Sentenza CP Sezione III n. 52636 del 20 novembre 2017
AMORESANO SILVIO
Relatore: MACRI' UBALDA
Data Udienza: 15/06/2017
1. Il Tribunale di Alessandria, con sentenza in data 6.10.2016, ha condannato R.O., con la riduzione per il rito, alla pena di € 4.000,00 di ammenda, oltre spese, per il reato di cui agli art. 110 c.p. e 29 quattordecies, comma 3, d. Lgs. 152/06 e successive modifiche, perché, in concorso con B.A., la cui posizione era già stata definita, ed in qualità di direttore tecnico con delega in materia ambientale presso l'insediamento produttivo della UVA S.p.A., sita in Novi Ligure (AL), strada Boscomarengo n. 1 (azienda avente ad oggetto sociale la produzione e la lavorazione di laminati piani a caldo, a freddo e rivestiti, nonché le lavorazioni metalliche in genere e la lavorazione di prodotti siderurgici od affini), non aveva osservato le prescrizioni imposte dalla Provincia di Alessandria con l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) emessa il 24.6.2009, specificamente indicate nei capo d'imputazione; fatti commessi in Novi Ligure ed accertati tra il 31.3.2014 ed il 28.5.2014.
2. Con il primo motivo di ricorso, l'imputato lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., laddove il Giudice aveva motivato l'inefficacia liberatoria della delega di funzioni rilasciata in data 28.3.2011 da esso stesso, in qualità di direttore tecnico dello stabilimento ILVA S.p.A. di Novi Ligure al B.A., delegato aziendale in tema di prescrizioni AIA, per la non rispondenza dello stabilimento ai criteri dimensionali e di necessaria complessità organizzativa elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di efficacia liberatoria della delega di funzioni nei confronti del delegante ex art. 16, comma 3, d. Lgs. 81/08.
Premette in fatto a) che in data 24.6.2009 la società aveva ottenuto PAIA da parte della Provincia di Alessandria; b) che nel corso di due controlli periodici, TARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) di Alessandria aveva constatato il superamento di alcuni valori massimi consentiti dal provvedimento autorizzativo, rispettivamente in data 31.3.2014 e 28.5.2014: nel primo caso, parametro di azoto nitroso N02 non conforme all'AIA (concentrazione accertata 0,90 mg/l su limite autorizzato 0,60 mg/l) a seguito del campionamento acque nel pozzetto di ispezione SDA2; nel secondo caso, parametro di ferro FE non conforme all'AIA (concentrazione accertata 359 mg/l su limite autorizzato di 200 mg/l), a seguito di campionamento acque su pozzo piezometrico PZ1 a monte dello stabilimento, parametri di ferro FE (concentrazione accertata 5.130 mg/l su limite autorizzato 200 mg/l), manganese MN (concentrazione 278 mg/l su 50 mg/l) e piombo PB (concentrazione 137 mg/l su 10 mg/l), non conformi all'AIA, a seguito di campionamento acque su pozzo piezometrico PZ2 a valle dello stabilimento; c) che, per i medesimi fatti, era stato tratto in giudizio ex art. 110 c.p. e 29quattordecies, comma 3, d. Lgs. 152/06 e successive modificazioni, unitamente al B.A., per l'appunto responsabile del settore distribuzione energia e fluidi, trattamento acque industriali, con delega in materia di tutela dell'ambiente esterno ed in materia di prevenzione dei fenomeni di inquinamento di qualsiasi tipo presso l'insediamento produttivo ILVA S.p.A. di Novi Ligure; d) che il delegato, suo concorrente nel reato, aveva avuto accesso all'oblazione ex art. 162 c.p., mentre egli, a seguito di giudizio abbreviato condizionato, era stato dichiarato colpevole del reato ascrittogli.
Chiarisce, inoltre, a) che il Commissario straordinario dell'ILVA, in carica all'epoca, dott. E.B. nell'ambito di una revisione societaria del sistema di deleghe e procure, aveva provveduto ad individuarlo come datore di lavoro ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2, lett. b), d. Lgs. 81/08 con tutti gli oneri ed obblighi connessi alla carica, anche in tema di tutela ambientale, attraverso l'ordine di servizio del 3.12.2013; b) che egli con atto notarile del 24.2.2014, aveva nominato il B.A. responsabile degli adempimenti connessi all'applicazione del d. Lgs. 152/06; c) che, quindi, all'epoca dei fatti, era datore di lavoro e non già delegato alla tutela ambientale, laddove il Giudice aveva erroneamente definito sub-delega e non delega l'atto con cui aveva nominato il B.A. responsabile; d) che il Giudice aveva dapprima accertato la perfetta validità del sistema di deleghe attuato nello stabilimento, stante il rispetto di tutti i criteri sanciti dall'art. 16 d. Lgs. 81/08 per poi decretarne apoditticamente ed immotivatamente l'inefficacia liberatoria per mancanza del requisito, elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di validità della delega di funzioni, della necessaria complessità organizzativa, al fine di esonerare il delegante dalla responsabilità penale che residuava in capo al medesimo ovvero il residuo profilo di culpa in vigilando di cui all'art. 16, comma 3, d. Lgs. 81/08.
Opina che la valutazione circa la dimensione dell'impresa in Italia, come in Europa, trattandosi di materia puramente tecnica, non poteva essere lasciata alla libera determinazione del Giudice ma doveva sempre ricollegarsi alle linee guida delle norme extra-penali che disciplinavano in modo compiuto l'attività produttiva industriale. Il decreto del Ministero delle Attività Produttive n. 18/05 ed il d. Lgs. 123/98 fornivano all'uopo le necessarie indicazioni per la determinazione della dimensione aziendale dei siti produttivi su territorio nazionale, al fine di accedere all'erogazione di aiuti pubblici. In particolare, l'art. 2, comma 1, d.m. 18/05 stabiliva che la categoria delle piccole e medie imprese (PMI) era costituita da imprese con meno di 250 occupati ed un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro oppure un bilancio annuo non superore a 43 milioni di euro. Il Giudice, in maniera apodittica e non argomentata, aveva ritenuto invece che lo stabilimento di Novi Ligure non presentasse un'organizzazione altamente complessa ed una peculiare strutturazione della gerarchia delle responsabilità trattandosi di un unico stabilimento, sebbene dalla visura della società, acquisita all'esito del rito abbreviato condizionato, emergesse una struttura organizzativa altamente complessa con un organigramma che presentava più di 20 aree di competenza amministrativa con altrettante sotto-aree operative, per una media di personale occupato, indicata in modo non esaustivo in circa 800 dipendenti l'anno (776 nel 2014, anno delle violazioni contestate) dislocati su una superficie di mq 972.747,00. Tale realtà di assoluta complessità organizzativa, occupazionale e gerarchica dello stabilimento in oggetto era emersa anche dalla deposizione del B.A. nell'interrogatorio del 20.5.2016, relativa ad altro procedimento penale, ma acquisito al fascicolo del giudizio abbreviato condizionato per ragioni difensive, nel quale il delegato aveva dichiarato di avere, alle sue dipendenze, circa 40 persone, per ciò che riguardava solo l'area dei sistemi ausiliari. Il Giudice erroneamente aveva ritenuto che, nel caso in esame, non ricorresse quella situazione tipizzata dalla giurisprudenza, di particolare complessità organizzativa per gli effetti della quale la delega era in sé idonea a mandare esente da responsabilità il delegante, sul falso presupposto che, in tal caso, si trattava di un singolo stabilimento dell'ILVA S.p.A. e quindi non di tutta l'ILVA, come se un ramo d'azienda non potesse essere di per sé considerato complesso, in quanto ramo d'azienda e non azienda capostipite (così in ricorso).
Con il secondo motivo, lamenta, in via subordinata, la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., laddove gli erano stati ascritti profili di culpa in vigilando per non aver ottemperato all'obbligo di vigilanza sul corretto espletamento dei compiti delegati, con un passaggio motivazionale del tutto apodittico e non argomentato. Per ciò che concerneva l'accertamento dell'elemento psicologico, l'iter logico era stato il seguente: a partire dalla violazione delle prescrizioni in materia di AIA da parte del delegato, la culpa in vigilando del delegante si presumeva in maniera invincibile per il solo fatto delle avvenute violazioni. Secondo il ricorrente, tale ricostruzione argomentativa era illogica perché a) portava ad una responsabilità penale oggettiva, b) si trattava di eventi episodici dovuti a circostanze particolari, posti sotto l'esclusiva signoria decisoria e di un intervento del soggetto delegato all'ambiente, non previsti né prevedibili, prima dei quali e dopo i quali non si erano ravvisati né da parte dell'ARPA, né in sede di autocontrollo, sforamenti del valore-limite di cui al provvedimento autorizzativo: l'AIA era stata rilasciata il 24.6.2009 e le uniche violazioni, con riferimento ai parametri di cui al capo d'imputazione, erano state proprio quelle oggetto del processo. Chiede pertanto l'annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
3. Il ricorso è fondato
3.1. Con riferimento al primo profilo della delega di funzioni, il Giudice non ha fatto buon governo dei principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità secondo cui il criterio oggettivo dimensionale che giustifica la delega non va inteso in senso quantitativo bensì qualitativo, avuto riguardo alla complessità degli impegni e compiti da assolvere. Uno spunto in tal senso è già in Cass., Sez. 3, n. 28126/04, Carraturo, non massimata, che ripercorre l'elaborazione del tema e gli approdi fino a quel momento raggiunti, ma più raffinata nel ragionamento è Cass., Sez. 3, n. 27862/15, Rv 264197, PM in proc. Molino, secondo cui, addirittura, in tema di reati ambientali, non è più richiesto, per la validità e l'efficacia della delega di funzioni, che il trasferimento delle stesse sia reso necessario dalle dimensioni dell'impresa o, quanto meno, dalle esigenze organizzative della medesima, attesa l'esigenza di evitare asimmetrie con la disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la quale, a seguito della entrata in vigore dell'art. 16 del d.Lgs. n. 81 del 2008, non contempla più tra i requisiti richiesti per una delega valida ed efficace quello delle "necessità"; fattispecie in tema di reato previsto dall'art. 29 quattordecies del d. Lgs. n. 152 del 2006. Si deve ritenere che tale più recente orientamento abbia ormai superato la precedente impostazione della stessa Sezione che con sentenza n. 46710/13, Rv 257860, Antista, aveva affermato in tema di disciplina penale dei prodotti alimentari, che la delega di funzioni poteva operare quale limite della responsabilità penale del legale rappresentante della impresa solo laddove le dimensioni aziendali fossero state tali da giustificare la necessità di decentrare compiti e responsabilità, ma non anche in caso di organizzazione a struttura semplice. Peraltro, parimenti interessante sul tema è la sentenza della Sezione 4, n. 39158/13, Rv 256878, Zugno e altri, per la quale in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa una persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, fermo restando, comunque, l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive.
Orbene, nel caso di specie, è anche dubbia la valutazione compiuta in concreto sul requisito dimensionale dal Giudice, il quale sembra aver omesso di considerare che il fatto si è verificato in uno stabilimento di circa 800 dipendenti ed esteso per quasi un milione di metri quadrati. Né rileva che si tratti di un ramo d'azienda o di una società del gruppo (punto non adeguatamente esplorato), perché - si ripete - la valutazione deve essere condotta in concreto sulle esigenze organizzative dell'impresa, intese per giunta secondo un'accezione qualitativa e non quantitativa.
Inoltre, il Giudice adombra, a mezzo dell'introduzione di un argomento che sembrerebbe sovrabbondante nell'economia decisionale, la possibilità di un divieto di subdelega che non si riscontra nella normativa che ha ritenuto di applicare analogicamente, perché il comma 3bis dell'art. 16, d. Lgs. 81/08, come introdotto dall'art. 12, comma 1, d. Lgs. 106/09, ammette espressamente la sub-delega, siccome il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro, delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2; la delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite; il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate. Ne consegue che anche rispetto al suddetto profilo, l'indagine in fatto sui rapporti tra il commissario, l'imputato ed il B.A. avrebbe dovuto essere più penetrante, individuando il datore di lavoro ed entrando nel merito dell'atto di delega.
3.2 Con riferimento al secondo profilo relativo alla culpa in vigilando, la motivazione della sentenza impugnata è apodittica anche nella parte relativa alla valutazione dell'eccezionalità ed imprevedibilità dell'evento, su cui non è stato effettuato alcun accertamento specifico, sebbene nell'interrogatorio del B.A. in altro procedimento, acquisito al fascicolo del dibattimento, questi abbia affermato che la non conformità risultata nei controlli relativamente al parametro dei tensioattivi totali era dovuta a cause eccezionali ed imprevedibili.
3.3. Si impone pertanto l'annullamento con rinvio al Tribunale di Alessandria per un nuovo esame delle questioni evidenziate.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Alessandria.
Così deciso, il 15 giugno 2017
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