Sentenza Cons. Stato, Sez. II n. 1923 del 18 marzo 2020
ID 13907 | 05.07.2021
Ambiente - Attività di produzione di emulsioni e conglomerati bituminosi - Classificazione di una ditta come industria insalubre di prima classe.
1.- Con atto d’appello notificato al Comune di Marmirolo e alla Provincia di Mantova il 20 febbraio 2012 e depositato il 6 marzo 2012 la ditta **** (che alla data dell’atto impugnato in primo grado esercitava attività di produzione di emulsioni e conglomerati bituminosi) ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia, n. 1024/2011, depositata l’8 luglio 2011, la quale ha respinto, con condanna alle spese, il ricorso n. 329/2003, proposto dall’appellante per l’annullamento, con gli atti connessi, del provvedimento del Responsabile comunale 14 gennaio 2003, n. 650, avente ad oggetto la classificazione dell’insediamento produttivo della società appellante come industria insalubre di prima classe.
Il ricorso di primo grado contestava al Comune:
- la violazione degli artt. 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto l’Amministrazione comunale non aveva comunicato l’avvio del procedimento;
- la violazione degli artt. 102 e seguenti del regio decreto 3 febbraio 1901, n. 45, dell’art. 216 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché eccesso di potere sotto i profili del difetto di istruttoria e della carenza di motivazione, in quanto la classificazione dell’insediamento produttivo come industria insalubre di prima classe era stata disposta prescindendo da una puntuale e concreta verifica circa l’effettiva pericolosità dell’attività svolta;
- la violazione, sotto altro profilo, degli artt. 102 e seguenti del regio decreto n. 45/1901 e dell’art. 216 del regio decreto n. 1265/1934, nonché eccesso di potere sotto i profili del travisamento e della contraddittorietà, in quanto nel caso di specie non sussistevano i presupposti per operare detta classificazione, essendo l’insediamento produttivo della società ricorrente ubicato all’esterno del centro abitato, in zona agricola; e inoltre gli enti preposti alla tutela igienico-sanitaria si erano pronunciati favorevolmente circa lo svolgimento dell’attività produttiva in loco e lo stesso Comune di Marmirolo aveva rilasciato il nulla osta per l’esercizio dell’attività medesima.
L’appello contesta con varie argomentazioni il rigetto del secondo motivo di primo grado, l’assorbimento del terzo motivo, il rigetto del primo.
In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 14 marzo 2017 parte appellante ha depositato, in data 31 maggio 2017, domanda di fissazione di udienza.
Con memoria depositata il 16 gennaio 2020 l’appellante ha ribadito e integrato i propri assunti.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 18 febbraio 2020.
2. - L’appello non è fondato.
2.1 - Va precisato in primo luogo che da un punto di vista strettamente giuridico-lessicale non è corretto affermare che un provvedimento comunale possa classificare un’attività come industria insalubre di prima classe.
Ciò in quanto l’indicazione e classificazione delle attività industriali pericolose per la salute non è effettuata dagli enti di riferimento territoriale bensì, ai sensi dell’articolo 216 del testo unico delle leggi sanitarie (regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265), da apposito decreto ministeriale, che attualmente – così come alla data di riferimento - è il decreto ministeriale 5 settembre 1994 (“Elenco delle industrie insalubri di cui all’art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie”).
È quel decreto che, quanto alla vicenda in esame, indica nell’ ”Elenco delle industrie insalubri”, alla Parte I (“Industrie di prima classe”), Sezione B) (“Prodotti e materiali - e fasi interessate dell’attività industriale”), n. 13), le seguenti attività: “Asfalti e bitumi, scisti bituminosi, conglomerati bituminosi: distillazione, preparazione, lavorazioni”.
Con riferimento all’attività dell’impresa appellante risulta con evidenza, ed invero è incontestato, che l’attività di produzione di emulsioni e conglomerati bituminosi è ricompresa fra quelle insalubri di prima classe testé indicate.
L’indicazione del decreto ministeriale non ha valore indiziario di potenziale insalubrità dell’attività considerata, superabile da un diverso accertamento concreto, ma mira a individuare con certezza le specie di attività riconducibili alla categoria delle industrie insalubri (v. Cons. Stato, Sez. V, 19 marzo 2007, n. 1307).
L’appello richiama un precedente orientamento giurisprudenziale dello stesso Tar (v. sentenza 5 giugno 2001, n. 415), che sarebbe di segno opposto, e non citato né valutato dalla sentenza appellata. Ma a ben vedere anche quella sentenza n. 415/2001 dà atto della funzione ministeriale, a monte, di “astratta individuazione di una attività produttiva come insalubre” salve le “verifiche in sede locale circa l’effettiva nocività di strutture ed impianti adibiti all’attività medesima, da valutarsi avendo riguardo sia al contesto ambientale nel quale l’attività si svolge, sia alla eventuale attivazione di soddisfacenti misure di salvaguardia”; verifiche che non risultano escluse né dalla sentenza appellata né dall’atto impugnato in primo grado.
Parimenti, le due pronunce giurisprudenziali richiamate nella memoria conclusiva dell’appellante non ne supportano gli assunti. Infatti la prima pronuncia (Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2005, n. 1613) riguarda la diversa fattispecie in cui un Comune aveva modificato l’originaria classificazione di un impianto, già ricompreso tra le lavorazioni ascritte alla seconda classe dal decreto ministeriale 2 marzo 1987 (cui ha fatto seguito il citato decreto ministeriale 5 settembre 1994 ora in esame), ascrivendola alla categoria delle industrie insalubri di prima classe; mentre la seconda delle richiamate pronunce (Tar Veneto, 3 dicembre 2003, n. 6004) richiama non la classificazione ministeriale ma il dovere dell’autorità amministrativa di accertare direttamente in sede locale l’esistenza in concreto di siffatta potenzialità; dovere incontestabile, ma ininfluente sulla classificazione ministeriale (v. infra il capo 2.2).
A fronte della palese ascrivibilità dell’attività dichiarata dalla stessa appellante alla Parte I (“Industrie di prima classe”), Sezione B) (“Prodotti e materiali - e fasi interessate dell’attività industriale”), n. 13), del citato ”Elenco delle industrie insalubri” la “classificazione” da parte del Comune era atto dovuto; e il relativo provvedimento assumeva natura non di classificazione ma di dichiarazione di rispondenza dell’industria alle caratteristiche dell’elenco, con eventuale indicazione delle relative incombenze e/o obblighi.
Risulta dunque corretta l’impostazione della sentenza appellata e infondate le relative censure d’appello.
2.2 - Alla luce della portata del citato decreto ministeriale 5 settembre 1994 e dell’incontestato oggetto dell’attività industriale dell’appellante risultano da respingere anche le considerazioni del terzo motivo di primo grado, che l’appello lamenta erroneamente assorbite dal Tar.
Il richiamo fatto dal ricorrente all’articolo 216 del regio decreto n. 1265/1934 e segnatamente al suo quinto comma (“Un’industria o manifattura la quale sia iscritta nella prima classe, può essere permessa nell’abitato, quante volte l’industriale che l’esercita provi che, per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato”), la collocazione dell’attività industriale della ricorrente al di fuori del centro abitato, l’assenza di provvedimenti inibitori da parte del Comune, con trasferimento dell’azienda, il rilascio di un nulla osta all’esercizio dell’attività, non mutano i termini della questione: l’attività **** di produzione di emulsioni e conglomerati bituminosi risultava sempre da ascrivere, per effetto del citato articolo 216 e del relativo decreto ministeriale di attuazione, alle attività industriali insalubri di prima classe.
A fronte dell’automatica classificazione - da parte del citato decreto ministeriale e non previa deliberazione da parte del Comune - dell’attività dell’appellante fra quelle insalubri di prima classe risulta superflua, conformemente a quanto ritenuto dalla sentenza appellata, anche una comunicazione di avvio del procedimento.
E se, come evidenziato dall’appellante, l’art. 216, quinto comma, del testo unico n. 1265/1934 prevede che l’imprenditore, partecipando al procedimento, possa dimostrare che la propria attività, per l’adozione di particolari accorgimenti tecnici o speciali cautele, non reca pregiudizio alla salute pubblica, ciò è previsto espressamente dalla norma non per mutare la classificazione dell’industria insalubre ma per consentirne un eventuale esercizio compatibile con la suddetta salute pubblica.
3.- L’appello va dunque respinto.
Nulla per le spese del grado, non essendovi costituzione avversaria.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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