Patti lateranensi (Concordato Stato-Chiesa)
In allegato i testi originali
Patti lateranensi 1929
Legge 27 maggio 1929, n. 810
Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929 - VII.
(GU n.130 del 5-6-1929)
REGIO DECRETO 27 maggio 1929, n. 851.
Norme per la esecuzione della Convenzione finanziaria con la Santa Sede
(GU n.130 del 5-6-1929)
L'11 febbraio del 1929, l’Italia e la Santa Sede firmarono la pace dopo circa sessant’anni dall’occupazione di Roma ad opera dell’esercito italiano. Il Papa di allora, Pio IX, si autorecluse in Vaticano: fu il 163° e ultimo sovrano, l’ultimo Papa-Re, dello Stato Pontificio, creato più di mille anni prima. Dopo di lui, sia Pio X che Benedetto XV si comportarono come “prigionieri politici”. L’elezione di Pio XI (a ridosso della Marcia su Roma) segnò l’inizio di una nuova politica della Santa Sede, fino a sanare l’offesa della Breccia di Porta Pia.
I Patti Lateranensi consistono in tre distinti documenti:
- il Trattato riconosce l'indipendenza e la sovranità della Santa Sede che fondava lo Stato della Città del Vaticano;
- il Concordato che definiva le relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa e il Governo (prima d'allora, cioè dalla nascita del Regno d'Italia, sintetizzate nel motto: «libera Chiesa in libero Stato»). Il rapporto precedente (regolato dalla Legge delle Guarentigie), nel quale ancora vigeva la norma del giuramento dei nuovi vescovi al Governo italiano, l'unico vescovo che non era obbligato a giurare fedeltà all'Italia era colui che fa le veci del Pontefice nella sua qualità di vescovo di Roma, cioè il cardinale vicario. Questa eccezione alla regola, che appariva nel Concordato, era stata prevista proprio in segno di rispetto dell'indipendenza del Papa da parte dell'Italia. Il suo vicario non deve essere sottoposto al giuramento, perché rappresenta il vescovo effettivo della città di Roma cioè il Papa. Il governo italiano acconsentì di rendere le sue leggi sul matrimonio e il divorzio conformi a quelle della Chiesa cattolica di Roma e di rendere il clero esente dal servizio militare. I Patti garantirono alla Chiesa il riconoscimento del cattolicesimo quale religione di Stato in Italia, con importanti conseguenze sul sistema scolastico pubblico, come l'istituzione dell'insegnamento della religione cattolica, già presente dal 1923 e tuttora esistente seppure con modalità diverse. Il capoverso dell'articolo 1 del Concordato riconosceva anche il carattere sacro della città di Roma, sostituito, all'articolo 2.4 degli accordi di villa Madama, dal riconoscimento del "particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità"
- la Convenzione finanziaria che prevedeva un risarcimento di 750 milioni di lire a beneficio della Chiesa; regolava cioè le questioni sorte dopo le spoliazioni degli enti ecclesiastici a causa delle leggi eversive. È stata inoltre prevista l'esenzione, al nuovo Stato denominato «Città del Vaticano», dalle tasse e dai dazi sulle merci importate e il risarcimento di "1 miliardo e 750 milioni di lire e di ulteriori titoli di Stato consolidati al 5 per cento al portatore, per un valore nominale di un miliardo di lire" per i danni finanziari subiti dallo Stato pontificio in seguito alla fine del potere temporale;
Revisione Patti Lateranensi 1984
Legge 25 marzo 1985, n. 121
Ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede. (GU n.85 del 10-4-1985 - S.O. n. 28)
Il 18 febbraio del 1984, a Roma, a Villa Madama, l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi firmò la revisione dei Patti Lateranensi. Il Nuovo Concordato apportava sostanziali modifiche a quello firmato nel 1929. Scatenò polemiche roventi, come sempre accade quando si fa una qualsiasi riforma, ma Craxi s’era premunito in tempo e circa un mese prima aveva fatto approvare dal Parlamento il pieno «mandato al governo italiano di procedere alla trattativa con la Santa Sede per i rapporti tra Stato e Chiesa». A dire sì fu anche il Pci; i voti contrari si contarono in poche decine.
Erano anni che i governi italiani provavano a “modernizzare” i rapporti con la Santa Sede. Dalla fine del secondo conflitto mondiale in poi, erano cambiate parecchie cose: i Patti Lateranensi firmati da Benito Mussolini erano stati inclusi nella Costituzione italiana per metterli al riparo da colpi di mano parlamentari, ma una riforma era sentita necessaria da quasi tutti i partiti. Dal 1967, dal governo Moro in poi, furono fatti parecchi tentativi da parte della DC a partire da Fanfani e Andreotti, ma senza risultati. È con il primo governo socialista nonché con il primo presidente socialista della Repubblica che parte l’iter definitivo.
Il Nuovo Concordato prevedeva, fra l’altro, l’abolizione della qualifica di “religione di Stato” riconosciuta alla religione cattolica nel 1929, la cancellazione dell’obbligo dell’insegnamento della religione nelle scuole e la fine della “congrua” cioè dello stipendio che lo Stato era obbligato dal vecchio Concordato a dare ai sacerdoti. Erano previste anche l’istituzione di scuole e la parificazione delle stesse alle scuole pubbliche e la parificazione delle qualifiche e dei diplomi ottenuti nelle scuole ecclesiastiche.
Per compensare le perdite economico-finanziarie, a decorrere dal 1989 fu consentito (alle persone fisiche) di dedurre dal proprio reddito complessivo fino a due milioni di lire a favore dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana e nel 1990 entrò in vigore un meccanismo che consentiva e consente di devolvere alla Chiesa una percentuale (l’8 per mille) di gettito Irpef.
L’Accordo che modificò il Concordato del 1929 è sostanzialmente di facile lettura. Invece il Protocollo aggiunto è materia per esperti, in quanto ciascun articolo richiama articoli, norme e paragrafi di altri testi di legge. C’è però un dato che compare anche agli occhi di un giurista dilettante ed è la profonda rivoluzione che con il Nuovo Concordato la Chiesa porta a termine al proprio interno.
Per esempio: «Il patrimonio degli ex economati dei benefici vacanti e dei fondi di religione di cui all’articolo 18 della legge 27 maggio 1929, n. 848, del Fondo per il culto, del Fondo di beneficenza e religione nella città di Roma e delle Aziende speciali di culto, denominate Fondo clero veneto – gestione clero curato, Fondo clero veneto – gestione grande cartella, Azienda speciale di culto della Toscana, Patrimonio ecclesiastico di Grosseto, è riunito dal 1° gennaio 1987 in patrimonio unico con la denominazione di Fondo edifici di culto». O ancora: «Con il decreto di erezione di ciascun Istituto sono contestualmente estinti la mensa vescovile, i benefici capitolari, parrocchiali, vicariali curati o comunque denominati, esistenti nella diocesi, e i loro patrimoni sono trasferiti di diritto all’Istituto stesso, restando peraltro estinti i diritti attribuiti ai beneficiari dal canone 1473 del codice di diritto canonico del 1917».
Per l’entrata in vigore del Nuovo Concordato, non fu necessario chiedere il parere al popolo italiano (le riforme costituzionali debbono essere approvate con referendum se in Parlamento non hanno ottenuto la maggioranza assoluta) e non lo sarà nemmeno in seguito perché contestualmente fu istituita una Commissione paritetica, con il potere di decidere su aggiustamenti e quant’altro escludendo così un voto referendario.
Modifiche:
04/11/1929
REGIO DECRETO-LEGGE 3 ottobre 1929, n. 1882 (in G.U. 04/11/1929, n.256), convertito senza modificazioni dalla L. 30 dicembre 1929, n. 2328 (in G.U. 31/01/1930, n. 25)
10/02/1982
La Corte costituzionale, con sentenza 22 gennaio 1982, n. 18 (in G.U. 10/02/1982 n. 40) ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1.