In ogni caso devono essere indicate le motivazioni che ha spinto il datore di lavoro ad adottarlo.
L’atto di impugnazione del licenziamento
L’art. 6, comma 1 della legge n. 604/66 richiede espressamente che l’impugnazione del licenziamento avvenga mediante un atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di contestare il licenziamento. Per una valida impugnazione, dunque, non sono richieste specifiche formule sacramentali essendo semplicemente necessario che dalla lettera del lavoratore si evinca, in maniera chiara ed esente da contraddizioni, la volontà di contestare il licenziamento
L’impugnazione deve essere sottoscritta dal lavoratore essendo il soggetto interessato ad opporsi al licenziamento. In alternativa l’impugnazione può provenire da un avvocato o da un procuratore del lavoratore muniti di apposita procura scritta. Inoltre, è consentito al lavoratore di impugnare il licenziamento anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale.
I termini per l’impugnazione
Il termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento è previsto dalla legge a pena di decadenza. Ciò vale a dire che, decorso il suddetto termine, il lavoratore non potrà più impugnare il licenziamento. Conseguentemente, in assenza di una valida impugnativa, non potrà agire in giudizio per far valere la illegittima interruzione del rapporto di lavoro.
Il lavoratore che abbia proceduto all’impugnazione del licenziamento rispettando il termine suindicato è, inoltre, tenuto a depositare davanti alla Sezione Lavoro del Tribunale competente, un ricorso con il quale venga richiesto l’accertamento della illegittimità del licenziamento. Il deposito deve necessariamente avvenire nel termine di 180 giorni dalla spedizione dell’impugnativa. Anche questo termine è previsto a pena di decadenza dalla facoltà di far valere la illegittimità del provvedimento subito.
Tentativo di conciliazione o di arbitrato
In alternativa, sempre nei 180 giorni successivi alla prima impugnazione stragiudiziale, il lavoratore può richiedere al datore di lavoro un tentativo di conciliazione o di arbitrato.
In caso di rifiuto del datore di lavoro, o in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, il lavoratore dovrà depositare in Tribunale il proprio ricorso, a pena di decadenza, entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.
La revoca del licenziamento
Per i licenziamenti soggetti alla disciplina dell’art. 18, Legge 20 maggio 1970 n. 300 è prevista, dal comma 10 della predetta norma, la facoltà del datore di lavoro di revocare il licenziamento comunicato al dipendente.
La revoca deve essere comunicata al lavoratore per scritto entro 15 giorni decorrenti dal ricevimento dell’impugnazione del licenziamento da parte del dipendente. Non è richiesta alcuna accettazione della revoca da parte del destinatario. A seguito della revoca il rapporto di lavoro viene ripristinato senza soluzione di continuità.
Il lavoratore avrà diritto al pagamento delle retribuzioni dovute nel periodo compreso tra la comunicazione del licenziamento e la sua revoca oltre al versamento dei relativi contributi previdenziali. In tal caso la legge prevede espressamente che non si applichino le sanzioni previste dall’art. 18, legge n. 300/70 per il licenziamento illegittimo. Analoga previsione è contenuta nell’art. 5 del decreto legislativo n. 23/2015 per i licenziamenti soggetti alla disciplina della predetta norma in quanto intimati a lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015.
A seguito della comunicazione della revoca del licenziamento il lavoratore è tenuto a riprendere la propria attività lavorativa. In caso contrario, la sua assenza sarà ritenuta ingiustificata o, comunque, pari ad un inadempimento contrattuale con conseguente applicazione di sanzioni disciplinari nei confronti del dipendente.
[...] Segue in allegato
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