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Sentenza TAR Lazio n. 7586/2014 del 17.07.2014

Sentenza TAR Lazio n  7586 2014 del 17 07 2014

Sentenza TAR Lazio n. 7586/2014 del 17.07.2014

La sentenza del TAR Lazio n. 7586/2014 del 17.07.2014 ha determinato il reinserimento dell’area del territorio del Bacino del Fiume Sacco tra i Siti di Interesse Nazionale, pertanto la titolarità dei relativi procedimenti di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica è stata nuovamente attribuita al MATTM.

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Estratto

FATTO e DIRITTO

I. Con decreto dell’11.1.2013 il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha approvato l’elenco, riportato nell’allegato 1, dei siti che non soddisfano i requisiti di cui all’art. 252, comma 2, del D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dal comma 1 dell’art. 36 bis della legge n. 134/2012 e che pertanto non sono più compresi tra i siti di bonifica d’interesse nazionale (c.d. SIN), con conseguente trasferimento alle Regioni territorialmente interessate, che subentrano nella titolarità dei relativi procedimenti, della “competenza per le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica all’interno dei siti” stessi (di cui all’elenco citato). La contestazione mossa con i ricorsi di cui in epigrafe (che vanno riuniti per connessione oggettiva e soggettiva) involge il decreto predetto nella parte in cui non ricomprende più tra i siti di interesse nazionale quelli della “Valle del Fiume Sacco” e di “Frosinone”. Il ricorso della Regione Lazio (n. 5277/2013) riguarda specificamente il declassamento del sito del Bacino del Fiume Sacco. Il ricorso del Comune di Ceccano (n. 7561/2013), da parte sua, pur menzionando anche il sito di bonifica “Frosinone”, nella sostanza riguarda anch’esso, stando alle censure formulate e alle prospettazioni anche descrittive rese sul piano degli antecedenti normativi e provvedimentali, il solo sito del Bacino del Fiume Sacco (probabilmente in quanto considerato entità di rilievo assorbente poiché comprendente al suo interno il Comune di Ceccano e comunque parte del territorio già interessato dal sito della Provincia di Frosinone).
II. Ciò posto, va rimarcato che l'art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006 regola le procedura di bonifica di una particolare categoria di siti inquinati, i cosiddetti siti «d'interesse nazionale», ai quali il legislatore ha ritenuto opportuno dedicare una disciplina, diversa da quella ordinaria, proprio in considerazione della loro peculiare caratteristica di essere portatori di quello che è stato qualificato un «interesse nazionale», il quale, in quanto tale, travalica l'ambito locale e regionale.
In particolare, ai sensi del predetto art. 252, “i siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali” (primo comma).
Prosegue la norma precisando (comma 2) che “all'individuazione dei siti di interesse nazionale si provvede con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con le regioni interessate, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
a) gli interventi di bonifica devono riguardare aree e territori, compresi i corpi idrici, di particolare pregio ambientale;
b) la bonifica deve riguardare aree e territori tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
c) il rischio sanitario ed ambientale che deriva dal rilevato superamento delle concentrazioni soglia di rischio deve risultare particolarmente elevato in ragione della densità della popolazione o dell'estensione dell'area interessata;
d) l'impatto socio economico causato dall'inquinamento dell'area deve essere rilevante;
e) la contaminazione deve costituire un rischio per i beni di interesse storico e culturale di rilevanza nazionale;
f) gli interventi da attuare devono riguardare siti compresi nel territorio di più regioni;
f-bis) l'insistenza, attualmente o in passato, di attività di raffinerie, di impianti chimici integrati o di acciaierie”.
Ai sensi, poi, del comma 2 bis del medesimo articolo, “Sono in ogni caso individuati quali siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, i siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto”.
Va precisato che il comma 2 bis nonché la lettera f - bis) del comma 2 del predetto articolo 252 sono stati inseriti attraverso le modifiche ad esso apportate dall’art. 36 bis, comma 1, della legge n. 134/2012. Originariamente, infatti, la legge in materia ambientale individuava sei soli parametri (criteri direttivi) –ovvero quelli di cui alle lette da a) ad f) – sulla base dei quali definire i siti di interesse nazionale. Il menzionato art. 36 bis ha inoltre stabilito che “con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentite le regioni interessate, è effettuata la ricognizione dei siti attualmente classificati di interesse nazionale che non soddisfano i requisiti di cui all'articolo 252, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal comma 1 del presente articolo”. Il decreto ministeriale impugnato è attuativo di tale disposizione.
III. Ebbene, passando all’esame del ricorso proposto dalla Regione Lazio, vanno disattese anzitutto le eccezioni di inammissibilità formulate dal resistente Ministero dell’Ambiente (il quale peraltro con apposite memorie difensive controdeduce anche in punto di merito con riferimento ad entrambi i ricorsi in trattazione), dal momento che sussistono, per l’istante, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale, sia l’interesse a ricorrere che la legittimazione ad agire.
Invero, il sito del Bacino del Fiume Sacco ricomprende al suo interno 51 Comuni siti nelle province di Roma, Frosinone e Latina e dunque, in relazione alla vastità del territorio regionale interessato, è evidente la legittimazione della Regione Lazio, quale ente esponenziale della collettività di riferimento, ad insorgere per il rispetto della normativa primaria riguardante la ripartizione delle competenze individuata per la tutela dei valori ambientali connessi con detto territorio. E d’altra parte, l’Ente Regione è espressamente chiamato, dal comma 2 dell’art. 36 bis della legge n. 134/2012, a partecipare al procedimento per la ricognizione dei siti attualmente classificati di interesse nazionale. L’interesse procedimentale e la rappresentatività della collettività insediata sul territorio fondano e sostengono dunque anche l’interesse e la legittimazione al ricorso, tenuto conto che per valutazione tipizzata del legislatore la bonifica dei SIT (correttamente individuati e riconosciuti anche in sede ricognitiva) spetta allo Stato. La competenza alle attività di bonifica non può pertanto, senza che sussistano i presupposti per l’esclusione di un sito territoriale inquinato dal novero di quelli classificati di interesse nazionale, essere trasferita alle Regioni, così impedendo, oltretutto, che il sito stesso possa beneficiare di politiche strategiche, interventi e finanziamenti di cui i SIN possono godere a livello nazionale e comunitario in misura plausibilmente maggiore e più incisiva rispetto ai siti non compresi nell’elenco dei siti declassati. Ed in effetti il regime straordinario di cui all’art. 252 del Codice dell’Ambiente offre garanzie di interventi, rapidità e snellezza di procedure, notevolmente maggiori rispetto a quelle del regime ordinario di cui all’art. 242. Non può negarsi dunque la legittimazione e l’interesse della Regione ad insorgere per pretendere il rispetto delle competenze di legge, sia per finalità di miglior tutela dei valori ambientali (in conformità a quanto sancito dal legislatore statale), sia per evitare che oneri procedimentali e finanziari vengano addossati indebitamente all’Ente Regione con riferimento a valori che trascendono la limitata sfera degli interessi locali.
IV. Nel merito il Collegio reputa prioritario, fondato ed assorbente il motivo di ricorso n. 3 formulato dalla Regione Lazio, alla stregua delle considerazioni che seguono:
1) L’elemento determinante che ha portato, in sede di ricognizione nel D.M. 11.1.2013, all’esclusione del sito del Bacino del Fiume Sacco dal novero dei siti di interesse nazionale ai fini della bonifica è costituito dall’interpretazione che l’Amministrazione ha ritenuto di dover seguire con riferimento all’introduzione, per effetto della novella del 2012, fra i “principi e criteri direttivi” di cui all’art. 252 del D.Lgs. n. 152/2006, di quello sub lettera f-bis (“insistenza, attualmente o in passato, di attività di raffinerie, di impianti chimici integrati o di acciaierie”). Risulta nel decreto in impugnativa che la ricognizione è stata effettuata con esclusivo riferimento al riscontro di sussistenza o meno di tale requisito (oltre che di quello, da solo sufficiente alla caratterizzazione di un SIN, dell’interessamento da attività produttive o estrattive di amianto, ex comma 2 bis del sopracitato articolo);
2) Secondo l’Amministrazione, in sostanza, i siti di bonifica, come reiteratamente e chiaramente enunciato nel decreto del 2013, per poter continuare ad essere classificati di interesse nazionale, devono (a parte l’ipotesi dell’interessamento da attività produttive ed estrattive di amianto) soddisfare il requisito di cui alla lettera f-bis dell’art. 252 del D.Lgs. n. 152/2006. Al riguardo, in effetti, il Ministero ha condotto una ricognizione (di cui ad apposita relazione del 24.10.2012, depositata in atti dall’Avvocatura dello Stato) considerando quale “requisito scriminante” l’insistenza attualmente o in passato di attività di raffinerie, di impianti chimici integrati o di acciaierie. Il mancato riscontro di tale requisito, per un singolo sito (come appunto nella specie per il SIN di cui trattasi), è stato considerato circostanza da sola sufficiente per l’esclusione dal mantenimento della classificazione come SIN;
3) Peraltro, a parte gli assunti della Regione Lazio (dai quali si può prescindere per la delicatezza delle valutazioni tecnico discrezionali implicate) relativi alla insistenza, nel territorio del sito della Valle del Sacco, di impianti e attività quali quelle di cui alla ripetuta lettera f-bis, sta di fatto che il ragionamento del Ministero, ad avviso di questo Collegio, è erroneo in radice. In effetti l’art. 36 bis, comma 2, della legge n. 134/2012 predica la ricognizione degli attuali SIN alla stregua degli elementi caratterizzanti (tutti evidentemente) di cui al comma 2 dell’art. 252 del D.Lgs. n. 152/2006. Peraltro tali elementi e requisiti sono, con disposizione di base, definiti semplicemente “principi e criteri direttivi”, implicando quindi una valutazione discrezionale dell’Amministrazione ad essi bensì rapportata, ma correlata anche alla specificità di ogni singolo caso (e non dunque vincolata alla necessaria e simultanea compresenza di tutti quanti i parametri indicati dal ripetuto articolo) per il mantenimento della qualifica di SIN;
4) Il testo normativo non autorizza, in effetti, ad avviso del Collegio, una lettura tale da indurre a considerare, per la qualificazione di SIN, la presenza di tutte le circostanze cui l’art. 252 comma 2 predetto fa riferimento. La novella del 2012, con l’introduzione del requisito di cui al comma 2 bis, ha aggiunto un ulteriore parametro lasciando peraltro inalterati quelli preesistenti. Si tratta, in altre parole, di criteri che variamente combinati devono (o possono) portare l’Amministrazione a riconoscere quella grave situazione di compromissione e di rischio ambientali tale da implicare (a prescindere dalle cause che l’hanno determinata) il superiore interesse nazionale;
5) La norma applicata sembra anzi ampliare (piuttosto che restringere) le fattispecie dei territori potenzialmente rientranti nell’ambito dei siti di interesse nazionale, le cui procedure e/o opere di bonifica sono di competenza del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Conclusivamente, ad avviso del Collegio, l’insieme dei principi e dei criteri direttivi dettati dalla normativa per l'individuazione dei SIN non rappresenta un'elencazione di requisiti che ogni SIN deve possedere, come anche dimostrato ampiamente dall'applicazione pregressa che si è data alla normativa in questione, bensì un insieme di criteri per valutare la sussistenza della gravità dell'inquinamento del sito come richiesto dal comma 1 dell'art. 252. I principi e i criteri direttivi enunciati all'art. 252, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, concorrono alla individuazione dei SIN ma non vanno considerati quali requisiti che ogni sito deve possedere contemporaneamente. E questo in conformità sia allo spirito della normativa che alla concreta attuazione che negli anni ne è stata data.
La ricorrente in proposito richiama anche, senza alcuna controdeduzione in contrario da parte dell’Amministrazione, i lavori preparatori della legge n. 134/2012 (nel senso dell’ampliamento, ex art. 36 bis della legge n. 184/2012, delle ipotesi di individuazione dei SIN, e non già di riduzione). E d’altra parte è anche condivisibile in proposito l’assunto per cui, se veramente fosse necessaria, per l’individuazione (o il mantenimento) di un SIN, la necessaria compresenza di tutti i requisiti di cui al comma 2 dell’art. 252 del Codice dell’Ambiente, non si spigherebbe (se non alla stregua di una patente e reiterata illegittimità) l’inclusione nel novero dei SIN stessi di molteplici siti insistenti nel territorio di una sola Regione e quindi in contrasto con quanto richiesto dall’art. 252, comma 2, lettera f), del D.Lgs. n. 152/2006 medesimo.
IV. Il ricorso n. 5277/2013 va quindi accolto, sulla base delle superiori considerazioni e con assorbimento di ogni profilo di censura non esaminato, dovendosi annullare, per l’effetto e in parte qua, il DM 11.1.2013, con riferimento a quanto in esso disposto per il sito del Bacino del Fiume Sacco.
Ne consegue poi, trattandosi di annullamento in radice del DM in questione (anche se per la sola parte, evidentemente, afferente il territorio regionale incluso nel SIN del Bacino del Fiume Sacco), l’improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse del ricorso (n. 7561/2013) proposto avverso il medesimo atto dal Comune di Ceccano, non potendo non valere (date le ragioni dell’annullamento non limitate ad uno specifico territorio tra quelli della Regione Lazio inclusi nel SIN in questione) l’annullamento anche nei confronti del detto Comune ( e del relativo territorio incluso nel ripetuto SIN).
V. La delicatezza e particolarità delle questioni trattate induce peraltro il Collegio a compensare le spese tra tutte le parti (ricorrenti, Ministero ed interventori) delle cause instaurate con i ricorsi di cui in epigrafe.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, così decide:

- riunisce i ricorsi stessi;
- accoglie il ricorso n. 5277/2013 ed annulla, per l’effetto e in parte qua, il decreto impugnato dell’11.1.2013 ricomprendente il sito del Bacino del Fiume Sacco tra quelli non rispondenti ai requisiti ex art. 252 comma 2 del D.Lgs. n. 152/2006 come modificato dall’art. 36 bis della legge n. 134/2012;
- dichiara conseguentemente improcedibile il ricorso n. 7561/2013;
- compensa le spese tra le parti;
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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