Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 11492 del 13 Marzo 2015
Rifiuti: Deposito temporaneo ex art. 183 lettera bb) DLgs n. 152/06
Rilevanza per gestione illecita ex art. 256 c. 1 DLgs n. 152/06
1. Con ordinanza del 30/5-3/6/2014, il Tribunale del riesame di Potenza respingeva il riesame proposto da Sebastiano Garofalo e, pertanto, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Ufficio il 29/4/2014; il Tribunale, in particolare, riqualificava la condotta ascritta all'indagato nei termini dell'art. 256, comma 1, DLgs n. 152/06, ravvisando a suo carico il reato di deposito preliminare di rifiuti non autorizzato e, pertanto, un'attività di gestione abusiva degli stessi.
2. Propone ricorso per cassazione il Garofalo, a mezzo del proprio difensore, argomentando due motivi:
- violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 324, comma 7, cod. proc. pen.. Il Tribunale non avrebbe rispettato il termine di 10 giorni per il deposito del provvedimento, atteso che - avvenuta il 19/5/2014 la trasmissione degli atti da parte del pubblico ministero - l'ordinanza sarebbe stata versata in cancelleria, peraltro nel solo dispositivo, il 30/5/2014; in ogni caso, il termine non sarebbe stato rispettato quanto al deposito della motivazione, al quale solo la stessa previsione di cui all'art. 324, comma 7, cod. proc. pen. dovrebbe esser riferita;
- violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 256, comma 1, d. lgs. n. 152 del 2006. Il Tribunale avrebbe escluso l'ipotesi di deposito temporaneo in forza del fatto che i rifiuti erano stati rinvenuti come non separati per categorie omogenee; orbene, poiché l'oggetto del sequestro concerne esclusivamente rifiuti speciali non pericolosi, gli stessi apparterrebbero tutti, comunque, alla medesima categoria, sì da superare l'assunto del Tribunale. La condotta, pertanto, consisterebbe soltanto in un deposito temporaneo, che esula dall'attività di gestione e che non impone affatto una cernita o separazione di rifiuti in base ai codici CER, invero richiesta soltanto quando vi sia pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente, ipotesi pacificamente esclusa nel caso di specie.
3. Il ricorso è manifestamente infondato. Con riguardo al primo motivo, il Garofalo afferma che - data la trasmissione degli atti, da parte del pubblico ministero, il 19/5/2014 - «è ragionevole presumere» che gli stessi siano giunti nella disponibilità del Tribunale il giorno stesso, e da questo siano quindi decorsi i 10 giorni per la decisione di cui all'art. 324, comma 7, cod. proc. pen., che richiama l'art. 309, comma 9, stesso codice; orbene, rileva la Corte che l'assunto difensivo costituisce soltanto una mera eventualità, nella misura non indica con precisione il giorno di ricezione degli atti da parte del Tribunale, soltanto ipotizzato, e, pertanto, non consente di verificare l'effettiva, contestata violazione del termine perentorio di cui alla norma citata.
Quand'anche, poi, si accertasse che nello stesso termine il Tribunale ha depositato il solo dispositivo, ciò non inciderebbe comunque sull'efficacia dell'ordinanza; come ricordato dallo stesso ricorrente, infatti, costituisce pacifico indirizzo di legittimità quello per cui, «ai fini della perdita di efficacia del provvedimento che dispone la misura coercitiva personale (oltre che la misura reale, attesa l'identità di disciplina sul punto, n.d.r.) per omessa decisione del tribunale sulla richiesta di riesame entro il decimo giorno dalla ricezione degli atti, deve farsi riferimento alla data di deliberazione, il cui documento sia stato depositato in cancelleria, e non alla data di deposito dell'ordinanza, completa di tutti i suoi elementi, e quindi anche della motivazione, che deve essere depositata entro cinque giorni dalla deliberazione, a norma dell'art. 128 cod. proc. pen. L'eventuale inosservanza di tale ultimo termine, quantunque sfornita di sanzione processuale, espone i magistrati a responsabilità civile e disciplinare, oltre che, all'occorrenza, penale» (Sez. U, n. 11 del 25/3/1998, Manno, Rv. 210607; Sez. 2, n. 23211 del 9/4/2014, Morinelli, Rv. 259652).
La doglianza, pertanto, è del tutto infondata.
4. Con riguardo, poi, al secondo motivo, osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell'art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
Ciò premesso, il motivo è infondato.
Il Tribunale del riesame, infatti, ha steso una motivazione tutt'altro che apparente o mancante, provvedendo ad una compiuta descrizione dell'oggetto del sequestro e, di seguito, della fattispecie di reato così ipotizzabile a carico del Garofalo; a tal fine, peraltro, l'ordinanza ha riqualificato l'originaria imputazione, identificata nella discarica abusiva di cui all'art. 256, comma 3, DLgs n. 152/06 , ed ha individuato la condotta nei termini del deposito preliminare - quindi, gestione non autorizzata - di cui all'art. 256, comma 1, stesso decreto. In particolare, il Tribunale ha evidenziato che l'enorme quantitativo di rifiuti speciali non pericolosi rinvenuti (circa 14 mila mc) era composto dalle materie più disparate (rocce, terre, scorie di cemento, bacchette di acciaio provenienti da armature metalliche di elementi edili, miscele bituminose, pancali, materiali plastici, pneumatici ed altro), ammassate alla rinfusa e senza alcuna distinzione; quel che - in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 11258 dell'11/2/2010, Chirizzi, Rv. 246459) - ha condotto ad escludere la tesi difensiva del deposito temporaneo, di cui all'art. 183, lett. bb ), d. lgs. n. 152 del 2006, che richiede che lo stesso sia effettuato (tra l'altro) per categorie omogenee, nel caso di specie non ravvisabili.
Per deposito controllato o temporaneo, infatti, si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, solo quando siano presenti precise condizioni relative alla quantità e qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto delle norme tecniche elencate nel DLgs n. 152/06 . Tale deposito è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti (ad eccezione degli adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione), anche se sempre soggetto ai principi di precauzione ed azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti e che, in difetto di anche uno dei menzionati requisiti, impongono che il deposito sia considerato:
- deposito preliminare, se il collocamento di rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento che, in assenza di autorizzazione o comunicazione, è sanzionata penalmente dal DLgs n. 152/06 , art. 256, comma 1);
- messa in riserva, se il materiale è in attesa di una operazione di recupero che, essendo una forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo (la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dal DLgs n. 152/06, art. 256,
comma 1);
- deposito incontrollato o abbandono, quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero. Tale condotta è sanzionata come illecito amministrativo se posta in essere da un privato, e come reato contravvenzionale se tenuta da un responsabile di enti o titolare di impresa.
Ciò premesso, poiché il Tribunale ha dato atto che il collocamento di rifiuti - si ribadisce, mescolati alla rinfusa - era prodromico ad attività di smaltimento, periodicamente compiuta, la condotta doveva esser riqualificata nei termini del deposito preliminare non controllato.
Orbene, a fronte di una siffatta motivazione, tutt'altro che apparente, il Garofalo deduce la violazione di legge assumendo che, nel caso di specie, dovrebbe invece esser ravvisato il deposito temporaneo, attesa comunque l'omogeneità della categoria di rifiuti constatata (tutti speciali non pericolosi) e, pertanto, la piena operatività dell'art. 183, lett. bb ), citato; orbene, questo assunto non può esser condiviso, nella misura in cui lo stesso articolo, alla medesima lettera, afferma - al n. 5) - che «per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo». Questa locuzione, pertanto, evidenzia che le "categorie" - comprese quelle di cui alla lettera bb) - non sono identificabili sic et simpliciter con la "classificazione" di cui all'art. 184, d. lgs. n. 152 del 2006 (rifiuti urbani e speciali, pericolosi e non pericolosi), come richiederebbe il ricorrente, ma ne costituiscono specificazione, precisa individuazione tecnica (connotata da apposito codice CER), sì che anche l'"omogeneità" delle stesse deve essere verificata nei medesimi termini; come già, peraltro, implicitamente affermato anche da questa Corte, ad esempio con riguardo alla "categoria" dei fanghi da trattamento (Sez. 3, n. 21774 del 27/3/2007, Pizzotti, Rv. 236708) o dei veicoli fuori uso (Sez. 3, n. 40945 del 21/10/2010, Del Prete, Rv. 248629).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2015
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