La strage sui binari di Brandizzo del 30 agosto 2023 / Relazione Commissione parlamentare d’inchiesta
ID 20307 | Update 17.09.2024 / Notizia seguita
Relazione sull’attività svolta riguardo all’incidente ferroviario di Brandizzo” della “Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati” approvata nella seduta del 10 settembre 2024.
Il 12 settembre 2024 è stata presentata Montecitorio la Relazione sull’attività svolta dalla Commissione d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia a seguito del tragico incidente ferroviario di Brandizzo del 30 agosto 2023.
Nel suo intervento introduttivo, il Presidente della Camera Lorenzo Fontana, dopo aver rivolto ai familiari la rinnovata la vicinanza personale e di tutta la Camera dei deputati, ha sottolineato come: “L’incolumità dei lavoratori non è un lusso accessorio o un semplice adempimento burocratico, ma un diritto inalienabile della persona umana”. E che “la Commissione ha esaminato quel drammatico evento per migliorare le attuali condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro, con particolare riferimento alle prestazioni eseguite su strade ferrate o in loro prossimità. Il Documento sottolinea che eliminare - o quanto meno ridurre - il rischio di incidenti sul lavoro nel comparto ferroviario è possibile”.
Nel suo messaggio, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha affermato: “Le morti e gli incidenti sul lavoro sono una intollerabile offesa per la coscienza collettiva. La sicurezza nel lavoro è condizione necessaria per rendere effettivo il diritto fondamentale e inalienabile alla salute che non può trovare limiti nella mancanza o nella inadeguatezza di misure idonee a rendere il lavoro e i luoghi ove si svolge sani e privi di pericoli. Non sarà mai sufficiente l’impegno a questo scopo delle istituzioni e delle parti sociali”.
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30.08.2024
È passato un anno dalla tragedia di Brandizzo, in cui persero la vita cinque operai travolti dal treno che viaggiava sulla linea ferroviaria Torino-Milano. La notte tra il 30 e il 31 agosto 2023 Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Aversa e Giuseppe Saverio Lombardo erano impegnati in una serie di lavori lungo i binari quando vennero investitii dal passaggio di un treno diretto al deposito, e che viaggiava a circa 160 chilometri orari.
Per la loro morte la Procura di Ivrea ha avviato subito indagini, non ancora concluse, che hanno portato all’iscrizione di quindici persone nel registro degli indagati.
Da allora, migliaia di documenti, protocolli di sicurezza e testimonianze di operai ed ex dipendenti delle aziende coinvolte sono stati raccolti e sono al vaglio degli inquirenti. In questi giorni la Procura chiederà la proroga delle indagini per altri sei mesi: ci sono altri documenti da analizzare, video, testimonianze e la scatola nera del treno.
Da quanto emerso finora dalle indagini, pare che gli operai avessero aperto il cantiere prima di ricevere l’autorizzazione ufficiale. A dare il via libera sarebbe stato il caposcorta di Rete ferroviaria italiana nonostante la dirigente di movimento di Rfi avesse comunicato il passaggio di un treno in ritardo. Gli indagati per la tragedia sono Antonio Massa, all’epoca caposcorta di Rfi, Andrea Gibin Girardin, capocantiere di Sigifer, azienda incaricata di svolgere i lavori di manutenzione. Per loro le accuse sono di disastro ferroviario e omicidio con dolo eventuale.
Indagato inolte, il direttore generale di Sigifer, Franco Sirianni, il direttore tecnico Cristian Geraci, la legale rappresentante Simona Sirianni e il socio Daniele Sirianni. Per loro le accuse sono di disastro e omicidio colposi, le stesse contestate a due dirigenti di Rfi Gaetano Pitisci e Andrea Bregolato. Nel registro degli indagati sono stati iscritti con le stesse accuse anche tre manager della Clf (società di Bologna che aveva subappaltato i lavori alla Sigifer), tra cui l’amministratore delegato Enrico Peola.
02.09.2023
Nella notte tra il 30 e il 31 agosto 2023 alla stazione di Brandizzo, alle porte di Torino, cinque operai dell’azienda appaltatrice di Rfi, Sigifer di Borgo Vercelli, sono stati investiti da un convoglio fuori servizio, in fase di spostamento da Alessandria a Torino, mentre svolgevano alcuni lavori di manutenzione sui binari.
Tale genere di interventi di manutenzione, che nello specifico riguardavano il cosiddetto armamento (binari, traverse, massicciata) dovevano essere svolti in assenza di circolazione dei treni. Il cantiere poteva essere attivato, soltanto dopo che, il responsabile della squadra operativa del cantiere, in questo caso dell’Impresa, aveva ricevuto il nulla osta formale ad operare, in esito all’interruzione concessa, da parte del personale abilitato di RFI.
Sul binario 1 della Milano-Torino alla stazione di Brandizzo, al momento dell'incidente, le persone al lavoro erano sette: i cinque investiti e uccisi più il capocantiere e l’agente di scorta e tecnico manutentore, ovvero l’uomo che il committente dei lavori (in questo caso Rete ferroviaria italiana) è obbligata ad affiancare ai lavoratori che hanno in appalto il cantiere, sopravvissuti al disastro.
"Sono emerse gravi violazioni della procedura di sicurezza al momento dell'incidente", ha spiegato il procuratore capo di Ivrea, Gabriella Viglione. Talmente gravi che, sebbene il fascicolo sia stato aperto per disastro e omicidio colposo, gli inquirenti non escludono si arrivi a ipotizzare il dolo eventuale.
"Gli accertamenti proseguono per verificare se può essere considerata sicura la procedura complessiva. Quanto accaduto ha reso palese che il meccanismo di garanzia non era sufficiente a tutelare un lavoro così delicato in una sede pericolosa come quella dei binari ferroviari", ha sottolineato il procuratore.
Il dolo eventuale è la più grave delle fattispecie di reato che si possano ricondurre alle violazioni sulle procedure di sicurezza sul lavoro. Implica infatti che gli eventi che si sono verificati fossero prevedibili e che sia stato accettato il rischio che ciò potesse succedere.
La procura di Ivrea ha iscritto sul registro degli indagati le prime due persone per il disastro ferroviario, ovvero l'addetto di Rfi al cantiere in cui lavoravano le vittime e il capocantiere della Sigifer e collega delle cinque vittime.
Non a caso i loro nomi sono stati i primi iscritti sul registro degli indagati, in quanto spetta a loro dare il via libera agli operai per l’apertura del cantiere. Ma per farlo devono avere la certezza che sia stata autorizzata l’interruzione programmata oraria (sospensione dei treni in transito lungo una linea che prevede la presenza di operai al lavoro): un documento che - a seguire la procedura corretta - il dirigente della centrale operativa manda al responsabile dell’ufficio movimenti e che l’ufficio movimenti comunica con una telefonata all’agente di scorta.
È stato emesso il documento? La risposta è no. O almeno: gli inquirenti non ne hanno trovato traccia. E allora perché è stato dato il via libera agli operai che quella notte dovevano sostituire un tratto di rotaia? E poi il loro intervento era previsto fra mezzanotte e le due. E perché hanno cominciato a lavorare anzitempo? Sì, perché la squadra è arrivata in stazione che erano più o meno le 23. Il tempo di prepararsi, di scaricare e preparare l’attrezzatura, e alle 23.40 (circa) è stato detto agli operai: potete andare.
Li ha autorizzati il tecnico di scorta di Rfi, ma per farlo avrebbe dovuto non soltanto avere l’ok telefonico da Chivasso - cioè la conferma che era in corso l’interruzione programmata - ma anche compilare e firmare un modulo specifico per l’inizio dei lavori. Modulo che doveva compilare e firmare anche l’altro sopravvissuto, il caposquadra. In Procura però tutto ciò non risulta, non è stato né compilato né firmato alcun modulo da nessuno dei due. Vero è che il capocantiere e il tecnico di scorta avrebbero lavorato tutti e due accanto ai colleghi poi investiti dal treno. Non rispettare la procedure metteva a repentaglio anche le loro vite. Perché farlo? Una delle ipotesi d’indagine è che il 30 agosto, a Brandizzo, siano entrare in scena le «regole» non scritte delle consuetudini scorrette, a scapito della sicurezza. Per esempio aprire il cantiere perché tanto Chivasso prima o poi avrebbe dato il via libera che si aspettava.
C’è una telefonata, agli atti, che potrebbe chiarire molto sul fronte delle responsabilità. È una chiamata registrata fra l’uomo di scorta di Rfi e il responsabile dell’Ufficio movimenti di Chivasso. È stato il tecnico di scorta di Rfi a rivelare agli inquirenti che fra lui e l’Ufficio movimenti c’era stato più di un contatto. Non sappiamo che cosa si siano detti i due, se il tecnico scorta di Rfi sollecitava Chivasso per sapere dell’interruzione della linea o altro. Sappiamo però che nell’ultima telefonata si sente prima il rumore dei lavori, poi il frastuono del treno piombato sul binario 1 a cento all’ora e infine le urla disperate.
Il fattore ritardo. Il treno - un locomotore più 11 carrozze vuote - viaggiava infatti con 20-25 minuti di ritardo sulla tabella di marcia. Il tecnico di scorta di Rfi avrebbe dichiarato a verbale che lui sapeva, sì, del transito di quel treno ma, appunto, secondo i suoi calcoli era già passato mentre gli operai erano sui binari al lavoro. Ma lei lo ha visto passare?, gli hanno chiesto. La risposta è stata "no, non l’ho visto". Forse c’è proprio la convinzione del transito mai avvenuto alla base della decisione di mandare gli operai sulle rotaie.
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Fonte: Corriere della Sera / ANSA / RFI
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