Sentenza Cassazione Penale Sez. III n. 5817 del 18 febbraio 2022
ID 15940 | 03.03.2022 / In allegato Sentenza CP
Sentenza CP n. 5817/2022: in tema di inquinamento idrico non ricorre il caso fortuito, costituente causa di esclusione dell’elemento soggettivo del reato, quanto l’agente abbia dato causa al fatto con la sua condotta negligente o imprudente.
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5817 Anno 2022
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: CORBO ANTONIO
Data Udienza: 18/01/2022
1. Con sentenza emessa in data 22 febbraio 2021, la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Trieste che aveva affermato la penale responsabilità di Ervino Leghissa ed Ennio Leghissa per il reato di cui all’art. 137, comma 5, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ed aveva condannato il primo alla pena di quattro mesi di arresto ed euro 3.000 di ammenda, ed il secondo alla pena di due mesi e dieci giorni di arresto ed euro 2.000 di ammenda concedendo le circostanze attenuanti generiche, la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna solo ad Ennio Leghissa.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, i fratelli Leghissa, in data 18 gennaio 2017, in qualità di legali rappresentanti dell’impresa “Aurisina Quarry s.r.l.”, avrebbero scaricato nel suolo acque reflue industriali superando i limiti consentiti dall’ordinamento.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe Ervino Leghissa ed Ennio Leghissa, con due distinti atti, sottoscritti rispettivamente dall’avvocato Carmine Pullano e dall’avvocato Roberto Marinelli.
3. Il ricorso di Ervino Leghissa è articolato in due motivi.
3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 192 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del reato, in particolare con riferimento all’elemento soggettivo.
Si deduce, innanzitutto, che i risultati delle analisi sono stati condizionati dall’assenza di piogge nel periodo rilevante, come si evince dalla documentazione allegata in appello dalla difesa, e che la richiesta alla Provincia di proroga del termine per l’accertamento, in considerazione del periodo di siccità, spettava alla società incaricata allo svolgimento delle analisi, la quale però non si è avveduta della irregolarità dei valori rispetto a quanto richiesto dalla normativa ambientale.
Si deduce, poi, che il ritenuto difetto delle manutenzioni periodiche e dei controlli dell’impianto è discutibile stante l’assenza di rilievi effettuati in proposito da parte dell’ARPA, dalla ex Provincia di Trieste o da altro ente.
Si deduce, ancora, quanto all’individuazione delle cause del superamento dei valori limite fissati dall’ordinamento, che non sussiste alcuna discordanza tra le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società “SAFEN d.o.o.”, ditta incaricata delle analisi, e quelle rese dall’imputato Ervino Leghissa, poiché le prime si limitano a rilevare la concentrazione delle sostanze inquinanti, mentre le seconde spiegano la presenza di queste come effetto della fuoriuscita di liquidi dai mezzi in transito all’interno della struttura. Si aggiunge, per confermare l’attendibilità delle prospettazioni dell’imputato, e per affermare l’imprevedibilità dell’evento e la riconducibilità di esso a caso fortuito, che: -) le aree in cui si è verificata la fuoriuscita di sostanza inquinante sono di accesso libero per i mezzi esterni che trasportano gli inerti oggetto dell’attività di trattamento svolta dalla società del ricorrente, con conseguente impossibilità di controlli da parte di questa; -) nessun altro superamento dei limiti è stato registrato né prima né dopo i fatti di cui si discute; -) i due luoghi dove tale “sforamento” si è verificato sono scollegati e lontani tra loro.
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 163 ss. cod. pen. e 445 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Si deduce, in particolare, l’inesistenza di motivi ostativi al riconoscimento della pena sospesa, poiché il precedente richiamato dalla Corte territoriale a sostegno del diniego del beneficio riguarda una contravvenzione, contestata all’imputato sotto il profilo della colpa, accertata in sede di c.d. “patteggiamento”, ed estinta con integrale pagamento dell’ammenda.
4. Il ricorso di Ennio Leghissa è articolato in un unico motivo, di contenuto identico al primo motivo esposto nel ricorso di Ervino Leghissa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito precisate.
2. Diverse da quelle consentite in sede di legittimità sono le censure esposte nel primo motivo del ricorso di Ervino Leghissa e nell’unico motivo del ricorso di Ennio Leghissa, tra loro identiche, e che contestano l’affermazione di sussistenza del reato, deducendo, in particolare, che il superamento dei limiti consentiti era da riferire a circostanze evidenzianti una situazione di caso fortuito.
2.1. Occorre premettere, che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, non ricorre il caso fortuito, costituente causa di esclusione dell’elemento soggettivo del reato, quanto l’agente abbia dato causa al fatto con la sua condotta negligente o imprudente (così, tra le tante, Sez. 4, n. 36883 del 14/07/2015, Procopio, Rv. 264416-01).
Tale principio ha trovato puntuale applicazione anche in materia di tutela dell’inquinamento, e specificamente in tema di sversamento di acque reflue. In particolare, una pronuncia ha affermato che deve ritenersi integrato il reato di cui all’art. 137 d.lgs. n. 152 del 2006, con esclusione del caso fortuito o della forza maggiore, nel caso di malfunzionamento della sonda regolante il reagente, quale causa dell'azione dannosa dei reflui sversati in ragione della loro qualità e delle loro caratteristiche, trattandosi di un accadimento che, sebbene eccezionale, può essere in concreto previsto con l'ordinaria diligenza ed evitato con la manutenzione e l'adeguamento degli impianti (così Sez. 3, n. 15317 del 17/03/2021, Vismara, Rv. 281598-01, con riguardo a fattispecie relativa allo scarico di acque reflue industriali derivanti dalla produzione di utensileria meccanica oltre i valori limite fissati nella tabella 3 dell'allegato 5 alla parte terza del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 relativamente alla sostanza "cromo esavalente"). Ad avviso di altra decisione, la rottura della condotta di adduzione di liquami inquinanti all'impianto di depurazione per effetto dell'azione dannosa dei reflui sversati, in ragione della loro qualità e delle loro caratteristiche, non integra gli estremi del caso fortuito o della forza maggiore, trattandosi di un accadimento che, sebbene eccezionale, può essere in concreto previsto con l'ordinaria diligenza ed evitato con la manutenzione e l'adeguamento degli impianti, con conseguente configurabilità del reato di cui all’art. 137 d.lgs. n. 152 del 2006 (cfr. Sez. 3, n. 24333 del 13/05/2014, Soster, Rv. 259195-01).
2.2. La sentenza impugnata espone diversi elementi a fondamento della conclusione per affermare che il superamento dei limiti consentiti delle sostanze pericolose nelle acque reflue industriali scaricate al suolo è attribuibile ad una condotta negligente degli imputati e non certo a circostanze imprevedibili.
La Corte d’appello, in particolare, rappresenta che: -) l’impianto non è stato sottoposto alle periodiche manutenzioni ed ai controlli, stante l’assenza delle pertinenti annotazioni nell’apposito registro; -) non sono stati predisposti i presidi necessari volti ad evitare le fuoriuscite di sostanze inquinanti dai mezzi che transitavano all’interno dell’insediamento; -) il superamento dei valori limite è stato rilevato contemporaneamente non su uno, bensì su due scarichi, nonostante questi fossero del tutto scollegati e distanti tra loro; -) non può dirsi certa l’assenza di piogge nel periodo di effettuazione delle analisi, come indicato nell’autorizzazione, sia perché il titolare della ditta incaricata per il controllo dei valori limite da quella degli imputati ha prima ammesso la presenza di pioggia, e solo dopo ha detto di non ricordare la circostanza, sia perché, in caso di assenza di precipitazioni, gli interessati avrebbero potuto segnalare l’inconveniente alla Provincia ed ottenere una proroga, secondo quanto espressamente previsto.
2.3. Le conclusioni della Corte di appello in ordine alla conferma della penale responsabilità dei ricorrenti, con particolare riguardo alla ritenuta esclusione di circostanze riconducibili al caso fortuito, sono immuni da censure.
Invero, la sentenza impugnata ha innanzitutto escluso, sulla base di congrue indicazioni, l’inattendibilità dei risultati dell’accertamento, effettuato da una impresa specificamente incaricata da quella gestita dai ricorrenti, sul superamento dei limiti consentiti per le sostanze pericolose contenute nelle acque reflue sversate. Ha inoltre ritenuto attribuibile lo sversamento di acque reflue contenenti sostanze pericolose in misura superiore ai limiti consentiti dalla normativa alla condotta negligente degli imputati, quali titolari della ditta responsabile dello scarico, e non al caso fortuito, perché, in modo non manifestamente illogico, ha a tal fine valorizzato sia la colpevole omissione dei controlli periodici in ordine al buon funzionamento degli impianti della medesima ditta, sia l’avvenuto superamento dei valori-soglia in due scarichi tra loro distanti e non collegati.
3. Prive di specificità sono le censure formulate nel secondo motivo del ricorso di Ervino Leghissa, che criticano la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, deducendo che l’unico precedente ostativo era una contravvenzione colposa accertata con sentenza di patteggiamento ed ormai estinta ex art. 445, comma 2, cod. proc. pen.
Invero, il ricorso non si confronta con quanto puntualmente evidenziato dalla Corte d’appello per non concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, e cioè l’esistenza di quattro condanne definitive riportate dall’imputato dal 2011 al 2018, tutte per illeciti connessi all’esercizio dell’attività di impresa, tre delle quali proprio per il reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata: è proprio richiamando tali precedenti ed il loro significato che la sentenza impugnata conclude che la contravvenzione per cui si procede conferma un modo di gestire l’attività di impresa del tutto irrispettoso della normativa, tale dunque da precludere una qualsivoglia prognosi favorevole di futura astensione dal reato.
4. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18/01/2022
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