Sentenza CP Sez. 4 n. 32233 del 02 settembre 2022
Cassazione Penale, Sez. 4, 02 settembre 2022, n. 32233 - Infortunio mortale durante le operazioni di rimozione del relitto della Costa Concordia. Applicabilità dell'art. 92 del D. Lgs. 81/08 inerente gli obblighi del CSE
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Grosseto del 15 novembre 2018, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui M.G. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno di reclusione in relazione al reato di cui agli artt. 113, comma secondo, e 589 cod. pen. (omicidio colposo dell'operaio I.M.F. - capo A) e di euro seimila di ammenda per i reati di cui all'art. 92, lett. b, (capi P e Q).
In ordine alla ricostruzione dei fatti, va premesso che, a seguito del naufragio della nave da crociera Costa Concordia, nel gennaio 2012 erano predisposte le operazioni di rimozione del relitto di detta nave in relazione alla quale i lavori subacquei erano appaltati al consorzio Titan-Micoperi e svolti dalla Titan, una delle società del consorzio, che a sua volta subappaltava i lavori alla Underwater Contractors UCSL, della quale I.M.F. era dipendente.
L'infortunio avveniva durante le operazioni di taglio della parte inferiore del davit, struttura di supporto relativa alla scialuppa n. 27', ancorata alla fiancata della nave, che permette la movimentazione orizzontale fuori bordo durante l'ammaino delle scialuppe, composta da due gru, una che sorregge la parte prodiera e l'altra la parte poppiera della scialuppa saldata al ponte superiore rispetto a quello dove si trova la scialuppa da utilizzare.
La notte del naufragio i davit erano rimasti sbracciati verso l'esterno, per cui parte della struttura idraulica sottostante aveva subito una deformazione, ripiegandosi contro la fiancata della nave con lo schiacciamento sul fondale roccioso; a seguito del caricamento e del parziale affondamento della nave sul lato di dritta, il pistone, ancorato alla parte mobile del davit, era ricurvo verso l'alto come a formare una U, mentre il cilindro, che teoricamente doveva essere parallelo al davit, era divergente rispetto alla struttura, sebbene ancorato alla parte fissa del davit.
Per rimuovere il pistone erano previsti due tagli: uno vicino al cilindro e l'altro all'estremità opposta di ancoraggio al davit e, sulla base della documentazione video acquisita dal c.t. del P.M., era ricostruito lo sviluppo delle operazioni: a) dapprima interveniva il diver S.P.M., che tagliava la parte superiore del pistone ovvero quella in prossimità della cerniera di aggancio al davit; b) in un secondo momento, la vittima doveva completare l'operazione di rimozione del pistone, tagliando in prossimità del cilindro ovvero dalla parte opposta rispetto a quella già tagliata dal S.P.M..
Il diver, immersosi prima della vittima, sentito a sommarie informazioni, riferiva di aver visto il pistone ricurvo non più collegato alla struttura del davit. Il taglio del pistone aveva fatto venir meno il collegamento tra il cilindro e le parti telescopiche del davit, sicché queste erano libere di muoversi e di provocare poi lo schiacciamento della vittima a contrasto col cilindro.
Dagli accertamenti svolti era emerso che il davit sul quale stava operando la vittima non era stato assicurato alla struttura della nave prima dell'inizio delle operazioni di taglio ed era stato completamente divelto a causa del ribaltamento della nave.
La circostanza del distacco del davit dalla struttura già dal momento del naufragio era desumibile da un video dei carabinieri di Genova, dal quale si rilevava la presenza di ruggine in corrispondenza del punto di saldatura tra il davit e la struttura, per effetto dell'ossidazione da contatto diretto con l'acqua marina. Il mancato ancoraggio alla struttura aveva comportato che il taglio del pistone, rappresentante un suo componente, aveva modificato la distribuzione dei pesi, considerando che il davit si presentava in equilibrio quasi come una specie di altalena. Entrambi gli operatori, pertanto, avevano assunto posizioni pericolose durante lo svolgimento delle operazioni, perché assicurati ad una struttura, non fissata alla nave ed instabile .
La Corte di merito ha condiviso il giudizio doppiamente controfattuale operato dal Tribunale, ritenendo dimostrato che l'evento non si sarebbe verificato con certezza o con un alto grado di probabilità. Dovevano evidenziarsi il documentato distacco del davit e la sottovalutazione del rischio specifico, dimostrata dall'erroneità della procedura di soccorso che, presupponendo come ancora esistente l'ancoraggio del davit, era consistito nel tirare verso il basso il cilindro, manovra che non aveva consentito di liberare la presa, perché determinava lo spostamento anche del davit. Se il davit fosse stato assicurato dall'alto, non sarebbe precipitato verso il basso.
La contravvenzione di cui al capo P) consisteva nell'omessa verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza e nel mancato adeguamento del piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, anche valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere.
La contravvenzione di cui al capo Q) consisteva nella mancata verifica dell'adeguamento dei piani di sicurezza da parte delle imprese esecutrici.
La Corte toscana ha confermato la sentenza di primo grado, condividendo le valutazioni del Tribunale in ordine al riconoscimento della posizione di garanzia del M.G. in qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori e l'applicabilità alla fattispecie in esame della disciplina prevista dal d.lgs. n. 81 del 2008.
2. M.G., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilità.
Si deduce l'erroneità della motivazione dell'impugnata sentenza, nella parte in cui è affermato che il rimprovero mosso al ricorrente sarebbe stato non quello di non avere "effettivamente e concretamente fatto qualcosa per risolvere i problemi di rischio connessi al mancato ancoraggio del davit", ma quello "di non aver concretamente preso atto che nel documento mancava proprio la previsione relativa alla lavorazione da eseguire per la rimozione dei davit". In realtà, la documentazione depositata dimostrava che non v'erano state carenze immediatamente percepibili in relazione alle lavorazioni da svolgere.
Non sussistevano carenze organizzative, essendo stato programmato un briefing quotidiano, preliminare e propedeutico all'inizio della giornata lavorativa, relativo a tutte le tipologie di opere da eseguirsi al fine di verificarne la regolare modalità operativa necessaria per il compimento del lavoro. Al riguardo, doveva evidenziarsi l'organizzazione dei documenti di sicurezza presenti in cantiere: la documentazione generale era integrata per ogni fase lavorativa e comprendeva una procedura, un manuale operativo e il relativo P.O.S. della ditta coinvolta, coordinato col P.O.S. della ditta affidataria e allineato al documento di sicurezza e di coordinamento.
In ordine alla preparazione della nave all'installazione dei cassoni di sollevamento, una delle fasi considerate consisteva nella rimozione delle appendici libere, cioè di tutte quelle parti della nave, presenti sulla fiancata, sporgenti, danneggiate o pericolanti, che avessero successivamente ostacolato detta installazione.
Le specifiche modalità di lavoro, come l'ancoraggio, la posizione dell'operatore rispetto al pezzo da tagliare e i punti di taglio, così diverse tra loro, non potevano essere generalizzate in una procedura, ma necessitavano di essere valutate momento per momento e caso per caso, fermi restando i principi generali presenti nella valutazione dei rischi e le misure preventive da mettere atto. Questi dettagli erano analizzati prima di procedere alle operazioni, pianificati e condivisi con gli operatori coinvolti, come emergeva dal documento di Titan Micoperi relativo alle fasi in corso. Oltre ai meetings di pianificazione necessari per sviluppare la procedura in oggetto, nei giorni precedenti l'operazione, erano tenuti i seguenti meetings: a) meeting di riesame delle procedure allo scopo di riesaminare la procedura con il personale chiave;
b) riunioni informative con le maestranze (cd. tool box meeting), da tenersi nelle ore immediatamente precedenti all'operazione da parte dei relativi supervisori.
La situazione in campo era analizzata caso per caso e discussa prima di effettuare le operazioni con l'ausilio di video, lavagnette e quant'altro ritenuto opportuno alla situazione quotidiana. Ciò permetteva di individuare le modalità di fissaggio, di scegliere il materiale necessario (funi, catene, etc.) e di individuare la corretta posizione di lavoro: ciò risultava dagli atti di indagine e, in particolare, dalle sommarie informazioni testimoniali. Era chiara la ricostruzione dettagliata riportata sulla base delle indagini dal prof. Scamardella nel suo elaborato peritale e, in particolare, nella parte relativa all'analisi della programmazione dell'intervento da effettuare.
Non è, dunque, comprensibile la motivazione per cui il ricorrente avrebbe dovuto "procedimentalizzare" preventivamente il lavoro di rimozione dei davit, più di quanto fosse stato, in quanto le modalità operative normalmente attuate erano ben dettagliate, note a tutti gli operatori e ben applicate. Nel periodo antecedente all'infortunio, il ricorrente aveva verificato le modalità operative e osservato come venissero analizzate le singole situazioni e attuate le misure preventive.
Stante il ruolo di alta vigilanza espletato, il M.G. non poteva entrare nel merito di un'organizzazione di dettaglio che non evidenziava criticità e che sembrava ben allineata alle singole specificità. Le modalità di lavoro di ogni singola attività, alcune della durata di poche ore, rientravano nell'organizzazione propria degli operatori, dei preposti e dei loro datori di lavoro.
Non si è tenuto conto di tale argomentazione, né si è spiegato per quale ragione si giungeva ad una motivazione che invece ha fatto riferimento alla poca attendibilità delle isolate dichiarazioni rese a sommarie informazioni testimoniali del preposto P.DA. presente sul luogo, e che, in evidente posizione di non terzietà, nel corso delle sommarie informazioni, ebbe a riferire che v'era la prassi di procedere al preventivo fissaggio con una fune dei davit di cui era noto il distacco e che il giorno dei fatti l'infortunato, dopo averlo rassicurato di essersi attenuto a tali prescrizioni, evidentemente aveva di sua iniziativa rimosso la corda di ancoraggio. Quanto sopra riportato, affermato dal preposto, non era l'unica dichiarazione resa in merito alle modalità operative anomale. Una dettagliata descrizione delle operazioni e la previsione del fissaggio dei pezzi su cui lavorare, oltre quanto riportato al riguardo dal prof. Scamardella, emergeva anche dalle dichiarazioni rese dal collega dell'infortunato D.M.S. e, precisamente, dalla descrizione delle modalità operative (domande 5, 6, 7, 8 e 9). Anche il responsabile delle operazioni J.C. aveva confermato tali procedure operative.
La Corte di merito ha erroneamente considerato il preposto P.DA. in condizione di non terzietà: le sue affermazioni evidenziavano, eventualmente, una carenza di attenzioni alla programmazione giornaliera delle operazioni e alla sorveglianza delle stesse a lui stesso imputabile, trattandosi di compito specifico a lui assegnato dall'organizzazione del lavoro. Le modalità di fissaggio e la posizione dell'infortunato durante quel turno di lavoro si erano rivelate inidonee: il prof. Scamardella rilevava: "altrettanto appare evidente che nell'effettuare il taglio della parte superiore del pistone, il Sig. S.P.M. si sia posizionato al di sotto del davit con entrambe le gambe piegate e poggiate sul cilindro da cui fuoriusciva il pistone oggetto di taglio". Tale circostanza era confermata dallo stesso S.P.M..
Nella sentenza impugnata si evidenziava l'obbligo di cui all'art. 92, lett. f), d.Lgs. n. 81 del 2008, in forza del quale il coordinatore per l'esecuzione dei lavori deve sospendere le lavorazioni, in caso di pericolo grave ed imminente direttamente riscontrato, fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate, obbligo che non opera allorquando il pericolo inerisca al rischio specifico del datore di lavoro. In caso contrario, l'intervento del C.S.E. costituirebbe un'ingerenza nella gestione di lavori estranei alla sua sfera di competenza, comportando la presa in carico di rischi specifici dell'impresa esecutrice. Il che implica, ai sensi dell'art. 29 dello stesso D.Lgs., l'assunzione della posizione di garanzia propria del datore di lavoro, disponendo tale articolo che le posizioni di garanzia relative ai datori di lavoro, dirigenti e preposti, gravano altresì su chi, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno di tali soggetti.
Nell'identificare l'area di rischio governata dal C.S.E. e quella di competenza del datore di lavoro o dei soggetti da lui delegati, si può fare riferimento all'ambito di intervento del C.S.E. come delineato dalle sue funzioni di coordinatore: sono, quindi, esclusi i rischi specifici propri dell'attività di impresa. Il concetto di rischio specifico del datore di lavoro è legato alle competenze settoriali di natura tecnica, alla conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o all'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine generalmente mancante in chi opera in settori diversi.
Per determinare l'estensione della posizione di garanzia occorre prima inquadrare la natura del rischio, verificando in concreto se la sua realizzazione sia conseguenza di un'attività riconducibile all'interferenza fra l'opera di più imprese o se, invece, essa inerisca all'esclusiva attività della singola impresa. La Corte di appello non ha considerato tale aspetto.
L'infortunio non derivava da una mancata pianificazione, bensì dalle modalità anomale ed eccezionali dello sviluppo dell'attività di quella giornata. Per analizzare la situazione di dettaglio e adeguare le misure preventive, era prassi consolidata svolgere una riunione preliminare ad ogni attività giornaliera, in cui il J.C., responsabile delle operazioni, e il preposto addetto alla gestione delle attività insieme agli stessi operatori valutavano le attività da svolgere, le modalità operative, le misure di sicurezza da adottare e le eventuali necessità da soddisfare (vedi la relazione peritale del prof. Scamardella). Tali procedure operative erano confermate ripetutamente in sede di sommarie informazioni testimoniali, e non occasionalmente da parte di un singolo operatore, come erroneamente affermato dalla Corte toscana.
L'evento, quindi, doveva ricondursi esclusivamente alla cattiva esecuzione delle operazioni di valutazione, di legatura e di stabilizzazione della struttura al corpo della nave, che rivestiva i caratteri dell'eccezionalità e della straordinarietà sfuggendo, dunque, al suddetto criterio di credibilità razionale che fondava il giudizio di responsabilità a carico del ricorrente. Era evidente la non corretta posizione dei lavoratori in quella giornata.
Doveva poi rilevarsi che l'art. 92 d.lgs. n. 81 del 2008 contestato al ricorrente si colloca all'interno del capo I del titolo IV che contempla la previsione espressa dall'art. 88, lett. f), che indiscutibilmente ne esclude l'applicabilità ai lavori svolti in mare.
Tale disposizione costituisce un'eccezione rispetto all'ambito di applicazione generale e mira ad escludere dall'ambito di applicazione del capo I titolo IV i lavori svolti sulle navi, tra i quali quelli effettuati ai fini della rimozione di una parte di essa.
Il d.lgs n. 81 del 2008 esclude elementi specifici quali ad esempio i lavori sulla nave, in banchina e in rada e i lavori in cava. Il titolo IV, norma speciale, si occupa espressamente dei lavori nei cantieri temporanei e mobili: l'ambito entro il quale si verificava l'evento dedotto a processo risultava escluso dall'applicazione di tale normativa.
La Corte territoriale ha incoerentemente concluso per la specialità dell'art. 88 cit. rispetto alla generalità dei casi residui: emerge, invece, il contrario dal raffronto di tale normativa col citato allegato X al Decreto in parola che, come detto, elenca i lavori edili o di ingegneria civile di cui all'art. 89, comma 1, lett. a), ricadenti nella previsione normativa generale.
2.2. Illogicità e carenza di motivazione in m,erito all'indicazione delle specifiche ragioni per cui si ritengono inapplicabili le disposizioni del capo I del titolo IV del d.Lgs. n. 81 del 2008.
Si osserva che, con particolare riferimento alla clausola di esclusione prevista dall'art. 88, lett. f), cit., secondo cui "le disposizioni del capo I del titolo IV", al cui interno si colloca anche l'art. 92, "non si applicano ai lavori svolti in mare", la Corte di merito ha riconosciuto che "l'art. 88 pur prevedendo che le disposizioni del capo non si applicano ai lavori svolti in mare non appare norma di univoca interpretazione". La Corte di appello ha concluso in senso sfavorevole alla tesi difensiva, contraddicendo al fondamentale principio in dubio pro reo. Pur in presenza di una normativa speciale, e nella piena sussistenza di un ambito applicativo che esclude la fattispecie in esame dalla sussumibilità all'art. 92 cit. per effetto della clausola di esclusione dell'art. 88 cit., la Corte toscana ha ammesso di trovarsi di fronte ad un bivio interpretativo, ma non ha fornito nessuna motivazione idonea a superarlo.
2.3. Nei motivi nuovi di ricorso, depositati in data 4 febbraio 2022 ai sensi dell'art.585, comma 4 cpp la difesa insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso.
Si ribadisce la tesi della peculiarità delle operazioni da compiere, variabili giorno per giorno, con conseguente necessità di predisporre specifiche procedure in occasione di riunioni preventive.
per giorno, con conseguente necessità di predisporre specifiche procedure in occa sione di riunioni preventive.
Si reitera la tesi dell'inapplicabilità delle disposizioni di cui al capo I, titolo IV, del d.lgs. n. 81 del 2008 alla luce delle disposizioni di tale normativa ,e di quelle previste dal d.lgs. n. 271 del 1999 e dal d.lgs. n. 272 del 1999.
Diritto
1. Preliminarmente, va osservato che i reati contravvenzionali di cui ai capi P) e Q) devono ritenersi prescritti, in quanto, pur tenendo conto delle cause di sospensione, il relativo termine di prescrizione risulta ma1turato in data 30 aprile 2021 (come riportato anche nella sentenza impugnata).
Il ricorso è infondato nel resto.
2. E' infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deduce che, in relazione alle lavorazioni da svolgere, non erano individuabili carenze organizzative, potendosi ritenere sufficiente la previsione di un breafing quotidiano all'inizio della giornata lavorativa, inerente a tutte le tipologie di opere da eseguire, in modo da informare tutti gli operatori sulle modalità operative da seguire, a prescindere da una procedimentalizzazione preventiva del lavoro di rimozione. Si rileva, pertanto, un'interruzione del nesso causale, in quanto l'infortunio non sarebbe riconducibile ad una mancata pianificazione delle "configurazioni generali", bensì alle modalità operative anomale prescelte, non rispettando la procedura nota a tutti gli operatori.
Va premesso che, ai sensi dell'art. 92, comma 1, lett. b), D.lgs n. 81 del 2008, durante la realizzazione dell'opera, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori:
- verifica l'idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all'art. 100, assicurandone la coerenza con quest'ultimo, ove previsto;
- adegua il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art.. 100 ove previsto, e il fascicolo di cui all'art. 91, comma 1, lettera b), in relazione: all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere;
- verifica che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza.
Al contempo, l'art. 91, comma 1, lett. a), D.lgs n. 81 del 2008 stabilisce che durante la progettazione dell'opera e, comunque, prima della richiesta di presentazione delle offerte, il coordinatore per la progettazione: a) redige il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100, comma 1, i cui contenuti sono dettagliata mente specificati nell'allegato XV.
Peraltro, già durante la vigenza della pregressa normativa di cui al d.l. 14 agosto 1996, n. 494, si era affermato che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori svolge non soltanto compiti organizzativi e di raccordo tra le imprese che collaborano alla realizzazione dell'opera, ma deve anche vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza (Sez. 4, n. 32142 del 14/06/2011, Goggi, Rv. 251177, relativa a fattispecie nella quale si contestava all'imputato, nella suddetta qualità, di avere omesso di vigilare - non essendo assiduamente presente in loco - sulla corretta applicazione delle prescrizioni del piano di sicurezza dallo stesso redatto: la Corte, pur non configurando un obbligo di presenza continuativa in cantiere, ha ritenuto che l'imputato, nel corso delle periodiche visite, avrebbe dovuto informarsi scrupolosamente sullo sviluppo delle opere, verificando specificamente, per ciascuna fase, l'effettiva realizzazione delle programmate misure di sicurezza, che erano risultate in concreto non approntate).
Il compito di controllo del coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori sull'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) che non preveda le modalità operative di una lavorazione in quota, non è limitato alla regolarità formale dello stesso e alla astratta fattibilità di tale lavorazione con i mezzi ivi indicati, ma si estende alla verifica della compatibilità di tale lavorazione con le concrete caratteristiche degli strumenti forniti e delle protezioni apprestate dall'impresa (Sez. 4, n. 2845 del 15/10/2020, dep. 2021, Martinelli, Rv. 280319; in applicazione del principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del coordinatore della sicurezza per il reato di lesioni colpose ai danni di un lavoratore caduto da un ponteggio nel corso della realizzazione della pavimentazione di un balcone privo di barriere protettive, per non avere sollecitato l'appaltatore alla messa a norma di tale ponteggio, pericoloso per carenze strutturali, eccessivo distanziamento dalla parete e carenza di interventi manutentivi).
La funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori, che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato - riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Paletti, Rv. 281489).
2.1. Ciò posto sui principi operanti in materia, va rilevato che il M.G. ricopriva, per la committenza, il ruolo di coordinatore in fase di esecuzione e, in quanto tale, era destinatario di una posizione di garanzia (precisamente di alta vigilanza) ed era addetto alla verifica dell'idoneità sotto il profilo prevenzionale del piano operativo di sicurezza (POS) delle varie ditte che eseguivano i lavori.
In ragione della carica rivestita, nella sentenza impugnata si è correttamente ritenuto integrato un profilo di colpa specifica per violazione dell'art. 92, comma 1, lett. b), d.lgs n. 81 del 2008, per omesso svolgimento della funzione di alta vigilanza assegnatagli e, precisamente, per non aver svolto:
a) il controllo e la valutazione dei rischi specifici connessi alle lavorazioni per ciascuna impresa;
b) una valutazione a monte dei singoli POS e la verifica della loro corrispondenza alle concrete necessità in tema di sicurezza;
c) l'accertamento, al momento dell'entrata della ditta subappaltata nel cantiere, dell'idoneità del relativo POS, come emergeva dal 9enerico riferimento nel documento ai POS delle imprese esecutrici del contratto;
d) una funzione di stimolo all'integrazione dei POS nelle parti mancanti;
e) un'attività di predisposizione dei POS con specifiche indicazioni in tema di taglio e di ancoraggio dei davit, in modo che non provocassero danni agli operai (al riguardo sussisteva solo una prassi dì fatto, consistente nella legatura del solo pezzo da tagliare, ma non del davit).
Ad avviso della Corte dì appello, l'imputato, pertanto, avrebbe dovuto valutare gli specifici rischi connessi all'attività lavorativa in questione, in quanto l'incombenza assegnatagli non poteva essere surrogata mediante preventivi meetings e riunioni tra i dipendenti degli appaltatori ai livelli operativi inferiori. Anche il documento di sicurezza e coordinamento e l'ulteriore documentazione richiamata dal ricorrente non disciplinavano il rischio specifico derivante dalle lavorazioni sul davìt.
La Corte dì appello ha logicamente ricollegato la morte del sub alla mancata predisposizione dell'esecuzione in sicurezza delle lavorazioni sul davit mediante preventiva stabilizzazione della struttura al corpo della nave, essendo prevedibile che, a causa dell'inabissamento parziale della stessa, le strutture metalliche ivi esistenti risultassero accartocciate e compresse, La situazione esistente, d'altronde, era ampiamente documentata dai filmati realizzati nel corso delle indagini per il naufragio della nave: la vittima, a causa di un movimento improvviso dello stesso davìt, che durante l'affondamento e il coricamento della nave sul lato destro sì era stz1ccato dai supporti originari, restava incastrata tra il cilindro incernierato alla struttura metallica e il davìt, per cui il peso era venuto a gravare interamente sul corpo del sub, causandone lo schiacciamento a livello del bacino con fratture e diffuse lesioni organi interni.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, pertanto, la vicenda non può essere ascritta al presunto inesatto posizionamento degli operai subacquei, ad errori nei soccorsi o altri fattori eccezionali ed imprevedibili. Tale ricostruzione alternativa degli eventi, peraltro, contrasta con le risultanze probatorie e, nonostante fosse stata disattesa in modo approfondito nelle sentenze di merito, non è neanche supportata da argomentazioni decisive e prospettabili in sede di legittimità.
In linea coi principi giurisprudenziali sopra esposti, la Corte territoriale ha ampiamente illustrato che la responsabilità del M.G., in qualità di coordinatore per la sicurezza e l'esecuzione dei lavori, non è stata affermata in ragione della mancanza di una concreta attività derivante dai rischi connessi al mancato ancoraggio del davit o dell'assenza di una vigilanza momento per momento delle lavorazioni; essa, invece, è stata coerentemente riconosciuta per l'omessa previsione relativa alle lavorazioni da eseguire per la rimozione dei davit, il cui disancoraggio rispetto alla parete della nave era fatto già noto, in quanto alcune riprese subacquee dell'ottobre 2013 evidenziavano il distacco. La rimozione dei davit, d'altronde, costituiva una delle operazioni principali ricomprese tra i lavori di smantellamento della nave.
Si trattava, pertanto, di una problematica di carattere generale, sicuramente conosciuta dal M.G., ed alla quale avrebbe dovuto rimediare, per quanto di sua competenza, procedimentalizzando il rischioso lavoro di rimozione dei davit; al contrario di quanto dedotto dalla difesa, la Corte territoriale ha ampiamente spiegato che non si versava in un'ipotesi di evenienza improvvisa, fronteggiabile praticamente in occasione del breafing quotidiano.
Al riguardo, occorre anche rilevare che la Corte di merito, con ampia ed articolata motivazione, ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni del teste P.DA., evidenziando che, contrariamente a quanto da lui riferito, non esisteva una prassi di procedere al preventivo fissaggio con una fune dei davit, dei quali invece era noto il distacco e che il M.G. avrebbe rimosso la corda di ancoraggio di sua iniziativa. Sul punto la Corte territoriale ha sottolineato che, dalle dichiarazioni delle persone informate sui fatti, emergeva che non era legato il davit, bensì il pezzo da tagliare, per favorirne il recupero, tanto vero che i primi soccorsi erano stati organizzati alla presenza dello stesso P.DA. sull'erroneo presupposto che il davit fosse fissato alla struttura della nave.
Il ricorrente si confronta solo parzialmente con tale approfondita spiegazione, evidenziando che altri testi avrebbero fornito dichiarazioni identiche a quelle del P.DA., mentre in realtà nessuno di loro riferiva di eventuali condotte maldestre della vittima o dell'esecuzione di un preventivo bloccaggio dei davit.
3. Anche il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce l'inapplicabilità delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 81 del 2008 alla fattispecie in esame, è infondato.
La difesa fa riferimento alla clausola di esclusione prevista dall'art. 88, lett. f), d.lgs n. 81 del 2008, secondo cui "le disposizioni del capo I del titolo IV", al cui interno si colloca anche l'art. 92, specificamente richiamato nel caso di specie, "non si applicano ai lavori svolti in mare"; secondo il ricorrente, l'art. 88 cit., in quanto norma di non univoca interpretazione (come riconosciuto dalla stessa Corte di appello), deve essere interpretata in senso favorevole all'imputato.
Preliminarmente, va rilevato che l'art. 3 d.lgs n. 81 del 2008 stabilisce al comma 1 che «Il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio» e al comma 4 che «Il presente decreto legislativo si applica a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi equiparati, fermo restando quanto previsto dai commi successivi del presente articolo».
Si tratta di una disposizione di carattere generale finalizzata ad estendere l'ambito di applicazione della disciplina sulla tutela della sicurezza del lavoratore a tutte le tipologie di attività e che non contiene esclusioni di particolari ambienti lavorativi e tanto più quello del lavoro in mare costituente oggetto del presente giudizio.
L'art. 88 d.lgs n. 81 del 2008 (collocata nel capo I, Titolo IV) stabilisce che «Il presente capo contiene disposizioni specifiche relative alle misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili quali definiti all'articolo 89, comma 1, lettera a). [...] Le disposizioni del presente capo non si applicano: [...] f) ai lavori svolti in mare [ ...]».
Come correttamente rilevato dai giudici di merito, la ratio di tale disposizione consiste nell'escludere dall'applicazione del capo I, Titolo IV solo i lavori svolti nelle navi in ragione della particolarità degli ambienti di lavoro.
La clausola di esclusione dell'art. 88 cit., infatti, ha senso in ambito interpretativo sistematico, ove il legislatore abbia sottratto alla disciplina comune un'area per affidarla a previsioni di carattere specialistico, non potendosi per contro ritenere che residuino vuoti normativi nell'ambito del settore antinfortunistico, storicamente sottoposto ad attenta tutela.
Le vicende in questione si svolgevano in un cantiere subacqueo e, cioè, in una situazione del tutto peculiare e non sovrapponibile ad un generico cantiere in mare, per cui la Corte toscana ha condiviso l'interpretazione del Tribunale, che aveva ritenuto di seguire l'imputazione che richiama l'art. 92 d.lgs n. 81 del 2008, inerente agli obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, senza applicare la clausola di esclusione dell'art. 88 cit..
La clausola di riserva prevista dall'art. 88 cit. per i "lavori in mare" concerne settori per i quali è prevista una disciplina specialistica: a) il d.p.r. n. 177 del 2011, riguardanti la qualificazione delle imprese e dei lavoratori in ambienti sospetti di inquinamento e confinanti a norma dell'art. 6, comma 8, lett. g), d.lgs 9 aprile 2008, n. 81 e, cioè cantieri a bordo delle navi; b) il d.lgs 27 luglio 1999, n. 272, in tema di adeguamento della normativa di sicurezza e di salute dei lavoratori nell'espletamento di operazioni e servizi portuali nonché di operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale, a norma della l. 31 dicembre 1991, n. 85 e, cioè all'interno dei porti.
In entrambi i casi sono regolamentati ambienti di lavoro diversi e non assimilabili al caso di specie (cantiere subacqueo).
Esula dall'inquadramento normativo del fatto oggetto di esame anche la disposizione specialistica UNI 11366 richiamata nel d.lgs n. 1 del 2014, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (cd. "decreto liberalizzazioni"). Per tutelare la salute degli operatori subacquei e del personale di assistenza, l'UNI ha pubblicato la nuova norma UNI 11366 "Sicurezza e tutela della salute nelle attività subacquee e iperbariche professionali al servizio dell'industria", la quale definisce i criteri e le modalità per l'esecuzione di attività subacquee ed iperbariche professionali al servizio dell'Industria, le caratteristiche delle attrezzature e degli equipaggiamenti utilizzati ed i requisiti di natura professionale che deve possedere il personale coinvolto, tali da garantire la sicurezza e la tutela della salute dei medesimi lavoratori durante l'espletamento delle attività. La norma fornisce indicazioni precise sulle modalità per la conduzione di operazioni subacquee: tali operazioni devono essere eseguite esclusivamente da personale qualificato ed esperto; le immersioni subacquee devono seguire precise ed indifferibili operazioni, che consentano il monitoraggio ed il contatto costante ed ininterrotto fra l'uomo immerso e la superficie: in caso di emergenza deve essere consentito il ritorno in superficie, o comunque in una situazione di sicurezza del personale impegnato direttamente nelle immersioni subacquee. Infine, è indispensabile l'utilizzo di attrezzature specifiche ed adatte alle varie situazioni di lavoro che il sommozzatore professionista deve affrontare nell'esecuzione di opere ed interventi subacquei.
La norma UNI 11366 descrive nel dettaglio come devono essere effettuate le operazioni subacquee ad esempio in basso fondale (da 0 a 50 metri di profondità), in alto fondale (oltre i 50 metri), con campana aperta, con immersione da un mezzo di posizionamento dinamico e per ciascuna delle tipologie indicate, la norma stabilisce l'equipaggiamento minimo necessario all'immersione. Si tratta dunque di un testo che raccoglie raccomandazioni e disposizioni di carattere squisitamente tecnico inidonee sul plano giuridico ad interferire con la disciplina prevista nel d.lgs n. 81 del 2008.
La norma UNI 11366, pertanto, non può essere considerata una norma specialistica di riferimento, consistendo in una sorta di linea guida tecnica, che in quanto tale può avere funzione integrativa ma non sostitutiva delle disposizioni dell'art. 92 d. lgs. n. 81 del 2008.
In conclusione la disciplina di cui al d.lgs. n. 81 del 2008 e, in particolare, dell'art. 92 d.lgs n. 81 del 2008, inerente agli obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori si applica anche alla fattispecie in esame di lavori subacquei di rimozione di un relitto.
4. Per tali ragioni la sentenza va annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione in relazione alle contravvenzioni di cui ai capi P) e Q), con conseguente necessità di eliminare le relative sanzioni pecuniarie (di euro seimila di ammenda complessive), rideterminando in anni uno di reclusione la pena finale per il delitto residuo, ai sensi dell'art. 620, lett. I), cod. proc. pen..
Il ricorso va rigettato nel resto.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio per prescrizione le contravvenzioni di cui ai capi P e Q e, per l'effetto, elimina le relative sanzioni pecuniarie rideterminando la pena finale in anni uno di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma il 16 febbraio 2022.