Protocollo di intesa per la tutela della salute lavoratori negli ambienti confinati

 Protocollo di intesa per la tutela della salute lavoratori negli ambienti confinati

Protocollo di intesa per la tutela della salute lavoratori negli ambienti confinati / Regione Toscana 2023

ID 20377 | 11.09.2023 / In allegato

Approvazione schema “Protocollo di intesa per la tutela della salute e la prevenzione degli infortuni dei lavoratori negli ambienti confinati e/o a possibile sospetto di inquinamento” (Delibera Regione Toscana n.783 del 10 luglio 2023)

In allegato:

- Delibera RT n.783 del 10 luglio 2023
- Allegato A1 - Comunicazione presenza ambienti confinati
- Allegato A2 - Comunicazione lavori ambienti confinati
- Allegato A - Schema protocollo tutela salute e prevenzione infortuni dei lavoratori negli ambienti confinati

[panel]Schema protocollo tutela salute e prevenzione infortuni dei lavoratori negli ambienti confinati

Art. 1 Premesse

1. Le premesse costituiscono parte integrante del presente protocollo d’intesa, di seguito chiamato “Protocollo”.

Art. 2 Soggetti incaricati e finalità del protocollo

1. I soggetti firmatari del presente atto convengono che:

a) i soggetti incaricati delle comunicazioni per l’individuazione in via preventiva, degli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento presenti sul territorio regionale e delle attività lavorative in essi svolte, sono i datori di lavoro/committenti che si avvalgono di propri addetti o di altre aziende esecutrici o di lavoratori autonomi in conformità di quanto previsto dal DPR 177/2011;

b) saranno trasmesse dai soggetti sopra individuati due comunicazioni necessarie alla conoscenza degli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento in via preventiva per l’approntamento di un pronto ed efficace intervento di soccorso, coordinato fra i Vigili del fuoco e gli operatori del soccorso sanitario, da attivare attraverso il Numero Unico di Emergenza Europeo (NUE 112), qualora si verificassero incidenti in tali ambienti;

c) le comunicazioni preventive di cui agli allegati n. 1 e 2 del presente protocollo costituiscono per i datori di lavoro/committenti un adempimento idoneo a realizzare un’efficiente ed efficace organizzazione dei necessari rapporti con i servizi pubblici in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza, secondo quanto previsto dall’art. 43 c. 1 lett. a) del D. Lgs 81 del 2008 e dall’art. 3 c. 3 del DPR 177/2011;

d) l’ invio telematico attraverso il portale del Sistema Informativo della Prevenzione Collettiva (SISPC) dell’allegato n. 1 “Comunicazione presenza ambiente confinato o a possibile sospetto di inquinamento” e n. 2 “Comunicazione preventiva esecuzione lavori in ambienti confinati o a possibile sospetto di inquinamento”, si avvale dell’uso diretto delle interfacce applicative che consentono l’immissione controllata dei dati, favorendo altresì il loro riutilizzo per la conoscenza del tessuto produttivo e per la predisposizione di interventi mirati per la prevenzione dei fenomeni infortunistici nonché per lo svolgimento di attività formative e informative mirate a cura delle PARTI;

e) scopo ulteriore del presente Protocollo è quello di promuovere iniziative di informazione, formazione e assistenza in materia di lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati (artt. 66121 Dlgs 81/2008, art. 1 del DPR 177/2011), nonché di incentivare e monitorare l’utilizzo delle comunicazioni preventive meglio descritte al successivo art. 3.

Art. 3 Procedure e allegati

1. Al fine del raggiungimento di un elevato grado di efficienza e tempestività del soccorso in caso di incidente è necessaria una conoscenza preventiva della presenza di ambienti confinati e/o a sospetto di inquinamento, delle loro caratteristiche e delle imprese che vi eseguono le lavorazioni.

Pertanto è richiesta la compilazione e l’invio telematico delle schede tecniche di cui agli allegati 1 e 2 del presente protocollo, che saranno predisposte per la compilazione sul portale del Sistema Informativo della Prevenzione Collettiva (SISPC), ove sarà possibile trovare tutte le relative informazioni per l’accesso al sistema:

a) l’Allegato 1 - scheda tecnica “Comunicazione presenza ambiente confinato e/o a possibile sospetto di inquinamento” riguarda la descrizione dell’ambiente confinato e/o a possibile sospetto di inquinamento individuato all’interno di un luogo di lavoro, riportando con tutte le informazioni sulle caratteristiche fisiche e di possibile inquinamento che si rendano necessarie per un eventuale intervento di soccorso.
Il datore di lavoro/committente comunica la presenza nella propria azienda di un ambiente confinato e/o a possibile sospetto di inquinamento e le sue caratteristiche attraverso l’invio telematico della predetta scheda tecnica, con le modalità specificate al primo comma, invio da aggiornare ogni qualvolta vi sia una variazione dei dati precedentemente trasmessi. L’ambiente confinato deve comunque essere indicato nel DVR sulla base di quanto indicato dalla normativa vigente.

b) l’Allegato 2 – scheda tecnica “Comunicazione preventiva esecuzione lavori in ambienti confinati e/o a possibile sospetto di inquinamento”, è comprensivo di tutte le informazioni relative ai tempi, alle modalità dei lavori che debbano svolgersi e dei dati relativi alle imprese e ai lavoratori che intervengono in tali ambienti. Questo per permettere una verifica delle certificazioni necessarie per l’espletamento di tali lavorazioni ai fini della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e per l’approntamento delle modalità e dei mezzi necessari per un pronto ed efficace intervento in caso di necessità.
Quando sono in programma lavorazioni all’interno di ambienti confinati e/o a possibile inquinamento, il datore di lavoro/committente comunica, almeno tre giorni prima del loro inizio, salvi i casi di necessità e di urgenza che richiedano interventi tempestivi e/o non programmabili, le informazioni di cui sopra attraverso l’invio telematico della predetta scheda tecnica, con le modalità specificate all’art. 2, c. 2.
In caso di lavorazioni ripetute ciclicamente negli ambienti confinati e/o a possibile sospetto di inquinamento, la comunicazione di cui all’Allegato 2 può essere inviata una sola volta specificando la tempistica con cui avvengono le attività lavorative.
Tale comunicazione dovrà essere nuovamente trasmessa in caso di modifica delle caratteristiche ambientali, delle possibili sostanze inquinanti e/o dell’intervento da realizzare dichiarate nell’invio precedente.

2. L’allegato 1 e l’allegato 2 costituiscono parte integrante e sostanziale del presente protocollo.

Art. 4 – Impegni delle PARTI

1. Allo scopo di dare attuazione alle finalità stabilite, i soggetti firmatari del presente atto si impegnano ciascuno per la propria competenza, nel seguente modo:

a) Direzione Regionale Vigili del Fuoco e Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario, Direzione regionale dei Vigili del Fuoco, nonché le sue articolazioni territoriali rappresentate dai Comandi provinciali hanno accesso ai format delle comunicazioni di cui all’Allegato 1 e 2, che sono inseriti su una sezione dedicata di SISPC dalle imprese o titolari di tali ambienti, al fine di costruire una banca dati contenente localizzazione, caratteristiche e tipi di inquinanti negli ambienti confinati e/o a possibile inquinamento e le imprese/lavoratori che vi hanno accesso;
Utilizzano le comunicazioni per l’approntamento di un pronto ed efficace intervento di soccorso coordinato, attraverso il Numero Unico di Emergenza Europeo (NUE 112), qualora si verificassero incidenti in tali ambienti.
Definiscono le procedure coordinate per gli scenari possibili al verificarsi di un incidente, da attuare con i datori di lavoro tenendo conto delle caratteristiche fisiche dell’ambiente e dei potenziali inquinanti, da attivare eventualmente tramite Numero Unico di Emergenza Europeo (NUE 112)

b) Regione Toscana

Regione Toscana, in collaborazione con gli altri Enti, promuove l’informazione e la formazione relativa alla sicurezza degli ambienti confinati e/o a possibile rischio di inquinamento.
Promuove altresì l’organizzazione di corsi specifici rivolti ai soggetti sottoscrittori del presente protocollo e ai datori di lavoro/committenti per gli adempimenti discendenti da quest’ultimo anche per ciò che concerne le modalità di compilazione e trasmissione attraverso SISPC delle comunicazioni di cui all’art. 3.
Qualora vengano ritenute necessarie, potranno essere valutate ulteriori azioni propositive e/o correttive da mettere in atto.

c) Direzione Regionale Vigili del Fuoco, Aziende USL Toscana-Servizi Prevenzione, Igiene sicurezza nei luoghi di lavoro (PISLL), Ispettorato Interregionale del Lavoro-Centro

Gli operatori della Direzione Regionale Vigili del Fuoco e dei Comandi VV.F. territoriali, dei Servizi PISLL delle Aziende USL, e dell’ Ispettorato Interregionale del Lavoro-Centro, se rilevano la presenza di ambienti confinati e/o a sospetto di inquinamento nel corso dello svolgimento di attività di vigilanza, promuovono l’invio delle comunicazioni di cui agli allegati 1 e 2, in ottemperanza di quanto previsto all’art. 43 comma 1 lettera a) del D. Lgs. 81/2008.

d) Associazioni di categoria e ordini professionali

Le Associazioni di categoria e gli ordini professionali si impegnano, relativamente ai loro iscritti, a diffondere e promuovere l’invio delle comunicazioni di cui agli Allegati 1 e 2 da parte del datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 3 del presente protocollo, quale idoneo adempimento di quanto previsto dalla normativa vigente in riferimento all’organizzazione dei necessari rapporti con i servizi pubblici in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza.
Si impegnano a diffondere l’informativa sulle procedure di richiesta di soccorso di cui al punto 4.1, da attivare tramite Numero Unico di Emergenza Europeo (NUE 112), stabilite in modo coordinato fra i Vigili del Fuoco e gli operatori del soccorso sanitario.
Si impegnano a supportare i datori di lavoro/committenti fornendo assistenza per la compilazione e trasmissione attraverso SISPC delle comunicazioni di cui all’art. 3.

e) Cgil, Cisl e Uil

Cgil, Cisl e Uil si impegnano a svolgere attività di promozione dell’invio delle comunicazioni di cui agli allegati 1 e 2, anche attraverso il coinvolgimento attivo degli RLS aziendali e gli RLST di settore.
Si impegnano a diffondere l’informativa sulle procedure di richiesta di soccorso di cui al punto 4.1, da attivare tramite Numero Unico di Emergenza Europeo (NUE 112), stabilite in modo coordinato fra i Vigili del Fuoco e gli operatori del soccorso sanitario.

Art. 5 Oneri

1. Le attività oggetto del presente Protocollo non comportano alcun onere finanziario per Regione Toscana.

Art. 6 Trattamento dei dati personali

1. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario, della Toscana si danno reciprocamente atto:

a) di conoscere ed applicare, nell’ambito delle proprie organizzazioni, tutte le norme vigenti ed in fase di emanazione in materia di trattamento dei dati personali, sia primarie che secondarie, rilevanti per la corretta gestione del Trattamento, ivi compreso il Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito “GDPR”);

b) che lo scambio di dati oggetto del presente protocollo risponde ai principi di liceità determinati da specifiche norme ed è conforme alle disposizioni, alle linee guida e alle regole tecniche previste per l’accesso, la gestione e la sicurezza dei dati dalla normativa in materia di amministrazione digitale (in specifico, d.lgs. 82/2005 e relative linee guida e regole tecniche) e dalle altre norme di riferimento richiamate nella premessa del presente atto;

c) che lo scambio dei dati tra Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e le Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario della Toscana avviene tramite SISPC.
Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e le Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario della Toscana tratteranno in via autonoma i dati personali oggetto dello scambio per trasmissione o condivisione, per le finalità connesse all’esecuzione del presente protocollo. I predetti soggetti, in relazione agli impieghi dei predetti dati nell’ambito della propria organizzazione, assumeranno, pertanto, la qualifica di Titolare autonomo del trattamento ai sensi dell’articolo 4, nr. 7) del GDPR, sia fra di loro che nei confronti dei soggetti cui i dati personali trattati sono riferiti. Estar assume la qualifica di responsabile del trattamento ai sensi dell’articolo 4, nr. 8) del GDPR.

2. A tal fine Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario della Toscana si impegnano a che:

a) i dati personali che saranno forniti per le finalità del presente protocollo siano esatti e corrispondano al vero, esonerandosi reciprocamente da qualsivoglia responsabilità per errori materiali di compilazione, ovvero per errori derivanti da un’inesatta imputazione dei dati stessi negli archivi elettronici e cartacei;
b) i dati personali saranno conservati in forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità di cui al citato art. 2;

c) ciascuna parte, in qualità di titolare, provvederà ad individuare il proprio personale autorizzato e ad istruirlo , dandone informazione all'altra parte;

d) ciascuna parte potrà trattare e registrare i dati ad essa comunicati ai fini per le finalità del presente protocollo;

e) sia consentito agli interessati l’esercizio dei diritti di cui agli articoli 15-22 del Regolamento UE/2016/679 presso ciascuna delle parti, che ne definiranno le modalità di esercizio, nel rispetto

della normativa in materia di protezione dei dati personali.

f) i dati personali oggetto del trattamento sono:
- tipologia dei dati personali: dati comuni;
- categorie degli interessati: titolari imprese, rappresentanti legali, personale dipendente ditte interessate;
- tipologia del formato dei dati: testo.

3. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e le Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario della Toscana dichiarano che le misure di sicurezza messe in atto al fine di garantire lo scambio sicuro dei dati sono adeguate al contesto del trattamento. Al contempo, si impegnano a mettere in atto ulteriori misure qualora fossero da almeno una delle due parti ritenute insufficienti quelle in atto e ad applicare misure di sicurezza idonee e adeguate a proteggere i dati personali trattati in esecuzione del presente accordo, contro i rischi di distruzione, perdita, anche accidentale, di accesso o modifica non autorizzata dei dati o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità ivi indicate.

4. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e le Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario si impegnano a far sì che l’accesso ai dati personali oggetto dello scambio sia consentito solo a coloro e nella misura in cui ciò sia necessario per l’esecuzione del protocollo di intesa, e che l’uso dei dati personali da parte del soggetto utilizzatore rispetti gli stessi impegni assunti dal produttore riguardo alla conformità legale del trattamento e la sicurezza dei dati trattati con misure adeguate alla tipologia dei dati degli interessati e dei rischi connessi.

5. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario della Toscana individuano un proprio referente tecnico, responsabile dell’accesso, della gestione e della sicurezza dei dati e dell’applicazione delle relative norme, linee guida e regole tecniche, tenuto a comunicare tempestivamente all’altra parte modifiche, aggiornamenti, esigenze, problematiche, incidenti e quanto ritenuto necessario nella corretta gestione dei dati, al fine di assicurarne la conformità ai principi e alle disposizioni normative di riferimento.

6. Fatto salvo quanto previsto come inderogabile dalla legge, nessuna responsabilità sarà imputabile a ciascuna parte per i trattamenti operati dall’altra. Regione Toscana, la Direzione regionale dei Vigili del Fuoco e Aziende USL - Coordinamento regionale maxiemergenze e Centrali Operative di soccorso sanitario si obbligano a manlevare e tenere indenne la controparte per qualsiasi danno, incluse spese legali, che possa derivare da pretese avanzate da terzi – inclusi gli interessati - a seguito dell’eventuale illiceità o non correttezza delle operazioni di trattamento imputabili a ciascuno dei predetti soggetti.

Art. 7 Monitoraggio dell’accordo

Regione Toscana si impegna a monitorare l’esecuzione dell’accordo, prevedendo riunioni periodiche specifiche, almeno semestrali, con i firmatari del presente protocollo o in sede di Comitato ex art. 7 della Toscana, per verificare lo stato di avanzamento dell'attuazione del protocollo e il grado di raggiungimento dei suoi obiettivi.

Art. 8 Forma dell’accordo

Il presente Protocollo d’Intesa è firmato digitalmente, e trasmesso tramite posta certificata, secondo quanto previsto dalla normativa vigente.[/panel]

Fonte: Regione Toscana

Collegati
[box-note]Permesso di lavoro per attiività in ambienti confinati / Modello
Fact sheet INAIL 2021 Ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento e assimilabili
Check list rischio di infortunio mortale in ambienti confinati
Linee di indirizzo lavori in ambienti confinati | CNI 2020
D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
DVR & Procedure Spazi confinati[/box-note]

Aree prioritarie rischio radon | Regione Lombardia

Aree prioritarie rischio radon RL

Aree prioritarie rischio radon | Regione Lombardia - Giugno 2023

ID 20041 | Update 09.09.2023 / Download scheda allegata

Prima individuazione delle aree prioritarie a rischio Radon in Lombardia ai sensi dell’articolo 11 comma 3 d.lgs. 101 del 31 luglio 2020 secondo i termini transitori in attesa dell'adozione del Piano nazionale d'azione per il radon.

Comunicato GU n. 211 del 09.09.2023 - Prima individuazione delle aree prioritarie a rischio radon in Lombardia

La Regione Lombardia ha pubblicato in data 28 Giugno 2023 sul BURL SO nr. 26 la prima identificazione delle aree prioritarie ex Decreto 101 (D.g.r. 26 giugno 2023 - n. XII/508 - Prima individuazione delle aree prioritarie a rischio Radon in Lombardia ai sensi dell’articolo 11 comma 3 d.lgs. 101 del 31 luglio 2020).

Il radon è un inquinante di origine naturale presente in modo ubiquitario nell’ambiente in cui viviamo e che negli ambienti chiusi può raggiungere livelli particolarmente elevati.

L’esposizione al radon è correlata all’insorgenza di patologie tumorali (cancro al polmone). Maggiore è l’esposizione (data dal prodotto della concentrazione di radon x la durata dell’esposizione), maggiore è il rischio. Non esiste un valore soglia al di sotto del quale il rischio è nullo.

Nel rispetto di quanto richiesto dal D.Lgs. 101/2020 si è provveduto ad una prima identificazione dei comuni in cui le concentrazioni di radon indoor sono mediamente più elevate, secondo i criteri stabiliti dal decreto stesso (sono identificati in area prioritaria i comuni in cui la stima della percentuale di edifici che supera il livello di 300 Bq/m3 è superiore al 15%, dove la percentuale degli edifici è determinata con indagini o misure di radon effettuate o riferite o normalizzate al piano terra). In questi comuni i datori di lavoro che eserciscono la propria attività in ambienti al piano seminterrato o al piano terra saranno tenuti ad effettuare misure della concentrazione media annua di radon e ad applicare azioni di risanamento nei casi in cui i valori risulteranno > 300 Bq/m3.

Lo scopo del decreto 101, ripreso anche dalla Legge Regionale 3/2022, è quello di sensibilizzare la popolazione rispetto ad un rischio ubiquitario e sinora poco percepito e di informare sui modi con cui si può gestire e ridurre. Le aree individuate come “prioritarie” non sono le uniche in cui il problema esiste bensì quelle in cui si è ritenuto di dare una priorità agli interventi di sensibilizzazione, che devono essere estesi a tutta la regione. Poiché non esiste un valore soglia al di sotto del quale il rischio è nullo, ci si aspetta in realtà che il numero di casi di tumore al polmone attribuibile al radon sarà maggiore nelle aree più densamente abitate che sono ubicate nella fascia di pianura, anche se in queste zone le concentrazioni di radon indoor sono mediamente più basse.

[box-warning]Piano nazionale d'azione per il radon 2023 / 2032

Alla data news, non ancora emanato il Piano nazionale d'azione per il radon  (rif. Artt. 10, 11 D.Lgs. 101/2020) a cui Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, devono far riferimento (decennale - stato bozza).[/box-warning]

________

[panel]D.Lgs. 101/2020

Art. 10 Piano nazionale d'azione per il radon (direttiva 59/2013/EURATOM, articolo 103 e allegato XVIII) / Data news non adottato - stato bozza

1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali e delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sentito l'ISIN e l'Istituto superiore di sanita' (ISS), e' adottato il Piano nazionale d'azione per il radon, concernente i rischi di lungo termine dovuti all'esposizione al radon.
2. Il Piano si basa sul principio di ottimizzazione di cui all'articolo 1, comma 3, del presente decreto e individua conformemente a quanto previsto all'allegato III:
a) le strategie, i criteri e le modalita' di intervento per prevenire e ridurre i rischi di lungo termine dovuti all'esposizione al radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro, anche di nuova costruzione, per qualsiasi fonte di radon, sia essa il suolo, i materiali da costruzione o l'acqua;
b) i criteri per la classificazione delle zone in cui si prevede che la concentrazione di radon come media annua superi il livello di riferimento nazionale in un numero significativo di edifici;
c) le regole tecniche e i criteri di realizzazione di misure per prevenire l'ingresso del radon negli edifici di nuova costruzione nonche' degli interventi di ristrutturazione su edifici esistenti che coinvolgono l'attacco a terra, inclusi quelli di cui all'articolo 3, comma 1, lettere b), c) e d) del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380;
d) gli indicatori di efficacia delle azioni pianificate.
3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del Piano nazionale d'azione per il radon le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, adeguano i rispettivi ordinamenti alle indicazioni del Piano.
4. Il Piano di cui al comma 1 e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed e' aggiornato con cadenza almeno decennale.

Art. 11 Individuazione delle aree prioritarie (Direttiva 2013/59/Euratom, articolo 103, commi 1 e 2 e Allegato XVIII; decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, articolo 10-sexies).

1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, entro ventiquattro mesi dall'entrata in vigore del Piano di cui all'articolo 10, sulla base delle indicazioni e dei criteri tecnici ivi contenuti:
a) individuano le aree in cui si stima che la concentrazione media annua di attivita' di radon in aria superi il livello di riferimento in un numero significativo di edifici;
b) definiscono le priorita' d'intervento per i programmi specifici di misurazione al fine della riduzione dei livelli di
concentrazione al di sotto dei livelli di riferimento e ne prevedono
le modalita' attuative e i tempi di realizzazione.
2. L'elenco delle aree di cui al comma 1, lettera a), e' pubblicato da ciascuna regione e provincia autonoma sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed e' aggiornato ogni volta che il risultato di nuove indagini o una modifica dei criteri lo renda necessario.
3. Fino al termine di cui al comma 1, Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sulla base di metodologie documentate, effettuano le misurazioni di radon, acquisiscono i relativi dati e individuano le aree prioritarie nelle quali la stima della percentuale di edifici che supera il livello di 300 Bq m3 e' pari o superiore al 15 per cento, procedendo alla pubblicazione dell'elenco con le modalita' di cui al comma 2. La percentuale degli edifici e' determinata con indagini o misure di radon effettuate o riferite o normalizzate al piano terra.[/panel]

Il risultato è illustrato nella mappa nella quale sono presentati i primi comuni Lombardi classificati in area prioritaria ex D. Lgs. 101/2020 s.m.i..

Aree prioritarie rischio radon  Regione Lombardia

L'elenco è riportato nella tabella seguente:

ELENCO DEI COMUNI LOMBARDI CLASSIFICATI IN AREA PRIORITARIA

 

COMUNE

PROV

ABITANTI

1

ABBADIA LARIANA

LC

3198

2

ALGUA

BG

656

3

ANFO

BS

448

4

AVIATICO

BG

575

5

BAGOLINO

BS

3747

6

BESANO

VA

2508

7

BISUSCHIO

VA

4268

8

BRANZI

BG

666

9

CAINO

BS

2141

10

CAMPODOLCINO

SO

927

11

CARONA

BG

286

12

CASARGO

LC

837

13

CASSIGLIO

BG

110

14

CASTANO PRIMO

MI

10871

15

CASTELLO DELL'ACQUA

SO

614

16

CASTIONE DELLA PRESOLANA

BG

3348

17

CASTO

BS

1623

18

CHIAVENNA

SO

7161

19

CLUSONE

BG

8498

20

COSTA DI SERINA

BG

4753

21

CUNARDO

VA

2887

22

DERVIO

LC

2582

23

FERRERA DI VARESE

VA

705

24

FINO DEL MONTE

BG

1141

25

FONTENO

BG

566

26

FOPPOLO

BG

167

27

GANDELLINO

BG

961

28

GEROLA ALTA

SO

161

29

GHEDI

BS

18496

30

GORDONA

SO

1925

31

GROMO

BG

1133

32

GROSIO

SO

4356

33

IDRO

BS

1865

34

ISOLA DI FONDRA

BG

171

35

LAVENONE

BS

487

36

LENNA

BG

553

37

LIVIGNO

SO

6904

38

LODRINO

BS

1624

39

LOVERO

SO

625

40

MACCAGNO CON PINO E VEDDASCA

VA

2390

41

MAZZO DI VALTELLINA

SO

1024

42

MESE

SO

1798

43

MEZZOLDO

BG

164

44

MOIO DE' CALVI

BG

195

45

MONTIRONE

BS

5067

46

ODOLO

BS

1917

47

OLIVETO LARIO

LC

1193

48

OLMO AL BREMBO

BG

486

49

OLTRESSENDA ALTA

BG

144

50

ONORE

BG

919

51

PIARIO

BG

1007

52

PIAZZA BREMBANA

BG

1193

53

PIAZZATORRE

BG

389

54

PIAZZOLO

BG

87

55

PIURO

SO

1873

56

PONTE DI LEGNO

BS

1761

57

PONTE IN VALTELLINA

SO

2250

58

PONTE NOSSA

BG

1716

59

PREMANA

LC

2174

60

PREMOLO

BG

1058

61

RIVA DI SOLTO

BG

881

62

SABBIO CHIESE

BS

3915

63

SALTRIO

VA

2983

64

SAMOLACO

SO

2860

65

SAN GIACOMO FILIPPO

SO

369

66

SELVINO

BG

1990

67

SERNIO

SO

476

68

SOLTO COLLINA

BG

1777

69

SONGAVAZZO

BG

696

70

SPRIANA

SO

79

71

TEMU'

BS

1105

72

TORRE DI SANTA MARIA

SO

2388

73

TOVO DI SANT'AGATA

SO

626

74

VALBONDIONE

BG

972

75

VALDIDENTRO

SO

4129

76

VALDISOTTO

SO

3595

77

VALFURVA

SO

2508

78

VALGOGLIO

BG

586

79

VALLIO TERME

BS

1408

80

VALNEGRA

BG

215

81

VALVESTINO

BS

173

82

VANZAGHELLO

MI

5246

83

VARENNA

LC

723

84

VERVIO

SO

202

85

VESTONE

BS

4174

86

VEZZA D'OGLIO

BS

1474

87

VILLA DI CHIAVENNA

SO

6612

88

VILLA D'OGNA

BG

968

89

VIONE

BS

622

90

VOBARNO

BS

8259

Fonte: Regione Lombardia

Collegati
[box-note]Piano nazionale d'azione per il radon 2023-2032
FAQ Radon ISS
Piano nazionale d’azione radon
Esperto in interventi di risanamento radon
Decreto Legislativo 31 Luglio 2020 n. 101 | Radiazioni ionizzanti[/box-note]

Occupational safety and health in the future of forestry work

Occupational safety and health in the future of forestry work

Occupational safety and health in the future of forestry work

ID 20172 | 14.08.2023

Climate change, demographic transitions, technological developments and innovation are megatrends affecting forestry work. As the conditions of forestry work change, so does the nature of the work-related risks. Despite efforts and improvements made over the past few decades, forests continue to be one of the most hazardous industrial workplaces, with those working in forests exposed to considerable occupational safety and health (OSH) risks as well as to a high incidence of occupational accidents and work-related diseases.

This report identifies trends and opportunities as well as challenges to promote safe and healthy working conditions in the forest sector. It contributes to understanding the importance of decent and sustainable work in forestry, with the objective of informing the design and implementation of policies and training programmes to advance a just transition in forestry following the framework of the 2030 Agenda for Sustainable Development, particularly Sustainable Development Goals 8 on decent work and economic growth and 15 on life on land.

Fonte: UNECE

Strategia nazionale prevenzione annegamenti e incidenti in acque di balneazione: primo rapporto

Rapporto ISTISAN 23 15

Strategia nazionale prevenzione annegamenti e incidenti in acque di balneazione: primo rapporto 2023

ID 20171 | 14.08.2023 / In allegato

Rapporto ISTISAN 23/15 - Osservatorio per lo sviluppo di una strategia nazionale di prevenzione degli annegamenti e incidenti in acque di balneazione: primo rapporto

Questo è il primo rapporto dell’Osservatorio per lo sviluppo di una strategia nazionale di prevenzione degli annegamenti e incidenti in acque di balneazione istituito dal Ministero della Salute con il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità.

Contiene l’analisi delle principali criticità della problematica (spiagge libere, pericoli intrinseci delle spiagge, carenze normative) e formula proposte per la mitigazione del rischio fornite da esperti del settore, membri dell’Osservatorio. Il rapporto è incentrato sugli annegamenti lungo i litorali marittimi, ma riporta anche una prima analisi di questi incidenti nelle acque interne.

Esamina il ruolo del servizio di sorveglianza e salvataggio nelle spiagge italiane e descrive la fisiopatologia dell’annegamento.

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Fonte: ISTISAN

UNI/PdR 149:2023 | Formazione in videoconferenza sincrona

UNI PdR 149 2023   Formazione in videoconferenza sincrona

UNI/PdR 149:2023 | Formazione in videoconferenza sincrona

ID 20020 | 21.07.2023 / In allegato

UNI/PdR 149:2023 - Guida metodologica per l'organizzazione e la gestione dei percorsi formativi in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro erogati in modalità videoconferenza sincrona

Pubblicata il 20 luglio 2023 la prassi di riferimento UNI/PdR 149:2023 “Guida metodologica per l’organizzazione e la gestione dei percorsi formativi in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro erogati in modalità videoconferenza sincrona”.

La prassi di riferimento costituisce una guida metodologica, operativa e gestionale a carattere volontario a supporto di tutti i soggetti legittimati dalla legislazione vigente ad erogare la formazione obbligatoria in materia di SSL, i quali intendono avvalersi della videoconferenza sincrona (VCS) come modalità complementare, integrante o alternativa alla formazione in presenza, nel rispetto della legislazione stessa.

Dal 2022 la formazione a distanza in modalità sincrona è equiparata a quella in presenza. La prassi, nata da una proposta dell’Inail approvata dal Consiglio direttivo dell’UNI, si configura come una guida metodologica, operativa e gestionale, a carattere volontario. Viene offerta, a tutti i soggetti legittimati dalla legislazione vigente a erogare formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sul lavoro in videoconferenza sincrona (Vcs), una modalità che si era imposta per necessità nel periodo di emergenza sanitaria ed equiparata alla formazione in presenza dalla legge n. 52 del 19 maggio 2022.

Qualità, rispetto dei dati personali e coerenza con la normativa europea gli elementi prioritari della prassi. Nella sua impostazione concettuale, la prassi pone l’accento sull’importanza della formazione, misura generale di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, e sulla sua qualità quale fattore fondamentale per garantirne l’efficacia.

La prassi di riferimento propone un approccio strutturato per processi, secondo il metodo gestionale suggerito dal ciclo di Deming (o ciclo di PDCA, Plan–Do–Check–Act), volto ad assicurare la qualità delle singole fasi di produzione della formazione erogata in Vcs. È formulato, inoltre, in coerenza concettuale e metodologica con i principi riportati nella raccomandazione del Parlamento e del Consiglio europeo del 18 giugno 2009, relativa all’istituzione di un Quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della formazione professionale (Eqavet), nonché nel rispetto dei principi di protezione nel trattamento dei dati.

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Nota procedurale: La prassi di riferimento è stata elaborata dal Tavolo "Formazione in videoconferenza sincrona salute e sicurezza sul lavoro" condotto da UNI e costituito da: Giannunzio Sinardi - Project Leader (INAIL), Adriano Bacchetta (Esperto UNI/CT 042 “Sicurezza”), Claudia Cassano (INAIL), Nicoletta Cornaggia (Regione Lombardia - Coordinamento Regioni), Lorenzo Fantini (Libero Professionista), Giovanni Finotto (Università Cà Foscari di Venezia), Donato Lombardi (Provincia Autonoma di Trento - Coordinamento Regioni), Francesco Naviglio (Esperto UNI/CT 042 “Sicurezza”), Riccardo Orsini (INAIL), Paolo Pascucci (Università degli Studi di Urbino), Sara Stabile (INAIL).

Data entrata in vigore: 20 luglio 2023

_______

SOMMARIO

0. INTRODUZIONE
0.1 CONTESTO DI RIFERIMENTO
0.2 FINALITÀ, TARGET DI RIFERIMENTO E AMBITO APPLICATIVO

1 SCOPO E CAMPO DI APPLICAZIONE

2 RIFERIMENTI NORMATIVI

3 TERMINI E DEFINIZIONI

4 PRINCIPIO

5 ASPETTI DI TIPO ORGANIZZATIVO, GESTIONALE E DI ASSICURAZIONE DELLA QUALITÀ PER L’EROGAZIONE DELLA FORMAZIONE SU SSL IN MODALITÀ VCS. L’APPROCCIO PER PROCESSI
5.1 GENERALITÀ
5.2 L’APPROCCIO PER PROCESSI
5.2.1 GENERALITÀ
5.2.2 PLAN (PIANIFICAZIONE)
5.2.3 DO (REALIZZAZIONE)
5.2.4 CHECK (MONITORAGGIO E VALUTAZIONE)
5.2.5 ACT (RIESAME E ADOZIONE DI MISURE DI MIGLIORAMENTO)
5.3 PROFILI DI COMPETENZA, RUOLI E RESPONSABILITÀ DELLE FIGURE PROFESSIONALI PER LA FORMAZIONE SU SSL IN MODALITÀ VCS
5.3.1 GENERALITÀ
5.3.2 RESPONSABILE DEI PROCESSI FORMATIVI
5.3.3 DOCENTE
5.3.4 TUTOR D’AULA VIRTUALE
5.3.5 TECNICO ESPERTO NELLA GESTIONE DELLA PIATTAFORMA MULTIMEDIALE

6 CARATTERISTICHE TECNOLOGICHE E FUNZIONALI DELLE PIATTAFORME MULTIMEDIALI E DELLE POSTAZIONI DEGLI UTENTI
6.1 CARATTERISTICHE TECNICHE E FUNZIONALITÀ DELLE PIATTAFORME MULTIMEDIALI
6.2 CONNETTIVITÀ DELLA POSTAZIONE UTENTE

7 PROTEZIONE E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

8 INDICAZIONI OPERATIVE E PROCEDURALI PER LA GESTIONE DELLA FORMAZIONE SU SSL IN VCS
8.1 PROCEDURE OPERATIVE PRELIMINARI ALL’EROGAZIONE
8.1.1 INFORMAZIONI E COMUNICAZIONI PRELIMINARI
8.1.2 CONSENSO INFORMATO E ISCRIZIONE
8.2 PROCEDURE E MODALITÀ OPERATIVE IN FASE DI EROGAZIONE
8.2.1 MODALITÀ DI ACCESSO PROTETTO
8.2.2 VERIFICA DELLA CONTINUITÀ DELLA PRESENZA
8.2.3 GESTIONE DELLE VERIFICHE DI APPRENDIMENTO INTERMEDIE E FINALI
8.2.4 RILASCIO DELLE ATTESTAZIONI
8.3 PROCEDURE OPERATIVE EX POST PER IL MONITORAGGIO, LA VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ FORMATIVA E LA CONSERVAZIONE DEI DATI
8.3.1 MONITORAGGIO E VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DIDATTICA E DELLA QUALITÀ ORGANIZZATIVA
8.3.2 CONSERVAZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE E DEI DATI PERSONALI

APPENDICE A (Informativa) COMPITI, CONOSCENZE E ABILITÀ PER I PROFILI DI RESPONSABILE DEI PROCESSI FORMATIVI, DOCENTE, TUTOR D’AULA VIRTUALE E TECNICO ESPERTO NELLA GESTIONE DELLA PIATTAFORMA MULTIMEDIALE

BIBLIOGRAFIA

Fonte: UNI

Collegati
[box-note]Prassi di riferimento UNI/PdR 2023: Formazione remoto e sicurezza sul lavoro
UNI: Le prassi di riferimento
www.tussl.it
UNI/PdR 87:2020 | Attività tipiche SPP art. 33 del D.Lgs. 81/2008
D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
Tabella riepilogativa Formazione/Informazione TUS
Mappa Accordi formazione sicurezza lavoro / Modalità di svolgimento[/box-note]

Nota INL del 17 giugno 2022 prot. n. 3687

Nota INL del 17 giugno 2022 prot. n. 3687

ID 20035 | 23.07.2023 / In allegato

Nota INL del 17 giugno 2022 prot. n. 3687 - Oggetto: quesiti in materia di piani di carico nei cantieri edili.

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Nota INL del 17 giugno 2022 prot. n. 3687

Oggetto: quesiti in materia di piani di carico nei cantieri edili.

[panel]L’ITL di Chieti Pescara ha chiesto alla Scrivente un parere in merito a piazzole di carico rinvenute in occasione di accesso ispettivo. Nel caso di specie le piazzole di carico sono state realizzate sulla base di un progetto ed installate in quota su un ponteggio metallico previo ulteriore progetto redatto da ingegnere. Non risultando tale configurazione contemplata tra gli schemi tipo del libretto di autorizzazione all'impiego del ponteggio, è stato chiesto di sapere se:

1. le piazzole di carico in questione possono essere qualificabili come ponteggi e quindi debbono sottostare alle previsioni di cui all’art. 131 del d.lgs. n. 81/2008 o se, al contrario possono essere considerati come “altre opere provvisionali” di cui al comma 1 dell’art. 133;

2. le medesime piazzole di carico sono qualificabili come ponteggi e quindi necessitano “…di omologazione anche se non sono stati installati su altri ponteggi ma autonomamente su struttura fissa”.

Sentito l’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si rappresenta quanto segue.

In riferimento al primo quesito si rappresenta che la struttura metallica oggetto del quesito si configura, sia sotto l’aspetto morfologico che sotto l’aspetto funzionale, come una piazzola di carico facente parte del ponteggio e tale qualificazione risulta contenuta anche nell’intestazione del progetto della struttura metallica, che riporta la scritta “piazzola di carico”.

La piazzola di carico in questione è parte integrante del ponteggio a telai, in quanto la stessa è strutturalmente collegata al ponteggio, e può essere utilizzata come piano di carico/scarico da chi lavora sul ponteggio. In ragione di quanto sopra, la piazzola di carico non può essere considerata nel novero delle “altre opere provvisionali, costituite da elementi metallici e non …” di cui all’art. 133 comma 1 del d.lgs. n. 81/2008, in quanto essa non costituisce “altra opera provvisionale” rispetto al ponteggio, bensì è un elemento costitutivo del ponteggio stesso.

L’art. 131 del d.lgs. n. 81/2008 prevede, al comma 2, che il fabbricante del ponteggio chieda al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali l’autorizzazione alla costruzione ed all’impiego di ciascun tipo di ponteggio. Il ponteggio è soggetto ad autorizzazione ministeriale con tutti gli schemi tipo dichiarati dal costruttore ed ogni schema tipo deve essere esaminato e approvato, pertanto, se la piazzola di carico risulta essere parte di uno schema tipo del ponteggio, la stessa risulta utilizzabile alle condizioni contenute nello schema tipo e indicate nel libretto che accompagna il ponteggio autorizzato, e previste dall’autorizzazione che (complessivamente) viene rilasciata dal Ministero del Lavoro. La piazzola di carico, quindi, non è oggetto di autonoma autorizzazione ma rientra tra i componenti del ponteggio oggetto di verifica ed eventuale autorizzazione ministeriale. In tal caso, mediante la verifica degli schemi tipo autorizzati contenuti nel libretto del ponteggio, si può controllare che il montaggio della stessa sia conforme alle indicazioni contenute nel medesimo libretto. Diversamente, qualora la piazzola di carico, realizzata da elementi appartenenti ad una determinata autorizzazione, risulti non essere parte di uno schema tipo del ponteggio, la stessa deve essere realizzata in base ad uno specifico progetto, firmato da un ingegnere o architetto abilitato a norma di legge all’esercizio della professione, in attuazione dell’art. 133, co. 2, del d.lgs. n. 81/2008. Sia il progetto che la relazione di calcolo devono risultare conformi alle indicazioni contenute nel libretto del ponteggio e devono essere messi a disposizione degli utilizzatori.

In riferimento al secondo quesito si rappresenta che nell’ipotesi in esame si è in presenza o del montaggio di uno schema non facente parte dell'autorizzazione, ovvero di un'opera provvisionale di cui all'articolo 133, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008. In entrambi i casi, per erigere la piazzola di carico, è necessario un progetto firmato da un ingegnere o architetto abilitato all'esercizio della professione, con allegati disegno e relazione di calcolo.

A questo proposito, si chiarisce il principio generale per cui un qualsiasi ponteggio, anche se a sbalzo, non può essere utilizzato come piazzola di carico, pertanto la sola piazzola di carico non può essere annoverata nella categoria dei ponteggi, a meno che non ne rappresenti un elemento costitutivo, come detto sopra, e quindi risulti espressamente parte di uno schema tipo. Qualora, invece, la piazzola di carico sia realizzata su un solaio in cemento armato e sia ancorata direttamente all’opera da servire può rientrare a tutti gli effetti nel novero delle altre opere provvisionali di cui all’art. 133 del d.lgs. n. 81/2008. In quest’ultimo caso la sua realizzazione deve avvenire nel pieno rispetto delle modalità indicate dal medesimo art. 133.[/panel]

Collegati
[box-note]Check List | Schede di verifica ponteggi
Ponteggi fissi: quadro normativo
D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro[/box-note]

Nota INL del 14 aprile 2023 prot. n. 2573

Nota INL del 14 aprile 2023 prot. n. 2573

ID 20034 | 23.07.2023 / In allegato

Nota del 14/04/2023, prot. n. 2573 - Oggetto: Quesito in materia di ponteggi - Riscontro

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INL
Direzione Centrale per la tutela, la vigilanza e la sicurezza del lavoro

Codesto Ufficio ha richiesto un parere in merito alla natura di un’opera rinvenuta su un cantiere autostradale, ove erano in corso lavori di manutenzione straordinaria delle pile e dell’intradosso degli impalcati di un viadotto.

[panel]Tale struttura appare costituita da un unico impalcato, esteso a tutta l’area occupata dalle travi e soletta del viadotto,  formato a sua volta da elementi di impalcato metallico poggiati su travi metalliche reticolari posizionate longitudinalmente e sospeso con catene agganciate a tasselli, annegati a loro volta nell’intradosso della soletta.

In particolare, è stato chiesto:

1. se l’opera in esame sia qualificabile come “ponteggio” e quindi necessiti della relativa autorizzazione ministeriale;

2. qualora l’opera in esame sia invece qualificabile come “opera provvisionale”, se i singoli elementi costituenti  l’opera necessitino comunque di autorizzazione ministeriale ai sensi dell’art. 133, co. 3, D. Lgs. 81/2008  ovvero, qualora siano appartenenti a diverse autorizzazioni, siano assemblabili, se compatibili, tramite  progetto con relativo calcolo e disegno esecutivo.

Nel merito si rappresenta quanto segue.

In relazione al quesito sub 1.: la normativa riguardante i ponteggi è contenuta nel Capo II del Titolo IV del d.lgs. n.  81/2008 (“Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni e nei lavori in quota”) e fornisce indicazioni “relative alla loro installazione ed alle operazioni di montaggio e smontaggio”.

Il d.lgs. n. 81/2008 non fornisce tuttavia una specifica definizione del ponteggio, per la quale si ritiene di poter fare riferimento al punto 2 della Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali n. 149 del 22/11/1985 come di  seguito riportata “I ponteggi metallici sono strutture provvisionali reticolari multipiani caratterizzate da una notevole snellezza delle aste e quindi comportanti rischi di crollo improvviso o fenomeni di instabilità locale e d'insieme […]”.

L’opera rinvenuta nel cantiere oggetto di quesito, pur rispondendo alla definizione di opera provvisionale presente in letteratura ovvero “…strutture ed opere provvisorie indipendenti dalla struttura del fabbricato e che non faranno parte  dell’opera compiuta”, non appare riconducibile alla richiamata definizione di ponteggio, atteso che si sviluppa su un unico piano sospeso con catene agganciate a tasselli annegati nell’intradosso della soletta del viadotto.

Pertanto, deve ritenersi che l’opera rivenuta rientri genericamente tra le opere provvisionali impiegate per la realizzazione, la manutenzione e il recupero di opere edilizie, ad altezze superiori ai 2 metri, che sono di ausilio nella  realizzazione dei lavori civili, non fanno parte dell’opera finale, hanno una durata temporale limitata e devono essere  rimosse quando non più necessarie.

La stessa può considerarsi un'opera di “servizio” tra quelle destinate al transito, allo stazionamento ed al sostegno sicuro durante il lavoro; essa deve essere realizzata in modo idoneo, con materiali resistenti e adeguatamente  dimensionata. I ponti di servizio utilizzati per la manutenzione dell'intradosso degli impalcati dei viadotti sono, in  genere, opere di notevole entità da inserirsi, ai fini valutativi, nei piani di sicurezza (si veda, ad es., il punto 2.2.4 lett. a) dell’All. XV d.lgs. 81/08 sul PSC).

Se da un punto di vista progettuale è necessario che venga esibito il dimensionamento, da un punto di vista  strettamente costruttivo è bene far riferimento all’art. 123 (che impone che il montaggio e lo smontaggio delle opere  provvisionali siano eseguiti sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori) e al successivo art. 126 ( "gli impalcati  e ponti di servizio (…) che siano posti ad un’altezza maggiore di 2 metri, devono essere provvisti su tutti i lati verso  il vuoto di robusto parapetto e in buono stato di conservazione”)

In relazione al quesito sub 2. e a integrazione della nota prot. n. 3687 del 17/06/2022 inerente a quesiti in materia  di piani di carico nei cantieri edili (che si allega), le opere provvisionali rientrano nell’articolo 133 del d.lgs. n. 81/2008  (relativo ai ponteggi fissi ed altre opere provvisionali, costituite da elementi metallici o non, oppure di notevole  importanza e complessità in rapporto alle loro dimensioni ed ai sovraccarichi) qualora siano costituite da elementi di  ponteggio fisso, pertanto, solo in tale caso occorre la redazione di un progetto secondo le istruzioni approvate  nell’autorizzazione ministeriale.

Stante quanto sopra, tenuto conto che l’opera rinvenuta nel cantiere oggetto di quesito rientra deve ricondursi alle opere provvisionali e che l’art. 112 del d.lgs. n. 81/2008 dispone espressamente che “Le opere provvisionali devono  essere allestite con buon materiale ed a regola d’arte, proporzionate ed idonee allo scopo;…”, è necessario che,  per ogni singola realizzazione e a seguito di adeguata valutazione dei rischi, venga eseguito uno specifico progetto  (relazione di calcolo e disegno esecutivo) che tenga conto anche dei carichi, delle sollecitazioni e dell’esecuzione  per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori, sia in fase di montaggio e smontaggio della stessa, sia in fase di  utilizzo da parte dei lavoratori.

Per gli elementi di ponteggio (elementi di impalcato metallici, travi metalliche reticolari prefabbricate, tubi e giunti,  parapetti prefabbricati, ecc.) compatibili fra loro ed impiegati nell’opera rinvenuta nel cantiere oggetto di quesito, il  progetto dovrà tenere conto di quanto previsto nell’autorizzazione ministeriale di cui all’art. 131 del d.lgs. n. 81/2008,  con particolare riguardo alle caratteristiche meccaniche dei materiali, alle certificazioni di prova relative ai suddetti  elementi di ponteggio ed ai coefficienti di sicurezza adottati.

IL DIRETTORE CENTRALE - Dott. Orazio Parisi[/panel]

Collegati
[box-note]Check List | Schede di verifica ponteggi
Ponteggi fissi: quadro normativo
D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro[/box-note]

Circolare n. 3/2003 del 23/05/2003 Prot. 21112 /PR/OP/PONT/CIRC

Circolare n. 3/2003 del 23/05/2003 Prot. 21112 /PR/OP/PONT/CIRC

ID 20033 | 23.07.2023 / In allegato

Circolare n. 3/2003 del 23/05/2003 Prot. 21112 /PR/OP/PONT/CIRC - Chiarimenti in relazione all'uso promiscuo dei ponteggi metallici fissi.

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DIREZIONE GENERALE PER L’ATTIVITÀ ISPETTIVA

Circolare n. 3/2003 del 23/05/2003 Prot. 21112 /PR/OP/PONT/CIRC

Oggetto: Chiarimenti in relazione all'uso promiscuo dei ponteggi metallici fissi.

È pervenuto a questa Direzione un quesito da parte dell’ACAI “Associazione fra i costruttori in acciaio italiani”concernente la liceità dell'uso promiscuo di elementi di ponteggio a montanti e traversi prefabbricati con quelli a telai prefabbricati.

Al riguardo, pur tenendo presente le competenze delle regioni in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro ai sensi del nuovo Titolo V della Costituzione, si ritiene comunque opportuno esprimere alcune indicazioni in merito alla suddetta problematica al fine di fornire utili elementi di valutazione per un’omogenea applicazione della normativa di sicurezza.

[panel]L'autorizzazione ministeriale di cui all'art. 30 del D.P.R. 164/56, sia dei ponteggi a telai prefabbricati che dei ponteggi a montanti e traversi prefabbricati, consente l'impiego anche di elementi di ponteggio a tubi e giunti, appartenenti ad una unica autorizzazione ministeriale, per la realizzazione di schemi tipo riportati nell'Allegato A della stessa autorizzazione.

Infatti, gli elementi di ponteggio a tubi e giunti, purché appartengano ad una unica autorizzazione ministeriale, possono essere utilizzati nell'ambito di uno specifico schema di ponteggio, insieme ai ponteggi a telai o insieme ai ponteggi a montanti e traversi prefabbricati, per la realizzazione di: parasassi, montanti di sommità, piazzole di carico, mensole, travi carraie, particolari partenze e particolari connessioni.

In relazione a quanto sopra esposto, si ribadisce che per uno specifico schema di ponteggio non è consentito, e quindi non trova applicazione l'art. 32 del D.P.R. 164/56, l'uso promiscuo di elementi di ponteggio a:

- telai prefabbricati appartenenti ad autorizzazioni diverse,
- montanti e traversi prefabbricati appartenenti ad autorizzazioni diverse,
- tubi e giunti appartenenti ad autorizzazioni diverse.

Detta conclusione discende dalla considerazione che le autorizzazioni ministeriali dei ponteggi metallici si riferiscono, ciascuna, ad un complesso di componenti ben individuati il cui corretto impiego - secondo gli schemi autorizzati - è condizione indispensabile perché ne sia garantito il livello di sicurezza accertato dagli esami e dalle prove effettuate sui prototipi.

Ciò considerato, in ordine alla possibilità di utilizzo promiscuo di elementi di ponteggio a montanti e traversi prefabbricati con quelli a telai prefabbricati, su conforme parere del Consiglio Nazionale delle Ricerche si ritiene che tale possibilità debba essere consentita esclusivamente per particolari partenze (terreni declivi, condizioni di appoggio non comuni, ecc.) di uno specifico schema di ponteggio purché vengano soddisfatte le condizioni di seguito elencate:

1. Lo schema specifico di utilizzo deve essere realizzato in base ad un progetto, ai sensi dell’art.32 del D.P.R. 164/56, firmato da ingegnere o architetto abilitato a norma di legge all’esercizio della professione;
2. il progetto suddetto deve contemplare, oltre agli aspetti statici specifici, anche i requisiti di accoppiabilità fra i due tipi di ponteggio sovrapposti, i quali inoltre devono appartenere, ciascuno, ad una unica autorizzazione ministeriale;
3. gli elementi di ponteggio a montanti e traversi prefabbricati, utilizzati per la realizzazione della particolare partenza, devono appartenere ad una classe di carico (costruzione o manutenzione) non inferiore a quella del ponteggio a telai prefabbricati;
4. il piano di separazione fra i due tipi di ponteggi sovrapposti deve essere correttamente ancorato e fornito di irrigidimenti orizzontali;
5. sia per la realizzazione degli irrigidimenti orizzontali del piano di separazione fra i due tipi di ponteggi sovrapposti, che per la realizzazione del requisito di accoppiabilità fra gli stessi, devono essere utilizzati solo elementi di ponteggio, appartenenti alle autorizzazioni ministeriali dei due tipi di ponteggi sovrapposti, o elementi di ponteggio a tubi e giunti appartenenti ad una unica autorizzazione ministeriale;
6. in cantiere devono essere tenuti ed esibiti, a richiesta dell’organo di vigilanza, oltre al progetto di cui al punto 1, i libretti di autorizzazione dei due tipi di ponteggio sovrapposti e, se utilizzato, il libretto relativo al ponteggio a tubi e giunti.

Il Direttore Generale - Dott. Paolo One[/panel]

Collegati
[box-note]Check List | Schede di verifica ponteggi
Ponteggi fissi: quadro normativo
D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro[/box-note]

Vademecum rischi lavorativi esposizione ad alte temperature

Vademecum MLPS rischi lavorativi esposizione ad alte temperature 2023

Vademecum MLPS rischi lavorativi esposizione ad alte temperature | 2023

ID 20022 | 21.07.2023 / In allegato

Il vademecum contiene indicazioni per la gestione dei lavoratori esposti (in ambienti indoor e outdoor) alle elevate temperature nel periodo estivo, comprensiva del rimando alle indicazioni dell’Inps per la gestione della CIG ordinaria con causale “eventi meteo - temperature elevate”.

Il vademecum colleziona le analisi sui rischi lavorativi effettuate dagli enti preposti, correlate con le disposizioni normative vigenti per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Al suo interno si individuano i settori di attività coinvolti e le misure da adottare.

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Fonte: MLPS

Collegati
[box-note]Temperature sopra i 35 gradi: possibile chiedere la cassa integrazione ordinaria
Bollettini sulle ondate di calore
"Indice di calore": Misura del rischio da calore
Guida informativa per la gestione del rischio caldo
Decreto 15 aprile 2016[/box-note]

Oltre la rete. Salute e sicurezza nella pesca professionale

Oltre la rete  Salute e sicurezza nella pesca professionale

Oltre la rete. Salute e sicurezza nella pesca professionale / CIIP 2023

ID 19845 | 19.06.2023

CIIP ha promosso la produzione dell'Ebook "Oltre la rete - Salute e sicurezza nella pesca professionale", destinato ad un settore produttivo nel quale nel 2020 erano coinvolti 17.000 lavoratori.

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Fonte: CIIP

Collegati
[box-note]D.Lgs. 17 agosto 1999 n. 298[/box-note]

Decreto 18 maggio 2023

Decreto 18 maggio 2023   Protocollo Istruzioni uso DAE

Decreto 18 maggio 2023 / Protocollo Istruzioni uso DAE

ID 19809 | 13.06.2023

Decreto 18 maggio 2023 Adozione del protocollo recante «Istruzioni da seguire, in attesa dell'arrivo dei mezzi di soccorso, per le manovre di rianimazione cardiopolmonare di base e per l'uso del defibrillatore semiautomatico e automatico esterno (DAE) nonche', ove possibile, le indicazioni utili a localizzare il DAE piu' vicino al luogo ove si sia verificata l'emergenza».

(GU n.136 del 13.06.2023)

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Art. 1. Protocollo

1. È adottato il protocollo allegato recante «le istruzioni da seguire, in attesa dell’arrivo dei mezzi di soccorso, per le manovre di rianimazione cardiopolmonare di base e per l’uso del DAE nonché, ove possibile, le indicazioni utili a localizzare il DAE più vicino al luogo ove si sia verificata l’emergenza» che «le centrali operative del sistema di emergenza sanitaria “118” sono tenute a fornire durante le chiamate di emergenza, nonché, ove possibile, le indicazioni utili a localizzare il DAE più vicino al luogo ove si sia verificata l’emergenza» in ottemperanza alle disposizioni dell’art. 7, comma 3 della legge 4 agosto 2021, n. 116.

[...]

Collegati
[box-note]Vademecum utilizzo defibrillatori semi/automatici esterni (DAE)
Utilizzo DAE in ambiente extraospedaliero
Legge 4 agosto 2021 n. 116[/box-note]

Nota INL 6 aprile 2023 prot. n. 642

Nota INL 6 aprile 2023 prot  n  642

Nota INL 6 aprile 2023 prot. n. 642 / Decadenza del provvedimento di sospensione

ID 19383 | 07.04.2023 / Nota INL in allegato - Download Art. 14 D.Lgs. 81/2008

Nota INL 6 aprile 2023 prot. n. 642 - Art. 14, comma 16, D.Lgs. n. 81/2008 - Decadenza del provvedimento di sospensione a seguito di decreto di archiviazione del giudice penale

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Sono pervenute alla scrivente Direzione alcune richieste di chiarimento in merito a quanto disposto dal comma 16 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008 e, in particolare, su alcune casistiche che possono ricorrere a seguito dell’emissione da parte del Giudice penale del decreto di archiviazione per l'estinzione - ad esito della procedura di prescrizione di cui agli artt. 20 e 21 del D.Lgs. n. 758/1994 - delle contravvenzioni accertate in occasione dell’adozione del provvedimento di sospensione di cui al comma 1 dello stesso art. 14.

A riguardo, acquisito il parere dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che si è espresso con nota prot. 2884 del 29 marzo 2023, si rappresenta quanto segue, ad integrazione di quanto già precisato con circolare INL n. 3/2021.

Il richiamato comma 16 dell’art. 14 prevede espressamente che “l'emissione del decreto di archiviazione per l'estinzione delle contravvenzioni, accertate ai sensi del comma 1, a seguito della conclusione della procedura di prescrizione prevista dagli articoli 20 e 21, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, comporta la decadenza dei provvedimenti di cui al comma 1 fermo restando, ai fini della verifica dell'ottemperanza alla prescrizione, anche il pagamento delle somme aggiuntive di cui al comma 9, lettera d)”.

Ne deriva che, laddove il provvedimento di sospensione sia stato adottato non solo per motivi di salute e sicurezza, ma anche per motivi di lavoro irregolare, lo stesso manterrà i suoi effetti anche in presenza del decreto di archiviazione emesso dal Giudice penale. Pertanto, il datore di lavoro, per poter riprendere l’attività lavorativa, dovrà in ogni caso porre in essere le condizioni per ottenerne la revoca, previste al comma 9, lett. a) e d), dell’art. 14.

Ciò premesso, nel caso di provvedimento di sospensione adottato esclusivamente per ragioni di salute e sicurezza, laddove non pervenga istanza di revoca del provvedimento da parte del datore di lavoro - il quale ad esempio decida di non proseguire l’attività lavorativa nel luogo o nell’unità locale interessata dalla sospensione (ad es. un cantiere) - l’intervenuta emissione del decreto di archiviazione da parte del Giudice determina la decadenza del provvedimento sospensivo e non vi saranno adempimenti da porre in essere da parte del personale dell’Ispettorato. In tali ipotesi, in ragione di quanto previsto al comma 2 dell’art. 14 - secondo il quale “per tutto il periodo di sospensione è fatto divieto all'impresa di contrattare con la pubblica amministrazione e con le stazioni appaltanti (...) A tal fine il provvedimento di sospensione è comunicato all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, per gli aspetti di rispettiva competenza al fine dell'adozione da parte del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili del provvedimento interdittivo” - laddove l’archiviazione sia a conoscenza dell’Ufficio, sarà necessario darne comunicazione all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, affinché venga meno il provvedimento interdittivo a contrattare con la pubblica amministrazione e con le stazioni appaltanti.

Va inoltre chiarito che, in presenza di un provvedimento di sospensione non revocato dall’Ufficio ai sensi del comma 11, ma decaduto ai sensi del comma 16, la ripresa dell’attività lavorativa da parte del datore di lavoro, successiva all’emissione del decreto di archiviazione, non costituisce violazione del comma 15 dell’art. 14, il quale prevede la pena dell’arresto fino a sei mesi per il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento di sospensione adottato per violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

La decadenza del provvedimento di sospensione ai sensi del comma 16 opera, inoltre, anche nelle ipotesi di decreti di archiviazione adottati per reati a condotta esaurita. Come già chiarito da questo Ispettorato con nota prot. n. 119 del 25 maggio 2020, anche per tali fattispecie risulta applicabile la procedura di prescrizione obbligatoria ex art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004, la quale consisterà esclusivamente nell’ammettere il contravventore al pagamento dell’ammenda nella misura pari ad un quarto del massimo o della misura fissa. Ove a seguito di detto pagamento e della consequenziale informativa alla Procura, ai sensi dell’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994, dovesse essere adottato il decreto di archiviazione, allo stesso modo, ai sensi del comma 16 dell’art. 14, si determinerà la decadenza del provvedimento di sospensione.

Da ultimo, appare opportuno chiarire una ulteriore casistica che può presentarsi nell’ipotesi in cui il provvedimento di sospensione venga revocato a seguito di istanza di parte - ai sensi del comma 11 dell’art. 14, mediante il pagamento del 20% della somma aggiuntiva dovuta - e successivamente, intervenga l’adozione del decreto di archiviazione da parte del Giudice penale per ottemperanza alla prescrizione obbligatoria di cui agli artt. 20 e 21 del D.Lgs. n. 758/1994. In tal caso l’adozione del decreto di archiviazione non fa venire meno l’obbligo, da parte da datore di lavoro, di versare la quota residua della somma aggiuntiva, maggiorata del 5%, obbligo che rimane fermo in quanto derivante dalla presentazione della relativa istanza, finalizzata alla concessione della revoca che ha consentito al datore di riprendere la sua attività.

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Fonte: INL

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[box-note]D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
Tavola di concordanza TUS - Modifiche DL 146/2021
DL Sicurezza lavoro Draghi Ottobre 2021 (DL 146/2021): Testo nuovi Artt. modificati
TUSSL / Link[/box-note]

 

Piano nazionale della prevenzione 2020 - 2025

Piano nazionale Prevenzione 2020 2025

Piano nazionale della prevenzione 2020 - 2025

ID 19292 | 23.03.2023

Adottato il 6 agosto 2020 con Intesa in Conferenza Stato-Regioni il Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 è lo strumento fondamentale di pianificazione centrale degli interventi di prevenzione e promozione della salute, da realizzare sul territorio e mira a garantire sia la salute individuale e collettiva sia la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, attraverso azioni quanto più possibile basate su evidenze di efficacia, equità e sostenibilità che accompagnano il cittadino in tutte le fasi della vita, nei luoghi in cui vive e lavora.

Il PNP 2020-2025 rafforza una visione che considera la salute come risultato di uno sviluppo armonico e sostenibile dell’essere umano, della natura e dell’ambiente (One Health). Pertanto, riconoscendo che la salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi sono interconnesse, promuove l'applicazione di un approccio multidisciplinare, intersettoriale e coordinato per affrontare i rischi potenziali o già esistenti che hanno origine dall’interfaccia tra ambiente-animali-ecosistemi

Alla luce delle recenti esperienze legate alla pandemia da COVID-19, il Piano sottolinea l’indispensabilità di una programmazione sanitaria basata su una rete coordinata e integrata tra le diverse strutture e attività presenti nel territorio, anche al fine di disporre di sistemi flessibili in grado di rispondere con tempestività ai bisogni della popolazione, sia in caso di un’emergenza infettiva, sia per garantire interventi di prevenzione (screening oncologici, vaccinazioni, individuazione dei soggetti a rischio, tutela dell’ambiente, ecc.) e affrontare le sfide della promozione della salute e della diagnosi precoce e presa in carico integrata della cronicità.

Per agire efficacemente su tutti i determinanti di salute, il Piano punta su alleanze e sinergie intersettoriali tra forze diverse, secondo il principio della “Salute in tutte le Politiche” e conferma l’impegno nella promozione della salute, chiamata a caratterizzare le politiche sanitarie non solo per l’obiettivo di prevenire una o un limitato numero di condizioni patologiche, ma anche per creare nella comunità e nei suoi membri un livello di competenza, resilienza e capacità di controllo (empowerment) che mantenga o migliori il capitale di salute e la qualità della vita.

Gli obiettivi del Piano Nazionale della Prevenzione
Il PNP 2020-2025 intende consolidare l’attenzione alla centralità della persona, tenendo conto che questa si esprime anche attraverso le azioni finalizzate a migliorare l’Health Literacy (alfabetizzazione sanitaria) e ad accrescere la capacità degli individui di interagire con il sistema sanitario (engagement) attraverso relazioni basate sulla fiducia, la consapevolezza e l’agire responsabile. In tale contesto è necessario un attivo coinvolgimento dei MMG e PLS, figure chiave per favorire l’health literacy e l’empowerment dei cittadini. Il PNP 2020-2025 ribadisce inoltre l’approccio life course, finalizzato al mantenimento del benessere in ciascuna fase dell’esistenza, per setting (scuola, ambiente di lavoro, comunità, servizi sanitari, città, …), come strumento facilitante per le azioni di promozione della salute e di prevenzione, e di genere, al fine di migliorare l’appropriatezza ed il sistematico orientamento all’equità degli interventi.

Il PNP 2020-2025 mira a contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che definisce un approccio combinato agli aspetti economici, sociali e ambientali che impattano sul benessere delle persone e sullo sviluppo delle società, affrontando dunque il contrasto alle disuguaglianze di salute quale priorità trasversale a tutti gli obiettivi.

Il Piano si articola in sei Macro Obiettivi:

[alert]Malattie croniche non trasmissibili
Dipendenze e problemi correlati
Incidenti stradali e domestici
Infortuni e incidenti sul lavoro, malattie professionali
Ambiente, clima e salute
Malattie infettive prioritarie
Il PNP prevede inoltre delle azioni di sistema che contribuiscono “trasversalmente” al raggiungimento degli obiettivi di salute e di equità. Esse includono azioni volte a rafforzare l’approccio intersettoriale, a perseguire l’equità e a promuovere la formazione del personale sanitario e la comunicazione ai cittadini.[/alert]

Il documento, rappresentando quindi la cornice comune degli obiettivi di molte delle aree rilevanti per la Sanità Pubblica, investe sulla messa a sistema in tutte le Regioni dei programmi di prevenzione collettiva di provata efficacia (come vaccinazioni e screening oncologici) e di linee di azione (Programmi "Predefiniti", vincolanti per tutte le Regioni) basate su evidenze di costo-efficacia, buone pratiche consolidate e documentate, strategie raccomandate, nazionali e internazionali. Il Piano adotta infine un sistema di valutazione, basato su indicatori e relativi standard, che consente di misurare, nel tempo, e in coerenza con il monitoraggio dell’applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, lo stato di attuazione dei programmi, anche al fine di migliorarli in itinere, nonché il raggiungimento dei risultati di salute e di equità attesi.

Ogni Regione è ora chiamata ad adottare il PNP e a predisporre e approvare un proprio Piano locale (Piano Regionale della Prevenzione - PRP), entro i termini previsti dall’Intesa, declinando contenuti, obiettivi, linee di azione e indicatori del Piano nazionale all’interno dei contesti regionali e locali. A sua volta il livello centrale è tenuto a mettere in campo le Linee di supporto centrale al PNP, parte integrate del Piano stesso, al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi garantendo la coesione del sistema.

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Fonte: Ministero della Salute

Nota INL n. 162 del 24 gennaio 2023

Nota INL n  162 2023

Nota INL n. 162 del 24 gennaio 2023 / Provvedimento di sospensione e microimpresa

ID 18779 | 25.01.2023 / Nota ufficiale in allegato

Oggetto: art. 14D.Lgs. n. 81/2008 - adozione provvedimento di sospensione e microimpresa - richiesta parere.

Si riscontra il quesito relativo alla possibilità di procedere all'adozione di un provvedimento di sospensione nei confronti di una impresa che occupi un solo dipendente “in nero” con conseguente violazione prevenzionistica relativa alla mancanza del DVR e della nomina del RSPP.

Al riguardo, d'intesa con l'Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 509 del 20 gennaio 2023, si rappresenta quanto segue.

Ai sensi dell'art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008, i provvedimenti di sospensione “per le ipotesi di lavoro irregolare, non trovano applicazione nel caso in cui il lavoratore risulti l'unico occupato dall'impresa”.

Tale eccezione, la cui ratio risiede nella volontà del legislatore di escludere le c.d. microimprese dal campo di operatività del provvedimento di sospensione, è riferita esplicitamente alle sole ipotesi di occupazione di lavoratori irregolari.

Ne consegue che tale esclusione non troverà applicazione qualora siano contestualmente evidenziate le gravi violazioni di natura prevenzionistica indicate nell'allegato 1 al D.Lgs. n. 81/2008 - ivi compresa la mancanza del DVR o della nomina del RSPP - da sole sufficienti a giustificare l'adozione del provvedimento cautelare.

Da ultimo si ricorda che, qualora invece non sia adottato il provvedimento di sospensione in applicazione della deroga in questione, come chiarito con circ. n. 3/2021, il personale ispettivo dovrà comunque imporre, ai sensi dell'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 14 cit., ulteriori e specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro, disponendo l'allontanamento del lavoratore sino alla completa regolarizzazione anche sotto il profilo prevenzionistico.

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Fonte: INL

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[box-note]Circolare INL n. 3 del 9 novembre 2021
D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
Tavola di concordanza TUS - Modifiche DL 146/2021
DL Sicurezza lavoro Draghi Ottobre 2021 (DL 146/2021): Testo nuovi Artt. modificati
TUSSL / Link[/box-note]

Linee guida del 20 febbraio 2014 della Conferenza Stato-Regioni

Linee guida del 20 febbraio 2014 della Conferenza Stato-Regioni

ID 18781 | 25.01.2023

Linee guida per la disciplina per il contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere

L'accordo - sottoscritto in data 20 febbraio 2014 - ha previsto alcune modifiche al percorso formativo che deve garantire ai giovani, durante l’esperienza del contratto di apprendistato, una effettiva formazione.

Inoltre, si semplifica la procedura che deve essere seguita dalle aziende e si stabilisce che l’offerta formativa pubblica, per questo tipo di istituto, è obbligatoria ed è disciplinata dalla regolamentazione regionale.

La durata ed i contenuti dell’offerta formativa pubblica sono collegati alle competenze acquisite nella pregressa formazione scolastica. Sono infatti previste:

- 120 ore per chi ha solo la licenza di scuola secondaria di primo grado,
- 80 ore per chi ha un diploma di scuola secondaria di secondo grado,
- 40 ore per gli apprendisti laureati.

La formazione pubblica sarà finalizzata ad acquisire competenze di base e trasversali che andranno dai comportamenti per garantire maggiore sicurezza sul lavoro alla organizzazione aziendale, dalle comunicazioni nell’ambito lavorativo alla legislazione del lavoro, dalla conoscenza digitale alla sensibilità sociale e civica.

Nel caso in cui sia l’azienda a voler garantire l’offerta formativa di base occorrerà che l’impresa risponda a specifici requisiti di qualità sia in relazione ai luoghi che in relazione ai docenti.

Questi, in definitiva, i punti principali:

a) la formazione per tutto il periodo di apprendistato è di correlata al titolo di studio posseduto andando da 120 ore per i giovani privi di titolo, a 80 per gli apprendisti in possesso di diploma di scuola secondaria o di qualifica o diploma e a 40 per i laureati o titolo equivalente;
b) la durata dei moduli può esser ridotta se i giovani hanno già frequentato corsi formativi in precedenti rapporti di apprendistato;
c) la formazione deve avere come contenuti la sicurezza sul lavoro, l’organizzazione aziendale, i diritti ed i doveri, la competenza digitale e gli elementi della professione;
d) il momento formativo, di regola all’inizio del rapporto, può essere svolto anche “a distanza”;
e) in alternativa alla formazione pubblica, l’insegnamento può essere effettuato direttamente dalle imprese se in possesso di locali con “standard minimi”;
f) il piano formativo individuale viene considerato obbligatorio per la sola parte tecnico-professionale;
g) le imprese con più sedi operative potranno avvalersi della formazione di base e trasversale delle Regioni nelle quali insistono le loro sedi legali.

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Collegati
[box-note]Apprendistato: Note MLPS
Circolare INL n. 2 del 7 aprile 2022
Decreto Legislativo 15 giugno 2015 n. 81
Accordi Formazione Stato-Regioni 21 Dicembre 2011[/box-note]

Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato

Rapporto di monitoraggio apprendistato

Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato

ID 18776 | 25.01.2023 / XX rapporto ultimo pubblicato 

Il Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato, elaborato dall’Inapp per conto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con Inps (in precedenza elaborato da Isfol), esamina l’evoluzione dell’occupazione in apprendistato, sulla base dei dati Inps - Archivi delle denunce retributive mensili (UniEmens), e l’andamento della partecipazione degli apprendisti alla formazione pubblica nel nostro Paese, mediante i dati forniti dalle Regioni e Province autonome.
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In allegato:

XX Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2018/2020) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di INAPP (ultimo pubblicato)
XIX Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2017/2018) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di INAPP
XVIII Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2016/2017) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di INAPP
XVII Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2015/2016) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di INAPP
XVI Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2014/2015) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
XV Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2013/2014) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
XIV Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2012/2013) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
XIII Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2011/2012) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
XII Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2010/2011) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
XI Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2009/2010) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
X Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2008/2009) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL (mancante)
IX Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2007/2008) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
VIII Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2006/2007) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
VII Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2005/2006) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
VI Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2004/2005) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
V Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2003/2004) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL
IV Rapporto di Monitoraggio Apprendistato (annualità 2002/2003) ai sensi dell'art. 17 del D.lgs. n. 276/2003, a cura di ISFOL

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Fonte: MLPS

Circolare 12 gennaio 2001 n. 7

Circolare 12 gennaio 2001 n. 7

ID 18262 | 02.12.2022

Ministero del lavoro - Art. 30 D.P.R 7 gennaio 1956, n. 164 - Autorizzazione alla costruzione ed all'impiego di ponteggi metallici fissi.

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Collegati
[box-note]Check List | Schede di verifica ponteggi
Ponteggi fissi: quadro normativo[/box-note]

Circolare MLPS n. 20 del 23 maggio 2003

Circolare MLPS n. 20 del 23 maggio 2003

ID 18261 | 02.12.2022

Circolare MLPS n. 20 del 23 maggio 2003: Oggetto: Chiarimenti in relazione all'uso promiscuo dei ponteggi metallici fissi.

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Collegati
[box-note]Check List | Schede di verifica ponteggi
Ponteggi fissi: quadro normativo[/box-note]

Circolare MLPS n. 11 del 24 marzo 2004

Circolare MLPS n. 11 del 24 marzo 2004

ID 18260 | 02.12.2022

Oggetto: Art. 30 D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164 - Autorizzazione alla costruzione ed all'impiego di ponteggi metallici fissi.

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Collegati
[box-note]Check List | Schede di verifica ponteggi
Ponteggi fissi: quadro normativo[/box-note]

Circolare MLPS n. 4 del 22 febbraio 2006

Circolare MLPS n. 4 del 22 febbraio 2006

ID 18259 | 02.12.2022

Circolare MLPS n. 4 del 22 febbraio 2006: Oggetto: Art. 30 D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164 - Autorizzazione alla costruzione di ponteggi metallici fissi - Elenco Ditte.

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[box-note]Check List | Schede di verifica ponteggi
Ponteggi fissi: quadro normativo[/box-note]

Circolare MLPS n. 11 del 04 aprile 2006

Circolare MLPS n. 11 del 04 aprile 2006

ID 18528 | 02.12.2022

Elenco delle autorizzazioni alla costruzione ed all’impiego di ponteggi metallici fissi

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[box-note]Check List | Schede di verifica ponteggi
Ponteggi fissi: quadro normativo[/box-note]

Circolare n. 30 del 3 novembre 2006

Circolare n. 30 del 3 novembre 2006

ID 18257 | 02.12.2022

Oggetto: Art. 36-quater, D.Lgs. n. 626/94 e s.m.i. - Obblighi del datore di lavoro relativi all'impiego dei ponteggi

Chiarimenti concernenti i ponteggi su ruote (trabattelli) ed altre attrezzature per l'esecuzione di lavori temporanei in quota in relazione agli obblighi di redazione del piano di montaggio, uso e smontaggio (Pi.M.U.S.) e di formazione.

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[box-note]Check List | Schede di verifica ponteggi
Ponteggi fissi: quadro normativo[/box-note]

Circolare MLPS n. 3 del 25 gennaio 2008

Circolare MLPS n. 3 del 25 gennaio 2008

ID 18256 | 02.12.2022

Circolare MLPS n. 3 del 25 gennaio 2008: Artt. 36-quater e 36-quinquies, D.Lgs. n. 626/94 e s.m.i.

Obblighi del datore di lavoro relativi all'impiego dei ponteggi e all'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi 

Chiarimenti concernenti la formazione dei lavoratori addetti al montaggio e allo smontaggio dei ponteggi e addetti all'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi.

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[box-note]Check List | Schede di verifica ponteggi
Ponteggi fissi: quadro normativo[/box-note]

Circolare MLPS n. 21 del 16 Novembre 2022

Circolare MLPS n  21 del 16 Novembre 2022

Circolare MLPS n. 21 del 16 Novembre 2022 / Esame abilitazione esperti di radioprotezione

ID 18087 | 16.11.2022

Circolare MLPS n. 21 del 16 Novembre 2022 - Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, sentiti il Ministro dell’università e la ricerca, l’ISIN, l’ISS e l’INAIL 9 agosto 2022, di attuazione dell’articolo 129, comma 4 del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101.

A partire dal 1° gennaio 2023 entrerà in vigore il decreto interministeriale 9 agosto 2022, di attuazione dell’articolo 129, comma 4, del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, che disciplina i requisiti di iscrizione all’elenco degli esperti di radioprotezione, nonché le modalità di formazione e svolgimento del relativo esame e dell’aggiornamento professionale.

Le disposizioni del citato decreto interministeriale andranno a sostituire, per quanto ivi previsto, le disposizioni dell’Allegato XXI al decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, che attualmente disciplina, tra l’altro, la materia dell’esame di abilitazione per gli esperti di radioprotezione.

In proposito, con l’obiettivo di favorire la corretta applicazione delle nuove norme, acquisito il parere dell’Ufficio legislativo di questo Ministero in data 11 novembre 2022, si forniscono le seguenti indicazioni relative al citato decreto interministeriale, nonché alcune precisazioni inerenti alle sessioni d’esame da tenersi nell’anno 2023 (con termine di presentazione delle domande entro il 31 dicembre 2022), anche in considerazione delle richieste di chiarimento finora pervenute.

Esame di abilitazione per l'iscrizione negli elenchi degli esperti di radioprotezione.

I candidati che presenteranno domanda di ammissione all’esame per l’iscrizione nell’elenco degli esperti di radioprotezione, entro il 31 dicembre 2022, dovranno possedere i titoli di studio e professionali previsti della normativa attualmente in vigore, in relazione al grado di abilitazione richiesto (punto 9 dell’Allegato XXI al decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101).

L’esame, che i suddetti candidati sosterranno nell’anno 2023, verterà sugli argomenti indicati negli articoli 9, 10, 11 e 12 del decreto interministeriale 9 agosto 2022 per il grado di abilitazione richiesto nella domanda di ammissione all’esame.

Si ritiene utile segnalare le novità introdotte dal citato decreto interministeriale 9 agosto 2022 rispetto alle previgenti disposizioni.

In particolare, per il II grado il candidato deve dimostrare di possedere un’adeguata conoscenza, oltre che degli argomenti indicati all’articolo 9, anche in materia di:

v) caratterizzazione radiologica dei materiali;
z) bonifica e rilascio condizionato e incondizionato.

Per il III grado sanitario il candidato deve dimostrare di possedere un’adeguata conoscenza, oltre che degli argomenti indicati all’articolo 9 e 10, anche in materia di:

c) caratterizzazione radiologica dei materiali per gli aspetti di competenza;
d) bonifica e rilascio incondizionato per gli aspetti di competenza.

Per il terzo grado il candidato deve dimostrare di possedere un’adeguata conoscenza, oltre che degli argomenti indicati all’articolo 9, 10 e 11, anche in materia di:

m) radioprotezione legata alle installazioni basate sul processo di fusione;
p) caratterizzazione radiologica dei materiali nelle installazioni e negli impianti non ricompresi nei gradi inferiori;
q) bonifica e rilascio condizionato e incondizionato nelle installazioni e negli impianti non ricompresi nei gradi inferiori.

Per i candidati che presenteranno domanda di ammissione all’esame dal 1° gennaio 2023 troverà applicazione il decreto interministeriale 9 agosto 2022.

Pertanto, i titoli di studio e professionali per l’ammissione all’esame di abilitazione saranno quelli previsti dalla normativa in vigore.

Sul punto, si precisa che i tirocini conclusi dai candidati entro il 31 dicembre 2022 si considerano validi ai fini del conseguimento del titolo di formazione post-universitaria per la parte in cui la suddetta formazione prevede il tirocinio pratico.

Resta inteso che il tirocinio svolto deve essere congruo con il grado di abilitazione previsto dalla formazione post-universitaria.

Nel caso in cui il tirocinio abbia avuto solo inizio nell’anno 2022, secondo le modalità previste dall’Allegato XXI al decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101 e si concluda successivamente al 31 dicembre 2022, i soggetti che effettueranno la formazione post-universitaria valuteranno se lo stesso, nei limiti del grado per il quale si consegue la formazione post-universitaria, costituisca elemento di esonero per l’assolvimento dell’obbligo di tirocinio pratico previsto dalla nuova disciplina.

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Fonte: MLPS

Collegati
[box-note]Decreto Legislativo 31 Luglio 2020 n. 101 | Radiazioni ionizzanti
Esperto di radioprotezione[/box-note]

Testo unico assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali

DPR 1124 1965   INAIL   2019

Testo unico assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali

ID 18041 | 10.11.2022 / In allegato TU e nota di aggiornamento

Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali -  d.p.r. 1124/1965. Proposta di lettura integrata

Il testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, negli oltre cinquanta anni decorsi dalla sua entrata in vigore, è stato oggetto di interventi del legislatore finalizzati a modificarne o integrarne taluni articoli.

In alcuni casi, gli interventi di modifica sono stati reiterati sulla medesima disposizione. Nella presente pubblicazione non sono indicate tutte le modificazioni che si sono succedute nel tempo, ma soltanto quelle per effetto delle quali la formulazione della disposizione è quella attualmente vigente.

[box-note]DPR 30 giugno 1965 n. 1124

Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

(GU n.257 del 13.10.1965 - S.O.)[/box-note]

Vedi testo Certifico

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Fonte: INAIL

Collegati
[box-note]D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124
Decreto 11 dicembre 2009
Decreto 10 giugno 2014
La Sorveglianza Sanitaria: panoramica TUS
Sentenza Corte Costituzionale n. 179 del 10 - 18 febbraio 1988[/box-note]

La disinfezione ambientale come misura di sicurezza nelle strutture sanitarie

La disinfezione ambientale come misura di sicurezza nelle strutture sanitarie

La disinfezione ambientale come misura di sicurezza nelle strutture sanitarie

ID | 11.11.2022 / In allegato Fac Sheet INAIL 2022

La disinfezione ambientale e di superfici diversificate come misura di sicurezza nelle strutture sanitarie ed in quelle ad esse assimilabili

Negli ultimi gli anni la disinfezione ha acquisito un’importanza fondamentale per contrastare le infezioni causate da agenti biologici sempre più aggressivi, per i quali spesso essendo resistenti anche ai farmaci più innovativi non sono disponibili efficaci terapie farmacologiche.

Nelle strutture sanitarie e assimilabili si è avuto un forte aumento negli anni delle infezioni correlate all’assistenza. Il fact sheet descrive gli aspetti correlati al rischio biologico ed all’attuazione della disinfezione ambientale e delle superfici nell’ambito delle attività assistenziali e quelle clinico-diagnostiche e/o terapeutiche. Quanto sopra in relazione alle attuali conoscenze tecnico-scientifiche, all’innovazione tecnologica ed agli adempimenti della vigente legislazione.

...

Fonte: INAIL

Collegati
[box-note]Gestione operazioni di pulizia, disinfezione e sanificazione scuole
UNI EN 17272:2020 | Disinfettanti chimici ed antisettici
Nota Min salute Prodotti disinfettanti 2019[/box-note]

28° Rapporto Annuale Responsible Care

28 Rapporto Annuale Responsible Care

28° Rapporto Annuale Responsible Care

ID 18037 | 10.11.2022 / In allegato Rapporto

Il documento è il programma volontario dell’industria chimica mondiale curato in Italia da Federchimica, con cui le imprese, attraverso le federazioni e le associazioni chimiche nazionali, intendono promuovere e rilanciare valori e comportamenti di eccellenza nella sicurezza, nella salute e nell’ambiente per dare il loro contributo a uno sviluppo sostenibile.

Responsible Care è adottato nel nostro Paese da 173 imprese associate alla federazione che, con 34,8 miliardi di euro, rappresentano il 62% del fatturato aggregato dell’industria chimica nazionale.

Il 28° Rapporto conferma la virtuosità dell’industria chimica sui temi della salute e della sicurezza sul lavoro, con un minor numero di infortuni riguardo alle ore lavorate e con una prestazione migliore del 41% rispetto alla media manifatturiera.

Rispetto al 2020, il 2021 registra un aumento previsto e fisiologico del fenomeno infortunistico dovuto alla ripresa dell’economia e delle attività produttive.

Tuttavia, l’indice di frequenza degli infortuni si è attestato a un valore inferiore dell’11,9% rispetto al 2019, spiegabile con la sensibilizzazione dei dipendenti verso atteggiamenti sicuri e responsabili e alcune buone pratiche introdotte durante la pandemia, come ad esempio la riorganizzazione delle modalità e degli ambienti di lavoro. Sempre secondo il Rapporto, l’8,1% degli infortuni è dovuto ad agenti chimici e il 3,4% ad agenti termici, rischi caratteristici degli impianti di questo settore.

Riguardo alle malattie professionali, le imprese chimiche si configurano tra i settori a più bassa incidenza, con -61% rispetto all’industria manifatturiera. Grazie agli investimenti in prevenzione, scrive ancora il Rapporto, negli ultimi undici anni si sono significativamente ridotte le tecnopatie, e nel periodo 2010-2019 la riduzione delle malattie professionali rapportate alle ore lavorate è stata del 32,5%.

[...]

Fonti: INAIL / Federchimica

WHO - ILO | Mental health at work: policy brief

WHO   ILO   Mental health at work policy brief

WHO - ILO | Mental health at work: policy brief

ID 17823 | 12.10.2022

Il lavoro può essere un fattore protettivo per la salute mentale, ma può anche contribuire a potenziali danni. 

Tutti i lavoratori hanno diritto a un ambiente di lavoro sicuro e salubre. Il Mental Health at work: policy brief , sviluppato congiuntamente dall'OMS e dall'Organizzazione internazionale del lavoro, fornisce un quadro pragmatico per l'attuazione delle raccomandazioni delle linee guida dell'OMS sulla salute mentale sul lavoro. 

Questo documento programmatico fornisce azioni per i governi, i datori di lavoro, le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, la società civile e i pianificatori dei servizi sanitari per prevenire le condizioni di salute mentale legate al lavoro, proteggere e promuovere la salute mentale sul lavoro e sostenere i lavoratori con condizioni di salute mentale.

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Collegati
[box-note]Guidelines on mental health at work
Carico di lavoro mentale - UNI EN ISO 10075-X
The mental health of workers in the digital era[/box-note]

Accordo Stato-Regioni del 27 luglio 2022

Accordo Stato Regioni del 27 luglio 2022

Accordo Stato-Regioni del 27 luglio 2022 / Indicazioni operative attività di controllo e vigilanza D.Lgs. 81/2008

ID 17815 | 11.10.2022 / Accordo in allegato (Rep. Atti n. 142 /CSR del 27 luglio 2022)

Accordo, ai sensi degli articoli 2, comma 1, lettera b) e 4, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulle “Indicazioni operative per le attività di controllo e vigilanza ai sensi dell’art.13 del decreto legislativo 81/2008, come modificato dal decreto legge 21 ottobre 2021, n.146, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2021, n.215, recante le Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”. (Rep. Atti n. 142/CSR del 27 luglio 2022)

E' molto importante in quanto:

- è un accordo sancito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri;
- stabilisce regole per il coordinamento nella programmazione e nell'attività delle Regioni/ASL e dell'INL;
- stabilisce che le circolari con indirizzi operativi e procedurali siano emanati congiuntamente da INL e Regioni;
- impegna il Ministero Salute a percorsi di formazione sia per ASL che per INL.
_______

[panel]Art. 13 Vigilanza decreto legislativo 81/2008

1. La vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla Azienda Sanitaria Locale competente per territorio, dall'Ispettorato nazionale del lavoro (3) e, per quanto di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché per il settore minerario, fino all'effettiva attuazione del trasferimento di competenze da adottarsi ai sensi del Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, dal Ministero dello sviluppo economico, e per le industrie estrattive di seconda categoria e le acque minerali e termali dalle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano. Le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalità del presente articolo, nell'ambito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti.

1-bis. Nei luoghi di lavoro delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco la vigilanza sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni. (2)

2. Comma abrogato dal Decreto-Legge 21 ottobre 2021 n. 146 (in GU n.252 del 21.10.2021).

3. In attesa del complessivo riordino delle competenze in tema di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, restano ferme le competenze in materia di salute e sicurezza dei lavoratori attribuite alle autorità marittime a bordo delle navi ed in ambito portuale, agli uffici di sanità aerea e marittima, alle autorità portuali ed aeroportuali, per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori a bordo di navi e di aeromobili ed in ambito portuale ed aeroportuale nonché ai servizi sanitari e tecnici istituiti per le Forze armate e per le Forze di polizia e per i Vigili del fuoco; i predetti servizi sono competenti altresì per le aree riservate o operative e per quelle che presentano analoghe esigenze da individuarsi, anche per quel che riguarda le modalità di attuazione, con decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della salute. L'Amministrazione della giustizia può avvalersi dei servizi istituiti per le Forze armate e di polizia, anche mediante convenzione con i rispettivi Ministeri, nonché dei servizi istituiti con riferimento alle strutture penitenziarie. (1) (2)

4. La vigilanza di cui al presente articolo è esercitata nel rispetto del coordinamento di cui agli articoli 5 e 7. A livello provinciale, nell'ambito della programmazione regionale realizzata ai sensi dell'articolo 7, le aziende sanitarie locali e l'Ispettorato nazionale del lavoro promuovono e coordinano sul piano operativo l'attività di vigilanza esercitata da tutti gli organi di cui al presente articolo. Sono adottate le conseguenti modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 31 del 6 febbraio 2008. (4)

5. Il personale delle pubbliche amministrazioni, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di consulenza.

6. L'importo delle somme che l'ASL e l'Ispettorato nazionale del lavoro (3), in qualità di organo di vigilanza, ammettono (4) a pagare in sede amministrativa ai sensi dell'articolo 21, comma 2, primo periodo, del Decreto Legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, integra rispettivamente, l'apposito capitolo regionale e il bilancio dell'Ispettorato nazionale del lavoro (3) per finanziare l'attività di prevenzione nei luoghi di lavoro svolta dai dipartimenti di prevenzione delle AA.SS.LL e dall'Ispettorato. (3)

7. È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 64 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, con riferimento agli organi di vigilanza competenti, come individuati dal presente decreto.

7-bis. L'Ispettorato nazionale del lavoro è tenuto a presentare, entro il 30 giugno di ogni anno al Ministro del lavoro e delle politiche sociali per la trasmissione al Parlamento, una relazione analitica sull'attività svolta in materia di prevenzione e contrasto del lavoro irregolare e che dia conto dei risultati conseguiti nei diversi settori produttivi e delle prospettive di sviluppo, programmazione ed efficacia dell'attività di vigilanza nei luoghi di lavoro. (3)

(Note)
(1) Decreto Legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, art. 44, comma 1 lett. d, come novellato dal decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95
(2) Ministero dell'interno, Decreto Interministeriale 21 agosto 2019, n. 127 - Regolamento recante l'applicazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nell'ambito delle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché delle strutture del Ministero dell'interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica.
(3) L'articolo 13 co. 1 del Decreto-Legge 21 ottobre 2021 n. 146 Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili (in GU n.252 del 21.10.2021) ha modificato i comma 1 e 6, abrogato il comma 2, sostituito il comma 4 ed aggiunto il comma 7-bis.
(4) Modifiche apportate dalla Legge 17 dicembre 2021 n. 215 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 ottobre 2021 n. 146, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili. (GU n.301 del 20.12.2021).[/panel]

Collegati
[box-note]D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
www.tussl.it
DL 146/2021 (Decreto Sicurezza Draghi): I Documenti aggiornati 2022[/box-note]

Circolare MLPS n. 19 del 20 Settembre 2022

Circolare MLPS n  19 del 20 Settembre 2022

Circolare MLPS n. 19 del 20 Settembre 2022

ID 17657 | 20.09.2022 / Circolare in allegato

La Circolare n. 19 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali pubblicata fornisce indicazioni su taluni specifici profili degli obblighi informativi introdotti dal decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104  (cosiddetto "Decreto Trasparenza) in materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili.

Il decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 (pubblicato in G.U. del 29 luglio 2022) di attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea, ha aggiornato il quadro normativo già previsto dal decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152 (che aveva recepito a sua volta la precedente direttiva n. 91/533) in materia di obblighi di informazione, introducendo alcune novità che riguardano vari profili del rapporto di lavoro.

In proposito, con l’obiettivo di favorire l’uniforme applicazione della nuova disciplina e acquisito il parere dell’Ufficio legislativo di questo Ministero, espresso con nota del 20 settembre 2022, si forniscono prime indicazioni interpretative, anche in considerazione delle richieste di chiarimento finora pervenute.

Tali indicazioni fanno seguito a quelle già contenute nella circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro n. 4 del 10 agosto 2022, cui la presente si raccorda con l’obiettivo di approfondire ulteriori aspetti, nella consapevolezza che - a fronte di un testo normativo particolarmente ricco di elementi innovativi - verranno esaminate in questa sede le questioni più rilevanti che sono state rappresentate a questa Amministrazione e le innovazioni che meritano un primo approccio interpretativo.

Premessa

Il decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 ha recepito nell’ordinamento interno la direttiva (UE) 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea.

In via preliminare, è utile osservare che la suddetta direttiva nelle sue premesse richiama il percorso che ha portato alla luce il nuovo quadro normativo a livello europeo e offre alcune utili indicazioni sul significato e sulle ragioni delle innovazioni introdotte, sia con riferimento ai princìpi ispiratori sia con riferimento alle indicazioni di dettaglio della nuova disciplina.

E infatti, l’intervento normativo eurounitario si inserisce in un orientamento, ormai consolidato, volto ad innalzare i livelli di tutela dei lavoratori, come espressamente affermato all’articolo 1, comma 1, della direttiva.

Nel caso specifico, questo innalzamento avviene mediante la previsione di una dettagliata serie di informazioni che devono essere rese al lavoratore al momento dell’instaurazione del rapporto, in maniera tale che quest’ultimo sia informato dei diritti e doveri che ne conseguono in relazione agli aspetti principali del contratto, nonché mediante la previsione di prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro.

Sono quindi evidenti, per il lavoratore, il valore e l’importanza di una corretta informativa che, comunque, deve essere modulata in maniera proporzionata e sostenibile per i datori di lavoro.

Un ausilio nella lettura delle disposizioni europee è offerto anche dai considerando della direttiva, che, pur se non giuridicamente vincolanti, si rivelano di interesse sul piano ricostruttivo.

In tal senso si segnalano, in particolare, i seguenti considerando: 3 - che richiama il principio n. 7 del pilastro europeo dei diritti sociali; 4 - sui profondi cambiamenti che hanno subìto negli ultimi anni i mercati del lavoro, a causa degli sviluppi demografici e della digitalizzazione; 6 - sulla opportunità di garantire a tutti i lavoratori dell’Unione livelli adeguati di trasparenza e prevedibilità delle loro condizioni di lavoro; 1 e 19 - sul tema dei periodi di riposo giornalieri e settimanali e del congedo retribuito; 15 - sulla possibilità di adattare l’elenco degli elementi essenziali del contratto di lavoro in relazione all’evoluzione del mercato; 16 - sul luogo di lavoro; 20 - sul tema della retribuzione; 24 - sul tema delle comunicazioni per via elettronica per l’adempimento degli obblighi informativi; 32 - sul periodo minimo di preavviso ragionevole; 35 - sui contratti di lavoro a chiamata; 37 - sul tema della formazione.

Con il decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 vengono dunque introdotti nel decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152 profili ulteriori che riguardano gli obblighi di informazione ma, come già rilevato dalla circolare INL n. 4/2022 e proprio alla luce dei principi enunciati dalla direttiva (UE) 1152/2019, il datore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore le informazioni di base riferite ai singoli istituti di cui al nuovo articolo 1 del richiamato decreto legislativo n. 152, potendo rinviare per le informazioni di maggior dettaglio al contratto collettivo o ai documenti aziendali che devono essere consegnati o messi a disposizione del lavoratore secondo le prassi aziendali.

La ratio della riforma è, quindi, quella di ampliare e rafforzare gli obblighi informativi, ma tale operazione di ampliamento e di rafforzamento deve essere calata nella concretezza del rapporto di lavoro.

Con ciò si vuole segnalare che l’obbligo informativo non è assolto con l’astratto richiamo delle norme di legge che regolano gli istituti oggetto dell’informativa, bensì attraverso la comunicazione di come tali istituti, nel concreto, si atteggiano, nei limiti consentiti dalla legge, nel rapporto tra le parti, anche attraverso il richiamo della contrattazione collettiva applicabile al contratto di lavoro.

A ben vedere, una chiara indicazione sulla effettività e sulla concretezza dell’obbligo informativo si ricava dall’articolo 3 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, secondo cui «Il datore di lavoro e il committente pubblico e privato comunicano per iscritto al lavoratore, entro il primo giorno di decorrenza degli effetti della modifica, qualsiasi variazione degli elementi di cui agli articoli 1, 1-bis e 2 che non derivi direttamente dalla modifica di disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle clausole del contratto collettivo».

Ciò premesso, si procede all’esame di singoli aspetti del decreto legislativo che sono stati già sottoposti all’attenzione di questa Amministrazione o che, per la portata innovativa, meritano un primo approccio interpretativo.

1. SU ALCUNI SPECIFICI OBBLIGHI INFORMATIVI

Nel quadro dei nuovi adempimenti del datore di lavoro in tema di informazione occorre soffermarsi su alcuni specifici profili.

1.1. Congedi (articolo 1, comma 1, lett. l), d.lgs. n. 152/1997)

La novella prescrive che il datore di lavoro debba informare il lavoratore sulla «durata del congedo per ferie, nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore o, se ciò non può essere indicato all’atto dell'informazione, le modalità di determinazione e di fruizione degli stessi».

Le ferie e i congedi retribuiti cui si fa riferimento sono ovviamente quelli previsti dalla legge e dai contratti collettivi, ma è evidente - anche sulla scorta di quanto già chiarito in premessa - che l’attenzione dell’obbligo informativo si concentra sulla concretezza del rapporto e, su questo piano, oltre ai generali ed essenziali richiami alla disciplina legale applicabile, da formularsi con chiarezza e semplicità, occorre fornire al lavoratore le indicazioni della disciplina contenuta nel contratto collettivo soggettivamente applicabile al rapporto.

Fermo l’obbligo dell’indicazione della durata del congedo per ferie, l’attenzione deve essere rivolta alla locuzione «nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore».

Il primo aspetto che emerge evidente dalla formulazione letterale della disposizione è che rilevano esclusivamente i congedi retribuiti, per cui non vi è obbligo di comunicazione di quelli per cui non è prevista la corresponsione della retribuzione.

Il secondo aspetto, di fondamentale importanza, è la perimetrazione del concetto di “congedo”, atteso che nel nostro ordinamento esistono diverse forme di temporanea astensione dalla prestazione lavorativa variamente denominate (congedo, assenza, permesso, aspettativa, ecc.).

Tenuto conto della formulazione letterale della disposizione – che evidentemente ha voluto prevedere l’informativa solo in relazione alle forme di astensione temporanea maggiormente incidenti sul rapporto di lavoro – si ritiene che l’obbligo di informazione per il datore di lavoro riguardi solo quelle astensioni espressamente qualificate dal legislatore come “congedo”.

Ciò anche in ossequio ad un principio di ragionevolezza degli oneri informativi posti a carico del datore di lavoro.

In via esemplificativa e non esaustiva si indicano, di seguito, alcune ipotesi di congedi retribuiti previsti dalla legge:

- congedi di maternità e paternità, congedo parentale e congedo straordinario per assistenza a persone disabili, secondo la disciplina di cui al d.lgs. n. 151/2001;
- congedo per cure per gli invalidi, secondo la disciplina di cui all’articolo 7 del d.lgs. n. 119/2011;
- congedo per le donne vittime di violenza di genere secondo la disciplina di cui all’articolo 24 del d.lgs. n. 80/2015.

Si richiama, comunque, la necessità che il datore di lavoro tenga conto, oltre che della disciplina legale, anche di quella contenuta nel contratto collettivo, in ossequio al principio di concretezza dell’informazione sul rapporto di lavoro già richiamato in precedenza.

1.2. Retribuzione (articolo 1, comma 1, lett. n), d.lgs. n. 152/1997)

La riforma prevede che il datore abbia l’obbligo di indicare «l’importo iniziale della retribuzione o comunque il compenso e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo e delle modalità di pagamento».

Con tale formula ci si riferisce a tutte quelle componenti della retribuzione di cui sia oggettivamente possibile la determinazione al momento dell’assunzione, secondo la disciplina di legge e di contratto collettivo.

Risulta chiaro, ad esempio, che il datore di lavoro non potrà indicare l’importo degli elementi variabili della retribuzione (ad esempio, il premio di risultato), pur essendo tenuto ad indicare al lavoratore – ciò sulla scorta di quanto previsto da specifiche previsioni di contratto collettivo soggettivamente applicabili al rapporto – in base a quali criteri tali elementi variabili saranno riconosciuti e corrisposti.

Per quanto concerne le eventuali misure di welfare aziendale o, ancora, il buono pasto, queste, non rientrando ordinariamente nell’assetto retributivo, non sono oggetto dell’informativa, salvo che non siano previste dalla contrattazione collettiva o dalle prassi aziendali come componenti dell’assetto retributivo.

1.3. Orario di lavoro programmato (articolo 1, comma 1, lett. o), d.lgs. n. 152/1997)

L’articolo 1, comma 1, lett. o) del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 prevede che il datore di lavoro debba informare il lavoratore su «la programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile».

Sul punto deve ritenersi, come già evidenziato nella premessa, che le informazioni debbano riguardare, più che la generale disciplina legale, soprattutto i riferimenti al contratto collettivo nazionale e agli eventuali accordi aziendali che regolano il tema dell’orario nel luogo di lavoro.

Nello specifico, le informazioni devono essere incentrate sulla concreta articolazione dell’orario di lavoro applicata al dipendente, sulle condizioni dei cambiamenti di turno, sulle modalità e sui limiti di espletamento del lavoro straordinario e sulla relativa retribuzione.

Nel caso di variazioni dell’orario di lavoro successivamente intervenute, l’informativa si rende necessaria solo in presenza di modifiche che incidono sull’orario di lavoro in via strutturale o per un arco temporale significativo, fermo restando il rispetto della legge e del contratto collettivo soggettivamente applicabile al rapporto di lavoro.

Può essere utile precisare che generalmente rientrano nella definizione del lavoro prevedibile anche le ipotesi di lavoro a turni e di lavoro multi-periodale: in tali casi sarà sufficiente indicare che il lavoratore viene inserito in detta articolazione oraria e rendere note le modalità con cui allo stesso saranno fornite informazioni in materia.

Del pari, rientra nella nozione di lavoro prevedibile anche l’orario di lavoro discontinuo, che si riferisce ad attività che non richiedono un impegno continuativo di lavoro (ad esempio nel caso di portieri, custodi, guardiani, fattorini, ecc.).

1.4. Previdenza e assistenza (articolo 1, comma 1, lett. r), d.lgs. n. 152/1997)

Il nuovo testo del d.lgs. n. 152/1997 prescrive per il datore di lavoro l’obbligo di informare il lavoratore su «gli enti e gli istituti che ricevono i contributi previdenziali e assicurativi dovuti dal datore di lavoro» e «su qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso».

Dando per scontato il significato della prima parte della disposizione, è utile richiamare la seconda parte solo per chiarire che tali informazioni dovranno essere fornite dal datore di lavoro anche alla luce della specificità della contrattazione collettiva applicabile al rapporto, rappresentando al lavoratore, ad esempio, la possibilità di aderire a fondi di previdenza integrativa aziendali o settoriali.

2. SULLE MODALITÀ DI COMUNICAZIONE DEGLI OBBLIGHI INFORMATIVI

Come indicato nell’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, è possibile utilizzare diverse modalità per assolvere l’obbligo informativo, pur nel rispetto dei termini previsti dalla medesima disposizione.

E’ da ritenersi ammessa la possibilità di comunicazione dell’informazione in modalità informatica, come già chiarito nella citata circolare INL dello scorso agosto, cui si rinvia.

3. SUGLI ULTERIORI OBBLIGHI INFORMATIVI NEL CASO DI UTILIZZO DI SISTEMI DECISIONALI O DI MONITORAGGIO AUTOMATIZZATI

L’articolo 1-bis del d.lgs. n. 152/1997, inserito dall’articolo 4, lett. b), del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, prevede ulteriori obblighi informativi nel caso che il datore di lavoro utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.

In particolare, il comma 1 prevede che «Il datore di lavoro o il committente pubblico e privato è tenuto ad informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300.».

Dalla lettura della disposizione possono individuarsi due distinte ipotesi che il decreto ha voluto regolare per gli aspetti informativi, qualora il datore di lavoro utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati che siano: a) finalizzati a realizzare un procedimento decisionale in grado di incidere sul rapporto di lavoro; b) incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori.

Premesso che il legislatore ha inteso occuparsi di strumenti tecnologici e modelli organizzativi in costante evoluzione, con particolare riferimento alla fattispecie sub a), sulla base delle conoscenze e delle esperienze attualmente disponibili, si può ritenere che per sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati si intendono quegli strumenti che, attraverso l’attività di raccolta dati ed elaborazione degli stessi effettuata tramite algoritmo, intelligenza artificiale, ecc., siano in grado di generare decisioni automatizzate.

Nell’ipotesi descritta, l’obbligo dell’informativa sussiste anche nel caso di intervento umano meramente accessorio.

Nella sostanza, il decreto legislativo richiede che il datore di lavoro proceda all’informativa quando la disciplina della vita lavorativa del dipendente, o suoi particolari aspetti rilevanti, siano interamente rimessi all’attività decisionale di sistemi automatizzati.

Ad esempio, l’obbligo dell’informativa sussiste nelle seguenti ipotesi:

1. assunzione o conferimento dell’incarico tramite l’utilizzo di chatbots durante il colloquio, la profilazione automatizzata dei candidati, lo screening dei curricula, l’utilizzo di software per il riconoscimento emotivo e test psicoattitudinali, ecc.;
2. gestione o cessazione del rapporto di lavoro con assegnazione o revoca automatizzata di compiti, mansioni o turni, definizione dell’orario di lavoro, analisi di produttività, determinazione della retribuzione, promozioni, etc., attraverso analisi statistiche, strumenti di data analytics o machine learning, rete neurali, deep-learning, ecc.

Diversamente, non sarà necessario procedere all’informativa nel caso, ad esempio, di sistemi automatizzati deputati alla rilevazione delle presenze in ingresso e in uscita, cui non consegua un’attività interamente automatizzata finalizzata ad una decisione datoriale.

Discorso a parte merita, invece, la previsione sub b), riguardante «le indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori».

Anche in questa ipotesi il datore di lavoro ha l’obbligo di informare il lavoratore dell’utilizzo di tali sistemi automatizzati, quali – a puro titolo di esempio: tablet, dispositivi digitali e wearables, gps e geolocalizzatori, sistemi per il riconoscimento facciale, sistemi di rating e ranking, etc.

Si deve ritenere che l’obbligo informativo introdotto dal citato articolo 1-bis del d.lgs. n. 152/1997 trovi applicazione anche in relazione all’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati integrati negli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, allorquando presentino le caratteristiche tecniche e le funzioni descritte in precedenza.

4. SULLE PRESCRIZIONI MINIME RELATIVE ALLE CONDIZIONI DI LAVORO

Preliminarmente, occorre precisare che trattandosi di «Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro», le disposizioni contenute nel Capo III del decreto legislativo in esame costituiscono norme inderogabili e la contrattazione collettiva può introdurre solo disposizioni più favorevoli.

4.1. Durata massima del periodo di prova (articolo 7, decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104)

L’articolo 7 fissa la durata massima del periodo di prova a sei mesi, termine che può essere ridotto dai contratti collettivi, come definiti dall’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015.

Nel caso di contratto a tempo determinato, il periodo di prova è fissato proporzionalmente alla durata massima del contratto, entro i limiti previsti ex lege, e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego. Inoltre, in caso di rinnovo del contratto per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto a un nuovo periodo di prova.

Il comma 3 stabilisce che il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza, richiamando - a titolo meramente esemplificativo - la sopravvenienza di eventi quali malattia, infortunio, congedo di maternità/paternità obbligatori. L’indicazione di tali assenze, coerentemente con quanto previsto nella direttiva e come si evince dal tenore letterale della disposizione, non ha carattere tassativo e dunque rientrano nel campo di applicazione del comma 3 tutti gli altri casi di assenza previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, fra cui anche i congedi e i permessi di cui alla legge n. 104/1992 (cfr. Cass. n. 4573 del 22 marzo 2012 e Cass. n. 4347 del 4 marzo 2015).

Ciò risponde al principio di effettività del periodo di prova, in forza del quale è stata riconosciuta valenza sospensiva dello stesso alla mancata prestazione lavorativa causata da malattia, infortunio, gravidanza, puerperio, permessi, sciopero, sospensione dell’attività da parte del datore di lavoro.

Trattandosi di un principio consolidato nell’ordinamento giuridico nazionale, appare evidente che se l’elencazione di cui al terzo comma dell’articolo 7 fosse considerata esaustiva delle ipotesi di sospensione del periodo di prova, si avrebbe una riduzione generale del livello di protezione riconosciuto ai lavoratori, in contrasto con l’articolo 20 della direttiva (UE) 2019/1152. Ciò a ulteriore conferma del fatto che l’elencazione di cui al comma 3 è puramente esemplificativa e non esaustiva delle ipotesi di prolungamento del periodo di prova, nel cui novero si devono intendere ricomprese tutte quelle già riconosciute dall’attuale ordinamento giuridico.

Per le pubbliche amministrazioni continua ad applicarsi l’articolo 17 del d.P.R. n. 487/1994.

4.2. Cumulo di impieghi (articolo 8, decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104)

L’articolo 8 vieta al datore di lavoro di impedire al lavoratore di svolgere in parallelo un altro rapporto di lavoro, se quest’ultimo ha luogo in orario al di fuori della programmazione dell’attività lavorativa concordata o di riservargli - per tale motivo

- un trattamento meno favorevole.

Le uniche condizioni che consentono al datore di lavoro di «limitare o negare al lavoratore lo svolgimento di un altro e diverso rapporto di lavoro» sussistono allorché: a) vi sia un «pregiudizio per la salute e sicurezza, ivi compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi»; b) sia necessario
«garantire l’integrità del servizio pubblico»; c) «la diversa e ulteriore attività sia in conflitto di interessi con la principale, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105 del codice civile».

La sussistenza di tali condizioni, che hanno carattere tassativo, deve essere verificata in modo oggettivo: le stesse devono, quindi, essere concretamente sussistenti e dimostrabili e non rimesse a mere valutazioni soggettive del datore di lavoro.

Con riferimento all’espressione «integrità del servizio pubblico», poiché resta ferma, ai sensi dell’articolo 8, comma 4, la disciplina del lavoro pubblico di cui all’articolo 53 del d.lgs. n. 165/2001, essa è da intendersi limitata a quei servizi pubblici gestiti da enti o società cui non si applica la disciplina dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

Il «conflitto di interessi», anche alla luce degli orientamenti maturati in materia di anticorruzione, può ritenersi che ricorra quando l’ulteriore attività lavorativa, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105 cod. civ., comporti, anche potenzialmente, interessi in contrasto con quelli del datore di lavoro.

In ossequio ai principi generali di buona fede e correttezza, si può infine ritenere che spetti al lavoratore informare il datore di lavoro qualora ricorrano talune delle condizioni ostative al cumulo di impieghi.

4.3. Prevedibilità minima del lavoro (articolo 9, decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104)

L’articolo 9 riguarda i contratti in cui la durata dell’orario di lavoro e la sua collocazione temporale non sono predeterminati. In tali casi, il datore di lavoro o il committente (esclusivamente nell’ambito di contratti di co.co.co. ed etero-organizzati) può imporre al lavoratore di svolgere l’attività lavorativa solo se:

a) il lavoro si svolge entro ore e giorni di riferimento predeterminati;
b) il lavoratore è informato dal suo datore di lavoro o committente sull’incarico da eseguire con il ragionevole periodo di preavviso di cui al nuovo articolo 1, comma 1, lettera p) 3), del d.lgs. n. 152/1997.
Il considerando n. 32 della direttiva richiama espressamente l’esigenza che il periodo minimo di preavviso, inteso come il tempo che intercorre tra il momento in cui un lavoratore è informato in merito a un nuovo incarico di lavoro e il momento in cui inizia l’incarico, abbia una durata “ragionevole”. Tale periodo può variare in funzione delle esigenze del settore interessato, ferma restando la necessità di garantire in ogni caso l’adeguata protezione dei lavoratori.

4.4. Transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili (articolo 10, decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104)

L’articolo 10, ferme restando le disposizioni più favorevoli già presenti nel nostro ordinamento, ha previsto il diritto per il lavoratore che abbia maturato un’anzianità di lavoro presso lo stesso datore di lavoro e che abbia superato l’eventuale periodo di prova, di poter accedere, ove possibile, ad un rapporto di lavoro più stabile e sicuro.

Tale principio, anche alla luce del considerando n. 36 e dell’impianto complessivo della direttiva, intende consentire a lavoratori che siano già occupati presso un datore di lavoro con forme contrattuali non particolarmente stabili, di poter transitare - previa espressa richiesta - verso contratti di lavoro che garantiscano maggiore durata e stabilità, a condizione che siano effettivamente disponibili presso il medesimo datore di lavoro.

4.5. Formazione obbligatoria (articolo 11, decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104)

L’articolo 11 prevede che la formazione obbligatoria sia garantita gratuitamente a tutti i lavoratori, sia considerata come orario di lavoro e, ove possibile, sia svolta durante lo stesso. La disposizione, tuttavia, non si applica alla formazione professionale e alla formazione per ottenere o mantenere una qualifica professionale, salvo che il datore di lavoro non sia tenuto a fornirla per legge o in base al contratto individuale o collettivo.

5. SULLE MISURE DI TUTELA

Per quanto concerne le misure di tutela, occorre richiamare quanto previsto dall’articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104.

Tale previsione fa riferimento a «misure equivalenti» al licenziamento, intendendosi per esse tutte quelle modifiche, adottate dal datore di lavoro o dal committente in modo unilaterale e a svantaggio del lavoratore, che incidono in modo sostanziale sugli elementi essenziali del contratto di lavoro e sono conseguenti all’esercizio dei diritti previsti dal decreto legislativo in oggetto e dal d.lgs. n. 152/1997 e, comunque, per ragioni estranee al lavoratore (cfr. Corte di Giustizia 11 novembre C- 422/14).

6. DISPOSIZIONI TRANSITORIE

Per quanto concerne la disciplina transitoria, contenuta all’articolo 16 del decreto in esame, si rinvia alle indicazioni già espresse nella circolare INL n. 4 del 10 agosto 2022.

...

Fonte: MLPS

Collegati
[box-note]Circolare INL n. 4 del 10 agosto 2022
Decreto Legislativo 27 giugno 2022 n. 104
Decreto Legislativo 30 giugno 2022 n. 105
Direttiva (UE) 2019/1152
Direttiva (UE) 2019/1158[/box-note]

Nota INL prot. n. 1159 del 7 giugno 2022

Nota INL prot  n  1159 7 giugno 2022

Nota INL prot. n. 1159 del 7 giugno 2022

ID 16803 | 08.06.2022 / In allegato Nota INL

Art. 14 D.Lgs. n. 81/2008 Provvedimenti di sospensione - Attività non differibili.

È pervenuta a questa Direzione una richiesta di parere concernente l’adozione del provvedimento di sospensione ex art. 14D.Lgs. n. 81/2008 a seguito della sostituzione della citata disposizione da parte dall’art. 13 del D.L. n. 146/2021, con particolare riferimento ai casi di attività la cui interruzione potrebbe comportare gravi conseguenze ai beni ed alla produzione (ad es. nel settore agricolo o in quello zootecnico) nonché la compromissione del regolare funzionamento di un servizio pubblico.

Al riguardo, acquisito il parere concorde del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 4916 del 26 maggio u.s., si rappresenta quanto segue.

A seguito dell’introduzione del “nuovo” provvedimento di sospensione, l’attuale formulazione normativa prevede, diversamente dal testo previgente, l’assenza di discrezionalità in capo al personale ispettivo fatta salva - in forza del comma 4 dell’art. 14 - la possibilità di farne decorrere gli effetti in un momento successivo a meno che “non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità”.

Ciò premesso, la circolare di questo Ispettorato n. 3/2021, nel fornire le prime indicazioni sull’applicazione sul novellato istituto della sospensione, nel paragrafo “condizioni per l’adozione del provvedimento” ha comunque ribadito - richiamando alcuni passaggi della precedente circolare n. 33/2009 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - la necessità di “valutare circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell’opportunità, di non adottarlo. Tali circostanze sono anzitutto legate ad esigenze di salute e sicurezza sul lavoro. In altre parole, laddove la sospensione dell’attività possa determinare a sua volta una situazione di maggior pericolo per l’incolumità dei lavoratori o di terzi è opportuno non emanare alcun provvedimento. In tal senso va dunque precisato che il provvedimento non va adottato quando l’interruzione dell’attività svolta dall’impresa determini a sua volta una situazione di pericolo per l’incolumità dei lavoratori della stessa o delle altre imprese che operano nel cantiere (si pensi, ad esempio, alla sospensione di uno scavo in presenza di una falda d’acqua o a scavi aperti in strade di grande traffico, a demolizioni il cui stato di avanzamento abbia già pregiudicato la stabilità della struttura residua e/o adiacente o, ancora, alla necessità di ultimare eventuali lavori di rimozione di materiali nocivi)”.

La mancata adozione del provvedimento di sospensione è pertanto da considerare una extrema ratio rispetto alla fisiologica applicazione del richiamato art. 14, determinata dal rischio che dall’adozione del provvedimento possano derivare situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.

Tale valutazione va effettuata in rapporto alla fattispecie concreta da parte del personale ispettivo, effettuando un bilanciamento degli interessi coinvolti nel caso di specie e la decisione della mancata adozione va accuratamente motivata, ai sensi dell’art. 3 della L. n. 241/1990 - come espressamente richiamato dal comma 5 dello stesso art. 14 - indicando già nel verbale di primo accesso i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione.

Nelle ipotesi prospettate, si ritiene pertanto che possa integrare un grave rischio per la pubblica incolumità la sospensione di un servizio pubblico che, in assenza di valide alternative che possano garantire l’esercizio di diritti spesso di rango costituzionale, va dunque salvaguardato (ad es. attività di trasporto, di fornitura di energia elettrica ecc.).

Analogamente è possibile che dalla sospensione dell’attività di allevamento di animali derivi un grave rischio per la pubblica incolumità, stanti peraltro le conseguenze di natura igienico sanitaria legate al mancato accudimento.

In tutte le ipotesi in cui non ricorrano i presupposti per una mancata adozione del provvedimento di sospensione ma si valuti che dallo stesso possano comunque derivare significativi danni per ragioni tecniche, sanitarie o produttive - ad es. per l’interruzione di cicli produttivi avviati o danni agli impianti per l’improvvisa interruzione - la valutazione da fare è sul possibile posticipo degli effetti della sospensione in un momento successivo a quello dell’adozione del provvedimento, come previsto dal comma 4 dell’art. 14 nel quale si fa riferimento al momento della “cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta”, intendendo pertanto per “attività lavorativa” non solo il singolo turno di lavoro ma il ciclo produttivo in corso, dalla cui interruzione possano derivare conseguenze gravi di natura economica (vedi raccolta dei frutti maturi, vendemmia in corso, ecc.) e sempre che dal posticipo degli effetti della sospensione non derivino rischi per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.

È evidente che laddove, medio tempore, stante il posticipo degli effetti del provvedimento di sospensione, dovessero verificarsi le condizioni indicate nel comma 9 dell’art. 14, lo stesso provvedimento potrà essere revocato.

Resta fermo che la continuazione dell’attività per mancata adozione del provvedimento o per posticipazione dei suoi effetti deve comunque avvenire nel rispetto di ogni condizione di legalità e di sicurezza, cosicché sarà ad esempio impedito ai lavoratori c.d. “in nero” di continuare a svolgere la propria attività sino ad una completa regolarizzazione e la possibilità, ai sensi del comma 1 dell’art. 14, di “imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”.

...

Fonte: INL

Collegati
[box-note]Sospensione attività per gravi e reiterate violazioni: Norme e Note
D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
Tavola di concordanza TUS - Modifiche DL 146/2021
DL Sicurezza lavoro Draghi Ottobre 2021 (DL 146/2021): Testo nuovi Artt. modificati
TUSSL / Link[/box-note]

Documento CIIP sulla formazione SSL - 2022

Proposte CIIP  01 06 2022

Documento CIIP sulla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro

ID 16790 | 06.06.2022 / In allegato Documento Proposte CIIP 01.06.2022

Testo Unico Accordo Stato Regioni: 

Sulla base di queste premesse e con riferimento alla modifica dell’art. 37 del D.Lgs. 81/08 introdotta dalla legge 215/21 (Decreto sicurezza lavoro Draghi), il gruppo FORMAZIONE di CIIP si è confrontato sull’ipotesi di definizione di un unico Accordo Stato Regioni per la Formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Accordo atteso entro il 30 giugno 2022

D.Lgs. 81/2008

Art. 37 - Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti
...

2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. 

Entro il 30 giugno 2022, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adotta un accordo nel quale provvede all’accorpamento, alla rivisitazione e alla modifica degli accordi attuativi del presente decreto in materia di formazione, in modo da garantire: a) l’individuazione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione obbligatoria a carico del datore di lavoro; b) l’individuazione delle modalità della verifica finale di apprendimento obbligatoria per i discenti di tutti i percorsi formativi e di aggiornamento obbligatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro e delle modalità delle verifiche di efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa. (Periodo aggiunto dal D.L n. 146/2021 / convertito L. n. 215/2021 / ndr)

________

Il quadro normativo previsto dal D.Lgs. 81/08 e dagli Accordi Stato Regioni appare complessivamente troppo intricato ed eterogeneo e necessita tuttora di interventi significativi di razionalizzazione e di semplificazione.

Il primo aspetto da considerare riguarda la necessità di evitare una divisione concettuale e temporale tra la formazione al lavoro e quella sulla sicurezza. È necessario un passaggio ad una formazione integrata che formi al lavoro sicuro e in salute.

In prospettiva, per i nuovi ingressi nel mondo del lavoro, sarebbe fondamentale che la formazione al lavoro sano e sicuro non fosse un “dopo” staccato dalla formazione al lavoro: risolvere questa “storica” crasi temporale aiuterebbe certamente a non considerare i temi della salute e sicurezza sul lavoro quasi un’opzione separata, “meno importante” rispetto all’acquisizione di competenze e professionalità nel proprio lavoro.

Negli ultimi 20 anni il mondo del lavoro è mutato profondamente, venendo sempre più caratterizzato da molteplicità di rapporti, da instabilità e varietà delle mansioni e da un progressivo stravolgimento del concetto di “sede e luogo di lavoro” oltre che di lavoro “collettivo”, e questo - di per sé - richiede un adeguamento delle modalità di formazione e dei percorsi formativi, con necessità di una ben maggiore flessibilità.

La formazione deve quindi sempre considerare il contesto dove opera il lavoratore e deve essere finalizzata a creare conoscenze e competenze a partire dai fabbisogni individuali oltre che collettivi.

Inoltre, un processo educativo efficace non può prescindere dall’acquisizione di una vera cultura della salute e della sicurezza che consenta di sviluppare una sensibilizzazione tale da determinare comportamenti virtuosi e coerenti.

È indispensabile, pertanto, il coinvolgimento del sistema dell’istruzione.

Per quanto riguarda i percorsi formativi specifici per i professionisti (RSPP, Medici del lavoro, operatori della prevenzione, consulenti) e per le altre figure della prevenzione aziendale (datori di lavoro, dirigenti, preposti, RLS) sono necessari in prima istanza interventi sui programmi dei corsi di laurea o di specializzazione, per fornire conoscenze e competenze più aderenti al mondo del lavoro attuale.

Al contempo è indispensabile una qualificazione degli enti formatori per garantire un adeguato livello della formazione specifica.

Un ruolo determinante negli insuccessi e nelle distorsioni del sistema della formazione delineato è determinato anche dalle difficoltà e dalle carenze del sistema dei controlli.

In aggiunta alle carenze del sistema dei controlli, va anche segnalata l’assenza diffusa di un sistema di verifiche ex post dell’efficacia della formazione e dell’addestramento impartiti ai destinatari della funzione formativa, in primis evidentemente i lavoratori, ma non certo solo essi. Tale carenza risulta decisiva per l’incapacità complessivamente mostrata dal sistema della formazione di auto correggersi eliminando strozzature ed inefficienze.

Per questi motivi diventa inderogabile intervenire definendo competenze (Piano Nazionale dei Controlli) e individuando strumenti adeguati per i controlli nei confronti degli enti erogatori di formazione, soprattutto in merito all’efficacia della formazione.

Tra le necessità di fondo, peraltro avanzate da tutti i soggetti istituzionali e non, c’è quella di operare una semplificazione dei percorsi formativi per evitare sovrapposizioni e ridondanze. Citiamo in proposito, a titolo esemplificativo: il riconoscimento dei crediti, della formazione scolastica, la riduzione delle ore per rischio basso e la riduzione dell’esternalizzazione.

TESTO UNICO ACCORDO STATO REGIONI

Sulla base di queste premesse e con riferimento alla modifica dell’art. 37 del D.Lgs. 81/08 introdotta dalla  legge 215/21 (Decreto sicurezza lavoro Draghi), il gruppo FORMAZIONE di CIIP si è confrontato sull’ipotesi di definizione di un unico Accordo Stato Regioni per la Formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Nell’ipotesi di lavoro si è pensato a un documento che contenga gli elementi organizzativi fondamentali unici e validi per tutti i percorsi formativi e a una serie di allegati con i contenuti e le modalità specifiche per la formazione delle diverse figure, comprese quelle attualmente non ricomprese negli attuali Accordi Stato Regioni (lavoratori, preposti, dirigenti, datori di lavoro, RSPP/ASPP, RLS, CSP/CSE, addetti attrezzature, addetti lavori in quota, montaggio e smontaggio ponteggi, lavori in ambienti confinati, addetti rimozione amianto, ecc.).

Verrebbero in tal modo definiti gli aspetti organizzativi fondamentali per tutti i percorsi formativi previsti dalle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con le sole esclusioni della formazione degli addetti all’emergenza e degli addetti al primo soccorso in quanto i criteri e i con-tenuti sono già stabiliti con legislazione specifica.

Nel documento unico che dovrebbe definire le questioni organizzative, e con riferimento ai contenuti dei vigenti Accordi Stato Regioni, dovrebbero essere affrontati i seguenti aspetti:

[alert]1. Individuazione degli enti formatori e sistema di accreditamento
2. Requisiti dei docenti
3. Organizzazione della formazione
4. Modalità formativa
5. Verifica di apprendimento ed efficacia della formazione
6. Verbali e rilascio attestati
7. Riconoscimento della formazione pregressa
8. Aggiornamenti[/alert]

Le articolazioni dei percorsi formativi e le metodologie didattiche per la formazione delle diverse figure saranno oggetto di singoli allegati.

In questa prima fase sono stati presi in considerazione i percorsi formativi di lavoratori, preposti e dirigenti e sono state fatte alcune riflessioni sulla formazione dei “datori di lavoro”.

Al presente documento viene allegata una specifica proposta per la formazione in ambito scolastico

1. INDIVIDUAZIONE DEGLI ENTI FORMATORI E SISTEMA DI ACCREDITAMENTO

- Gli attuali Accordi Stato Regioni non sono univoci nell’individuazione dei soggetti formatori abilitati a erogare corsi in materia di salute e sicurezza sul lavoro

- Sono indicati i soggetti formatori “Ope legis” legittimati dalla Legge con il D.Lgs. 81/2008 (art. 32 e art. 98) che, di fatto, possono svolgere la formazione su tutto il territorio nazionale

- L’art. 32 del  D. Lgs. 81/2008 indica altresì “ulteriori soggetti formatori” definiti da specifici Accordi Stato Regioni.

- Nell’Accordo Stato Regioni del 21/12/2011 viene indicata la possibilità che il soggetto organizzatore del corso sia anche il Datore di lavoro, senza indicare quali sarebbero i soggetti autorizzati

- Nell’’Accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 (formazione RSPP/ASPP) vengono individuati i soggetti formatori in un unico elenco che comprende sia gli autorizzati ex lege che gli enti accreditati (enti di formazione accreditati in conformità al modello di accreditamento definito in ogni Regione e Provincia autonoma ai sensi dell’Intesa sancita in data 20 marzo 2008).

CIIP ha più volte evidenziato come l’incertezza interpretativa e, soprattutto, la mancanza di controlli ha comportato un proliferare di proposte formative assolutamente inadeguate con formatori non qualificati e spesso improvvisati che hanno creato un mercato di adempimenti formali e in alcuni casi truffaldino.

Gli stessi datori di lavoro, autorizzati alla organizzazione diretta dell’attività formativa dei propri lavoratori, preposti e dirigenti (Accordo Stato Regioni del 21/12/2011) hanno molto spesso preferito rivolgersi a soggetti esterni che offrono soluzioni immediate a costi contenuti proprio per la loro bassa qualità.

Attualmente è estremamente semplice per chiunque acquistare via web pacchetti di slide preconfezionati e proporre corsi di formazione standardizzati senza alcuna competenza specifica e, soprattutto, senza aver preventivamente effettuato una minima verifica dei bisogni formativi. Sugli attestati rilasciati da questi improvvisati formatori compaiono normalmente loghi vari di soggetti formatori autorizzati ex lege che, a fronte di un corrispettivo, concedono l’uso del logo senza alcun controllo sulle competenze e sulla correttezza di quanto rilasciato a loro nome.

Ogniqualvolta le ASL effettuano verifiche e controlli non limitandosi alla acquisizione di attestati, emergono palesi violazioni e inosservanze e, soprattutto, viene evidenziata l’assoluta inefficacia della presunta formazione erogata. Tale situazione è emersa in modo evidente proprio durante gli accertamenti sulle cause di infortuni particolarmente drammatici.

Inoltre solo per gli enti accreditati dalle Regioni è previsto un controllo (iniziale e periodico) circa il possesso dei requisiti con i quali ottenere l’accreditamento. Requisiti consistenti essenzialmente nella idoneità della sede e della struttura organizzativa. Non è previsto un controllo sulla reale capacità di organizzare e somministrare la formazione.

Nessun controllo è previsto per gli organismi “ope legis”, legittimati.

In entrambi i casi manca qualsiasi controllo sullo svolgimento dei corsi.

Oltre alla vigilanza ex post svolta da ASL e INL si ritiene indispensabile un controllo periodico su tutti gli enti formatori e sui metodi, procedure, programmi, docenti, ecc. dei corsi erogati.

IPOTESI DI LAVORO CIIP

- Sostituire “soggetto formatore” con “ente formatore” per differenziare dai “docenti formatori”
- Riduzione del numero degli enti formatori autorizzati ex lege e individuazione di incompatibilità per gli enti deputati al controllo della formazione (ad esempio ASL/ATS e INAIL)
- Limitazione dell’ambito di competenza degli enti formatori specialisti alle sole materie di competenza
- Limitazione dell’ambito di competenza alla formazione delle sole proprie figure interne per Ministeri, Istituti d’istruzione, ecc. o ai propri iscritti per Ordini e collegi professionali
- Obbligo di accreditamento per tutte le strutture che operano per conto di enti autorizzati ex lege quali Università, fondi interprofessionali, associazioni datoriali, associazioni sindacali o come strutture operative di Organismi paritetici
- Sistema di accreditamento che dovrebbe essere, in prima istanza, unico, o comunque omogeneo nelle diverse Regioni e riconoscimento reciproco dei soggetti accreditati. Superamento dell’attuale sistema di accreditamento basato essenzialmente su requisiti strutturali e organizzativi e implementazione delle verifiche sulla competenza in materia di salute e sicurezza sul lavoro
- Istituzione di un elenco (repertorio nazionale) degli enti di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro autorizzati
- Definizione di un sistema di controllo di qualità degli enti autorizzati:
1) controllo sull’attività di formazione esercitata direttamente sugli enti formatori da parte delle istituzioni pubbliche che accreditano (Regioni o nuovo sistema di accreditamento nazionale) o da organismi statali deputati per il controllo dei soggetti “ope legis” (ad es. INAIL, INL);
2) controllo sull’attività di formazione direttamente in azienda da parte degli organismi di vigilanza (ASL/ATS, INL, VVF). Tale controllo, oltre alla verifica della sussistenza di tutti gli elementi formali, dovrebbe essere mirato alla verifica di efficacia della formazione.
- Valutazione circa la possibilità di istituire una funzione pubblica di accertamento dell’efficacia della formazione e dell’addestramento mediamente erogati nei diversi settori produttivi e ambiti territoriali, mirata a scopi conoscitivi e orientativi delle politiche di sostegno, priva di ricadute sanzionatorie.
- Attivazione del libretto formativo con obbligo di aggiornamento a carico degli enti formatori. In assenza del libretto formativo generale è possibile utilizzare piattaforme specifiche quali, ad esempio, i registri regionali degli addetti alle attrezzature, o prevedere la registrazione sul SINP
- Possibilità di organizzare la formazione di lavoratori, preposti e dirigenti in ambito aziendale sotto la responsabilità del Datore di lavoro (ente formatore), anche utilizzando competenze in-terne (formazione on the job)
- Introduzione di momenti formativi nella scuola per la diffusione della cultura della sicurezza, con inserimento curriculare, e facoltà per le scuole superiori di erogare ai loro studenti la “formazione dei lavoratori” direttamente in ambito scolastico prima dell’avvio al lavoro o al tirocinio (che andrà poi completata in modo contestualizzato dall’azienda). Vedi allegato “Scuola”.

Al fine di garantire un sistema per l’accreditamento omogeneo sul territorio nazionale e basato su effettivi principi di efficienza ed efficacia dell’attività formativa erogata, sarebbe opportuno ridefinire i criteri, eventualmente ipotizzando una autorizzazione unica nazionale.

Sistemi di questo tipo sono attualmente già vigenti per il rilascio di autorizzazioni o abilitazioni a soggetti privati che devono svolgere funzioni per conto dello Stato quali verifiche e controlli periodici di attrezzature e impianti, oppure funzioni di tipo omologativo (soggetti notificati per il rilascio di certificazioni CE).

2. REQUISITI DEI DOCENTI

- Il D.I. 6 marzo 2013 definisce i requisiti per i formatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
- L’Accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 ha esteso l’obbligo di possesso dei requisiti di cui al D.I. 6/3/2013 ai docenti di tutti i corsi di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro (esclusione solo laddove sono previsti requisiti specifici)
- Il D.I. 6/3/2013 stabilisce (art. 3) che, dopo 12 mesi dalla data di entrata in vigore, la Commissione consultiva valuti ed eventualmente elabori proposte migliorative.

Il giudizio su detta disciplina non può che essere di grave insufficienza, poiché accolla interamente al committente dei servizi formativi (il datore di lavoro) l’apprezzamento dell’idoneità e preparazione del docente ingaggiato.

Per quanto la materia sia attratta nelle competenze dirette dello Stato ed esuli quindi dal campo di intervento della CSR, la sua strettissima interconnessione con le materie trattate dalla CSR dovrebbe legittimare quest’ultima a farsi portavoce nei confronti dei competenti organi statali, segnatamente alla Commissione consultiva ex art. 6, d. lgs. 81/2008, di alcune basilari richieste di perfezionamento e aggiornamento della disciplina.

Va ristrutturata l’individuazione dei criteri mediante i quali attualmente il formatore in materia di SSL si autoqualifica, evitando di confondere quantità e qualità della sua personale forma-zione e sottoponendo a verifica soprattutto la sua qualificazione rispetto ad ogni singola “tematica" - es. MMC, Rumore, Vibrazioni, DPI, ecc.

Va individuata e riconosciuta la figura dell’istruttore/addestratore per le attività pratiche (anche on the job - es. manutentore elettrico aziendale per la parte pratica del corso PES/PAV) che il D.I. del 2013 non conosce.
Andrebbero differenziati i profili professionali di docente, formatore e istruttore in funzione della scala di valutazione EQF per meglio allinearsi al sistema europeo.

IPOTESI DI LAVORO CIIP

È necessario che i docenti posseggano competenze tecnico-professionali adeguate in SSL nei precisi ambiti di insegnamento, con una dimostrabile esperienza pratica e al contempo competenze didattiche.

- Prevedere una formazione specifica o esperienza diretta e pratica documentabile in ambito salute e sicurezza sul lavoro per tutti i docenti. Il solo possesso di una laurea o di un titolo di studio di secondo grado, quando ritenuto sufficiente, non può essere considerato elemento sufficiente per valutare conoscenza ed esperienza sulla materia.

Definire meglio i requisiti di conoscenza ed esperienza per evitare margini interpretativi (es.: individuare i KPI per ogni categoria come: Conoscenze - tecnico-specifiche, organizzative, comunicative / Capacità - intellettuale, gestionale, relazionale, emozionale, creativa-innovativa - Esperienza - in relazione alle attività svolte nel tempo sul campo - ecc...)

- Fornire indicazioni per l’individuazione delle aree tematiche di competenza (normativo/giuridica/organizzativa - rischi tecnici/igienico sanitari - relazioni/comunicazioni), già individuate dal legislatore, ma da puntualizzare e articolare in aree ben più specifiche, in particolare per ciò che concerne l’area “rischi tecnici/igienico sanitari”, prossima alla tuttologia.

- Prevedere un percorso differenziato con requisiti differenti per i docenti “aziendali” (formazione on the job). Le docenze potrebbero essere effettuate anche da personale interno alle aziende, che abbia frequentato il corso da preposto e che abbia il possesso dell’esperienza professionale triennale

- Garantire una effettiva parità di requisiti tra docenti aziendali interni e docenti esterni. Infatti, presumibilmente quello interno potrebbe disporre di una conoscenza più approfondita della Valutazione dei rischi aziendali. Tuttavia la formazione dello stesso esclusivamente on the job dovrebbe essere considerata non sufficiente; è in ogni caso necessaria la dimostrazione della sua conoscenza anche sul piano teorico e scientifico.

Per i docenti esterni deve essere prevista obbligatoriamente l’acquisizione della Valutazione dei rischi del Cliente per contestualizzare meglio l’attività formativa prima di erogare il corso.

- Definire i requisiti degli “istruttori per le parti pratiche dei corsi”. (Le parti pratiche dei corsi di formazione possono essere svolte da persone in possesso di esperienza professionale pratica, documentata, almeno triennale, nelle tecniche che comportano l’impiego di specifiche attrezzature o presidi, in relazione agli argomenti da trattare in ciascun specifico corso).

3. ORGANIZZAZIONE DELLA FORMAZIONE

Gli Accordi Stato Regioni attuali stabiliscono che il soggetto formatore deve:

a) Indicare il responsabile del progetto formativo
b) Indicare i nominativi dei docenti
c) Definire il numero massimo di partecipanti (35)
d) Predisporre il registro presenze
e) Verificare la partecipazione (minimo 90% delle ore per essere ammessi alla verifica dell’apprendimento

IPOTESI DI LAVORO CIIP

Prioritariamente si ritiene che il numero di 35 partecipanti sia troppo elevato per la forma-zione sia in aula (si propone 30) che in particolare in videoconferenza (massimo 20). Non è tuttora chiarito se il numero massimo di 35 partecipanti sia riferibile anche ai corsi di formazione in modalità e-learning.

Per alcuni percorsi formativi particolari che riguardano numeri molto grandi di discenti, potrà essere valutata la possibilità di avere un numero di discenti più ampio previa definizione di modalità di verifica dell’apprendimento più stringenti.

L’ente formatore che ha rilasciato gli attestati, sia un ente esterno oppure lo stesso datore di lavoro, deve conservare per un periodo congruo (ad es. 10 anni) il “Fascicolo del corso” contenente:

- Dati del corso (tipologia, analisi dei bisogni formativi, durata, contenuti)
- Dati anagrafici dei partecipanti
- Nominativi docenti (con CV)
- Registro del corso con elenco e firme dei partecipanti (per i corsi in videoconferenza o e-learning la registrazione con i tempi di fruizione)
- Verbali di verifica apprendimento (con data e ora)
- Elenco partecipanti idonei
- Copia degli attestati rilasciati

Qualora venga attivato il libretto formativo on line, l’ente formatore deve poter esibire copia di quanto registrato.

4. MODALITÀ FORMATIVA

Gli attuali Accordi Stato Regioni precisano che occorre privilegiare le metodologie interattive che comportano la centralità del discente.

La scelta delle modalità da adottare è determinata dagli obiettivi didattici specifici (acquisizione di conoscenze, o di capacità, oppure di atteggiamenti) che devono discendere dall’analisi dei fabbisogni formativi dei soggetti destinatari. In particolare per i lavoratori devono essere considerate le caratteristiche (stranieri, anziani/giovani, grado di esperienza e di specializzazione ...) e le tipologie contrattuali (temporanei, flessibili, somministrazione ...).

Per la formazione dei lavoratori, dei preposti e dei dirigenti deve essere preferita la forma-zione in azienda utilizzando, ad esempio il training on the job e altre metodologie interattive. Il tempo dedicato alle lezioni frontali non dovrebbe superare il 50% del tempo di formazione. Per questi motivi, in particolare per la formazione dei lavoratori e dei preposti, pur considerando che la normativa attuale prevede la possibilità di utilizzare modalità da remoto (e-learning e videoconferenza), tali modalità dovrebbero essere il più possibile evitate.

Si ritiene possibile consentire la formazione e-learning per quelle macro-categorie che si caratterizzano per avere particolari esigenze di ordine organizzativo quali ad esempio:

- elevata numerosità della popolazione lavorativa ed elevata mobilità interna;
- una matrice rischio/figura professionale ad elevata complessità;
- presenza di competenze ad elevato profilo professionale.

La soluzione tecnologica a supporto dello strumento formativo e-learning deve essere integrata all’interno di un più complesso sistema informativo aziendale, e deve garantire:

- accessibilità attraverso il sito intranet aziendale e integrata ai sistemi presenti;
- gestione del Servizio di Prevenzione e Protezione anche attraverso l’utilizzo di fornitori esterni;
- tracciamento e reportistica sia dei tempi di fruizione sia dell’esito delle verifiche di apprendi-mento;

I singoli corsi dovranno inoltre garantire:

- elevata integrazione tra le procedure aziendali ed il materiale didattico;
- metodologie didattiche differenti, immagini, testi, filmati ecc, per favorire l’apprendimento e la memorizzazione a lungo termine.

La validità dello strumento deve essere assicurata dalle figure responsabili, Dirigenti e Preposti, che assumono un ruolo fondamentale nel processo di individuazione di eventuali debiti formativi, ne verificano l’effettiva fruizione e verificano sul campo le competenze acquisite dando evidenza dell’efficacia dell’intervento formativo.

Per le figure che dovranno acquisire specifiche competenze tecniche e professionali (ad esempio RSPP, ASPP, Formatori, CSP, CSE, in parte RLS, ecc.) è possibile utilizzare modalità e metodologie differenti considerando:

- Formazione in aula 8
- Videoconferenza sincrona
- E-learning

Note:

- Preso atto che il legislatore ha riconosciuto la modalità della videoconferenza sincrona come un valido strumento per la formazione (legge 19 maggio 2022, n. 52 - art 9 bis), si ritiene indispensabile definire i requisiti di trasparenza, tracciabilità e interattività, fermo restando l’impossibilità di utilizzare questa modalità per le parti pratiche dei corsi di formazione.
- Ridurre al minimo la possibilità di accedere alla formazione e-learning. Proprio per l’uso dif-fuso di questa modalità, sarebbe opportuna una verifica di tutti gli enti che fanno formazione in e-Learning, ad esempio sottoponendo ad autorizzazione/abilitazione preventiva gli enti autorizzati (da affidare ad esempio a INAIL) e sulla effettiva efficacia laddove si è proceduto in tal modo.
- L’uso della modalità e-learning per la formazione di soggetti che si occuperanno di sicurezza professionalmente (RSPP, Coordinatori della sicurezza in edilizia, ecc.) dovrebbe prevedere un formale riconoscimento con un sistema abilitativo a cura dell’istruzione pubblica attraverso Università e scuole superiori, con una verifica di apprendimento affidata ad una commissione “terza”.

5. VERIFICA DI APPRENDIMENTI ED EFFICACIA DELLA FORMAZIONE

Premesso che si ritiene sempre indispensabile la rilevazione preventiva dei bisogni formativi individuali e collettivi, è comunque opportuno prevedere sempre anche verifiche iniziali prima dell’avvio del corso

Valutare l’opportunità di prevedere che la verifica di apprendimento e il conferimento dell’abilitazione vengano effettuati da organismi “terzi”, indipendenti o pubblici, soprattutto per le figure professionali (RSPP, CSP/CSE) e per la formazione in modalità e-learning.

In alternativa, per i corsi di formazione e di aggiornamento svolti in modalità e-Learning e per i corsi in videoconferenza sincrona l’ente soggetto formatore dovrà definire preventivamente le modalità con le quali verrà effettuata la verifica finale dell’apprendimento.

Le verifiche devono essere registrate, anche con l’utilizzo di supporti informatici, e devono evidenziare il nominativo del lavoratore coinvolto, data, tipologia del corso svolto, nominativo leggibile con firma del Docente o del Responsabile del progetto formativo.

Passaggi per le verifiche:

1. Rilevazione dei bisogni formativi e/o verifica iniziale
2. Verifiche intermedie
3. Valutazione alla fine del corso con metodologie più probanti rispetto al questionario (ad esempio con esercitazioni, presentazione e discussione su project work, colloquio)
4. Valutazione d’impatto
5. Verifica d’efficacia durante le prestazioni lavorative

Le verifiche di efficacia della formazione e dell’aggiornamento devono essere svolte durante lo svolgimento della prestazione lavorativa e sono predisposte dal Servizio di Prevenzione e Protezione che ne definisce argomenti, attrezzature, modalità, procedure nonché la periodicità, anche in funzione dei processi produttivi e dei corrispondenti rischi associati alle mansioni.

Nella elaborazione e predisposizioni delle verifiche di efficacia sono coinvolti i componenti del Servizio di Prevenzione e Protezione.

Un ruolo importante dovrà essere svolto dal preposto che dovrà essere appositamente formato per lo svolgimento di questo ruolo.

Per le aziende che hanno implementato il sistema di gestione MOG SSGL (verifica monito-raggio e miglioramento), la verifica di efficacia della formazione potrà avvenire nell’ambito di questo sistema.

Si ritiene opportuno che, sotto la responsabilità del datore di lavoro, vengano registrati e siano riscontrabili tutti controlli e le verifiche sulla coerenza dei comportamenti durante le prestazioni lavorative rispetto alla formazione erogata.

Da valutare l’ipotesi che l’efficacia complessiva del sistema possa essere monitorata con metodi “tipo INVALSI”: permetterebbe di verificare l’efficacia dell’intero sistema in maniera slegata dalla “vigilanza” e per scopi “statistici” utili alla sua eventuale ritaratura. Senza nulla togliere alla necessità che sia condotta una valutazione ad hoc rispetto ai singoli momenti formativi, necessaria sia all’impresa che ai “controlli”.

6. VERBALI E RILASCIO ATTESTATI

L’intero sistema non può più fare a meno di un libretto formativo del cittadino, sul quale siano registrati tutti i percorsi formativi in materia di salute e sicurezza sul lavoro e non solo.

In attesa della completa attuazione ad opera delle Regioni delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 276/2003 relative al “libretto formativo del cittadino”, autorizzare l’Ispettorato Nazionale del Lavoro o l’INAIL a predisporre un modello utile alla tenuta della documentazione relativa all’avvenuta formazione da inserire nella III sezione “Elenco delle certificazioni e attestazioni”.

Ciò allo scopo di favorire la corretta tenuta della documentazione stessa e, al contempo, permettere che, in caso di mutamento di lavoro, il datore di lavoro possa avere rapidamente contezza della formazione già effettuata dal soggetto.

I verbali con i risultati delle verifiche di apprendimento devono essere disponibili nel fascicolo del corso presso l’ente organizzatore o presso l’azienda qualora lo stesso sia organizzato e gestito sotto la responsabilità aziendale.

Per quanto riguarda la formazione dei professionisti (RSPP/ASPP, CSP/CSE) e le formazioni qualificanti (addetti alle attrezzature, lavori in ambienti confinati, addetti rimozione amianto, montaggio e smontaggio ponteggi, lavori in quota, ecc.) e indispensabile prevedere una registrazione formalizzata unica a livello nazionale (SINP o altra modalità).

7. RICONOSCIMENTO DELLA FORMAZIONE PREGRESSA

L’Accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 contiene le tabelle di equiparazione che consentono di evitare duplicazioni nei percorsi formativi richiesti.

Tuttavia si ritiene indispensabile una riflessione sulla possibilità di valorizzare per tutte le figure in formazione, compresi quindi lavoratori, dirigenti e preposti, le specifiche esperienze lavorative svolte (apprendimento informale o non formale), comprese quelle effettuate nell’ambito scolastico.

Si ritiene necessaria una semplificazione dei diversi percorsi formativi qualificanti proprio per evitare ripetitività e ridondanza di alcuni concetti.

8. AGGIORNAMENTI

L’aggiornamento è quello che rende la formazione un processo continuo, quale deve essere: occorre evitare che esso consista - come spesso avviene attualmente - nella somministrazione di un corso standardizzato di un numero fissato di ore entro la scadenza.

L’aggiornamento va realizzato - anche al di fuori di schemi normativi - ad ogni modifica significativa del processo produttivo (modifiche dei reparti, introduzione di nuove attrezzature, nuove tecnologie, nuove sostanze e miscele pericolose) e dell’organizzazione del lavoro ma anche a seguito di infortuni e malattie professionali o di altri eventi significativi nella gestione della SSL, coerentemente con l’aggiornamento del DVR ma non solo.

L’aggiornamento deve essere realizzato sul posto di lavoro, con modalità e durata variabili in funzione delle necessità, assicurando comunque la periodicità minima stabilita, introducendo un sistema con crediti annuali (tipo ECM o simili).

Per l’aggiornamento dei lavoratori e dei preposti è opportuna una formazione in azienda, possibilmente sul posto di lavoro, al fine di riprendere gli aspetti formativi che hanno evidenziato carenze e correggere procedure inadeguate.

L’aggiornamento dovrebbe essere programmato per ogni cambiamento delle condizioni di lavoro o in caso di eventi significativi (come sopra).

L’aggiornamento obbligatorio per le figure professionali e specialistiche può essere ottemperato per mezzo della partecipazione a convegni o seminari nella misura non superiore al 25% del totale di ore previste.

Possono essere assegnate al massimo 2 ore di aggiornamento per ciascun evento.

I crediti formativi sono rilasciati dagli enti soggetti formatori che possono organizzare o patrocinare Convegni e seminari di studio.

ALLEGATI

LA FORMAZIONE DEI DATORI DI LAVORO

La base di partenza è rappresentata dal percorso formativo attualmente previsto per i datori di lavoro RSPP delle aziende a rischio basso (16 ore). Infatti i contenuti di questa formazione si sovrappongono a quanto previsto per la formazione dei dirigenti.

È comunque opportuno prevedere perlomeno due diverse tipologie di datori di lavoro:

1. Titolari di grandi aziende - Amministratori delegati - Direttori generali - Direttori di stabilimento con delega
2. Lavoratori autonomi, artigiani, commercianti, professionisti - con collaboratori

Per i datori di lavoro di cui al punto 1, che normalmente dispongono di strutture di supporto, la formazione deve avere un approccio culturale qualitativo con taglio prevalentemente organizzativo, gestionale, strategico, economico oltre che tecnico.

Per i datori di lavoro di cui al punto 2 la formazione deve essere mirata anche alla gestione dei rischi specifici presenti in queste attività lavorative. Anche in questo caso è necessario prevedere un momento formativo sugli aspetti normativi, gestionali e organizzativi.

Per le imprese artigiane e le microimprese, dove spesso il datore di lavoro opera a contatto con i propri collaboratori, sarebbe opportuno prevedere momenti formativi comuni tra lavoratori e datori di lavoro.

LE FIGURE AZIENDALI DELLA PREVENZIONE

La formazione deve:

- essere specifica per settore lavorativo, per mansione e per tipologia contrattuale;
- privilegiare le metodologie attive idonee a ottimizzare i processi di apprendimento degli adulti
nel contesto considerato;
- basarsi sulla centralità del discente, ricercandone partecipazione e coinvolgimento: in relazione a questo la modalità “lezioni frontali” non deve superare il 50% del tempo di formazione.
- bilanciare gli aspetti nozionistici e tecnici con quelli motivazionali e comportamentali o socio- relazionali (”trasversali”)
- sviluppare nei discenti capacità di autonoma analisi del contesto lavorativo, di lettura dei documenti aziendali e di interazione con gli altri soggetti aziendali della prevenzione;
- essere integrata con l’organizzazione aziendale, riducendosi per quanto possibile l’esternalizzazione in modo che almeno una quota significativa della formazione venga condotta nel luogo di lavoro o sia comunque legata alla realtà lavorativa aziendale:
-- avvalendosi delle competenze e della collaborazione di figure aziendali (RSPP, MC, RLS, di-rigenti, preposti o lavoratori senior o esperti)
-- utilizzando quali supporti della formazione i documenti aziendali di gestione della SSL (DVR, procedure e disposizioni interne, manuali di istruzioni di macchine, schede di sicurezza, protocollo sanitario, dati infortunistici e di malattia ecc.)
-- impiegando metodi di affiancamento, mentoring o coaching.
- utilizzare ai fini didattici appropriati esempi di eventi infortunistici o di malattie da lavoro relativi all’andamento di tali fenomeni nella azienda e/o nel comparto/settore di appartenenza al fine dell’apprendimento dei fattori causali, dell’acquisizione di consapevolezza dei rischi e delle conseguenze di salute.

LAVORATORI

Il percorso formativo deve essere per quanto possibile personalizzato sulla base delle necessità e della formazione pregressa, per costruire un curriculum formativo individuale. I fabbisogni devono essere formalmente riportati nella pianificazione della formazione, a sostegno della motivazione nella scelta delle modalità in relazione agli obiettivi (che possono consistere nell’acquisizione di conoscenze, capacità e comportamenti), ai contesti formativi, ai discenti.

Gli schemi formativi definiti - al fine di garantire l’adeguamento della formazione al contesto, ai fabbisogni, ai destinatari, alle imprese - possono essere applicati con la necessaria flessibilità, che deve essere motivata.

Ciò deve essere realizzato in particolare nelle situazioni caratterizzate da rapporti di lavoro flessibili, luoghi di lavoro destrutturati o non definiti, lavori in appalto/sub-appalto, lavoro in solitario, smart working, instabilità o variabilità occupazionale, ecc. per le quali è necessario prevedere modalità speciali volte a:

- fornire ai lavoratori capacità di lettura dell’organizzazione aziendale;
- fornire consapevolezza in merito ai propri diritti;
- permettere di riconoscere le particolarità dell’applicazione delle norme di tutela di salute e sicurezza nel proprio ambito.

Sulla base della formazione pregressa e dei fabbisogni formativi il tempo della formazione può essere rimodulato con possibilità di riduzione fino al 50% nel caso di precedenti corsi in parte sovrapponibili, onde evitare ripetizioni.

La formazione per la categoria di “rischio basso” dovrebbe essere semplificata e, probabilmente, ridotta nei tempi.

La formazione è propedeutica all’addestramento effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro (art.37 c.5).

PREPOSTI

La formazione deve garantire ai preposti le conoscenze specifiche del contesto di lavoro in cui operano, dei pericoli e dei rischi, delle misure di prevenzione e protezione ma, al contempo, le competenze necessarie allo svolgimento dei compiti richiesti, con attenzione quindi agli aspetti relazionali, comunicativi, psico-sociali.

La formazione dei preposti deve adottare modalità in grado di costruire capacità:

- di rilevare le carenze dei luoghi, delle attrezzature, delle macchine e degli impianti;
- di avere un quadro dei rischi e delle possibili conseguenze degli stessi;
- di svolgere i compiti di vigilanza sull’osservanza degli obblighi di legge dei lavoratori, sulle misure di sicurezza collettive e di protezione personale, sulle disposizioni aziendali in materia;
- di intervenire sui comportamenti dei lavoratori e delle ditte presenti in regime di appalto.

Durata: 16 ore (aumento di 8 ore) con ripetizione biennale (L. 215) solo di 8 ore?

DIRIGENTI

La formazione per i dirigenti deve essere sovrapponibile a quella dei datori di lavoro per argomenti e per modalità, ad esclusione di quanto concerne gli obblighi non delegabili di cui all’art. 17.

La formazione deve garantire ai dirigenti le conoscenze specifiche del contesto di lavoro in cui operano, dei pericoli, dei rischi, dei possibili danni, delle misure di prevenzione e protezione adottabili e al contempo le competenze necessarie allo svolgimento dei compiti previsti dal loro ruolo e incarico e dalle deleghe ricevute (dirigente del personale, degli acquisti, della manutenzione, ecc.) compresi gli aspetti relazionali, comunicativi, psico-sociali.

Le modalità per la formazione dei dirigenti devono permettere di costruire capacità:

- di collaborare alla valutazione dei rischi della propria azienda, compresi i rischi di interferenza in caso di appalti e subappalti, e alla definizione delle soluzioni tecniche, organizzative, procedurali;
- di rilevare carenze dei luoghi, attrezzature, macchine e impianti;
- di saper comunicare con le figure aziendali (preposti, RLS, medico competente, incaricati del primo soccorso...) coinvolgendole ai fini di creare un’organizzazione efficiente e proattiva alle finalità di prevenzione;
- di svolgere i compiti di direzione sull’osservanza degli obblighi di legge dei preposti e dei lavoratori, sulle misure di sicurezza collettive e di protezione personale, sulle disposizioni aziendali, con attenzione anche alle modalità operative dei lavoratori e delle ditte presenti in regime di appalto.

Durata: 16 ore con ripetizione biennale (L. 215)

ALLEGATO SULLA FORMAZIONE ALLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO (SSL) NELLE SCUOLE

A cura di Sergio Piazzolla e Maria Grazia Fulco

Le scuole superiori sono obbligate a formare alla Sicurezza sul lavoro i propri alunni che nella didattica utilizzano laboratori ed attrezzature, sia per la parte Generale sia per la parte specifica. Qualora ci siano le condizioni, ciascuna scuola può erogare agli alunni la formazione generale e la formazione specifica direttamente, oppure in alternativa può scegliere di avvalersi di formatori esterni o di attuare forme miste. In caso di Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO), la formazione specifica ricevuta a scuola potrebbe non essere sufficiente e quindi va necessariamente integrata e contestualizzata da parte dell’azienda ospitante. Nella progettazione/realizzazione dei PCTO vanno ricordati i ruoli fondamentali dei tutor scolastici e aziendali.

Tuttavia, parlando con studenti e professori, sembra che la formazione alla SSL sia ancora vissuta come un obbligo da assolvere e non come una necessità da fare propria e da interiorizzare.

Per ovviare a ciò si propone di adottare il percorso proposto in “Scuola Sicura”, ovvero di accompagnare lo studente, dalle scuole materne fino alle superiori, con le conoscenze in materia di SSL, che dovranno essere declinate in base all’età e sviluppate in un continuum didattico. Viene proposto che gli insegnanti ”aggancino” le tematiche di SSL alle proprie materie, offrendo così spunti concreti e pertinenti di riflessione e di rielaborazione in merito.

Appare anche strategico, accanto alla formazione obbligatoria “standard” prevista per le scuole (generale e specifica), avvalersi di approfondimenti tematici, che ogni scuola potrà sviluppare sulla scorta delle sollecitazioni interne e del proprio territorio, finalizzate a sviluppare consapevolezza nei confronti di SSL da parte dei propri studenti.

Tali approfondimenti/sollecitazioni sono ancora più necessari in questo momento storico in cui la formazione generale viene erogata on line. Bisogna allenare gli studenti a ragionare nei termini di causa ed effetto e aiutarli ad immaginare le conseguenze delle azioni/situazioni, etc.

Gli psicologi ci insegnano che per ricordare è bene legare gli eventi alle emozioni, per cui è necessario anche nella scelta degli approfondimenti, tenere in considerazione questi aspetti. Potrebbe essere funzionale allo scopo, per esempio la visione di un pezzo teatrale, della lettura di un passo di letteratura, di un film, etc...

Il recente reinserimento dell’Educazione civica può rappresentare una opportunità per la promozione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro nelle scuole.

Il vero salto culturale sarebbe quello di realizzare l’inserimento curricolare della cultura della salute e sicurezza nelle scuole. Come si diceva prima, Scuola sicura, potrebbe rappresentare un utile strumento.

Tuttavia per facilitare questo processo anche gli insegnanti andrebbero accompagnati e sostenuti. Dal nostro punto di vista gli insegnanti rivestono il duplice ruolo, ovvero quello di lavoratori e quello di educatori.

Si tratta di un connubio prezioso, che va tenuto presente in occasione della loro formazione obbligatoria in qualità di lavoratori. La formazione dedicata agli insegnanti dovrebbe essere progettata e strutturata già con l’ottica che questi possano ritrasferirla ai propri studenti, con metodologie didattiche opportune da loro elaborate e declinate per età, contesto scolastico e ambientale.

Nelle more che avvenga questo cambio di paradigma si potrebbe agire offrendo degli aggiornamenti agli insegnanti di tutte le scuole di ogni ordine e grado, coinvolgendo i Servizi PSAL dei Dipartimenti di Prevenzione.

In questo duplice processo dovrebbero essere coinvolti i Dipartimenti di Prevenzione con i propri PSAL, previa intesa fra MIUR, Ministero del Lavoro e Ministero della salute.

Tale mission andrebbe inserita nei LEA della sanità e nei corsi obbligatori di aggiornamento degli insegnanti, in modo che non si verifichino costi aggiuntivi per lo Stato. Inoltre si realizzerebbe quella tanto auspicata collaborazione fra enti. E’ un processo lungo, che darà i suoi frutti sul lungo periodo.

Questi atti sono necessari per permettere l’inserimento di SSL nei piani delle offerte formative e nei curricula scolastici.

Si aggiunge che anche nei percorsi universitari è opportuno che si inserisca un insegnamento di SSL. In particolare nel Corso di Laurea di Scienze della Formazione Primaria, che prepara i futuri docenti delle scuole d’infanzia e primarie, è importante insegnare e sperimentare queste competenze, come attuato per tre anni accademici presso l’Università di Bergamo. Si ritiene opportuno sensibilizzare le Università, attraverso il Ministero dell’Università.

Di seguito si riportano le esperienze svolte fino ad oggi da ATS Bergamo e da ATS CM Milano, insieme ad una tabella che riassume diverse proposte.

Esperienze:

ATS Bergamo:

“La Scuola Sicura" in fase di sperimentazione a Bergamo, con le Unità di apprendimento e gli strumenti di osservazione e valutazione che sono stati messi a punto finora (visionabili liberamente al sito www.lascuolasicurabergamo.it).

Percorsi universitari relativi al mondo scolastico: Ideazione e realizzazione sperimentale (con docenza di personale ATS) di un corso “Salute e sicurezza del lavoro dell’insegnante, del tirocinante presso le istituzioni scolastiche ed educative, e degli allievi delle scuole.

Didattica della promozione della salute nelle scuole e nei servizi educativi” di 16 ore, attuato da personale di ATS Bergamo per 3 anni accademici (2017-2019) presso l’Università di Bergamo. È a disposizione il materiale didattico, il programma del corso e le valutazioni di gradimento.

ATS Città Metropolitana MILANO:

Ideazione e sperimentazione da parte di ATS Servizio PSAL Milano di un percorso formativo dedicato ai docenti della scuola primaria (elementari e medie) al fine di introdurre nel piano dell’offerta formativa l’inserimento di SSL. L’iniziativa è stata apprezzata dai docenti e dalla dirigenza scolastica, che ha chiesto una nuova edizione da presentare ai nuovi docenti poiché la scuola si è trovata ad affrontare un grande turn-over a causa del pensionamento della maggior parte dei docenti.

Ideazione e sperimentazione di un percorso formativo per far approfondire e sviluppare le tematiche di SSL all’interno di un PCTO fra un liceo di scienze umane e una scuola elementare per promuovere in quest’ultima, sede di PCTO, il trasferimento di aspetti di SSL da parte degli studenti liceali ai bambini più piccoli. Per tale progetto il servizio PSAL ha vinto nel 2018 il Premio qualità di ATS.

Realizzazione di percorsi prima in Alternanza scuola lavoro e successivamente in PCTO presso le nostre unità operative.

Si riporta la seguente tabella utilizzabile come riassunto/proposta:

Questione Norma attuale Riflessione Proposta

1) La scuola ha già oggi l’obbligo di formare alla sicurezza i suoi alunni che nella didattica utilizzano laboratori ed attrezzature (equiparati al lavoratore, e spesso cominciano ad utilizzarle già in classe prima...)

Ai sensi dell’Art.2 c.1 lettera a) del D.gs. 81/08, nelle Istituzioni scolastiche, in talune condizioni, ogni studente è equiparato al lavoratore. In particolare tale equiparazione è presente allorché gli Allievi delle scuole di ogni ordine e grado siano impegnati effettivamente in laboratori nell’uso di sostanze e attrezzature di lavoro ovvero quando sono esposti a rischio chimico, fisico o biologico (se considerato nel DVR) ovvero se usano videoterminali

La scuola DEVE garantire agli alunni almeno le 4 ore di formazione generale e 8 ore (rischio medio x Istruzione) di formazione specifica come da art. 37 D.Lgs 81/2008)

Esplicitare in quali modi alternativi:

1) erogandola direttamente a scuola

2) affidandola a enti esterni

3) Forma mista tra le 2 precedenti

4) Attuando l’inserimento curricolare permanente della cultura della SSL, suddiviso tra le varie discipline di insegnamento

E’ già in vigore l’obbligo per le scuole superiori, che riguarda quasi tutti gli allievi

Formalizzare - esplicitare che la scuola può erogare agli alunni la formazione direttamente, oppure in alternativa può scegliere di avvalersi di formatori esterni

Prevedere il rilascio dell’attestato di formazione da parte delle scuole, in caso di formazione in autonomia

2)La scuola superiore deve formare alla sicurezza gli alunni che fanno l’ex Alternanza scuola- lavoro (ora PCTO), equiparati ai lavoratori

Per quanto riguarda la Scuola Secondaria di Secondo Grado è necessaria la formazione da effettuare per tutti gli studenti (equiparati ai lavoratori poiché entrano nell’azienda ospitante) tenendo anche conto dell’obbligatorietà dei percorsi di PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, ossia Alternanza Scuola-Lavoro), per i quali, sempre e comunque, devono essere applicate tutte le misure preventive e protettive dell'integrità fisicopsichica di cui D.Lgs. n. 81/2008

Come sopra, la scuola può formare direttamente o scegliendo di concordare e affidare il compito all’azienda ospitante (che comunque deve assicurare la parte rimanente della formazione specifica che si è definita "CONTESTUALIZZATA")

Come da art. 37 D.Lgs (81/2008) e Accordo del 2011 art.5 c.2

 

E’già un obbligo in vigore per le scuole superiori, che riguarda tutti gli allievi (perché tutti devono fare PCTO)

Formalizzare- esplicitare che la scuola può erogare agli alunni la formazione generale e specifica direttamente (esclusa la parte di "specifica contestualizzata" riservata

all’azienda ospitante) oppure in alternativa può scegliere di avvalersi di formatori esterni

Prevedere il rilascio dell’attestato di formazione da parte delle scuole

 

3)Insegnamento della CULTURA della sicurezza, che è più ampia della Formazione mirata, è un percorso quinquennale che dà una forma mentis e delle competenze che si basano su conoscenze

E’una cultura più vasta, da cittadino

preparato ed attento, che prevede un numero più elevato di ore svolte nelle normali lezioni curricolari, per tutti gli anni di corso.

Esempio:

"A scuola di sicurezza": manuale guida della Regione Lombardia sulle

competenze di sicurezza da trasmettere nelle scuole

 

Inserimento curricolare della salute e sicurezza sul lavoro i docenti delle varie discipline di insegnamento veicolano ciascuno alcuni concetti ed aspetti culturali di sicurezza, legandoli alla propria materia.

Si può solo a titolo di esempio utilizzare eventualmente e liberamente il materiale di "lascuolasicu

rabergamo.it" ma anche altri analoghi.

 

La scuola può decidere liberamente di inserirlo nella sua proposta curricolare in modo trasversale tra le varie materie/discipline

oppure

si può anche trasmettere utilizzando il percorso obbligatorio trasversale di Educazione Civica (33 ore/anno scolastico, da erogare da parte dei docenti delle varie materie/discipline)

 

4) Percorsi universitari relativi al mondo scolastico

E’ opportuno che almeno nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria si introduca un insegnamento con CFU sull’igiene e Sicurezza dei docenti e degli allievi

 

Attualmente i percorsi con CFU di questo Corso di Laurea non prevedono questo insegnamento

La Sicurezza deve essere un bagaglio culturale dei futuri insegnanti delle scuole d’infanzia e primarie. Ed anche le modalità di base per trasmetterla.

Proporre al Ministero dell’università l’inserimento di questo insegnamento almeno nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria


Formazione/aggiornamento insegnanti elementari e medie per introdurre SSL nei POF.

Introduzione di momenti formativi ad hoc da affiancare alla formazione generale e specifica già prevista per elevare il livello di consapevolezza nei confronti di SSL degli studenti.

...

Fonte: CIIP

Collegati
[box-note]D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
TUSSL / Link | Certifico Srl - IT[/box-note]

Sensibilità chimica multipla: un campanello di allarme da inquinamento chimico?

Rapporto ISTISAN 22 11

Sensibilità chimica multipla: un campanello di allarme da inquinamento chimico?

Rapporto ISTISAN 22/11 (EN)

La sensibilità chimica multipla è una sindrome multisistemica dai risvolti ancora poco definiti. Data la correlazione ipotizzata con l’esposizione a basse dosi (sotto i limiti di legge) o a singola dose elevata sopra il limite a sostanze chimiche pericolose e/o a miscele delle stesse, questa sindrome potrebbe in futuro assurgere a ruolo guida sia nell’identificazione di soggetti geneticamente e/o epigeneticamente vulnerabili, sia nell’identificazione di classi di sostanze e miscele particolarmente pericolose e che richiedono una valutazione più approfondita in ambito regolatorio di prevenzione primaria. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha avuto negli ultimi 20 anni un ruolo parziale nell’analisi della problematica.

Si ritiene invece opportuna una valutazione puntuale e multidisciplinare dei singoli casi sospetti attualmente esistenti, una maggiore chiarezza nella determinazione e raccolta della casistica epidemiologica con relativa ricerca multidisciplinare dei possibili marcatori di esposizione, effetto biologico precoce e di malattia. A tal fine si sottopone a modello di analisi una descrizione puntuale in follow-up (aggiornato al 31 gennaio 2022) di un possibile caso, discutendo alcuni i punti critici rilevati.

...

TABLE OF CONTENTS

Introduction
References
What is Multiple Chemical Sensitivity?
Description of the syndrome
Italian research and Associations of patients on MCS
References
What about Italian Institutions and MCS?
Role of the INAIL, the national institute for insurance against accidents at works in Italy
Role of the ISS in the Italian context
References
A possible MCS case
Introduction
Description of the case
Legal action
Toxicological assessment
Psychological issue
Discussion and conclusions
Work related stress factors
Possible future implications
References

Appendix A
Medical sheets and work anamnesis with risk folders
Appendix B
Genotyping tests

...

Fonte: ISTISAN

Collegati
[box-note]Rischio chimico: metodo di valutazione EN 689:2019
E-book Rischio Chimico e Cancerogeno[/box-note]

Libro Unico del Lavoro (LUL) / Note

Libro unico del lavoro

Libro Unico del Lavoro (LUL) / Note

ID 16488 | 27.04.2022 / Nota completa in allegato

Il libro unico del lavoro ha la funzione di documentare lo stato effettivo di ogni singolo rapporto di lavoro e rappresenta per gli organi di vigilanza lo strumento attraverso il quale verificare lo stato occupazionale dell’impresa.

Il datore di lavoro privato, a meno che non sia un datore di lavoro domestico, deve istituire e tenere il libro unico del lavoro, sul quale iscrivere i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi (con o senza progetto) e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo.

Il libro unico del lavoro si realizza mediante uno dei seguenti sistemi:

- elaborazione e stampa meccanografica su fogli mobili a ciclo continuo, preventivamente numerati in ogni pagina e vidimati dall’Inail o da soggetti abilitati (tipografie)
- a stampa laser, con autorizzazione preventiva dell’Inail alla stampa e alla generazione della numerazione automatica; l’autorizzazione consente di vidimare il libro unico con stampa laser, utilizzando sia un tracciato pre-autorizzato dall’Inail alla casa di software che lo produce sia un tracciato elaborato dal datore di lavoro stesso
- su supporti magnetici o a elaborazione automatica dei dati, che garantiscano la consultabilità, la inalterabilità, la integrità dei dati, la sequenzialità cronologica. Questa modalità di tenuta è sottratta agli obblighi di vidimazione e autorizzazione dell’Inail.

La richiesta di autorizzazione alla vidimazione in stampa laser è presentata dalla Ditta o dall’intermediario (sempre a nome della ditta) tramite l’apposito servizio on line “Autorizzazione stampa laser” presente sul sito www.inail.it.

In caso di tenuta del libro unico su supporti magnetici o a elaborazione automatica dei dati, invece, bisogna fare comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro prima della messa in uso, con indicazioni dettagliate delle caratteristiche tecniche del sistema adottato.

Le registrazioni obbligatorie sul libro unico del lavoro devono avvenire entro la fine del mese successivo a quello di riferimento.

Il libro unico è tenuto e conservato, in alternativa, presso:

- la sede legale dell’impresa
- lo studio dei consulenti del lavoro o di altro professionista abilitato
- i servizi ed i centri di assistenza delle associazioni di categoria delle imprese artigiane e delle altre piccole imprese, anche in forma cooperativa.

Il datore di lavoro, i professionisti autorizzati o i servizi e i centri di assistenza delle associazioni di categoria che detengono il libro unico del lavoro hanno l'obbligo di conservarlo per la durata di cinque anni dalla data dell'ultima registrazione.

[box-warning]Sanzioni

Art. 36 co. 6 e 7 Decreto-Legge 25 giugno 2008 n. 112

La violazione dell’obbligo di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro. L’omessa esibizione agli organi di vigilanza del libro unico del lavoro é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro. I soggetti di cui all’articolo 1, quarto comma, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro quindici giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso sono puniti con la sanzione amministrativa da 250 a 2000 euro. In caso di recidiva della violazione la sanzione varia da 500 a 3000.

Salvo i casi di errore meramente materiale, l’omessa o infedele registrazione dei dati che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1500 euro e se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 500 a 3000 euro. La violazione dell’obbligo di compilazione coi dati , per ciascun mese di riferimento, entro la fine del mese successivo é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 150 a 1500 euro. La mancata conservazione é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro.[/box-warning]

_____

Normativa di riferimento

Decreto-Legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133 (in SO n.196, relativo alla G.U. 21/08/2008, n.195).

Art. 39 Adempimenti di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro

1. Il datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, deve istituire e tenere il libro unico del lavoro nel quale sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Per ciascun lavoratore devono essere indicati il nome e cognome, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l’anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative.

2. Nel libro unico del lavoro deve essere effettuata ogni annotazione relativa a dazioni in danaro o in natura corrisposte o gestite dal datore di lavoro, compresi le somme a titolo di rimborso spese, le trattenute a qualsiasi titolo effettuate, le detrazioni fiscali, i dati relativi agli assegni per il nucleo familiare, le prestazioni ricevute da enti e istituti previdenziali. Le somme erogate a titolo di premio o per prestazioni di lavoro straordinario devono essere indicate specificatamente. Il libro unico del lavoro deve altresi’ contenere un calendario delle presenze, da cui risulti, per ogni giorno, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore subordinato, nonché l’indicazione delle ore di straordinario, delle eventuali assenze dal lavoro, anche non retribuite, delle ferie e dei riposi. Nella ipotesi in cui al lavoratore venga corrisposta una retribuzione fissa o a giornata intera o a periodi superiori é annotata solo la giornata di presenza al lavoro.

3. Il libro unico del lavoro deve essere compilato coi dati di cui ai commi 1 e 2, per ciascun mese di riferimento, entro la fine del mese successivo.

4. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali stabilisce, con decreto da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le modalità e tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e disciplina il relativo regime transitorio.

5. Con la consegna al lavoratore di copia delle scritturazioni effettuate nel libro unico del lavoro il datore di lavoro adempie agli obblighi di cui alla legge 5 gennaio 1953, n. 4.

6. La violazione dell’obbligo di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro di cui al comma 1 é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro. L’omessa esibizione agli organi di vigilanza del libro unico del lavoro é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro. I soggetti di cui all’articolo 1, quarto comma, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro quindici giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso sono puniti con la sanzione amministrativa da 250 a 2000 euro. In caso di recidiva della violazione la sanzione varia da 500 a 3000.

7. Salvo i casi di errore meramente materiale, l’omessa o infedele registrazione dei dati di cui ai commi 1 e 2 che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1500 euro e se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 500 a 3000 euro. Ai fini del primo periodo, la nozione di omessa registrazione si riferisce alle scritture complessivamente omesse e non a ciascun singolo dato di cui manchi la registrazione e la nozione di infedele registrazione si riferisce alle scritturazioni dei dati di cui ai commi 1 e 2 diverse rispetto alla qualità o quantità della prestazione lavorativa effettivamente resa o alle somme effettivamente erogate. La violazione dell’obbligo di cui al comma 3 é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 150 a 1500 euro. La mancata conservazione per il termine previsto dal decreto di cui al comma 4 é punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro. Alla contestazione delle sanzioni amministrative di cui al presente comma provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza. Autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689 é la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.

8. Il primo periodo dell’articolo 23 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 é sostituito dal seguente: “Se ai lavori sono addette le persone indicate dall’articolo 4, primo comma, numeri 6 e 7, il datore di lavoro, anche artigiano, qualora non siano oggetto di comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, deve denunciarle, in via telematica o a mezzo fax, all’Istituto assicuratore nominativamente, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, indicando altresi’ il trattamento retributivo ove previsto”.

9. Alla legge 18 dicembre 1973, n. 877 sono apportate le seguenti modifiche: a) nell’articolo 2, é abrogato il comma 3; b) nell’articolo 3, i commi da 1 a 4 e 6 sono abrogati, il comma 5 é sostituito dal seguente: “Il datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda é obbligato a trascrivere il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni alla unità produttiva, nonché la misura della retribuzione nel libro unico del lavoro”; c) nell’articolo 10, i commi da 2 a 4 sono abrogati, il comma 1 é sostituito dal seguente: “Per ciascun lavoratore a domicilio, il libro unico del lavoro deve contenere anche le date e le ore di consegna e riconsegna del lavoro, la descrizione del lavoro eseguito, la specificazione della quantità e della qualità di esso”; d) nell’articolo 13, i commi 2 e 6 sono abrogati, al comma 3 sono abrogate le parole “e 10, primo comma”, al comma 4 sono abrogate le parole “3, quinto e sesto comma, e 10, secondo e quarto comma”.

10. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati, fermo restando quanto previsto dal decreto di cui al comma 4:
a) l’articolo 134 del regolamento di cui al regio decreto 28 agosto 1924, n. 1422;
b) l’articolo 7 della legge 9 novembre 1955, n. 1122;
c) gli articoli 39 e 41 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797;
d) il decreto del Presidente della Repubblica 24 settembre 1963, n. 2053;
e) gli articoli 20, 21, 25 e 26 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;
f) l’articolo 42 della legge 30 aprile 1969, n. 153;
g) la legge 8 gennaio 1979, n. 8;
h) il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 gennaio 1981, n. 179;
i) l’articolo 9-quater del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni dalla legge 28 novembre 1996, n. 608;
j) il comma 1178 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
k) il decreto ministeriale 30 ottobre 2002 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 282 del 2 dicembre 2002;
l) la legge 17 ottobre 2007, n. 188;
m) i commi 32, lettera d), 38, 45, 47, 48, 49, 50, dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247;
n) i commi 1173 e 1174 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

11. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto trovano applicazione gli articoli 14, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modifiche e integrazioni.

12. Alla lettera h) dell’articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le parole “degli articoli 18, comma 1, lettera u)” sono soppresse.

_______

Decreto 9 luglio 2008

Modalita' di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e disciplina del relativo regime transitorio.

(GU n.192 del 18.08.2008)

...

Art. 1. Modalità di tenuta

1. Fermo restando l’obbligo, in fase di stampa, di attribuire a ciascun foglio una numerazione sequenziale, conservando eventuali fogli deteriorati o annullati, la tenuta e la conservazione del libro unico del lavoro può essere effettuata mediante la utilizzazione di uno dei seguenti sistemi:

a) a elaborazione e stampa meccanografica su fogli mobili a ciclo continuo, con numerazione di ogni pagina e vidimazione prima della messa in uso presso l’Inail o, in alternativa, con numerazione e vidimazione effettuata, dai soggetti appositamente autorizzati dall’Inail, in sede di stampa del modulo continuo;
b) a stampa laser, con autorizzazione preventiva, da parte dell’Inail, alla stampa e generazione della numerazione automatica;
c) su supporti magnetici, sui quali ogni singola scrittura costituisca documento informatico e sia collegata alle registrazioni in precedenza effettuate, o ad elaborazione automatica dei dati, garantendo oltre la consultabilità, in ogni momento, anche la inalterabilità e la integrità dei dati, nonché la sequenzialità cronologica delle operazioni eseguite, nel rispetto delle regole tecniche di cui all’art. 71 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82; tali sistemi sono sottratti ad obblighi di vidimazione ed autorizzazione, previa apposita comunicazione scritta, anche a mezzo fax o e-mail, alla direzione provinciale del lavoro competente per territorio, prima della messa in uso, con indicazione dettagliata delle caratteristiche tecniche del sistema adottato.

2. Ciascuna annotazione relativa allo stato di presenza o di assenza dei lavoratori deve essere effettuata utilizzando una causale precisamente identificata e inequivoca. In caso di annotazione tramite codici o sigle, il soggetto che cura la tenuta del libro unico del lavoro rende immediatamente disponibile, al momento della esibizione dello stesso, anche la decodificazione utile alla piena comprensione delle annotazioni e delle scritturazioni effettuate.

3. Fermi restando gli altri obblighi di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, la registrazione dei dati variabili delle retribuzioni può avvenire con un differimento non superiore ad un mese, a condizione che di ciò sia data precisa annotazione sul libro unico del lavoro.

Art. 2. Gestione della numerazione unitaria per consulenti del lavoro e soggetti autorizzati

1. I consulenti del lavoro, i professionisti e gli altri soggetti di cui all’art. 1, commi 1 e 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che siano autorizzati ad adottare un sistema di numerazione unitaria del libro unico del lavoro per i datori di lavoro assistiti devono:
a) ottenere delega scritta da ogni datore di lavoro, anche inserita nella lettera di incarico o documento equipollente;
b) inviare, in via telematica, all’Inail con la prima richiesta di autorizzazione, un elenco dei suddetti datori di lavoro e del codice fiscale dei medesimi;
c) dare comunicazione, in via telematica, all’Inail, entro 30 giorni dall’evento, della avvenuta acquisizione di un nuovo datore di lavoro e della interruzione di assistenza nei confronti di uno dei datori di lavoro già comunicati ai sensi della precedente lettera b).

Art. 3. Luogo di tenuta e modalità di esibizione

1. Il libro unico del lavoro è conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati o presso la sede dei servizi e dei centri di assistenza delle associazioni di categoria delle imprese artigiane e delle altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, comma 1, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.

2. Il libro unico del lavoro deve essere tempestivamente esibito agli organi di vigilanza nel luogo in cui si esegue il lavoro, quando trattasi di sede stabile di lavoro, anche a mezzo fax o posta elettronica, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale. In caso di attività mobili o itineranti, le cui procedure operative comportano lo svolgimento delle prestazioni lavorative presso più luoghi di lavoro nell’ambito della stessa giornata o sono caratterizzate dalla mobilità dei lavoratori sul territorio, il libro unico del lavoro deve essere esibito, dal datore di lavoro che lo detenga nella sede legale, entro il termine assegnato nella richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.

3. I consulenti del lavoro e gli altri professionisti abilitati, nonché i servizi e i centri di assistenza delle associazioni di categoria di cui all’art. 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, devono esibire il libro unico del lavoro dagli stessi detenuto non oltre quindici giorni dalla richiesta espressamente formulata a verbale dagli organi di vigilanza.

Art. 4. Elenchi riepilogativi mensili

1. A richiesta degli organi di vigilanza, in occasione di un accesso ispettivo, i datori di lavoro che impiegano oltre dieci lavoratori od operano con più sedi stabili di lavoro ed elaborano il libro unico del lavoro con uno dei sistemi di cui all’art. 1, comma 1, del presente decreto, devono esibire elenchi riepilogativi mensili del personale occupato e dei dati individuali relativi alle presenze, alle ferie e ai tempi di lavoro e di riposo, aggiornati all’ultimo periodo di registrazione sul libro unico del lavoro, anche suddivisi per ciascuna sede.

2. Il personale ispettivo ha facoltà di richiedere gli elenchi riepilogativi mensili relativi ai cinque anni che precedono l’inizio dell’accertamento, avendo cura di verificare, nel caso concreto, la materiale possibilità di realizzazione e di esibizione degli stessi da parte del datore di lavoro, del consulente del lavoro o della associazione di categoria di cui all’art. 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12.

Art. 5. Sede stabile di lavoro e computo dei lavoratori

1. Ai fini della corretta applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 del presente decreto si considera «sede stabile di lavoro» qualsiasi articolazione autonoma della impresa, stabilmente organizzata, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l’attività aziendale e risulti dotata degli strumenti necessari, anche con riguardo alla presenza di uffici amministrativi.

2. Ai fini del calcolo dei lavoratori di cui all’art. 39, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e all’art. 4 del presente decreto, si computano i lavoratori subordinati, a prescindere dall’effettivo orario di lavoro svolto, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo, che siano iscritti sul libro unico del lavoro e ancora in forza.

Art. 6. Obbligo di conservazione

1. Il datore di lavoro ha l’obbligo di conservare il libro unico del lavoro per la durata di cinque anni dalla data dell’ultima registrazione e di custodirlo nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali.

2. L’obbligo di cui al comma 1 è esteso ai libri obbligatori in materia di lavoro dismessi in seguito all’entrata in vigore della semplificazione di cui all’art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e alle disposizioni del presente decreto.

Art. 7. Regime transitorio e disposizioni finali

1. Fino al periodo di paga relativo al mese di dicembre 2008 i datori di lavoro, in via transitoria, possono adempiere agli obblighi di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro, secondo le disposizioni dettate dall’art. 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e dal presente decreto, mediante la corretta e regolare tenuta del libro paga, nelle sue sezioni paga e presenze o del registro dei lavoranti e del libretto personale di controllo per i lavoranti a domicilio, debitamente compilati e aggiornati.

2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto le disposizioni normative ancora vigenti che fanno richiamo ai libri obbligatori di lavoro o ai libri di matricola e di paga, devono essere riferite al libro unico del lavoro, per quanto compatibile.

3. Il libro matricola e il registro d’impresa s’intendono immediatamente abrogati.

....segue in allegato

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[box-note]Decreto 9 luglio 2008
Check list Documenti sicurezza da tenere in azienda
D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112[/box-note]

Agricoltura sociale: processi, pratiche e riflessioni per l’innovazione sociosanitaria

Rapporti ISTISAN 22 9

Agricoltura sociale: processi, pratiche e riflessioni per l’innovazione sociosanitaria

Rapporti ISTISAN 22/9

L’ambiente naturale viene riconosciuto come un fattore di contesto importante per la prevenzione e la promozione della salute, inclusa la salute mentale. Questo rapporto propone una riflessione sulle pratiche e i processi in atto in Italia sul tema dell’agricoltura sociale.

Utilizzando risorse agricole, come animali e piante, l’agricoltura sociale è in grado di soddisfare esigenze sociali specifiche, tra cui la riabilitazione, l’occupazione protetta, l’istruzione permanente e attività che contribuiscono all’inclusione sociale, allo stesso tempo, rafforzando la redditività economica e sociale delle comunità rurali.

I contributi raccolti in questo rapporto sono il frutto del lavoro di una rete di ricercatori e ricercatrici italiani/e che in diverse università e istituti di ricerca svolgono attività di studio e analisi su questi temi. Vengono proposte riflessioni che coniugano analisi di pratiche territoriali con processi istituzionali più ampi che vogliono accompagnare e informare l’evoluzione dei sistemi sociosanitari, anche alla luce del Piano Nazionale di Prevenzione 2020-2025 e del recente Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

...

Fonte: ISTISAN

Nota INL n. 856/2022 del 20 aprile 2022

Nota INL n  856 2022

Nota INL n. 856/2022 del 20 aprile 2022 / Maxisanzione per lavoro sommerso

ID 16459 | 21.04.2022 / In allegato Nota INL n. 856/2022

MAXISANZIONE PER LAVORO SOMMERSO 

[box-download]In calce all'articolo testo della Nota INL n. 856/2022 "Maxisanzione per lavoro sommerso"[/box-download]

AMBITO DI APPLICAZIONE

a) soggettivo

Datori di lavoro privato, indipendentemente dal fatto che siano o meno organizzati in forma di impresa, ad esclusione del datore di lavoro domestico. Tale esclusione “non opera nel caso in cui il datore di lavoro occupi il lavoratore assunto come domestico in altra attività imprenditoriale o professionale” (cfr. ML circ. n. 38/2010).

In altre parole, il lavoratore assunto come domestico (quindi per finalità esclusivamente riferite alle necessità private e familiari del datore di lavoro in veste di privato cittadino) e rispetto al quale sono stati altresì posti in essere gli adempimenti di formalizzazione di un rapporto di lavoro domestico, ivi compresa la comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, resta comunque un lavoratore in “nero” nell’ipotesi in cui venga impiegato in attività d’impresa o professionale facente capo al medesimo datore di lavoro (cfr. ML lett. circ. n. 8906/2007).

Sono compresi nel novero dei datori di lavoro privato anche gli enti pubblici economici tenuti alle comunicazioni ex art. 9 bis del D.L. n. 510/1996 secondo la tempistica ivi prevista.

I medesimi principi trovano applicazione anche con riferimento alle ipotesi di utilizzo di prestazioni rese in regime di Libretto Famiglia che non risultino conformi al disposto dell’art. 54-bis, comma 6 lett. a), del D.L. n. 50/2017. Secondo tale diposizione le persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale nonché le società sportive di cui alla L. n. 91/1981, tramite Libretto Famiglia, possono fare ricorso a prestazioni di lavoro occasionali entro determinati e tassativi limiti economici.

Mediante il Libretto Famiglia, ai sensi del comma 10 dell’art. 54-bis, l’utilizzatore può remunerare esclusivamente le prestazioni di lavoro occasionali rese in suo favore per:

a) lavori domestici, inclusi i lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione;
b) assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità;
c) insegnamento privato supplementare;
c-bis) attività degli "steward" negli impianti sportivi, di cui al decreto del Ministro dell'interno 8 agosto 2007, limitatamente alle società sportive di cui alla L. n. 91/1981.

L’utilizzatore del Libretto di famiglia deve provvedere a comunicare i dati identificativi del prestatore, il compenso pattuito, il luogo di svolgimento e la durata della prestazione, nonché ogni altra informazione necessaria ai fini della gestione del rapporto, entro il terzo giorno del mese successivo a quello di svolgimento della prestazione.

Tanto premesso, la maxisanzione andrà applicata anche nelle ipotesi in cui il prestatore, impiegato mediante Libretto Famiglia - pur correttamente gestito mediante la piattaforma INPS - venga di fatto adibito in attività diverse da quelle previste dall’art. 54-bis non rientranti, quindi, in nessuna delle categorie che legittimano l’utilizzo del Libretto Famiglia.

b) oggettivo

L’illecito è integrato dai seguenti requisiti:

- mancanza della comunicazione preventiva di assunzione: il datore di lavoro deve aver omesso di effettuare la comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro che, ai sensi dell'art. 9-bis del D.L. n. 510/1996, deve essere effettuata entro le ore 24 del giorno antecedente a quello di instaurazione del relativo rapporto;
- subordinazione: il rapporto di lavoro instaurato di fatto deve presentare i requisiti propri della subordinazione ai sensi di quanto previsto dall'art. 2094 c.c.

Sono, pertanto, escluse dall’applicazione della maxisanzione le prestazioni lavorative che rientrano nell’ambito del rapporto societario ovvero di quello familiare, difettando di norma in tali casi l’essenziale requisito della subordinazione. Per tali figure (in particolare coniuge, parenti, affini, affiliati e affidati del datore di lavoro) che non sono soggette all’ordinaria comunicazione UNILAV, la legge prevede una comunicazione ex art. 23 del D.P.R. n. 1124/1965.

In termini generali e ad ulteriore precisazione di quanto affermato dal Ministero del lavoro con circ. n. 38/2010, occorre sottolineare che la maxisanzione non può trovare diretta applicazione per la sola omissione di detta comunicazione essendo comunque necessario verificare in concreto il requisito della subordinazione. Tale indice non può darsi per accertato ma va debitamente ed accuratamente dimostrato (cfr. ML circ. n. 38/2010 e lett. circ. n. 10478/2013).

MAXISAZIONE E COLLABORAZIONI OCCASIONALI EX ART. 2222 C.C.

Ai sensi dell’art. 2222 c.c., il contratto d’opera è quel contratto in forza del quale una persona si obbliga a compiere un'opera o un servizio, verso un corrispettivo, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.

Tra le parti sorge un’obbligazione di risultato, posto che la causa contrattuale è insita nel legame sinallagmatico tra il compimento di un’opera o un servizio e un corrispettivo e pertanto, deve potersi agevolmente individuare un risultato concretamente apprezzabile, al cui raggiungimento mira il committente.

A tale fondamentale requisito si accompagna il rischio economico posto in capo al lavoratore autonomo del mancato raggiungimento dell’opera o del servizio richiesto. Solo ove tale risultato sia compiutamente raggiunto, secondo gli accordi precedentemente pattuiti, il lavoratore autonomo avrà diritto al proprio compenso, indipendentemente dall’impegno e dal lavoro comunque profuso. Caratteri essenziali della collaborazione autonoma occasionale sono pertanto:

a) prestazione di lavoro prevalentemente personale;
b) assenza di vincolo di subordinazione;
c) occasionalità della prestazione (carattere episodico della stessa);
d) corresponsione di un corrispettivo.

La collaborazione genuina è legata, pertanto, all’accertamento in concreto dei suddetti requisiti, con particolare riguardo all’insussistenza dei tradizionali indici sintomatici della subordinazione e all’occasionalità della prestazione, intesa come assenza dei requisiti della professionalità e della prevalenza (INL nota n. 5546/2017). Tale verifica potrà fondarsi, oltre che sulla base della documentazione acquisita in corso di accesso, anche sulle dichiarazioni testimoniali “incrociate” raccolte nel corso delle indagini.

Esclusa la natura autonoma della prestazione e accertata l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, occorrerà verificare che la prestazione risulti sconosciuta alla P.A. dovendosi, in caso contrario, procedere alla riqualificazione del rapporto.

A tale riguardo assume peculiare rilevanza l’obbligo di comunicazione preventiva di tali prestazioni all'Ispettorato territoriale del lavoro competente per territorio, introdotta all’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008 da parte dell’art. 13 del D.L. n. 146/2021 (conv. da L. n. 215/2021).

A fronte di tale novità, la maxi-sanzione potrà trovare applicazione soltanto nel caso di prestazioni autonome occasionali che non siano state oggetto di preventiva comunicazione, sempreché la prestazione sia riconducibile nell’alveo del rapporto di lavoro subordinato e non siano stati già assolti, al momento dell’accertamento ispettivo, gli ulteriori obblighi di natura fiscale e previdenziale, ove previsti, idonei ad escludere la natura “sommersa” della prestazione.

In tal senso occorrerà verificare, ad esempio, il versamento della ritenuta d’acconto del 20% mediante modello F24 ovvero la circostanza che la prestazione autonoma risulti indicata sul modello 770 del committente. Tali adempimenti dovranno essere assolti preventivamente rispetto all’accertamento ispettivo e riconducibili alla prestazione oggetto di verifica. (cfr. ML nota n. 16920/2014; circc. n. 33/2009 e n. 38/2010).

A tali documenti occorre aggiungere la Certificazione Unica, relativa ai compensi corrisposti per lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi che il committente, in veste di sostituto d’imposta, deve trasmettere annualmente all’Agenzia delle entrate, ex art. 4 del D.P.R. n. 322/1998. Va ricordato che la Comunicazione Unica, oltre ad essere trasmessa all’Agenzia delle entrate, deve altresì essere consegnata direttamente al lavoratore e, a differenza del 770, riporta i dati anagrafici del lavoratore, oltre ai compensi corrisposti e all’indicazione delle trattenute operate. Tali elementi risultano indispensabili per verificare che i versamenti fiscali siano stati effettivamente eseguiti a favore di quel determinato lavoratore.

Oltre agli adempimenti fiscali andranno verificati, eventualmente, anche quelli di natura previdenziale. Si ricorda, infatti, che con il superamento della soglia dei 5.000 euro annui, in relazione ai compensi superiori a tale soglia il committente è altresì tenuto al versamento della relativa contribuzione alla Gestione separata INPS.

L’assolvimento di uno o più di tali obblighi, anche in assenza di comunicazione preventiva, comporterà quindi la semplice riqualificazione del rapporto di lavoro con applicazione delle conseguenti sanzioni e recuperi contributivi nonché con la eventuale adozione della diffida accertativa per la tutela della posizione retributiva del lavoratore.

In presenza della comunicazione preventiva, infine, è sempre esclusa l’applicazione della maxisanzione ricorrendo invece la sola riqualificazione del rapporto.

Le prestazioni rese da lavoratori autonomi iscritti nel Registro delle imprese o all’Albo delle imprese artigiane, adibiti nel settore dell’edilizia alle attività di manovalanza, muratura, carpenteria, rimozione amianto, posizionamento di ferri e ponti, addetti a macchine edili fornite dall’impresa committente o appaltatore e simili, per le quali sussistono i requisiti della subordinazione non sono soggette a maxisanzione per lavoro “nero” ma all’impianto sanzionatorio previsto nelle ipotesi di riqualificazione dei rapporti di lavoro (cfr. ML circ. n. 16/2012).

In tal caso, oltre ai recuperi contributivi a carico del committente, andranno applicate le sanzioni amministrative per mancata consegna della dichiarazione di assunzione (art. 4-bis, primo periodo, comma 2, D.Lgs. n. 181/2000), l’omessa comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro (art. 9-bis, comma 2, 2-bis e 2-ter, D.L. n. 510/1996) nonché le omesse registrazioni sul libro unico del lavoro (art. 39, comma 7, D.L. 112/2008) trattandosi di prestazione di lavoro autonomo non soggetto “a priori” a registrazioni sul libro unico del committente. Inoltre, andranno applicate anche le sanzioni connesse agli illeciti riscontrabili in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro in materia di sorveglianza sanitaria e di mancata formazione ed informazione dei lavoratori, adottando apposito provvedimento di prescrizione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 758/1994.

Diversamente, laddove il lavoratore risulti iscritto nel Registro delle imprese o all’Albo delle imprese artigiane per un’attività estranea al settore dell’edilizia, non potendosi inquadrare il fenomeno nell’ambito di una riqualificazione, andrà applicata, oltre alle sanzioni in materia di salute e sicurezza, anche la maxisanzione per lavoro “nero”, con esclusione, prevista dalla norma, delle sanzioni amministrative sopra richiamate, in materia di dichiarazione di assunzione, comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro e omesse registrazioni sul libro unico del lavoro.

Tale ultimo principio andrà applicato anche a settori diversi dall’edilizia, tutte le volte in cui un soggetto iscritto nel Registro delle imprese o all’Albo delle imprese artigiane venga impiegato quale lavoratore subordinato, senza comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, per un’attività non coerente a quella normalmente resa in forza della sua iscrizione.

NATURA DELL’ILLECITO

La condotta di impiego irregolare di lavoratori subordinati integra un illecito di natura permanente che si consuma nel momento in cui la condotta antigiuridica cessa in seguito alla cessazione del rapporto o alla sua regolarizzazione (cfr. ML n. 26/2015).

Tale ricostruzione ha effetti sulla individuazione della legge da applicare nel caso di condotte illecite che si protraggano ricadendo nel periodo di vigenza di più norme succedutesi nel tempo. Poiché, infatti, la commissione dell’illecito coincide con la cessazione della condotta antigiuridica, la disciplina da applicare, in virtù del principio del tempus regit actum, è quella vigente in quel momento, diversamente da quanto previsto per gli illeciti di rilevanza penale per i quali vige il principio del favor rei (cfr. ML circ. n. 29/2006).

SANZIONI

La sanzione, a seguito dell’intervento normativo del 2015, è stata graduata per fasce in base alla durata del comportamento illecito. La sanzione così determinata è stata inoltre aumentata del 20% ai sensi dell’art. 1, comma 445 lett. d), della L. n. 145/2018.

Attualmente la sanzione è quindi determinata come di seguito:

a) da euro 1.800 a euro 10.800 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a trenta giorni di effettivo lavoro;
b) da euro 3.600 a euro 21.600 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da trentuno e sino a sessanta giorni di effettivo lavoro;
c) da euro 7.200 a euro 43.200 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre sessanta giorni di effettivo lavoro.

In forza dell’art. 3, comma 3-quater, le sanzioni sono aumentate del 20% in caso di impiego di:

- lavoratori stranieri ai sensi dell'art. 22, comma 12, del D.Lgs. n. 286/1998;
- minori in età non lavorativa (cioè coloro che non possono far valere dieci anni di scuola dell’obbligo e il compimento dei sedici anni);
- percettori del reddito di cittadinanza di cui al D.L. n. 4/2019 (conv. da L. n. 26/2019).

La legge di bilancio 2019 ha altresì previsto, oltre alla maggiorazione del 20% degli importi dovuti a titolo di sanzione, il raddoppio di tali percentuali laddove il datore di lavoro, nei tre anni precedenti, sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti (c.d. recidiva).

Ai fini della verifica sulla sussistenza della “recidiva” occorre accertare che:

a) il destinatario delle sanzioni corrisponda al soggetto che, nell’ambito della medesima impresa, ha rivestito la qualità di “trasgressore” persona fisica ex L. n. 689/1981 che agisce per conto della persona giuridica (generalmente coincidente con il legale rappresentante dell’impresa o persona delegata all’esercizio di tali poteri). Non si avrà, quindi, recidiva tutte le volte in cui, sebbene gli illeciti siano riferibili indirettamente alla medesima persona giuridica, siano commessi da trasgressori diversi; analogamente, in tutte le ipotesi in cui le violazioni siano commesse dalla medesima persona fisica per conto di persone giuridiche diverse (cfr. INL nota n. 1148/2019 e n. 2594/2019);
b) il trasgressore sia stato destinatario delle medesime sanzioni irrogate con provvedimenti divenuti definitivi nel triennio precedente alla commissione del nuovo illecito per il quale va effettuato il calcolo della sanzione. L’arco triennale di riferimento deve essere inteso sia quale periodo in cui l’illecito è stato commesso, sia quale periodo in cui lo stesso è stato definitivamente accertato (cfr. INL nota n. 2594/2019).

Per illeciti definitivamente accertati, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza in riferimento all’art. 8-bis della L. n. 689/1981, devono intendersi quelli per i quali:

- sia decorso il termine per impugnare l’ordinanza-ingiunzione ex art. 18 L. n. 689/1981;
- sia stata pagata la sanzione ingiunta;
- sia passata in giudicato la sentenza emessa a seguito di impugnazione della medesima ordinanza. Gli illeciti presi in considerazione (c.d. fondanti) sono anche quelli commessi prima dell’entrata in vigore della legge di bilancio (cfr. INL nota n. 2594/2019).

La maggiorazione per recidiva non si applica:
- nelle ipotesi di estinzione degli illeciti amministrativi contestati, qualora sia intervenuto il pagamento in misura ridotta ex art. 16 della L. n. 689/1981, ai sensi di quanto disposto espressamente dal comma 5 dell’art. 8-bis, cui va equiparato il pagamento ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004;
- con riferimento agli illeciti per i quali il contravventore abbia adempiuto alla prescrizione effettuando i relativi pagamenti ai sensi degli artt. 20 e 21 del D.Lgs. n. 758/1994 e dell’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004.

A seguito dell’introduzione delle predette maggiorazioni con l’art. 1, comma 445 lett. d) ed e), della L. n. 145/2018 è stato istituito il nuovo codice tributo “VAET”. Pertanto:

1. per il versamento tramite F23 dei maggiori introiti derivanti dall’incremento delle sanzioni amministrative previsto dalla citata norma è da utilizzare il codice “VAET”, denominato “Maggiorazione sanzioni in materia di lavoro e legislazione sociale disposta dall’articolo 1, comma 445, lett. d) ed e), della legge 30 dicembre 2018, n. 145” (cfr. Ag. Entrate ris. 7/E del 22 gennaio 2019 e INL nota n. 779/2019);

2. per effettuare l’iscrizione a ruolo delle sole somme dovute ai sensi dell’art. 1, comma 445 lett. d) ed e) e contraddistinte dal codice tributo VAET si utilizzano i codici:
- 3U56 “Sanzione in materia di lavoro e legislazione sociale art. 1, comma 445, lett. d) e), L. n. 145/2018”;
- 3U57 “Maggiorazione materia di lavoro e legislazione sociale art. 1, comma 445, lett. d) e), L. n. 145/2018”.

Come chiarito con nota INL n. 4502/2019, per le altre quote relative alle medesime sanzioni amministrative contraddistinte dai codici tributo 741T e 79AT, si utilizzeranno rispettivamente i codici:

- per il 741T: 5030 e 5031 per le maggiorazioni;
- per il 79AT: 2Y25 e 2Y26 per le maggiorazioni.

Segue: assorbimento altre sanzioni

La disposizione contenuta nell’art. 3, comma 3-quinquies, del D.L. n. 12/2002 e succ. mod. prevede in modo espresso, in caso di irrogazione della maxisanzione, la non applicazione delle sanzioni di cui all'art. 19, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 276/2003 relative alla comunicazione di instaurazione dei rapporti di lavoro e alla consegna della lettera di assunzione (cfr. ML lett. circ. n. 16494/2015), nonché delle sanzioni in materia di libro unico del lavoro di cui all’art. 39, comma 7, D.L. n. 112/2008 per omesse registrazioni.

Diversamente, laddove il datore di lavoro non abbia mai istituito il libro unico e sia tenuto a farlo in ragione del lavoratore in “nero”, oggetto di accertamento, la sanzione per omessa istituzione, prevista dal comma 6 del medesimo art. 39, non essendo espressamente richiamata nell’esclusione di cui all’art. 3, comma 3-quinques, andrà sempre applicata.

La sanzione prevista per i pagamenti non effettuati con strumenti tracciabili, ai sensi dell’art. 1, comma 913, L. n. 205/2017, può coesistere con la maxisanzione per lavoro “nero”.

Il comma 910 della citata L. n. 205/2017 non consente più che la retribuzione sia versata in contanti ai lavoratori subordinati (nonché ai collaboratori coordinati e continuativi o ai soci di cooperativa con contratto di lavoro di qualsiasi tipo) in quanto la stessa norma impone, a fini di piena tracciabilità dei flussi retributivi ed a tutela dei lavoratori, di servirsi unicamente di alcuni strumenti di pagamento, individuati dal medesimo comma.

Nell’ipotesi di impiego irregolare di personale, generalmente retribuito in contanti o mediante gli strumenti di pagamento non ammessi dal citato comma 910, troverà quindi applicazione sia la maxisanzione per lavoro “nero” sia la sanzione prevista dal l’art. 1, comma 913, della L. n. 205/2017.

Inoltre, “stante il tenore letterale del comma 910, l’illecito si configura solo laddove sia accertata l’effettiva erogazione della retribuzione in contanti; peraltro, atteso che nelle ipotesi di lavoro “nero” la periodicità della erogazione della retribuzione può non seguire l’ordinaria corresponsione mensile, in ipotesi di accertata corresponsione giornaliera della retribuzione si potrebbero configurare tanti illeciti per quante giornate di lavoro in “nero” sono state effettuate” (cfr. INL nota n. 9294/2018).

Ciò vuol dire che deve essere acquisita prova dell’effettiva erogazione delle somme. Al riguardo, va altresì rammentato che l’ulteriore determinazione del compenso percepito è funzionale all’adozione della diffida accertativa in favore del lavoratore (usualmente sottopagato in rapporto al livello del CCNL applicato/applicabile) e alla comunicazione da inoltrare alla GdF e al competente Ufficio dell’Agenzie delle entrate in relazione alle somme percepite e non denunciate al fisco.

DIFFIDA A REGOLARIZZARE

La novella del 2015 (art. 22, comma 3-ter, del D.Lgs. n. 151/2015) ha reintrodotto la diffidabilità della maxisanzione al fine di promuovere la regolarizzazione dei rapporti sommersi (cfr. ML circ. n. 26/2015).

Al riguardo, occorrerà distinguere 3 ipotesi:

1. regolarizzazione del rapporto di lavoro in “nero” per i lavoratori ancora in forza

Per ottemperare alla diffida - nel termine di 120 giorni dalla notifica del verbale unico - devono realizzarsi le seguenti condizioni:

a) instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato alternativamente con:
- contratto a tempo indeterminato, anche part-time con una riduzione oraria non superiore al 50%;
- contratto a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi.
b) mantenimento in servizio di tali lavoratori per un periodo non inferiore a tre mesi, cioè non inferiore a 90 giorni di calendario. Tale periodo va computato “al netto” del periodo di lavoro prestato in “nero”, il quale andrà comunque regolarizzato. In altri termini, il contratto decorrerà dal primo giorno di lavoro “nero” mentre il periodo di 3 mesi utile a configurare l’adempimento alla diffida andrà “conteggiato” dalla data dell’accesso ispettivo

Nei casi di interruzione del rapporto di lavoro non imputabili al datore di lavoro è possibile ottemperare alla diffida con un separato contratto, stipulato successivamente all’accesso ispettivo, che dovrà consentire il mantenimento del rapporto per almeno tre mesi.

In ogni caso, entro il 120° giorno dalla notifica del verbale deve trovare pieno compimento l’intero periodo di mantenimento in servizio del lavoratore (3 mesi).

Ai fini della dimostrazione dell’ottemperanza alla diffida, il datore di lavoro dovrà dimostrare di aver:

- regolarizzato l’intero periodo di lavoro, con avvenuto pagamento anche dei contributi e premi;
- stipulato uno dei contratti di lavoro sopra indicati;
- mantenuto in servizio il lavoratore per almeno 3 mesi. Tale circostanza deve essere provata attraverso il pagamento delle retribuzioni, dei contributi e dei premi scaduti entro il termine per l’adempimento;
- pagato la sanzione nella misura minima.

Laddove il datore di lavoro abbia provveduto alla regolarizzazione del lavoratore attraverso una delle tipologie contrattuali sopra indicate, ma prima della notifica del verbale unico, sarà possibile adottare il provvedimento di diffida contenente il solo obbligo di mantenimento del lavoratore in servizio per 3 mesi e la richiesta del pagamento della sanzione in misura minima. Nella redazione del verbale unico si dovrà dare atto della intervenuta stipula del contratto.

Nell’ipotesi in cui, successivamente all’accesso ma prima della redazione del verbale unico, il datore abbia già fornito dimostrazione di tutti gli adempimenti richiesti dalla norma - ivi compreso il pagamento di contributi e premi ed il mantenimento in servizio per almeno 3 mesi - il personale ispettivo adotterà nei suoi confronti un provvedimento di diffida ora per allora, con la quale verrà ammesso al pagamento della sanzione amministrativa pari al minimo edittale, nel termine di 120 giorni dalla notifica del verbale.

In caso di inottemperanza alla diffida entro il termine di 120 giorni, il verbale unico produce gli effetti della contestazione e notificazione degli illeciti accertati nei confronti del trasgressore e dell’obbligato in solido ai sensi dell’art. 16 della L. n. 689/1981.

Nel parere INL n. 4441/2017 si è ribadito, in linea con il tenore letterale della norma e con quanto chiarito con la circ. n. 26/2015, che la diffida costituisce elemento oggettivo di applicabilità della sanzione in misura minima che, in qualche misura, bilancia gli oneri sostenuti dal datore di lavoro per il mantenimento del rapporto di lavoro. Pertanto, non potrà ritenersi adempiuta nei casi di assenza di mantenimento effettivo del rapporto di lavoro per tre mesi nei 120 giorni dalla notifica del verbale, qualunque ne sia la ragione, anche per cause non imputabili al trasgressore.

2. Regolarizzazione del rapporto di lavoro per lavoratori regolarmente occupati per un periodo successivo a quello prestato in “nero” (ipotesi corrispondente alla precedente maxisanzione affievolita)

La diffida ha ad oggetto esclusivamente la regolarizzazione del periodo di lavoro in “nero”, con dimostrazione, nel termine di 45 giorni, di:
- rettifica della data di effettivo inizio del rapporto di lavoro;
- pagamento dei contributi e premi;
- pagamento delle sanzioni in misura minima.

3. Regolarizzazione di lavoratori in “nero” non in forza all’atto dell’accesso ispettivo

Anche in tale ipotesi, analogamente alla precedente, non trova applicazione l’obbligo del mantenimento in servizio “per almeno tre mesi”, riservato dalla norma ai soli lavoratori irregolari ancora in forza all’atto dell’accesso ispettivo.

TERMINE PER IL PAGAMENTO DELLE SANZIONI E PER LA PRESENTAZIONE DEL RICORSO EX ART. 17, D.LGS. N. 124/2004 IN CASO DI PLURALITÀ DI ILLECITI

In caso di contestazione di una pluralità di illeciti diffidabili secondo termini diversi o non diffidabili, il termine per il pagamento della sanzione in misura ridotta (60 giorni ex art 16, L. n. 689/1981) decorre dalla scadenza dei termini per l’adempimento alla diffida per la maxisanzione.

Anche il termine di 30 giorni per la presentazione del ricorso ex art 17 del D.Lgs. n. 124/2004 decorre dalla scadenza dei 120 giorni per l’ottemperanza alla diffida per tutti gli illeciti contestati nel medesimo verbale unico (cfr. ML circ. n. 41/2010 e n. 26/2015).

REGOLARIZZAZIONE E TIPOLOGIE CONTRATTUALI

Contratto intermittente: tale tipologia non è ammissibile ai fini della regolarizzazione in quanto non assicura la necessaria continuità richiesta dalla norma per il previsto periodo di tre mesi.

Contratto a tempo determinato: la tipologia in esame è sottoposta ai limiti propri della disciplina tra cui, in particolare, le percentuali di contingentamento legale o contrattuale. Pertanto, la regolarizzazione con contratto a termine non è ammissibile nei casi di superamento delle soglie indicate.

Contratto di apprendistato: in quanto contratto subordinato a tempo indeterminato, esso può essere utilizzato ai fini della regolarizzazione dei lavoratori, laddove ricorrano i presupposti e ferma restando la valutazione in ordine alla concreta possibilità di recuperare il debito formativo accumulato durante il periodo di lavoro in “nero” (cfr. ML circ. n. 5/2013). Ai fini della regolarizzazione con contratto di apprendistato, occorre altresì la redazione di un piano formativo individuale con indicazione di tutti gli elementi previsti dalla legge e dal CCNL applicato.

ORGANI COMPETENTI A CONTESTARE LA MAXISANZIONE

L’art. 4 della L. n. 183/2010, sostituendo il comma 5 dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002 (conv. da L. 73/2002), ha ampliato il novero dei soggetti abilitati a contestare l’illecito in questione attribuendo tale potere a tutti gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e previdenza, confermando, contestualmente, la competenza a ricevere il rapporto in capo agli Ispettorati territoriali ai sensi dell’art. 17 L. n. 689/1981.

Indicazioni puntuali in tal senso sono state fornite sia dal Ministero del lavoro con circ. n. 38/2010, sia dall’INAIL con circ. n. 36/2011.

FATTISPECIE PARTICOLARI

Si tratta delle fattispecie per le quali è prevista l’applicazione della maggiorazione del 20% della sanzione, ai sensi dell’art. 3, comma 3-quater, D.L. n. 12/2002 con esclusione della applicabilità della diffida.

1. Lavoratori extracomunitari clandestini

Nelle ipotesi di impiego irregolare di lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno per motivi di lavoro, la configurabilità del delitto di cui all’art. 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998 non esclude la possibilità di contestare l’illecito amministrativo con conseguente irrogazione della maxisanzione.

Le due disposizioni, infatti, sono poste a presidio di beni giuridici diversi: l’una punisce la violazione di norme finalizzate a regolamentare i flussi migratori a tutela della pubblica sicurezza e l’altra l’impiego di lavoratori non regolarizzabili (cfr. ML n. 38/2010).

Ciò trova conferma nell’orientamento della Corte di Cassazione (sez. civ. n. 12936 del 25 maggio 2018) nella quale è stato evidenziato come, nell’ipotesi in cui un datore impieghi in “nero” lavoratori clandestini, scatti nei suoi confronti “tanto la sanzione di carattere penale quanto quella amministrativa, senza per questo che sia integrata la violazione del principio ne bis in idem, a fronte della diversa natura dei beni giuridici offesi dalle condotte contestate e delle diverse finalità sottese all’irrogazione della sanzione penale e di quella amministrativa”.

Ai fini della configurabilità della fattispecie di reato, all’assenza del permesso di soggiorno per motivi di lavoro è equiparata l’ipotesi in cui il permesso sia scaduto e non sia stata presentata richiesta di rinnovo.

Per le fattispecie sopra descritte, ferma restando la configurabilità dell'ipotesi di reato di cui all'art. 22, comma 12, del D.Lgs. n. 286/1998 e la contestazione della fattispecie aggravata di maxisanzione (art. 3, comma 3-quater, D.L. n. 12/2002), va esclusa l'operatività della diffida atteso che il lavoratore straniero non può essere considerato "occupabile".

Diversamente, l’art. 5, comma 9-bis, TUI consente al soggetto richiedente il permesso per lavoro subordinato, di svolgere temporaneamente l’attività lavorativa per la quale è stato autorizzato il suo ingresso nelle more del suo rilascio o del rinnovo sempre che:
- la domanda di rilascio sia stata presentata entro 8 giorni dall’ingresso sul territorio italiano, all’atto della stipula del contratto di soggiorno presso lo Sportello unico per l’immigrazione (art. 35 D.P.R. n. 394/1999) oppure, in caso di rinnovo, prima della scadenza del permesso;
- il richiedente sia in possesso del modulo di richiesta del permesso di soggiorno (cfr. art. 36 del D.P.R. n. 394/1999) e della ricevuta rilasciata dal competente ufficio attestante la presentazione della domanda (cfr. ML e INL nota prot. n. 4079 del 7 maggio 2018).

Pertanto, nell’ipotesi in cui il cittadino straniero risulti in possesso della documentazione sopra indicata non potrà ritenersi integrata la fattispecie penale di cui all'art. 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998, ma sarà pur sempre applicabile la maxisanzione qualora ne ricorrano i presupposti.

Con riferimento alle prestazioni lavorative rese dai lavoratori richiedenti protezione internazionale ed asilo politico, i quali possono invece essere impiegati previo rilascio della ricevuta attestante la verbalizzazione della domanda, dal quale decorrono i sessanta giorni richiesti dalla norma per l’espletamento dell’attività lavorativa, si rinvia ai chiarimenti forniti con parere ML 26 luglio 2016, prot. n. 14751.

Nello specifico, va evidenziato che ai sensi dell’art. 22, D.Lgs. n. 142/2015, la ricevuta attestante la presentazione della richiesta di protezione internazionale, rilasciata contestualmente alla verbalizzazione della domanda costituisce permesso di soggiorno provvisorio; il permesso di soggiorno per richiesta di asilo consente al richiedente protezione internazionale di espletare attività lavorativa decorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda di protezione laddove il relativo procedimento non si sia concluso ed il ritardo non sia ascrivibile al richiedente.

Con riferimento alla procedura di emersione di cui all’art. 103, D.L. n. 34/2020, l’impiego senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro dei lavoratori subordinati stranieri che hanno presentato l'istanza di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo di cui al comma 2, del medesimo articolo è punito con il raddoppio delle sanzioni previste dall’art. 3, comma 3, del D.L. n. 12/2002.

Tale previsione trova applicazione con riguardo a tutti gli stranieri che, per aver presentato la domanda, sono coinvolti nella procedura di emersione e alla ricerca di un contratto di lavoro subordinato regolare, a prescindere dal fatto che abbiano o meno ottenuto già un permesso provvisorio (cfr. INL parere n. 1118 del 15 dicembre 2020).

L’aggravante in questione, quindi, trova applicazione nei soli confronti di lavoratori che abbiano presentato, ai sensi del comma 16 del citato art. 103, istanza volta all’ottenimento del permesso di soggiorno temporaneo, in ragione della quale viene rilasciata apposita attestazione che consente all'interessato di svolgere lavoro subordinato per un massimo di sei mesi entro i quali, peraltro, è previsto il rilascio del permesso temporaneo richiesto.

Il permesso temporaneo consente, quindi, l’impiego del lavoratore durante il periodo di validità del permesso unicamente nei settori interessati dalla procedura di emersione come specificati dall’allegato 1 al D.M. 27 maggio 2020.

Pertanto, laddove venga riscontrato l’impiego di detti lavoratori in settori differenti, non avendo gli stessi un valido titolo per svolgere attività lavorativa, andrà applicata l’ipotesi aggravata di cui al comma 3-quater dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002, senza la possibilità di applicare la procedura di diffida ex art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004.

Si ricorda che in tali ipotesi, ai fini della revoca del provvedimento di sospensione, è necessario procedere alla regolarizzazione delle prestazioni esclusivamente sotto il profilo contributivo.

2. Minori

La non diffidabilità e la maggiorazione del 20% della sanzione è prevista anche nei casi in cui siano impiegati lavoratori minori, bambini e adolescenti privi dei requisiti legalmente stabiliti per l’ammissione al lavoro (L. n. 977/1967, come modificata dal D.Lgs. n. 345/1999), ad esclusione quindi di coloro che possono far valere i dieci anni di scuola dell’obbligo con il compimento dei sedici anni.

Per inciso va ricordato che ai fini della revoca del provvedimento di sospensione è necessario procedere alla regolarizzazione delle prestazioni esclusivamente sotto il profilo contributivo.

3. Percettori reddito di cittadinanza

L’art. 7, comma 15-bis, del D.L. n. 4/2019 (conv. da L. n. 26/2019) prevede l’applicazione dell’aumento del 20% degli importi della maxisanzione anche in caso di impiego di lavoratori beneficiari del reddito di cittadinanza. Ai fini dell’applicazione dell’aggravante è tuttavia necessario che sia accertato il godimento del Rdc da parte del nucleo familiare di appartenenza del lavoratore.

Il richiamo all’art. 3, comma 3-quater, del citato D.L. n. 12/2002 comporta la non diffidabilità dell’illecito. Si evidenzia che, in tale ipotesi, diversamente dalle precedenti, non sussistendo l’impossibilità giuridica all’assunzione del lavoratore percettore del beneficio, il datore di lavoro dovrà procedere alla regolarizzazione amministrativa e contributiva del periodo lavorativo in “nero” accertato ai fini della revoca del provvedimento di sospensione dell’attività ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008.

4. Maxisanzione nel settore marittimo

Il settore marittimo si caratterizza per il necessario adempimento di obblighi specifici fissati e sanzionati ai sensi del codice della navigazione, tra i quali la sottoscrizione della convenzione di arruolamento, la sua registrazione sui documenti di bordo (ruolo/licenza), nonché sul libretto di navigazione del marittimo, presidiati da una specifica sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma variabile da euro 154 a 1.559 (art. 1178, R.D. 30 marzo 1942, n. 327).

Per quanto concerne le modalità per l’assunzione del personale iscritto alle matricole della gente di mare, nonché per coloro che prestano ad ogni modo servizio a bordo delle imbarcazioni è prevista una apposita procedura di comunicazione attraverso il modello “UniMare” da effettuarsi entro il ventesimo giorno successivo alla data di imbarco. Tale adempimento rappresenta il presupposto utile ai fini della conoscibilità nei confronti della P.A. dei lavoratori marittimi impiegati, analogamente alla funzione assolta dalla comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro utilizzabile per la generalità dei lavoratori da effettuarsi entro le ore 24 del giorno antecedente all’assunzione.

L’unico discrimen tra le due tipologie di comunicazioni riguarda, quindi, la tempistica per effettuarle; si ritiene dunque che fino alla decorrenza dei venti giorni fruibili dal datore di lavoro per la comunicazione mediante il modello UniMare, pur in assenza degli ulteriori adempimenti documentali sopra evidenziati, non sia possibile adottare il provvedimento di maxisanzione per lavoro “nero”. Resta salva, comunque, la possibilità di irrogare la sanzione specifica di cui al citato art. 1178.

Laddove sia decorso il temine di venti giorni consentito senza che sia stata effettuata la specifica comunicazione UniMare e siano stati tuttavia adempiuti gli obblighi documentali previsti per il settore marittimo, non troverà applicazione la maxisanzione per lavoro “nero”, in quanto l’osservanza di tali annotazioni obbligatorie attesta la volontà di non occultare il rapporto, costituendo quindi una ipotesi di scriminante al pari degli adempimenti di carattere contributivo (cfr. ML circ. n. 38/2010 e n. 26/2015).

Nell’ipotesi in cui si accerti l’assenza della comunicazione ed anche la mancata registrazione sui documenti di bordo, in considerazione del fatto che la violazione di cui all’art. 1178 non è annoverata tra quelle assorbite ai sensi del comma 3-quinquies dell’art. 3, del D.L. n. 12/2002 si ritiene che debbano essere contestati entrambi gli illeciti.

CASI DI ESCLUSIONE DELLA MAXISANZIONE: SCRIMINANTI

In forza dell’art. 3, comma 4, del D.L. n. 12/2002, la sanzione di cui al comma 3 non trova applicazione tutte le volte in cui, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi la volontà del datore di lavoro di non occultare il rapporto di lavoro, anche laddove si tratti di una differente qualificazione dello stesso (cfr. ML circ. n. 38/2010).

Conseguentemente, il personale ispettivo non adotterà la maxisanzione nei casi di:

- intervenuta regolarizzazione spontanea ed integrale del rapporto di lavoro originariamente in “nero”, prima di qualsiasi accertamento da parte di organismi di vigilanza in materia giuslavoristica, previdenziale o fiscale o prima dell’eventuale convocazione per espletamento del tentativo di conciliazione monocratica;
- differente qualificazione del rapporto di lavoro.

Per intervenuta regolarizzazione si intendono i casi in cui:

a. il datore di lavoro abbia proceduto ad effettuare entro la scadenza del primo adempimento contributivo (cioè fino al giorno 16 del mese successivo a quello di inizio del rapporto di lavoro) anche la sola comunicazione di assunzione, dalla quale risulti la data di effettiva instaurazione del rapporto di lavoro. Restano fermi i successivi e i conseguenti adempimenti previdenziali e la piena sanzionabilità anche della tardiva comunicazione;
b. il datore di lavoro - nel caso sia scaduto il termine del primo adempimento contributivo - abbia denunciato spontaneamente la propria situazione debitoria entro 12 mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o dei premi dovuti agli Istituti previdenziali ed abbia effettuato il versamento degli interi importi dei contributi o premi dovuti per tutto il periodo di irregolare occupazione entro trenta giorni dalla denuncia, unitamente al pagamento della sanzione civile prevista dall’art. 116, comma 8 lett. b), della L. n. 388/2000, previa comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da cui risulti la data di effettivo inizio della prestazione.

INFORTUNIO

In caso di accertamenti connessi all’erogazione di prestazioni economiche (indennità di inabilità temporanea assoluta, rendita diretta o a superstiti, ecc.) o ad eventi infortunistici con esiti mortali, ai fini di una corretta valutazione della spontaneità della regolarizzazione del lavoratore in “nero” assume rilevo anche la data dell’evento. Pertanto, in tutti i casi in cui, anche laddove la regolarizzazione del lavoratore infortunato/deceduto sia intervenuta prima dell’accesso ispettivo, non si potrà ritenere “spontanea” laddove la comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro non sia stata effettuata almeno 24 ore prima dell’evento infortunistico e non sia provata, da parte del datore di lavoro, la volontà di non occultare il rapporto di lavoro (cfr. INAIL circ. n. 36/2011).

UNIURG E MAXISANZIONE

La maxisanzione non opera nei casi di impossibilità per il datore di lavoro di effettuare la comunicazione del rapporto di lavoro a causa della chiusura, anche per ferie, dello studio di consulenza o associazione di categoria cui il datore di lavoro ha affidato la gestione degli adempimenti in materia di lavoro (cfr. ML circ. n. 20/2008 e n. 38/2010).

In tal caso, in sede di accesso ispettivo, occorre verificare:

- l’affidamento degli adempimenti in materia di lavoro al soggetto abilitato e la effettiva chiusura dello studio o ufficio;
- l’invio a mezzo fax mediante modello UniUrg della comunicazione preventiva di assunzione.

Resta fermo l’obbligo di comunicare l’assunzione attraverso la modalità ordinaria il primo giorno utile dalla riapertura dello studio o dell’ufficio.

Non si applica la maxisanzione in tutti i casi in cui il datore di lavoro, con l’esercizio dell’ordinaria diligenza, a causa dell’imprevedibilità dell’evento e dell’improcrastinabilità dell’assunzione, non avrebbe potuto prevederla ed è quindi nell’impossibilità di conoscere numero e nominativi del personale da assumere (cfr. ML note n. 440/2007, n. 4746/2007 e circ. n. 38/2010).

Nelle suddette ipotesi, il personale ispettivo deve dare atto nel verbale di primo accesso delle giustificazioni addotte circa la mancata comunicazione preventiva e l’oggettiva impossibilità di conoscere anticipatamente tale circostanza e i dati dei lavoratori.

MAXISANZIONE E PROSECUZIONE DEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

Particolare attenzione richiede l’analisi e la verifica di quelle situazioni nelle quali la prestazione di lavoro sia proseguita oltre il termine fissato dalle parti con un contratto di lavoro a tempo determinato. In tale ipotesi, infatti, la maxisanzione può trovare applicazione unicamente dopo il decorso dei cosiddetti periodi “cuscinetto” (30 giorni in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero 50 giorni negli altri casi).

L’art. 22, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015 prevede che, qualora il rapporto di lavoro continui oltre tali periodi, il contratto si trasformi in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Pertanto, i periodi compresi nei 30 o 50 giorni successivi alla scadenza sono coperti ex lege dall’iniziale comunicazione di assunzione e la maxisanzione potrà essere applicata solo a partire dal 31° o 51° giorno successivo alla scadenza ove, evidentemente, il rapporto sia proseguito oltre i periodi cuscinetto (cfr. vademecum L. n. 92/2012 e ML note n. 7258/2013 e n. 6689/2009).

Si rammenta, in proposito, che ai sensi del comma 1 del citato art. 22, se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore. Pertanto, all’interno dei periodi “cuscinetto”, ove il personale ispettivo accerti la mancata corresponsione delle predette maggiorazioni, potrà essere adottata diffida accertativa.

Va ricordato che, affinché sia applicabile il regime dell’art. 22, comma 2, è necessario che il personale ispettivo accerti di essere in presenza di una prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro a tempo determinato. In altri termini, alla scadenza del contratto il lavoratore deve aver svolto l’attività lavorativa dopo la scadenza del contratto per tutto il periodo “cuscinetto” e successivamente senza alcuna interruzione.

Laddove, invece, sia accertata l’interruzione della prestazione lavorativa, la sua ripresa configura un nuovo e distinto rapporto di lavoro rispetto al quale, ove difetti la comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, la maxisanzione risulterà applicabile sin dal primo giorno del relativo impiego. Tuttavia, in sede di regolarizzazione mediante diffida, si dovrà tenere conto di quanto previsto dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015 secondo il quale, qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Pertanto, ove il nuovo rapporto irregolare sia iniziato entro 10 o 20 giorni dalla data di scadenza del precedente contratto a tempo determinato, l’eventuale diffida impartita in relazione ai lavoratori irregolari ancora in forza presso il datore di lavoro dovrà prevedere esclusivamente la stipula di un contratto a tempo indeterminato.

MAXISANZIONE E CONTRATTO DI PRESTAZIONE OCCASIONALE (ART. 54-BIS D.L. N. 50/2017)

Secondo l’art. 54-bis, comma 6 lett. b), del D.L. n. 50/2017 il contratto di prestazione occasionale è uno strumento mediante il quale determinati soggetti - diversi dalle persone fisiche che non esercitano attività d’impresa o professionale - acquisiscono, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità, entro determinati e tassativi limiti economici (5.000 euro per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori; 5.000 euro per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori; 2.500 euro per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore).

In tale ambito, la maxisanzione troverà applicazione nelle ipotesi in cui la prestazione rivesta i caratteri della subordinazione e risulti, altresì, sconosciuta alla P.A. in riferimento agli adempimenti previsti dal citato art. 54-bis, in particolare ai commi 9 e 17-19, che disciplinano la corretta attivazione e gestione di tale contratto.

Il comma 9 prevede che tali adempimenti siano effettuati - anche tramite un intermediario di cui alla L. n. 12/1979 - all'interno di un'apposita piattaforma informatica, gestita dall'INPS, previa registrazione dell’utilizzatore e del prestatore. Ai sensi del comma 17, l'utilizzatore deve trasmettere, almeno un'ora prima dell'inizio della prestazione, attraverso la suddetta piattaforma informatica ovvero avvalendosi dei servizi di contact center messi a disposizione dall'INPS, una dichiarazione contenente, tra l'altro, le seguenti informazioni:

a) i dati anagrafici e identificativi del prestatore;
b) il luogo di svolgimento della prestazione;
c) l'oggetto della prestazione;
d) la data e l'ora di inizio e di termine della prestazione ovvero, se imprenditore agricolo, la durata della prestazione con riferimento a un arco temporale non superiore a tre giorni;
e) il compenso pattuito per la prestazione, in misura non inferiore a 36 euro, per prestazioni di durata non superiore a quattro ore continuative nell'arco della giornata, fatto salvo quanto stabilito per il settore agricolo ai sensi del comma 16.

Il rapporto di lavoro potrà quindi ritenersi sconosciuto alla P.A. - con la conseguente possibilità di contestare l’impiego di lavoratori in “nero” in presenza di tutti gli indici di subordinazione - nei casi di mancata trasmissione della comunicazione preventiva secondo le modalità sopra riepilogate ovvero nei casi di invio della stessa nel corso dell’accesso ispettivo o ancora laddove l’utilizzatore abbia proceduto alla revoca della comunicazione a fronte di una prestazione di lavoro giornaliera effettivamente svolta.

Si precisa che la mera registrazione del lavoratore sulla piattaforma predisposta dall’Istituto non costituisce di per sé elemento sufficiente ad escludere l’applicazione della maxisanzione, non essendo adempimento idoneo a rendere noto e, quindi, non sommerso il rapporto intercorrente tra prestatore ed utilizzatore.

Diversamente, pur in assenza della comunicazione preventiva, la maxisanzione non troverà applicazione ove si accerti la contestuale sussistenza delle seguenti condizioni:

- la prestazione sia comunque possibile in ragione del mancato superamento dei limiti economici e temporali (280 ore) previsti dallo stesso art. 54-bis;
- la prestazione possa effettivamente considerarsi occasionale in ragione di precedenti analoghe prestazioni lavorative correttamente gestite, così da potersi configurare una mera violazione dell’obbligo di comunicazione. Al riguardo appare ragionevole ritenere che ricorra la mera violazione dell’obbligo comunicazionale di cui all’art. 54-bis, comma 20 - con conseguente applicazione della specifica misura sanzionatoria - nel caso in cui l’omissione della comunicazione preventiva riguardi una singola prestazione giornaliera a fronte di una pluralità di prestazioni occasionali regolarmente comunicate nel corso del medesimo mese (cfr. INL circ. n. 5/2017 e INPS circ. n. 107/2017).

MAXISANZIONE APPALTO, DISTACCO E SOMMINISTRAZIONE

Le fattispecie di lavoro “nero” e di intermediazione illecita di manodopera, derivante tanto da pseudo-appalto, quanto da distacco privo dei requisiti di legge, richiedono un necessario coordinamento in ragione della posizione del lavoratore interessato.

a. Lavoratore regolarmente assunto dall’appaltatore/distaccante/somministratore

Nei casi in cui l’appalto, il distacco o la somministrazione risultano illeciti, trovano applicazione esclusivamente le sanzioni previste dall’art. 18, comma 1 e 5-bis, del D.Lgs. n. 276/2003 e non quella per lavoro sommerso. Il rapporto di lavoro infatti è regolarmente costituito in capo al datore di lavoro distaccante, appaltatore o somministratore il quale assolve ai connessi adempimenti retributivi e contributivi (vedi ML interpello n. 27/2014). Peraltro, tali adempimenti ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. n. 81/2015 e dell’art. 30, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 276/2003 restano in ogni caso salvi anche per il soggetto utilizzatore a seguito dell’iniziativa giudiziale intrapresa dal lavoratore, intesa a costituire il rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 414 c.p.c.

b. Lavoratore non regolarmente assunto dall’appaltatore/distaccante/somministratore

Nel caso in cui il lavoratore sia stato impiegato senza regolare assunzione occorre distinguere le fattispecie lecite di appalto, distacco o somministrazione dalle ipotesi illecite.

In caso di fattispecie lecite, l’impiego dei lavoratori non regolarmente assunti presso l’utilizzatore è riconducibile ad un interesse proprio dell’appaltatore (in ragione dell’appalto), del distaccante o del somministratore, che pertanto dispongono della prestazione lavorativa per perseguire una propria utilità. Per tale motivo la contestazione dell’impiego in “nero” del lavoratore non potrà essere rivolta all’utilizzatore che abbia regolato il proprio rapporto commerciale attraverso il ricorso ad uno schema tipico e lecito. Quest’ultimo, tuttavia, risponderà degli eventuali adempimenti retributivi e contributivi secondo i principi della responsabilità solidale ai sensi degli artt. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 e 35, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015.

In caso di fattispecie illecite, al contrario, la non corrispondenza dello schema negoziale tipico rispetto agli elementi di fatto riscontrati, comporta che l’impiego in “nero” del lavoratore andrà ricondotto in capo al soggetto utilizzatore quale effettivo beneficiario della prestazione lavorativa con conseguente contestazione della maxisanzione nei suoi confronti. In tal caso, infatti, attesa la natura sommersa del rapporto di lavoro, risultano del tutto assenti gli adempimenti che consentono di ricondurre, almeno su un piano meramente formale, il rapporto di lavoro in capo all’appaltatore/distaccante/somministratore.

Nel contempo non potranno trovare applicazione le sanzioni previste dall’art. 18, comma 1 primo periodo o del comma 5-bis, atteso che l’assenza di formalizzazione del rapporto, impedisce di ricostruire la fattispecie nell’ambito di una somministrazione, di un appalto o di un distacco, seppure illecite. Diversamente l’intera vicenda, ricorrendone i presupposti di fatto, potrebbe essere ricondotta nell’ambito di un’ipotesi di intermediazione illecita posta in essere dal soggetto pseudo appaltatore/distaccante/somministratore.

A ben vedere, infatti, lo pseudo appaltatore, il distaccante o la stessa agenzia di somministrazione si limitano a fare da tramite tra l’utilizzatore (effettivo datore di lavoro) ed il lavoratore, senza prima inserire quest’ultimo, almeno formalmente, nel proprio organico e creare, quindi, con lo stesso un legame datoriale. Ciò realizza una vera e propria attività di “intermediazione” non autorizzata con la possibile applicazione della sanzione prevista dall’art. 18, comma 1 secondo periodo, che punisce tale fattispecie con l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda da euro 1.800 a euro 9.000 o, se non vi è scopo di lucro, con la sanzione amministrativa da euro 6.000 a euro 12.000.

LAVORATORI IN DISTACCO TRANSNAZIONALE

I lavoratori dipendenti di una società stabilita in uno Stato Membro (o anche extra UE) possono essere impiegati nell’ambito di una “prestazioni di servizi” da eseguire in Italia. La disciplina del distacco transnazionale dei lavoratori è contenuta, come noto, nel D.Lgs. n. 136/2016 che prevede un articolato quadro sanzionatorio per le ipotesi di distacco non autentico, in cui non siano rispettati i requisiti previsti dall’art. 3.

La fattispecie illecita in questione risulta incompatibile con l’applicazione della maxisanzione. Ciò in quanto, il presupposto per avviare i lavoratori in distacco è che gli stessi siano dipendenti delle imprese estere distaccanti. La sussistenza di tale presupposto è verificabile consultando la documentazione che il referente nel nostro Paese nominato dal distaccante ai sensi dell’art. 10, comma 3, del decreto, deve conservare per esibirla agli organi di controllo, ove richiesto.

In particolare, nel novero della documentazione deve risultare il Mod. A1 attestante l’iscrizione del lavoratore presso il sistema di sicurezza sociale del paese di provenienza.

Va inoltre considerato che la comunicazione preventiva di distacco non risulta preordinata all’assunzione quanto, piuttosto, alla tracciabilità del loro impiego in Italia, per cui la sua assenza non può essere trattata alla stregua della mancata comunicazione obbligatoria di assunzione.

Pertanto, l’eventuale impiego in “nero” di manodopera proveniente da uno SM potrà configurarsi soltanto quando l’operazione commerciale non sia in alcun modo associabile ad una prestazione transnazionale di servizi dovendosi altrimenti valutare tutti gli elementi raccolti alla stregua di quanto previsto dall’art. 3 del D.Lgs. n. 136/2016 ai fini dell’eventuale illiceità del distacco.

In particolare, così come chiarito nelle Linee guida sul distacco transnazionale (v. nota n. 622/2018), si dovrà riscontare:

1. l’assenza di qualsiasi documento (Mod. A1, comunicazioni e documenti concernenti il rapporto di lavoro di cui all’art. 10, D.Lgs. n. 136/2016);
2. il sostanziale “stabilimento” del lavoratore in Italia (residenza, famiglia ecc.).

Ai fini dell’individuazione del destinatario della maxisanzione, occorre distinguere le due seguenti ipotesi:

a) nel caso in cui l’utilizzatore stabilito in Italia abbia provveduto ad ingaggiare il lavoratore ed eserciti altresì il potere direttivo, la maxisanzione sarà contestata a quest’ultimo;
b) qualora, invece, risulti che sia stata l’impresa straniera ad ingaggiare il lavoratore e ad esercitare il potere direttivo, è possibile che si sia in presenza di una “esterovestizione”. Pertanto, si dovrà procedere ad effettuare una segnalazione alla GdF e all’Agenzia delle entrate, nonché alla contestazione della maxisanzione esclusivamente nei confronti del titolare/legale rappresentante della “sedicente/presunta” impresa straniera.

Troverà applicazione la maxisanzione, infine, in tutti i casi in cui, nonostante la prestazione di servizi abbia avuto termine (si pensi ad un contratto di appalto del tutto eseguito) il lavoratore distaccato continui a rendere la propria prestazione lavorativa nei confronti del soggetto distaccatario.

In proposito assume rilievo anche la data di cessazione del distacco rilevabile dalla comunicazione UNIdistaccoUE cui non sia seguita una eventuale comunicazione in variazione del termine finale del distacco.

CAPORALATO E MAXISANZIONE

La sanzione per lavoro “nero” risulta compatibile con il reato di sfruttamento della manodopera, punito ai sensi dell’art. 603 bis c.p., atteso che le due fattispecie tutelano beni giuridici differenti.

La presenza, infatti, del reato di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera non esclude l’applicabilità delle sanzioni amministrative per lavoro “nero”, che andranno sempre rivolte nei confronti del soggetto utilizzatore, difettando qualunque forma di pregressa formalizzazione del rapporto di lavoro.

In tali ipotesi, la procedura di diffida ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004, finalizzata alla regolarizzazione della posizione dei lavoratori in capo al soggetto utilizzatore, dovrà prestare particolare attenzione nell’imporre la corresponsione di trattamenti economici e normativi in linea con quelli previsti dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

In presenza di lavoratori privi di permesso di soggiorno, si configura peraltro anche la fattispecie di reato di cui all’art. 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998.

MAXISANZIONE E TIROCINIO

Il tirocinio extracurriculare è una figura che non rientra tecnicamente nel novero delle forme tipiche di rapporto di lavoro ma costituisce un periodo di orientamento al lavoro di durata limitata con una componente di apprendimento e formazione, il cui obbiettivo è l’acquisizione di un’esperienza pratica e professionale finalizzata a migliorare l’occupabilità e facilitare la transizione verso un’occupazione regolare.

Pur non costituendo una forma di rapporto di lavoro, il tirocinio va comunicato al Centro per l’impiego tramite il sistema CO a cura del soggetto ospitante o, in sua vece, anche dal soggetto promotore, peraltro già tenuto a provvedere alle assicurazioni obbligatorie. Tale onere comunicazionale appare particolarmente rilevante nelle ipotesi in cui il rapporto di tirocinio difetti dei requisiti tipici e risulti, pertanto, non genuino. Infatti, ove la prestazione sia stata correttamente comunicata al Centro per l’impiego ma ricorrano gli indici della subordinazione, essa potrà essere solo oggetto di disconoscimento e riqualificazione in termini di rapporto di lavoro subordinato, non potendo trovare applicazione la maxisanzione per lavoro “nero”.

Diversamente, potrà trovare applicazione la maxisanzione in caso di omessa comunicazione di instaurazione del tirocinio e ricostruzione del rapporto in termini di lavoro subordinato.

Una particolare fattispecie può aversi nel caso in cui, pur essendo stato correttamente comunicato, il rapporto, al suo termine, prosegua oltre il periodo massimo fissato dalla legge regionale di riferimento, senza che ciò risulti dall’originaria comunicazione al Centro per l’impiego o sia oggetto di comunicazione di proroga. In tali casi, ferma restando la verifica della sussistenza della subordinazione, la sanzione andrà applicata con decorrenza dal predetto “sforamento” (cfr. INL circ. n. 8/2018).

Un ulteriore punto sul quale occorre porre attenzione è dato dalle conseguenze che possono derivare sull’intero rapporto di tirocinio da un pregresso periodo di lavoro sommerso.

Innanzitutto, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, nelle more dell’espletamento di tutte le formalità per la corretta attivazione del tirocinio, decida di impiegare ugualmente il futuro tirocinante in attività lavorativa in “nero”, troverà applicazione la maxisanzione. In tal caso, infatti, mancando qualsiasi ufficiale formalizzazione, il rapporto di tirocinio è del tutto inesistente e il lavoratore impiegato in attività lavorativa subordinata, senza regolare assunzione, non può che essere considerato a tutti gli effetti un lavoratore in “nero”.

Altra situazione si può avere nell’ipotesi in cui il personale ispettivo, nella verifica della regolarità di un tirocinio correttamente formalizzato, accerti che il tirocinante è stato impiegato in attività lavorativa sommersa antecedentemente all’instaurazione del rapporto di tirocinio.

In tal caso occorrerà preliminarmente verificare che la legge regionale di riferimento, in linea con quanto previsto dalle linee guida in materia di tirocini extracurriculari, diramate il 25 maggio 2017 dalla Conferenza permanente Stato Regioni, ritenga l’attivazione del tirocinio incompatibile con un precedente rapporto di lavoro subordinato o una collaborazione coordinata e continuativa, intrattenuti con il soggetto ospitante negli ultimi due anni.

[...]

Fonte: INL

Collegati
[box-note]Piano nazionale di lotta al lavoro sommerso
D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro[/box-note]

Accordo 86/CSR del 25 maggio 2017

Accordo 86/CSR del 25 maggio 2017 | Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento

Accordo tra il Governo, le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante “Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento”, ai sensi dell’articolo 1, commi da 34 a 36, della legge 28 giugno 2012, n. 92
...

Collegati
[box-note]Legge 28 giugno 2012 n. 92[/box-note]

Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità

Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilit

Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità

ID 16115 | 18.03.2022 / In allegato linee guida

Le “Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità” previste dall’art.1 del decreto legislativo 151 del 2015 rappresentano strumenti di indirizzo e coordinamento a livello nazionale e rinnovano l’impegno delle amministrazioni nel delineare un percorso di collaborazione e di condivisione interistituzionale verso un sistema di inclusione lavorativa in grado di essere più efficiente e organico in tutto il Paese.

Le Linee guida, pur non sostituendosi alle legislazioni regionali che hanno regolamentato l’applicazione del collocamento mirato sui territori, intendono offrire un quadro di riferimento complessivo rispetto a principi, interventi e metodologie di attuazione.

Gli indirizzi e le proposte contenute nel documento fanno propri i principi espressi dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità e tengono in considerazione gli obiettivi della recente Strategia europea per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030 presentata dalla Commissione europea. In particolare, si assume la dimensione del lavoro come fondamentale per i percorsi di integrazione sociale delle persone con disabilità e la più ampia realizzazione dei relativi progetti di vita indipendente.

Gli interventi, le indicazioni ed i metodi presentati nelle Linee guida sono finalizzati a:

[alert]- favorire, su tutto il territorio nazionale, la presenza e la fruibilità di servizi, strumenti e risorse adeguati, secondo i principi delle pari opportunità e non discriminazione, a beneficio dei cittadini con disabilità e delle imprese interessati dalla norma del collocamento mirato;
- sostenere la standardizzazione dei processi di attuazione delle norme su tutto il territorio nazionale, da parte dei servizi competenti, per ridurre i divari territoriali che penalizzano vaste aree del Paese;
- orientare le azioni del sistema nella prospettiva di un miglioramento continuo dell’efficacia delle prestazioni, favorito da attività di monitoraggio e da una condivisione delle pratiche valide tra le diverse realtà locali.[/alert]

Le linee guida sostengono le azioni di capacità amministrativa, nell’ottica della collaborazione interistituzionale, favorendo l’adozione di interventi innovativi nella programmazione regionale e sostenendo il rafforzamento di quanto già previsto dai servizi territoriali per il collocamento mirato.

Con l’approccio connaturato alla logica del mainstreaming, si ritiene necessario introdurre o consolidare un sistema di analisi e valutazione delle politiche promosse dalle amministrazioni regionali che consideri il potenziale impatto sul mondo della disabilità delle misure predisposte, interpretando in particolare il tema del lavoro non solo in termini di equità ma anche in chiave di crescita economica.

Seguendo la medesima ottica del mainstreaming, si ritiene utile estenderne i principi anche alla dimensione di genere nell’ambito del collocamento mirato, sollecitando la valutazione ex ante dell’impatto delle misure adottate dalle amministrazioni, secondo l’approccio intersezionale promosso dall’EIGE (European Institute for Gender Equality).

Si raccomanda la promozione di campagne di comunicazione e valorizzazione della responsabilità sociale delle imprese ai fini del perseguimento di migliori risultati quantitativi e qualitativi sul piano occupazionale e di indurre i necessari cambiamenti culturali nei confronti della tematica della disabilità nei contesti organizzativi e produttivi.

Allo scopo di sostenere l’occupazione delle persone con disabilità e riconoscere il ruolo attivo dei datori di lavoro nell’applicazione della normativa, si propone l’introduzione o il consolidamento, da parte delle amministrazioni competenti per il collocamento mirato, di meccanismi e clausole premianti negli appalti pubblici a favore di imprese ed enti che abbiano istituito la figura del responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro.

Si ribadisce la necessità e si sollecitano la promozione e il consolidamento della gestione sistematica dei dati amministrativi riferiti al Collocamento mirato, l’aggiornamento costante e regolare dei flussi informativi, lo sviluppo della collaborazione applicativa orientata a una piena interoperabilità tra i sistemi di riferimento sulla disabilità, nel quadro della governance regionale e in sinergia con le esigenze di uniformità espresse a livello nazionale, anche ai fini di una loro opportuna analisi e valutazione.

Le Linee guida introducono una ripartizione in tre distinte categorie di beneficiari dei diversi processi di accompagnamento al lavoro, allo scopo di prefigurare percorsi personalizzati che tengano in considerazione anche alcune specificità risultanti dalla relazione della persona con il servizio per il collocamento mirato. Tali categorie sono state individuate al fine di sensibilizzare i servizi su specifiche tipologie di intervento.

Una prima categoria, che si compone di giovani con disabilità che non rientrano ancora tra i beneficiari della normativa, in quanto non ancora in età da lavoro o perché ancora nel sistema dell’istruzione, sarà destinataria di interventi che coinvolgeranno operatori e servizi dei sistemi socio sanitari, dell’istruzione e della formazione, allo scopo di garantire nei tempi opportuni un efficace trasferimento della presa in carico verso il sistema dell’integrazione lavorativa, anche considerando l’introduzione di una figura di tutoraggio per facilitare ed accompagnare l’inclusione e il cambiamento per le diverse dimensioni del progetto personalizzato.

Una seconda categoria comprende le persone che accedono per la prima volta alle liste del collocamento obbligatorio oppure sono iscritte da non oltre 24 mesi.

Una terza categoria, infine, riguarda i disoccupati da oltre 24 mesi e le persone che rientrano al lavoro, dopo dimissioni/licenziamenti o lunghi periodi di malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale o riabilitazione.

Le linee guida costituiscono un documento di indirizzo, pertanto, in considerazione del loro intervento su tematiche di rilievo che necessitano di confronto istituzionale e ulteriore approfondimento, si ravvisa la necessità di prevedere appositi tavoli tecnici; ciò anche in relazione all’opportunità di adottare provvedimenti specifici o elaborare proposte di modifica normativa.

Tali tavoli saranno costituiti con i componenti necessari in relazione alla specifica materia. Le tematiche di seguito riportate non costituiscono un elenco tassativo ma potranno essere implementate laddove se ne rilevi la necessità:

- ricognizione degli iscritti per verificare le permanenze nelle liste del collocamento obbligatorio per le persone iscritte da più di 24 mesi;
- implementazione della banca dati sul collocamento mirato;
- verifica ed eventuale aggiornamento delle schede anagrafica e per l’orientamento di base;
- procedure di assunzione delle persone con disabilità psichica presso le pubbliche amministrazioni.

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INDICE
PRESENTAZIONE DELLE LINEE GUIDA IN MATERIA DI COLLOCAMENTO MIRATO DELLE PERSONE CON DISABILITÀ
1. I RECENTI INTERVENTI NORMATIVI DI MODIFICA DELLA LEGGE 68/1999
1.1 Il decreto legislativo 151/2015
1.2 Gli interventi relativi all’occupazione nell’ambito pubblico
1.3 Quadro delle competenze sulla gestione del Collocamento mirato
2. I SERVIZI PER LE POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO E IL COLLOCAMENTO MIRATO
2.1 Tipologia degli utenti dei Servizi per l’impiego
2.2 Percorso di attivazione dell’utente presso il CPI
2.3 Accoglienza e prima informazione
2.4 DID online, profilazione, aggiornamento SAP e iscrizione negli elenchi del collocamento mirato per le persone con disabilità
2.5 L’orientamento di base nel caso delle persone con disabilità
2.6 Profilazione qualitativa approfondita
2.6.1 Ruolo e compiti del comitato tecnico
2.7 Patto di servizio personalizzato
2.7.1 Il Patto di servizio per le persone con disabilità
3. ITER PROCEDIMENTALE PREVISTO PER IL DATORE DI LAVORO CHE DEVE PROCEDERE ALL’ASSUNZIONE DELLA PERSONA CON DISABILITÀ AI SENSI DELLA LEGGE 68/1999
3.1 Distinzione datori di lavoro pubblici/datori di lavoro privati obbligati all’assunzione
3.2 Modalità di assunzione per i datori di lavoro privati
3.3 Richiesta avviamento tramite Prospetto informativo
3.4 Modalità delle assunzioni e adempimenti per i datori di lavoro pubblici (Comunicazione 39 quater per i datori di lavoro pubblici)
3.5 Modalità operative del servizio per il collocamento mirato per garantire il corretto adempimento dell’obbligo di assunzione delle persone con disabilità
4. RETI INTEGRATE NEI PERCORSI DI ATTIVAZIONE DELLA PERSONA CON DISABILITÀ
4.1 Iniziative nel quadro dell’integrazione degli interventi a sostegno dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità
4.2 Il comitato tecnico e la rete integrata dei servizi
5. GLI ACCORDI TERRITORIALI
5.1 Forme di concertazione territoriale tra Regione, Città metropolitane, Province e le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro con le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 38, le associazioni delle persone con disabilità e i loro familiari, nonché con le altre organizzazioni del terzo settore rilevanti
5.2 Gli accordi territoriali con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro con le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 38, le associazioni delle persone con disabilità e i loro familiari, nonché con le altre organizzazioni del terzo settore rilevanti
5.3 Attività di monitoraggio
5.4 Fondi e risorse finanziarie
6. LA VALUTAZIONE BIO-PSICO-SOCIALE DELLA DISABILITÀ
6.1 Principi comuni in materia di valutazione bio-psico-sociale
6.2 Dall’accertamento della condizione di disabilità ai fini del collocamento mirato al profilo di occupabilità: indicazioni e indirizzi operativi
6.3 Il comitato tecnico e il progetto di inserimento lavorativo personalizzato
7. ANALISI DELLE CARATTERISTICHE DEI POSTI DI LAVORO E GLI ACCOMODAMENTI RAGIONEVOLI
7.1 Analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro
7.2 Accomodamenti ragionevoli
7.2.1 Il contesto normativo
7.2.2 Ambito di applicazione
7.3 Gli accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro
7.4 Il lavoro agile come accomodamento ragionevole
7.5 L’eccessiva onerosità dell’accomodamento
7.6 I contributi per l’adozione di accomodamenti ragionevoli
7.7 Contributi INAIL
8. RESPONSABILE DELL’INSERIMENTO LAVORATIVO PER LE PERSONE CON DISABILITÀ
8.1 Premessa normativa
8.2 Indirizzi operativi
9. LE BUONE PRATICHE DI INCLUSIONE LAVORATIVA
SCHEMA - I servizi per il collocamento mirato rivolti a persone con disabilità e datori di lavoro
ALLEGATI
Allegato 1
Allegato 2
Allegato 3

...

Fonte: MLPS

Collegati
[box-note]Decreto Legislativo 14 settembre 2015 n. 151
Legge 12 marzo 1999 n. 68
DM 14 giugno 1989 n. 236
Disabilità e lavoro | INAIL[/box-note]

Medico competente comunicazioni dati All. 3B anno 2021 proroga al 31.07.2022

Nota Ministero della Salute del 15 02 2022

Medico competente comunicazioni dati All. 3B anno 2021 proroga al 31.07.2022

ID 15785 | 17.02.2022 / In allegato Nota Min. della Salute del 15.02.2022

Ministero della Salute nota 15 febbraio 2022 - Proroga invio dati art. 40 allegato 3B

OGGETTO: Proroga invio dati art. 40 allegato 3B

Il decreto legislativo 81/2008, all'art. 40 comma 1 recita: "Entro il primo trimestre dell’anno successivo all’anno di riferimento il medico competente trasmette, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati collettivi aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in ALLEGATO 3B".

Pertanto, l'invio dell'allegato, con i dati della sorveglianza sanitaria a cui i lavoratori sono sottoposti da parte del medico competente, sarebbe da effettuarsi entro il 31 marzo 2022.

L’invio dell’allegato 3B, quale adempimento amministrativo, riveste una notevole importanza per il monitoraggio della sorveglianza sanitaria a cui sono sottoposti i lavoratori, tanto che in seno alla scrivente Direzione generale è stato istituito uno specifico gruppo tecnico, composto da istituzioni e società scientifiche, finalizzato al miglioramento dell’utilizzo dei dati e all’ottimizzazione della richiesta e della raccolta di informazioni da parte dei medici competenti. L’importanza di questa fonte di dati è in più parti richiamata anche nel Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025, si tra le linee di azione centrale sia nei piani predefiniti.

Tuttavia, il carico di lavoro dei medici competenti, la difficoltà della situazione legata alla gestione dell'emergenza COVID-19, la peculiarità operativa della sorveglianza sanitaria periodica in questa fase pandemica non consente il congruo invio dei dati nei tempi previsti dalla legge e pertanto, al fine di consentire ai medici competenti una migliore gestione dell’inoltro dei dati, si dispone la proroga al 31 luglio 2022 dell’invio dei dati allegato 3B relativi all’anno 2021.

...

Fonte: Ministero della Salute

Collegati
[box-note]Medico competente comunicazioni dati All. 3B rinvio al 31.07.2020
Medico competente comunicazioni dati All 3B sospese per il 2021
Medico competente: comunicazioni dati allegato 3B | 2019
Lavori con obbligo sorveglianza sanitaria: Riferimenti Normativi ed elenchi[/box-note]

Circolare MLPS 12 ottobre 2015 n. 26

Circolare 26 2015

Circolare MLPS 12 ottobre 2015 n. 26 

D.Lgs. n. 151/2015, articolo 22 (modifica di disposizioni sanzionatorie in materia di lavoro e legislazione sociale) - indicazioni operative

Oggetto: D.Lgs. n. 151/2015 recante "diposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di lavoro e pari opportunità” - articolo 22 (modifica di disposizioni sanzionatorie in materia di lavoro e legislazione sociale) - indicazioni operative.

Nell’ambito delle semplificazioni delle “disposizioni in materia di lavoro e pari opportunità”, l’art. 22 del D.Lgs. n. 151/2015, in attuazione della delega di cui all’art. 1, comma 6 lett. f), della L. n. 183/2014, apporta importanti modifiche al regime delle sanzioni di alcune fattispecie di illeciti. In particolare trattasi degli illeciti in materia di lavoro “nero”, di Libro Unico del Lavoro, di prospetti paga e di assegni per il nucleo familiare.

Al riguardo, al fine di assicurare l’uniformità di comportamento di tutto il personale ispettivo, appare opportuno riepilogare le modifiche intervenute, fornendo le prime indicazioni necessarie ad una corretta applicazione delle nuove disposizioni.

Maxisanzione per il lavoro “nero”

L’art. 22, comma 1, del decreto legislativo sostituisce il comma 3 dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002 (conv. da L. n. 73/2002), già modificato in più occasioni nel corso degli anni.

In questo caso, l'intervento del Legislatore non incide sulla condotta integrante la fattispecie illecita, atteso che il comportamento sanzionato resta “l’impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con l’esclusione del datore di lavoro domestico”.

Viene eliminata, invece, la previsione di un trattamento sanzionatorio più favorevole, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo a quello prestato “in nero” (c.d. maxisanzione affievolita), con la conseguente equiparazione di tale fattispecie alla condotta tipica, rispetto alla quale si rinvia alle indicazioni già fornite con circolare n. 38/2010.

La disposizione riformula inoltre il regime sanzionatorio. L’originaria sanzione amministrativa - già modificata dal D.L. n. 145/2013 (con importi da euro 1950 ad euro 15.600, più euro 195 per ciascuna giornata di effettivo lavoro in "nero”) - è sostituita da una sanzione graduata “per fasce”, in relazione alla durata del comportamento illecito:

a) da euro 1.500 a euro 9.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di effettivo lavoro;
b) da euro 3.000 a euro 18.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni di effettivo lavoro;
c) da euro 6.000 a euro 36.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di effettivo lavoro.

Gli importi sanzionatori sono inoltre aumentati del 20% nel caso di impiego di lavoratori stranieri non in possesso di un valido permesso di soggiorno o di minori in età non lavorativa e rispetto ad essi non trova evidentemente applicazione la procedura di diffida di seguito indicata.

Si ricorda comunque, così come già chiarito con circ. n. 38/2010, che non è soggetto alla maxisanzione il datore di lavoro che, antecedentemente al primo accesso in azienda del personale ispettivo o di una eventuale convocazione per l’espletamento del tentativo di conciliazione monocratica, regolarizzi spontaneamente e integralmente, per l’intera durata, il rapporto di lavoro, avviato originariamente senza una preventiva comunicazione obbligatoria di instaurazione.

La procedura di diffida

La disposizione reintroduce la diffidabilità della maxisanzione ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004. Ai fini della regolarizzazione della violazione, fermi restando i connessi adempimenti formali (istituzione ovvero compilazione LUL, consegna lettera di assunzione, comunicazione al Centro per l’impiego ecc.), si prevede:

a) la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale con riduzione dell'orario non superiore al 50%, o con contratti a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi;
b) il mantenimento in servizio dei lavoratori oggetto di regolarizzazione per un periodo non inferiore a “tre mesi”.

Va subito chiarito che la stipulazione di tali contratti è sottratta, evidentemente, alle eventuali connesse agevolazioni già previste dalla vigente disciplina (prima fra tutte quella di cui all’art. 1, commi 118 e 119, della L. n. 190/2014), attesa peraltro la violazione del disposto di cui all’art. 1, comma 1175, della L. n. 296/2006 che subordina l'accesso ad eventuali benefici “normativi e contributivi” anche al rispetto degli “altri obblighi di legge”.

Nei confronti dei lavoratori irregolari trovati "ancora in forza" al momento dell’accesso ispettivo, si ottempera alla diffida nel termine complessivo di 120 giorni dalla notifica del verbale unico, mediante la dimostrazione, da parte del datore di lavoro, dei seguenti adempimenti:

a) la regolarizzazione dell’intero periodo di lavoro prestato in “nero” secondo le modalità accertate ivi compreso il versamento dei relativi contributi e premi;
b) la stipula del contratto di lavoro secondo le tipologie contemplate dalla norma;
c) il mantenimento in servizio del lavoratore per almeno “tre mesi” e cioè almeno 90 giorni di calendario, da comprovare attraverso il pagamento delle retribuzioni, dei contributi e dei premi scaduti entro il termine di adempimento;
d) il pagamento della maxisanzione.

Per inciso è opportuno ricordare che, a prescindere dalla regolarizzazione del rapporto come sopra indicata, resta fermo il recupero delle retribuzioni eventualmente non versati attraverso l’emanazione della diffida accertativa, così come del resto già chiarito con circ. n. 1/2013.

Circa l’operatività della diffida ex art. 3, comma 3 ter, D.L. n. 12/2002, occorre svolgere inoltre alcune osservazioni.

Con specifico riferimento alle tipologie contrattuali previste dal Legislatore, si evidenzia che non risulta possibile, ai fini dell’adempimento alla diffida, la stipula di un contratto di lavoro intermittente sia a tempo indeterminato che a tempo determinato, in ragione della ratio legis che impone un’evidente continuità del rapporto, certamente non compatibile con tale fattispecie contrattuale. Inoltre la stipula di un contratto a termine, pur ammessa tra le ipotesi previste dal Legislatore, potrà effettuarsi nel rispetto della disciplina prevista dal D.Lgs. n. 81/2015, ivi compresi i limiti quantitativi di cui all’art. 23 del medesimo Decreto.

Il periodo minimo di 3 mesi di mantenimento in servizio del lavoratore va computato “al netto” del periodo di lavoro prestato “in nero”, il quale andrà comunque regolarizzato.

In altri termini, il contratto decorrerà dal primo giorno di lavoro “nero” mentre il periodo di 3 mesi utile a configurare l’adempimento alla diffida andrà “conteggiato” dalla data dell’accesso ispettivo.

Nelle ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro per cause non imputabili al datole di lavoro nel periodo compreso tra l'accesso ispettivo e la notifica del verbale unico, è comunque possibile - ferma restando la regolarizzazione del periodo “in nero” pregresso - che l'adempimento alla diffida avvenga con un separato contratto stipulato successivamente allo stesso accesso ispettivo. All’esito della verifica, tale contratto dovrà aver consentito un effettivo periodo di lavoro di almeno tre mesi, entro il termine di 120 giorni dalla notifica del verbale unico.

Per maggior chiarezza e al fine di consentire al datore di lavoro di adempiere tempestivamente agli obblighi connessi alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro “nero”, il personale ispettivo in sede di primo accesso, nel relativo verbale, avrà cura di informare il datore di lavoro di quanto appena specificato.

In particolare, fermi restando gli esiti dell’accertamento contenuti nel verbale unico e quanto sopra chiarito in ordine alle possibili interruzioni del rapporto, andrà spiegato che la diffida prevista dal nuovo art. 3 del D.L. n. 12/2002 richiederà la formalizzazione di un contratto decorrente dal primo giorno di lavoro “nero” che preveda il mantenimento al lavoro del lavoratore per almeno tre mesi decorrenti dall’accesso ispettivo.

Nelle ipotesi in cui il datore di lavoro abbia provveduto, prima della notifica del verbale (come può accadere anche a seguito del provvedimento di sospensione adottato ai sensi dell'art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008), a regolarizzare il rapporto di lavoro secondo le tipologie contrattuali contemplate dalla norma, il personale ispettivo procederà ad adottare ugualmente la diffida che avrà ad oggetto esclusivamente l’obbligo del mantenimento in servizio del lavoratore per almeno tre mesi da comprovare secondo le modalità sopra indicate nonché la richiesta di pagamento del minimo della sanzione edittale. Nelle risultanze del verbale si darà altresì atto della regolarizzazione del lavoratore mediante la stipulazione del contratto.

In ogni caso si ricorda che, laddove il datore di lavoro non abbia adempiuto alla diffida entro il centoventesimo giorno dalla notifica, il verbale unico, ai sensi dell’art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 124/2004, produce gli effetti della contestazione e notificazione degli addebiti accertati nei confronti del trasgressore e della persona obbligata in solido ai quali sia stato notificato. A tal proposito appare opportuno specificare che entro il centoventesimo giorno dalla notifica del verbale deve pertanto trovare pieno compimento l’intero periodo trimestrale di mantenimento in servizio del lavoratore.

Va inoltre precisato che l’adempimento alla diffida costituisce elemento oggettivo di applicabilità della sanzione in misura minima che, in qualche misura, bilancia gli oneri sostenuti dal datore per il mantenimento del rapporto di lavoro. Ne consegue che, in assenza di un effettivo mantenimento del rapporto di lavoro per almeno 3 mesi entro il centoventesimo giorno dalla notifica del verbale, qualunque ne sia la ragione, non potrà ritenersi adempiuta la diffida.

Nel caso di contestazione di più illeciti, diffidabili secondo termini diversi o anche non diffidabili, il c.d. dies a quo per il pagamento della sanzione in misura ridotta (60 giorni ex art. 16 L. n. 689/1981), decorre necessariamente dalla scadenza dei termini individuati dal Legislatore per l’adempimento alla diffida per la maxisanzione.

Allo stesso modo, il termine di 30 giorni per presentare ricorso ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 124/2004, decorre dalla scadenza del termine di 120 giorni previsto per l’ottemperanza alla diffida per tutti gli illeciti contestati con il medesimo verbale, in conformità con quanto già chiarito con circ. n. 41/2010.

Lavoratori regolarmente occupati per un periodo lavorativo successivo a quello prestato “in nero”

Il Legislatore fa salva, in riferimento a taluni contenuti della diffida, l'ipotesi in cui i lavoratori "risultino regolarmente occupati per un periodo lavorativo successivo" a quello prestato “in nero”. Trattasi, in sostanza, della precedente fattispecie oggetto della c.d. maxisanzione affievolita.

In tal caso, pertanto, la diffida non avrà ad oggetto la stipulazione del contratta secondo le tipologie previste dal Legislatore né il conseguente mantenimento in servizio del lavoratore per 3 mesi ma esclusivamente la regolarizzazione del periodo di lavoro prestato in “nero”. Pertanto il datore di lavoro, nell’ordinario termine di 45 giorni dalla notifica della diffida, dovrà dare dimostrazione della “copertura” del precedente periodo di occupazione irregolare, rettificando la data di effettivo inizio del rapporto di lavoro, del pagamento delle sanzioni nella misura minima e dei contributi riferibili al periodo “in nero”.

Allo stesso modo dovrà comportarsi il datore di lavoro nel caso in cui i lavoratori irregolarmente occupati non risultino più in forza al momento dell’accesso ispettivo, atteso che la disposizione limita la condizione del “mantenimento in servizio per almeno tre mesi” ai soli lavoratori irregolari “ancora in forza” al momento dell'accesso ispettivo.

Diffida ora per allora

Il personale ispettivo ammetterà direttamente il trasgressore al pagamento della sanzione amministrativa pari al minimo edittale (c.d. diffida ora per allora) nel caso in cui, prima della redazione del verbale, questi abbia già documentato gli adempimenti di cui alle lettera a), b) e c) sopra richiamati (regolarizzazione dell'intero periodo di lavoro prestato in "nero", stipula del contratto di lavoro secondo le tipologie contemplate dalla norma, mantenimento in servizio del lavoratore per 3 mesi e cioè almeno 90 giorni), ivi compreso il versamento dei relativi contributi e premi.

In tal caso, il pagamento delle sanzioni andrà effettuato comunque entro il termine di 120 giorni dalla notifica del verbale.

Violazioni connesse e regime intertemporale

La norma, in caso di contestazione della maxisanzione, esclude l’applicazione delle ulteriori sanzioni di cui all’art. 19. commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 276/2003 relative alla mancata comunicazione obbligatoria e alla mancata consegna della lettera di assunzione, nonché delle sanzioni relative alle violazioni in materia di Libro Unico del Lavoro il quale, evidentemente, non è mai compilato (o nei casi di prima assunzione mai istituito) qualora si faccia ricorso al lavoro “nero”.

Come già anticipato con nota prot. n. 16494 del 7 ottobre u.s., la nuova disciplina della maxisanzione, ai sensi dell’art. 1 della L. n. 689/1981, trova applicazione per gli illeciti commessi successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo.

Per le condotte iniziate e cessate nella vigenza della precedente disciplina si applica l’apparato sanzionatorio precedentemente vigente, ivi compresa la fattispecie attenuata di maxisanzione. Alle medesime condotte non si applica, invece, la procedura di diffida in considerazione dei contenuti sostanziali - e non esclusivamente procedurali - della stessa.

Per le condotte iniziate sotto la previgente disciplina e proseguite dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo, stante la natura permanente dell’illecito che si consuma al momento della cessazione della condotta trova applicazione, all’intero periodo oggetto di accertamento, la nuova disciplina, così come richiamata nella presente circolare.

Provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale

La disposizione modifica gli importi delle somme aggiuntive dovute ai fini della revoca del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale nella misura di euro 2.000 per le sospensioni conseguenti all’impiego di lavoratori “in nero” e di euro 3.200 per le ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di salute e sicurezza.

Il Legislatore introduce anche la possibilità da parte del datore di lavoro di chiedere, fermo restando il rispetto delle altre condizioni di legge, la revoca del provvedimento mediante il versamento immediato del 25% della somma aggiuntiva dovuta (rispettivamente euro 500 ed euro 800), riservandosi di pagare l’importò residuo, maggiorato del 5%, entro i 6 mesi successivi alla presentazione dell’istanza di revoca (rispettivamente euro 1.575 ed euro 2.520).

Qualora, nei termini di legge, l’importo residuo non venga pagato, in tutto o in parte, il provvedimento di accoglimento dell’istanza in uno al provvedimento di revoca della sospensione costituiscono titolo esecutivo.

A tal fine, nel provvedimento di revoca della sospensione sarà quindi indicato:
- l’importo versato nella misura di euro 500 o di euro 800;
- l’importo ancora da versare maggiorato del 5% (rispettivamente euro 1.575 ed euro 2.520);
- il termine di 6 mesi entro il quale dovrà essere dimostrato il pagamento dell’importo residuo;
- le conseguenze del mancato o parziale versamento dell’importo residuo.

Trattasi peraltro di elementi già presenti nella relativa modulistica disponibile nell’applicativo SGIL ad uso del personale ispettivo.

Condizioni per la revoca del provvedimento

In riferimento alle ulteriori condizioni di legge necessarie ai fini della revoca, deve ritenersi che la regolarizzazione dei lavoratori in “nero” vada effettuata di norma mediante le tipologie contrattuali indicate dalla disciplina in materia di maxisanzione (contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale con riduzione dell’orario non superiore al 50% o contratti a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi). In tali casi, evidentemente, non rileva il requisito del mantenimento del rapporto per almeno 3 mesi che, come sopra chiarito, costituisce esclusivamente condizione necessaria per l'adempimento alla diffida.

Così come precisato con circ. n. 33/2009, alla quale si rinvia per ogni ulteriore chiarimento, si ricorda inoltre che la regolarizzazione dei rapporti va verificata anche in relazione agli obblighi di sorveglianza sanitaria, formazione e informazione eventualmente previsti dal D.Lgs. n. 81/2008.

In tal senso, con specifico riferimento al settore dell’edilizia, configurandosi nella quasi totalità dei casi la violazione di obblighi puniti penalmente (almeno in riferimento all’omessa sorveglianza sanitaria ed alla mancata formazione ed informazione), il personale ispettivo dovrà adottare il provvedimento di prescrizione obbligatoria relativo a tali ipotesi contravvenzionali e verificare, conseguentemente, l’ottemperanza alla prescrizione impartita.

Per quanto attiene alla regolarizzazione di lavoratori extracomunitari "clandestini’’ e di lavoratori minori illegalmente ammessi al lavoro, fermo restando il pagamento della somma aggiuntiva ai fini della revoca e pur nell’impossibilità di una piena regolarizzazione, sarà comunque necessario provvedere al versamento dei contributi di legge ex art. 2126 c.c.

Libro Unico del Lavoro, prospetto paga, assegni familiari

Il Legislatore modifica la disciplina sanzionatoria in materia di LUL, prospetto paga e assegni familiari, introducendo un criterio di commisurazione della sanzione graduato per fasce in relazione sia al numero dei lavoratori coinvolti che ai periodi in cui permanga la condotta illecita.

Giova subito precisare che qualora la condotta sia riconducibile a due diverse fasce, andrà applicata la sanzione più elevata la quale assorbirà, evidentemente, la violazione meno grave.

Libro unico del Lavoro

In riferimento al LUL, viene riformulato il comma 7 dell’art. 39 del D.L. n. 112/2008 prevedendo, per le condotte di omessa o infedele registrazione dei dati, la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 150 ad euro 1.500.

La sanzione è aumentata nei seguenti termini:

- da euro 500 ad euro 3.000 se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero ad un periodo superiore a 6 mesi;
- da euro 1.000 ad euro 6.000 se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero ad un periodo superiore a 12 mesi.

Atteso che la graduazione della sanzione tiene conto sia del numero di lavoratori che delle mensilità interessate dall’omissione, sono evidentemente superate le indicazioni fomite con circ. n. 23/2011, afferenti le modalità di quantificazione della sanzione nei casi in cui la condotta illecita si protragga per più di una mensilità.

Restano invece fermi i chiarimenti già forniti da questa Direzione generale, da ultimo con circolare n. 2/2012, in relazione al concetto di infedele registrazione che va riferito esclusivamente ai casi di difformità tra i dati registrati e il quantum della prestazione lavorativa resa o l’effettiva retribuzione o compenso corrisposto. È quindi da escludersi qualsiasi valutazione in ordine alla riconduzione del rapporto ad altra tipologia contrattuale ovvero in ordine alla mancata corresponsione di determinate somme previste dalla contrattazione collettiva applicata o applicabile, rispetto alle quali è fatto salvo evidentemente il potere di emanare la diffida accertativa al fine di dare immediata tutela ai lavoratori interessati.

Si ricorda infine che le condotte di omessa e infedele registrazione - alle quali sono equiparate, ai fini sanzionatori, anche la tardiva compilazione del LUL - sono punibili a condizione che le stesse abbiano determinato differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali.

Prospetti paga

Anche l'art. 5 della L. n. 4/1953 (relativo alla mancata o ritardata consegna, ovvero all’omessa o inesatta registrazione sul prospetto paga) è riformulato mediante la previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 150 ad euro 900. La sanzione è aumentata in ragione del numero dei lavoratori coinvolti o del periodo interessato:

- da euro 600 ad euro 3.600 se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero ad un periodo superiore a 6 mesi;

- da euro 1.200 ad euro 7.200 euro se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero ad un periodo superiore a 12 mesi.

In conformità con le indicazioni già fornite con circ. n. 23/2011 il Legislatore chiarisce che, laddove il datore di lavoro adempia alla consegna del prospetto paga tramite la consegna di copia del Libro Unico del Lavoro, trova applicazione esclusivamente la sanzione di cui all’art. 39, comma 7, D.L. n. 112/2008. Ciò vale, tuttavia, per le ipotesi in cui il datore di lavoro, avvalendosi della facoltà di consegnare al lavoratore copia del Libro Unico del Lavoro, ometta alcune registrazioni o le effettui in maniera infedele. In tal caso andrà applicata unicamente la sanzione prevista per le registrazioni sul LUL e non quella per l’inesattezza del prospetto di paga. Diversamente, ove lo stesso ometta di consegnare la copia del LUL all’atto della corresponsione della retribuzione, non essendosi avvalso, di fatto, della facoltà contemplata dal comma 5 dell’art. 39 del D.L. n. 112/2008, non avrà assolto agli obblighi previsti dalla L. n. 4/1953 ed andrà conseguentemente incontro alla sanzione contenuta nel nuovo art. 5 della medesima Legge.

Assegni familiari

Infine, viene riformulato il comma 2 dell'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797 (omessa corresponsione degli assegni familiari), prevedendo la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 5.000. La sanzione viene aumentata in ragione del numero dei lavoratori coinvolti e del periodo interessato nei seguenti termini:

- da euro 1.500 ad euro 9.000 se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero ad un periodo superiore a 6 mesi;

- da 3.000 ad euro 15.000 se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero ad un periodo superiore a 12 mesi.

Tutte le disposizioni sanzionatone, così come novellate, si applicano esclusivamente agli illeciti commessi successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo.

[...]

Fonte: MLPS

Collegati
[box-note]D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro[/box-note]

Nota INL n. 151 del 2 febbraio 2022

Nota INL n  151 del 2 febbraio 2022

Nota INL n. 151 del 2 febbraio 2022

ID 15643 | 03.02.2022 / In allegato Nota

Oggetto: richiesta parere su condizioni di revoca del provvedimento di sospensione ex art. 14 D.Lgs. n. 81/2008.

È pervenuta alla scrivente Direzione la richiesta di parere in oggetto, concernente i presupposti necessari per la revoca del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008.

In particolare, il quesito concerne le condizioni necessarie ai fini della revoca del provvedimento, laddove lo stesso sia stato adottato per l’irregolare occupazione di lavoratori impiegati nel settore agricolo e nei settori produttivi caratterizzati dalla stagionalità o dalla natura avventizia delle prestazioni di lavoro.

Si chiede se sia possibile, in tali casi, ritenere condizione sufficiente, ai fini della revoca, la regolarizzazione del rapporto di lavoro attraverso la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato di durata inferiore a 90 giorni, atteso che - come chiarito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali - in fase di revoca non risulta necessario il requisito del mantenimento del rapporto di lavoro per almeno 3 mesi previsto per legge.

Inoltre, con specifico riferimento all’ipotesi di impiego irregolare di lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno da parte di aziende agricole, si chiede se il solo pagamento della somma aggiuntiva prevista dal citato art. 14 possa consentire la revoca del provvedimento di sospensione.

Al riguardo, acquisito il preventivo parere dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 847 del 31 gennaio 2022, si rappresenta quanto segue.

Le condizioni di legge necessarie per la revoca del provvedimento di sospensione sono, oltre al pagamento della somma aggiuntiva, la regolarizzazione dei lavoratori “in nero” “di norma” - come testualmente chiarito dalla circ. n. 26/2015 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - “mediante le tipologie contrattuali indicate dalla disciplina in materia di maxisanzione”.

Va da sé che, nel caso in questione, resti quindi possibile la regolarizzazione del personale interessato con soluzioni contrattuali diverse, pur sempre compatibili con la prestazione di lavoro subordinato già resa. Resta inteso che eventuali soluzioni di regolarizzazione diverse da quelle indicate dal legislatore, così come il mantenimento in servizio per un periodo di tempo inferiore ai 3 mesi, non consentirà l’ammissione al pagamento della diffida, comunque impartita, ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004.

Con riferimento alla regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari privi del permesso di soggiorno, pur nella impossibilità di una piena regolarizzazione e tenuto conto delle differenti modalità di pagamento dei contributi previdenziali per il settore agricolo, in linea con quanto già chiarito con ML circ. n. 26/2015, il datore di lavoro dovrà fornire prova del pagamento della somma aggiuntiva ai fini della revoca e provvedere al versamento dei contributi di legge laddove i termini siano già scaduti, ovvero fornire prova della avvenuta denuncia contributiva secondo le modalità previste dall’INPS.

[...]

Fonte: INL

Collegati
[box-note]D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
Sospensione attività per gravi e reiterate violazioni: Norme e Note
Circolare MLPS 12 ottobre 2015 n. 26 [/box-note]

Lettera circolare INL dell'11 agosto 2020 prot. 1753

Lettera circolare INL 11 agosto 2020 prot  1753

Lettera circolare INL dell'11 agosto 2020 prot. 1753 

Chiarimenti in merito alla fornitura e posa in opera di calcestruzzo preconfezionato

...

Pervengono a questa Direzione segnalazioni per le quali si rende necessario un chiarimento in ordine alla corretta interpretazione ed applicazione della normativa (artt. 26, comma 3 bis, e 96, comma 1 bis, TU 81/2008) su cui è intervenuta la lettera circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 10 febbraio 2011, recante “la procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere”, e la nota prot. n. 2597 del 10/02/2016 emanata dall’allora DG per l’Attività Ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

In particolare, si segnala che, diversamente dalle indicazioni fornite nelle note sopra citate, in alcuni casi si richiede il POS alle aziende fornitrici di calcestruzzo ritenendo che le stesse, anziché limitarsi alla mera fornitura, partecipino anche alla posa in opera dello stesso, in particolare quando l’operatore addetto al pompaggio del calcestruzzo della ditta fornitrice manovri a distanza il braccio della pompa mediante l’apposito radio-comando, seguendo le indicazioni dell’impresa esecutrice.

Tale interpretazione non è in linea con le indicazioni fornite nei documenti sopra richiamati, in base ai quali si ravvisa la posa in opera in capo alla impresa fornitrice solo qualora l’operatore addetto alla fornitura del calcestruzzo manovri il terminale in gomma della pompa, e non solo il relativo braccio, essendo quest’ultima un’operazione di competenza degli operatori pompisti dell’impresa fornitrice prevista anche dall’accordo Stato-Regioni del 2012, allegato X, sulla formazione obbligatoria di tali lavoratori.

A tale riguardo, ai fini della corretta applicazione delle indicazioni già fornite con le note sopra citate, sentito l’Ufficio Legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si ritiene opportuno chiarire di seguito gli elementi che distinguono la mera fornitura di calcestruzzo dalla fornitura e posa in opera dello stesso.

Mera fornitura del calcestruzzo

In tale fattispecie, i lavoratori della ditta fornitrice non partecipano alle operazioni di getto del conglomerato, e non manovrano il terminale in gomma della pompa o la benna o il secchione nel caso di scarico dalla betoniera. Essi si limitano a posizionare l’autobetoniera e la canaletta di distribuzione, o a direzionare - a distanza o da cabina - il braccio (ma non il terminale in gomma) della pompa per calcestruzzo o dell’autobetonpompa, ecc., a seconda della modalità di consegna.

I lavoratori della ditta esecutrice, invece, provvedono alla posa in opera dirigendo materialmente il getto del calcestruzzo, manovrando e posizionando la benna, il secchione o il terminale in gomma della pompa, in modo da garantire l’omogenea distribuzione del conglomerato durante la lavorazione, nel rispetto della regola dell’arte.

Pertanto, le materiali attività dei lavoratori della ditta esecutrice che eseguono i getti (conducendo, ad esempio, il terminale in gomma della pompa), si distinguono da quelle degli addetti alla conduzione di pompe per calcestruzzo, generalmente dipendenti della ditta fornitrice, che consistono nella manovra del braccio della pompa per calcestruzzo, o dell’autobetonpompa, per effettuare la consegna (scarico) del materiale.

Al fine di favorire lo svolgimento in sicurezza delle operazioni sopra descritte, la Procedura approvata dalla Commissione Consultiva Permanente nel 2011 fornisce indicazioni in merito alle “informazioni da scambiarsi in materia di sicurezza dei lavoratori coinvolti nelle diverse fasi in cui si articola il rapporto fra il fornitore di calcestruzzo preconfezionato e l’impresa cliente” e “all’indirizzo che definisca le procedure finalizzate alla sicurezza dei lavoratori coinvolti, a partire dal momento in cui vi sia la richiesta di fornitura di calcestruzzo da parte dell’impresa edile, fino alla consegna del prodotto nel cantiere di destinazione”.

L’Appendice 8, in particolare, contiene due schede informative che devono essere compilate dalla ditta fornitrice per facilitare lo scambio di informazioni tra questa e l’impresa esecutrice (Informazioni fornite dall’impresa fornitrice di calcestruzzo preconfezionato e Informazioni richieste all’impresa esecutrice).

Fornitura e posa in opera del calcestruzzo

Nel caso in cui i lavoratori della stessa azienda provvedono sia alla fornitura (consegna/scarico) del conglomerato sia alla sua posa in opera (esecuzione dei getti) effettuando entrambe le operazioni con le modalità sopra descritte, l’impresa si configura contemporaneamente come fornitrice ed esecutrice.

Chiarito quanto sopra, il personale ispettivo dovrà distinguere con particolare attenzione, nel corso dell’accesso
 ispettivo, la fase di fornitura (consegna, scarico) del conglomerato da quella di posa in opera (esecuzione dei getti) e verificare se, con riguardo alle attività svolte da parte dei lavoratori presenti nel cantiere, le relative lavorazioni siano messe in atto da imprese diverse (distinguendo tra la mera fornitura e l’esecuzione dei getti) ovvero dalla stessa impresa (che effettua fornitura e posa in opera).

Nel primo caso, dovrà accertarsi che la ditta che effettua la mera fornitura (impresa fornitrice) segua la Procedura approvata dalla Commissione Consultiva Permanente nel 2011, e che la ditta che esegue materialmente i getti (impresa esecutrice) abbia redatto il POS di cui all’articolo 89, comma 1, lett. h) del d.lgs. n. 81/2008.

Nel secondo caso, l’ispettore dovrà verificare che l’unica impresa che effettua sia la fornitura che la posa in opera abbia redatto il POS relativo alle lavorazioni della fase della posa in opera.

...

Fonte: INL

Collegati
[box-note]TUSSL / Link
Testo Unico Sicurezza D.Lgs. 81/2008 - 01.2022
D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
Fornitura di calcestruzzo: chiarimenti su obbligo POS o DUVRI[/box-note]

Circolare Ministero della Salute n. 005875 del 22 Dicembre 2021

Circolare Ministero della Salute n  005875 del 22 Dicembre 2021

Circolare Ministero della Salute n. 005875 del 22 Dicembre 2021

Formazione personale navigante marittimo: Proroga termini per il conseguimento della certificazione dei corsi di primo e secondo livello First Aid e Medical Care per il personale navigante

[...]

Estratto

[panel]... lo scrivente dicastero, al fine di agevolare quella quota residua di personale navigante non ancora in regola con i certificati di formazione e addestramento di cui al Capo VI, Regola VI/4, First Aid e Medical Care, ritiene, in via del tutto eccezionale, di:

1) poter estendere le disposizioni contenute nella Circolare n° 0037560 del 18/08/2021 a tutta la durata del suddetto stato di emergenza sanitaria nazionale, al fine di consentire l’iscrizione ai soli corsi di aggiornamento / refresh First aid e Medical care anche a quei marittimi imbarcati i cui certificati scadano in corso di navigazione ovvero durante il periodo di malattia o infortunio consecutivo allo sbarco, successivamente alla data del 31/12/2021 e comunque entro il termine dichiarato dello stato di emergenza a livello nazionale;
2) considerare validi tutti i certificati di formazione / addestramento ottenuti dai naviganti in possesso di certificazione scaduta entro il 31/12/2021 che abbiano effettuato parte della formazione on line entro il 31/12/2021 e la restante formazione pratica e prova finale nell’anno 2022, comunque entro il termine dichiarato dello stato di emergenza;
3) aumentare ulteriormente, ad integrazione della circolare n° 0011565 del 23/03/2021, almeno fino alla fine dello stato di emergenza, il numero massimo di allievi iscrivibili ai corsi di aggiornamento portandolo a 35 per il refresh First Aid e 30 per il refresh Medical Care sempre che vi sia il rispetto delle normative e delle misure anti covid 19 vigenti; inoltre, i limiti di cui sopra potranno essere superati, in deroga e previa autorizzazione da parte del Ministero della Salute, da tutti gli enti accreditati che abbiano adottato e/o già implementato modalità di formazione on line come descritto nelle precedenti circolari sul tema.

Resta inteso che i marittimi con certificato scaduto e che frequentano i corsi di aggiornamento (refresh) non potranno prendere imbarco fino alla data di rilascio della nuova certificazione di addestramento/formazione.[/panel]

Fonte: Ministero della Salute

Collegati
[box-note]Sicurezza lavoratori marittimi: quadro normativo
Convenzione SOLAS
Convenzione STCW[/box-note]

Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 30 Novembre 2021

Scheda nazionale   I dati sulle denunce da Covid 19  monitoraggio al 30 novembre 2021

Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 30 Novembre 2021

Contagi sul lavoro da Covid-19, nel 2021 tra gennaio e novembre in calo denunce (-69,5%) e casi mortali (-50,7%)

Le infezioni di origine professionale denunciate all’Inail dall’inizio della pandemia sono 185.633 con 797 decessi, di cui sette su 10 sono avvenuti l’anno scorso. Rispetto al monitoraggio di fine ottobre, l’incremento registrato dal nuovo report mensile della Consulenza statistico attuariale, pubblicato oggi insieme alle schede regionali aggiornate, è di 2.486 casi (+1,4%).

[panel]Dati nazionali - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Abruzzo - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Basilicata - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Calabria - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Campania - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Emilia Romagna - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Friuli Venezia Giulia - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Lazio - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Liguria - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Lombardia - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Marche - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Molise - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Piemonte - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Provincia Autonoma Bolzano - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Provincia Autonoma Trento - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Puglia - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Sardegna - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Sicilia - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Toscana - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Umbria - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Valle d'Aosta - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021
Veneto - Scheda regionale covid 30 Novembre 2021[/panel]

ROMA - Dall’inizio della pandemia alla data dello scorso 30 novembre i contagi sul lavoro da Covid-19 segnalati all’Inail sono 185.633, pari a oltre un sesto del totale delle denunce di infortunio pervenute da gennaio 2020 e al 3,7% del complesso dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data. A rilevarlo è il 22esimo report nazionale sulle infezioni di origine professionale da nuovo Coronavirus elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail, da cui emerge anche che rispetto alle 183.147 denunce registrate dal monitoraggio mensile precedente i casi in più sono 2.486 (+1,4%), di cui 1.525 riferiti a novembre, 425 a ottobre, 62 a settembre e 67 ad agosto scorsi, mentre gli altri 407 casi sono riferiti per il 57,0% agli altri mesi del 2021 e il restante 43,0% al 2020. Il consolidamento dei dati permette, infatti, di acquisire informazioni non disponibili nelle rilevazioni precedenti.

Il 79,9% delle segnalazioni all’Istituto concentrato nel 2020. Rispetto ai primi 11 mesi del 2020, le infezioni di origine professionale denunciate da gennaio a novembre di quest’anno, benché non consolidate, sono in calo del 69,5%. Il 2020, con 148.391 contagi sul lavoro, raccoglie il 79,9% di tutti i casi segnalati all’Istituto dall’inizio della pandemia, con i mesi di novembre (40.621 denunce) e marzo (28.684) ai primi due posti. Il 2021, con 37.242 denunce in 11 mesi, al momento pesa invece per il restante 20,1%. Da febbraio di quest’anno il fenomeno è in significativa discesa e i 240 casi di giugno, sebbene ancora provvisori, continuano a rappresentare il minor numero di contagi mensili registrati dall’anno scorso, sensibilmente inferiore anche al minimo precedente osservato a luglio del 2020 (con poco più di 500 casi). In generale, se nel 2020 l’incidenza media delle denunce da Covid-19 sul totale di tutti gli infortuni denunciati all’Inail è stata di una denuncia ogni quattro, nei primi 11 mesi del 2021 si è scesi a una su 14.

Nei primi 11 mesi di quest’anno dimezzata l’incidenza del virus sul totale delle morti. I decessi sul lavoro da nuovo Coronavirus segnalati all’Istituto dall’inizio della pandemia sono 797, oltre un quarto degli infortuni sul lavoro con esito mortale denunciati da gennaio 2020, con un’incidenza dello 0,6% rispetto al complesso dei deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall’Iss alla stessa data. Rispetto ai 782 rilevati dal monitoraggio dello scorso 31 ottobre, i casi mortali sono 15 in più, di cui due avvenuti a novembre e 13 nei mesi precedenti (nove nel 2021 e quattro nel 2020). Rispetto ai primi 11 mesi del 2020, i decessi tra gennaio e novembre di quest’anno, benché non consolidati, sono in calo del 50,7%.  Il 2020, con 563 decessi, raccoglie il 70,6% di tutti i casi mortali da contagio pervenuti fino al 30 novembre di quest’anno, con i mesi di aprile (196 casi) e marzo (141) ai primi due posti. Il 2021, con 234 decessi da Covid-19 nei primi 11 mesi, per ora pesa invece per il restante 29,4% sul totale dei contagi con esito mortale denunciati da inizio pandemia, con marzo e aprile al primo posto per numero di casi (51 per entrambi). Se l’anno scorso l’incidenza media dei decessi da nuovo Coronavirus sul totale dei casi mortali segnalati all’Inail è stata di circa una denuncia ogni tre, tra gennaio e novembre di quest’anno è scesa a una su sei.

L’identikit dei lavoratori contagiati. La maggioranza dei casi mortali riguarda gli uomini (82,7%) e i lavoratori nelle fasce di età 50-64 anni (71,4%), over 64 anni (18,6%) e 35-49 anni (9,4%), mentre tra gli under 35 si registra solo lo 0,6% dei morti. Allargando l’analisi a tutti i contagi sul lavoro, il rapporto tra i generi si inverte. La quota delle lavoratrici contagiate sul totale dei casi denunciati, infatti, è pari al 68,3%. La componente femminile, in particolare, supera quella maschile in tutte le regioni, a eccezione della Calabria, della Sicilia e della Campania, dove l’incidenza delle donne sul complesso delle infezioni di origine professionale è, rispettivamente, del 48,7%, del 46,0% e del 44,3%. L’età media dei contagiati dall’inizio della pandemia è di 46 anni per entrambi i sessi e 59 per i deceduti (57 per le donne, 59 per gli uomini). Il 42,4% del totale delle denunce riguarda la classe 50-64 anni. Seguono le fasce 35-49 anni (36,6%), under 35 anni (19,0%) e over 64 anni (2,0%). Gli italiani sono l’86,5%, mentre il restante 13,5% delle denunce riguarda lavoratori stranieri, concentrati soprattutto tra rumeni (21,0% dei contagiati stranieri), peruviani (12,5%), albanesi (8,1%), moldavi (4,6%), ecuadoriani (4,1%) e svizzeri (4,0%). Più di nove morti su 10 sono italiani (90,2%), mentre la comunità straniera con più decessi denunciati è quella peruviana, con il 15,4% dei casi mortali dei lavoratori stranieri, seguita da quelle albanese (11,5%) e rumena (7,7%).

L’Industria e servizi al primo posto tra le gestioni assicurative. Quasi tutti i contagi sul lavoro (96,9%) e i casi mortali (88,0%) denunciati riguardano la gestione assicurativa dell’Industria e servizi, mentre le infezioni di origine professionale registrate nelle restanti gestioni per Conto dello Stato (amministrazioni centrali dello Stato, scuole e università statali), Agricoltura e Navigazione sono 5.883, con 95 decessi. Sono circa 3.200, in particolare, i contagi di insegnanti, professori e ricercatori di scuole di ogni ordine e grado e di università statali e private, riconducibili sia alla gestione dei dipendenti del Conto dello Stato sia al settore Istruzione della gestione Industria e servizi.

I settori di attività più colpiti. Rispetto alle attività produttive coinvolte dalla pandemia, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – si conferma al primo posto con il 64,8% delle denunce e il 22,4% dei casi mortali codificati, seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), con il 9,2% dei contagi e il 10,4% dei casi mortali. Gli altri settori più colpiti sono il noleggio e servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il trasporto e magazzinaggio, secondo per numero di decessi con il 12,9% del totale, il manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), al terzo posto per casi mortali denunciati con l’11,8%, le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…), e le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale).

L’andamento del fenomeno per comparto produttivo. Nei primi 11 mesi di quest’anno in vari settori produttivi si riscontrano, però, alcune differenze nell’evoluzione dei contagi rispetto al 2020. In termini assoluti la sanità e assistenza sociale ha mostrato un numero di infortuni da Covid-19 in costante discesa, registrando nel mese di giugno il suo livello più basso, con una sessantina di casi (erano più di 400 a giugno 2020), per proseguire nella seconda parte dell’anno con un andamento altalenante e due lievi risalite in corrispondenza di agosto e novembre, mesi in cui si superano i 470 contagi. In termini di incidenza, a partire dallo scorso febbraio il settore ha avuto riduzioni che, tuttavia, negli ultimi cinque mesi mostrano segnali di ripresa. Altri comparti produttivi, come il trasporto e magazzinaggio e il commercio, nel corso del 2021 hanno invece fatto registrare incidenze di contagi professionali maggiori rispetto allo scorso anno.

Un decesso su quattro tra il personale sanitario e socio-assistenziale. Dall’analisi per professione dell’infortunato emerge che più di un quarto dei decessi (26,0%) riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale, con la categoria dei tecnici della salute al primo posto con il 37,3% delle denunce complessive, l’82,6% delle quali relative a infermieri, e il 9,7% dei casi mortali codificati (il 65,8% infermieri). Seguono gli operatori socio-sanitari con il 18,1% delle denunce (e il 3,8% dei decessi), i medici con l’8,5% (e il 5,1% dei decessi), gli operatori socio-assistenziali con il 6,8% (e il 2,6% dei decessi) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,7% (e il 3,3% dei decessi). Il restante personale coinvolto riguarda, tra le prime categorie professionali, gli impiegati amministrativi, con il 4,7% delle denunce e il 10,0% dei casi mortali, gli addetti ai servizi di pulizia, con il 2,3% dei contagiati e il 2,4% dei deceduti, i conduttori di veicoli, con solo l’1,3% dei contagi ma ben il 7,8% dei decessi, gli impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta (1,0%), gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia, e i professori di scuola primaria, pre-primaria e professioni assimilate (entrambi con lo 0,9%).

Dallo scorso febbraio incidenze in calo per le professioni sanitarie. A partire dallo scorso febbraio, si osserva in generale un calo significativo delle denunce anche rispetto alla professione dell’infortunato, con incidenze in riduzione per alcune categorie, tra le quali le professioni sanitarie, che negli ultimi cinque mesi mostrano, però, segnali di ripresa dei contagi. Altre professioni, con il ritorno alle attività, hanno visto aumentare l’incidenza delle infezioni di origine professionale rispetto al 2020. È il caso, per esempio, degli impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali, degli impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta, degli insegnanti di scuola primaria e degli impiegati addetti agli sportelli e ai movimenti di denaro.

I maggiori incrementi percentuali su base mensile nelle province di Messina, Trieste e Ascoli Piceno. L’analisi territoriale, che è possibile approfondire anche attraverso le nuove schede regionali, evidenzia una distribuzione delle denunce del 42,2% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 25,0%), del 24,6% nel Nord-Est (Veneto 10,5%), del 15,3% al Centro (Lazio 6,7%), del 12,9% al Sud (Campania 5,9%) e del 5,0% nelle Isole (Sicilia 3,4%). Le province con il maggior numero di contagi da inizio pandemia sono quelle di Milano (9,6%), Torino (6,9%), Roma (5,4%), Napoli (4,0%), Brescia e Varese (2,5% ciascuna), Verona e Genova (2,4% ciascuna), Bologna (2,3%) e Firenze (2,0%). Milano è la provincia che registra il maggior numero di contagi professionali accaduti nel solo mese di novembre, seguita da Roma, Torino, Trieste, Napoli, Brescia, Venezia, Messina, Genova, Bologna, Imperia, Como, Cremona e Verona. Le province che registrano i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione di ottobre – non per contagi avvenuti in novembre ma per il consolidamento dei dati in mesi precedenti – sono però quelle di Messina (+7,1%), Trieste e Ascoli Piceno (+6,9% per entrambe), Crotone (+6,0%), Pistoia (+5,9%), Gorizia (+4,5%), Siracusa (+4,4%), Cosenza e Catania (+4,2% per entrambe).

A Napoli la maglia nera dei casi mortali. Prendendo in considerazione solo i decessi, la quota del Nord-Ovest sul totale scende al 36,3% (prima la Lombardia con il 24,7%), mentre il Sud, con il 26,0% dei casi mortali denunciati, contro il 12,9% riscontrato sul complesso delle denunce, precede il Centro (18,3%), il Nord-Est (12,8% rispetto al 24,6% delle denunce totali) e le Isole (6,6%). Le province con più decessi da inizio pandemia sono Napoli (7,9%), Roma (7,8%), Milano (6,5%), Bergamo (6,4%), Brescia e Torino (4,0% ciascuna), Cremona e Genova (2,4% ciascuna), Bari, Caserta e Palermo (2,1% ciascuna), Parma e Salerno (2,0% ciascuna).
 
 

Circolare INL n. 4 del 9 dicembre 2021

Circolare n  4 del 9 dicembre 2021

Circolare n. 4 del 9 dicembre 2021 / DL 146/2021 - Allegato I del D.lgs. n. 81/2008

ID 15134 | 10.12.2021 / In allegato Testo Circolare

OGGETTO: Circolare n. 4 del 9 dicembre 2021 - decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 - “Disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro” - Allegato I del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (TUSL).

La circolare n. 3 del 9 novembre u.s. ha fornito prime indicazioni in merito alle modifiche apportate dal d.l. 146/2021 con specifico riguardo all’articolo 14 del TUSL rinviando a successiva nota le istruzioni inerenti alle violazioni in materia di salute e sicurezza di cui all’Allegato I del d.lgs. 81/2008, come modificato dal decreto-legge in oggetto.

Acquisito il parere dell’Ufficio legislativo del MLPS (prot. n. 11057 del 6/12/2021 e prot. n. 11130 del 7/12/2021) e tenuto conto che il provvedimento normativo è attualmente in fase di conversione, appare opportuno, al fine di uniformare i comportamenti ispettivi, anticipare le questioni di maggiore rilevanza relative alle fattispecie di violazione ai fini dell'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 14, co. 1, del TUSL, con riserva di rivalutarle alla luce delle eventuali modifiche apportate in sede di conversione.

In ragione dell’estensione delle competenze di cui al novellato articolo 13 del d.lgs. n. 81/2008 e nel richiamare le indicazioni fornite con nota DC Tutela prot. n. 4329 del 23 giugno 2021 in materia di potenziamento delle sinergie operative nell’ambito della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, si ribadisce la necessità di intensificare a livello locale ogni utile raccordo con i servizi di prevenzione delle ASL anche al fine di sviluppare modelli operativi condivisi da attuare in attività di vigilanza coordinate e congiunte.

Tali attività congiunte, che potranno svilupparsi con la partecipazione del solo personale ispettivo ordinario, dovranno tener conto della opportunità di procedere, laddove ricorrano sia violazioni di cui all’Allegato I sia fattispecie di lavoro “nero”, all’adozione di un unico provvedimento di sospensione e di un unico provvedimento di revoca, una volta verificate tutte le condizioni abilitanti, tenuto conto della competenza esclusiva dell’INL in materia di lavoro irregolare.

Al fine di promuovere comunque un approccio uniforme e completo alle verifiche ispettive, gli Uffici dovranno favorire la costituzione di gruppi di intervento ispettivo integrati anche con la partecipazione di personale, civile e/o militare, con specializzazione tecnica, ferma restando l’opportuna programmazione congiunta con le ASL da condividere negli organismi locali.

Per le violazioni di cui all’Allegato I si ritiene che la sospensione possa essere adottata in presenza delle condizioni riportate di seguito in relazione a ciascuna fattispecie, da vagliare nei limiti del sindacato cautelare esperibile all’atto dell’accesso ispettivo.

Vedi: Tavola di concordanza TUS - Modifiche DL 146/2021

[box-download]In calce all'articolo testo della Circolare INL n. 4 del 9 dicembre 2021[/box-download]

[panel]Estratto

1. Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi

In considerazione del tenore letterale della previsione, si ritiene che il provvedimento di sospensione possa essere adottato solo laddove sia constatata la mancata redazione del DVR di cui all’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008.

Nelle ipotesi in cui, in sede di accesso, venga dichiarato che il DVR è custodito in luogo diverso, ferma restando la contestazione dell’illecito di cui all’articolo 29, comma 4, TUSL sarà opportuno adottare il provvedimento di sospensione con decorrenza differita alle ore 12:00 del giorno lavorativo successivo, termine entro il quale il datore di lavoro potrà provvedere all’eventuale esibizione. Solo nel caso in cui il DVR rechi data certa antecedente all’emissione del provvedimento di sospensione, sarà possibile procedere all’annullamento dello stesso limitatamente alla causale afferente alla mancanza del DVR.

Si rammenta, infatti, che la previsione dell’articolo 28, comma 2, del d.lgs. 81/2008 contempla “la data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo da parte del datore di lavoro, nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e del medico competente, ove nominato”.

La mancata elaborazione del DVR sarà, altresì, oggetto di prescrizione da adottare in sede di accesso ispettivo (Art. 29, comma 1 (eccetto aziende per le quali è previsto il solo arresto).

Ai fini della revoca del provvedimento di sospensione si dovrà esibire il DVR.

Va tuttavia considerato che per talune fattispecie l’assenza del DVR non è oggetto di prescrizione. Si tratta delle seguenti ipotesi, di cui al TUSL, in cui l’illecito è punito solo con l’arresto:

- aziende di cui all’articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g);
- aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici di cui all’articolo 268, comma 1, lettere c) e d), da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, e da attività di manutenzione, rimozione, smaltimento e bonifica di amianto;
- attività disciplinate dal Titolo IV caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini/giorno.

In tali casi, il personale ispettivo, oltre a comunicare ai sensi dell’art. 347 del c.p.p. la notizia di reato all’Autorità Giudiziaria, avrà cura di indicare, nel provvedimento di sospensione, la necessaria elaborazione del DVR quale condizione della revoca.

2. Mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione

Anche in tal caso il dato letterale della norma fa ritenere che il provvedimento di sospensione trovi applicazione nei soli casi in cui sia constatata l’omessa redazione del Piano, in violazione di quanto previsto dall’art. art. 46, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008.

La mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione sarà, altresì, oggetto di prescrizione da adottare in sede di accesso ispettivo.

Ai fini della revoca del provvedimento di sospensione si dovrà esibire il Piano in questione.

3. Mancata formazione ed addestramento

Il provvedimento di sospensione va adottato solo quando è prevista la partecipazione del lavoratore sia ai corsi di formazione sia all’addestramento.

Tali circostanze sono rinvenibili in riferimento alle seguenti fattispecie del TUSL:

Articolo 73, in combinato disposto con art. 37, nei casi disciplinati dall'accordo Stato Regioni del 22/02/2012 (utilizzo di attrezzatura da lavoro);
- Articolo 77, comma 5 (utilizzo di DPI appartenenti alla III categoria e dispositivi di protezione dell’udito);
- Articolo 116, comma 4 (sistemi di accesso e posizionamento mediante funi);
- Articolo 136, comma 6 (lavoratori e preposti addetti al montaggio, smontaggio, trasformazione di ponteggi);
Articolo 169 (formazione e addestramento sulla movimentazione manuale dei carichi).

Ai fini di quanto previsto da quest’ultimo articolo, considerato l’accordo Stato Regioni del 2011 (formazione lavoratori), il personale ispettivo verificherà, in rapporto alla mansione effettivamente svolta dal lavoratore, che la formazione specifica sia stata effettuata anche in riferimento alla movimentazione manuale dei carichi solo ove, dalle circostanze accertate in corso di accesso, sia emerso che lo stesso sia adibito a tale attività. Qualora non sia esibita la documentazione inerente alla formazione obbligatoria effettuata, si procederà con l’adozione del provvedimento di sospensione.

In relazione al provvedimento di sospensione dell’attività di impresa o dell’attività lavorativa, qualora sia stata riscontrata la violazione di cui al punto 3, la revoca del medesimo provvedimento potrà conseguire alla dimostrazione della prenotazione della formazione - fermi la regolarizzazione di altre violazioni concomitanti di cui all’Allegato I e il pagamento di tutte le somme aggiuntive dovute - atteso che, per effetto del provvedimento di prescrizione, il lavoratore non potrà essere adibito alla specifica attività per cui, ai fini della sospensione, è stata riscontrata la carenza formativa, fino a quando non sia attestato il completamento della formazione e addestramento.

Ai fini della definizione del procedimento di prescrizione in questione, che potrà aver luogo successivamente alla revoca del provvedimento di sospensione, il trasgressore dovrà produrre documentazione attestante il completamento della formazione ed addestramento.

Nei confronti dei lavoratori irregolarmente occupati nella misura di almeno il 10%, quindi, l’ulteriore causa di sospensione di cui al punto 3 in commento potrà essere contestata solo se gli stessi risultino adibiti ad attività per le quali siano congiuntamente previsti l’obbligo di formazione e quello di addestramento. In caso contrario, la revoca del provvedimento di sospensione per occupazione di lavoratori “in nero” conseguirà alla verifica della prenotazione del corso di formazione di cui all’art. 37 TULS e della visita medica, ove obbligatoria.

A tale ultimo proposito, la circolare n. 3/2021 ha richiamato precedenti indicazioni di prassi, riferite al settore edile, che andranno osservate in tutti gli altri settori ove l’accertamento preveda come oggetto principale il rispetto della disciplina prevenzionistica o comunque contempli la partecipazione di personale ispettivo appartenente al profilo tecnico.

Con riferimento alla prima fase applicativa della nuova disciplina, in caso di vigilanza esclusivamente ordinaria e nei casi in cui l’obbligatorietà o meno della sorveglianza sanitaria non sia agevolmente definibile in sede di accesso, ai fini della regolarizzazione del lavoro “nero” sarà sufficiente la verifica degli obblighi inerenti la formazione di cui all’art. 37 TULS.

Ciò non toglie la possibilità, successivamente alla revoca del provvedimento di sospensione, di estendere l’accertamento ai profili di sicurezza o di ricondurre le relative valutazioni alla fase successiva all’accesso.

4. Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile

Il provvedimento di sospensione va adottato nei soli casi in cui il datore di lavoro non abbia costituito il servizio di prevenzione e protezione e non abbia altresì nominato il RSPP, ai sensi dell’art. 17, comma 1 lett. b, del d.lgs. n. 81/2008, o assunto lo svolgimento diretto dei relativi compiti dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

La mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile sarà, altresì, oggetto di prescrizione da adottare in sede di accesso ispettivo.

Ai fini della revoca del provvedimento di sospensione si dovrà esibire la documentazione, risultata carente in sede di accesso, inerente alla costituzione del suddetto servizio ed alla nomina del RSPP, ovvero alla preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza circa l’assunzione diretta, da parte del datore di lavoro, dello svolgimento diretto dei compiti del RSPP.

5. Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza (POS)

In base al tenore letterale della disposizione, la sospensione trova applicazione solo nel caso in cui non sia stato elaborato, ai sensi dell’art. 96 c. 1 lett. g del d.lgs. n. 81/2008, il POS di cui all’articolo 89, comma 1 lett. h) TUSL.

L’elaborazione del POS può desumersi anche dal relativo invio al coordinatore o all’impresa affidataria.

In proposito va ricordato che l’art. 96, comma 1-bis, del citato Testo Unico esclude l’obbligo di redazione del POS relativamente “alle mere forniture di materiali o attrezzature”. Si fa rinvio, al riguardo, alle indicazioni nel tempo fornite dal MLPS “in ordine alla approvazione della Procedura per la fornitura di calcestruzzo in cantiere” (prot. 15/SEGR/003328 del 10/02/2011) e alle note del MLPS e INL (rispettivamente prot. n. 2597 del 10/02/2016 e prot. n. 1753 del 11/08/2020) sulla redazione del POS per la mera fornitura di calcestruzzo.

La mancata elaborazione del POS sarà, altresì, oggetto di prescrizione da adottare in sede di accesso ispettivo.

Ai fini della revoca del provvedimento di sospensione si dovrà esibire il POS.

6. Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall'alto

La sospensione trova applicazione esclusivamente quando risulti accertato (anche con l’acquisizione di dichiarazioni incrociate oltre che di documentazione) che non sono stati forniti al lavoratore i DPI contro le cadute dall’alto, fattispecie diversa dalle ipotesi in cui i lavoratori non li abbiano utilizzati.

7. Mancanza di protezioni verso il vuoto

La sospensione trova applicazione nelle ipotesi in cui le protezioni verso il vuoto risultino del tutto mancanti o talmente insufficienti da essere considerate sostanzialmente assenti.

8. Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno

La sospensione va adottata quando le armature di sostegno siano del tutto mancanti o siano talmente insufficienti da essere considerate sostanzialmente assenti. Resta salvo il contenuto delle prescrizioni disposte nella relazione tecnica di consistenza del terreno.

9. Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi

Si adotta la sospensione in presenza di lavori non elettrici effettuati in vicinanza di linee elettriche durante i quali i lavoratori operino a distanze inferiori ai limiti previsti dalla Tab. 1 dell’Allegato IX, in assenza di disposizioni organizzative e procedurali conformi alle specifiche norme tecniche CEI idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi.

10. Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi

Si adotta la sospensione in presenza di lavori non elettrici effettuati in vicinanza di impianti elettrici con parti attive non protette, durante i quali i lavoratori operino a distanze inferiori ai limiti previsti dalla Tab. 1 dell’Allegato IX, in assenza di disposizioni organizzative e procedurali conformi alle specifiche norme tecniche CEI idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi.

11. Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale)

Ai fini dell’adozione del provvedimento, rileva l’assenza degli elementi indicati (impianto di terra, magnetotermico, differenziale), ovvero il loro mancato funzionamento.

12. Omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo

Si adotta il provvedimento di sospensione allorquando si accerta la rimozione o la modifica dei dispositivi. La disposizione, in altri termini, consente di adottare il provvedimento di sospensione in base alla sola circostanza che sia stato rimosso o modificato il dispositivo di sicurezza, senza che sia necessario accertare anche a quale soggetto sia addebitabile la rimozione o la modifica.

*****
Si ribadisce che per tutte le ipotesi di sospensione sopra elencate, il personale ispettivo provvederà altresì ad adottare i provvedimenti di prescrizione obbligatoria ai sensi degli articoli 20 e ss. del d.lgs. 758/1994, salvo nei casi in cui gli illeciti non siano, in ragione della pena prevista, assoggettabili alla predetta procedura.

La revoca del provvedimento di sospensione sarà soggetta, salvo quanto previsto al punto 3, alla ottemperanza di tutte le prescrizioni impartite in riferimento all'allegato I, alla cui verifica dovrà procedersi con la massima tempestività.

In riferimento a quest’ultima esigenza, i Dirigenti e i responsabili delle articolazioni organizzative preordinate alla vigilanza dovranno tener conto di adeguate misure di flessibilità della programmazione e relativa attuazione degli accertamenti disposti.

In fase di prima applicazione, nelle more dell'evoluzione normativa e delle modalità operative della vigilanza, l’adozione del provvedimento di sospensione di cui alle ipotesi riportate nei punti 3 e dal 6 al 12 è da ricondurre esclusivamente al personale con specializzazione tecnica in base al profilo professionale di inquadramento.

Negli altri casi (punti 1, 2, 4 e 5), previo svolgimento di dedicati percorsi di aggiornamento professionale, l’adozione del provvedimento è rimessa anche agli ispettori del lavoro non appartenenti ai profili tecnici, ivi compreso il personale ispettivo INPS e INAIL.

Restano ferme le competenze alla adozione del provvedimento in caso di utilizzazione di personale “in nero” da parte del personale ispettivo “ordinario” e appartenente ai ruoli INPS e INAIL, così come del resto avveniva sulla base della nota prot. 5546 del 20 giugno 2017.

Nei casi di provvedimenti adottati per le violazioni di cui ai punti precedenti, attesa la sostanziale assenza di un sistema di sicurezza aziendale, andrà opportunamente valutata, successivamente alla revoca del provvedimento di sospensione, l’estensione dell’accertamento a tutti i profili di competenza e in particolare a quelli attinenti alla salute e sicurezza, attivando anche nuovi accessi ed avvalendosi, ove necessario, delle Unità di progetto Sicurezza già costituite ovvero delle opportune sinergie con le ASL.[/panel]

Fonte: INAIL

Collegati
[box-note]D.Lgs. 81/2008 Testo Unico Salute e Sicurezza Lavoro
Tavola di concordanza TUS - Modifiche DL 146/2021
Circolare INL n. 3 del 9 novembre 2021
DL Sicurezza lavoro Draghi Ottobre 2021 (DL 146/2021): Testo nuovi Artt. modificati
TUSSL / Link[/box-note]

Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 31 Ottobre 2021

Scheda nazionale   INAIL 31 10 2021

Covid-19 | Contagi sul lavoro denunciati all’INAIL: Schede regionali 31 Ottobre 2021

INAIL 26.11.2021

Pubblicato il 21esimo report della Consulenza statistico attuariale Inail: dall’inizio della pandemia alla data dello scorso 31 ottobre le infezioni di origine professionale segnalate all’Istituto sono 183.147, 782 delle quali con esito mortale. Rispetto al monitoraggio mensile precedente, i casi in più sono 1.511 (+0,8%)

Covid-19, nei primi 10 mesi dell’anno i contagi sul lavoro in calo del 57,2% rispetto al 2020
 
ROMA - Tra gennaio e ottobre di quest’anno i contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’Inail sono diminuiti del 57,2% rispetto allo stesso periodo del 2020. A rilevarlo è il 21esimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto e pubblicato oggi insieme alla versione aggiornata delle schede di approfondimento regionali, da cui emerge che dall’inizio della pandemia alla data dello scorso 31 ottobre le infezioni di origine professionale segnalate all’Inail sono 183.147, pari a oltre un sesto del totale delle denunce di infortunio pervenute da gennaio 2020 e al 3,8% del totale dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data.

Dallo scorso febbraio il trend è in discesa. Rispetto alle 181.636 denunce rilevate dal monitoraggio precedente del 30 settembre 2021, i casi in più sono 1.511 (+0,8%), di cui 619 riferiti a ottobre, 254 a settembre e 117 ad agosto scorsi, mentre gli altri 521 casi riguardano per il 63,5% gli altri mesi del 2021 e il restante 36,5% il 2020. Il consolidamento dei dati permette, infatti, di acquisire informazioni non disponibili nelle rilevazioni precedenti. Il 2020, in particolare, con 148.216 infezioni totali denunciate raccoglie l’80,9% degli infortuni da Covid-19 pervenuti da inizio pandemia, con i mesi di novembre (40.536 denunce) e marzo (28.671) ai primi due posti per numero di casi. Il 2021, con 34.931 contagi denunciati in 10 mesi, al momento pesa invece per il restante 19,1%. Da febbraio di quest’anno il fenomeno è in significativa discesa e i 237 casi di giugno, sebbene ancora provvisori, rappresentano il minor numero di contagi mensili registrati dall’anno scorso, sensibilmente inferiore anche al precedente minimo osservato a luglio del 2020 (con poco più di 500 casi).

Le morti sono 20 in più ma solo una è avvenuta nell’ultimo mese di rilevazione. Le morti sul lavoro da Covid-19 denunciate all’Inail dall’inizio della pandemia sono 782, oltre un quarto del totale dei decessi denunciati all’Inail da gennaio 2020, con un’incidenza dello 0,6% rispetto al complesso dei deceduti nazionali comunicati dall’Iss alla stessa data. Rispetto ai 762 casi rilevati dal monitoraggio dello scorso 30 settembre, i decessi sono 20 in più, di cui uno avvenuto a ottobre e i restanti 19 riconducibili ai mesi precedenti (13 avvenuti nel 2021 e 6 nel 2020). Il 2020 con 559 decessi da Covid-19 raccoglie il 71,5% di tutti i casi mortali da contagio sul lavoro pervenuti fino al 31 ottobre di quest’anno, con il mese di aprile al primo posto per numero di deceduti (195), seguito da marzo (140). Il 2021, con 223 decessi nei primi 10 mesi, al momento pesa invece per il 28,5% sul totale delle infezioni di origine professionale con esito mortale.

Due denunce su tre al Nord. L’analisi territoriale, che è possibile approfondire anche attraverso le schede regionali aggiornate, evidenzia una distribuzione delle denunce del 42,3% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 25,1%), del 24,6% nel Nord-Est (Veneto 10,5%), del 15,3% al Centro (Lazio 6,7%), del 12,9% al Sud (Campania 5,9%) e del 4,9% nelle Isole (Sicilia 3,3%). Le province con il maggior numero di contagi da inizio pandemia sono quelle di Milano (9,6%), Torino (6,9%), Roma (5,3%), Napoli (4,0%), Brescia e Varese (2,5% ciascuna), Verona e Genova (2,4% ciascuna), e Bologna (2,3%). Milano è anche la provincia che registra il maggior numero di contagi professionali accaduti nel solo mese di ottobre, seguita da Roma, Torino, Napoli, Ravenna, Foggia, Ancona, Firenze, Bergamo e Catania. Le province che registrano i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione di settembre – non per contagi avvenuti nel mese di ottobre ma per il consolidamento dei dati in mesi precedenti – sono però quelle di Siracusa, Taranto, Trapani, Vibo Valentia, Matera, Caltanissetta, Pistoia e Reggio Calabria.

La provincia di Napoli maglia nera dei decessi. Prendendo in considerazione solo i decessi, la quota del Nord-Ovest sul totale scende al 36,3% (prima la Lombardia con il 24,8%), mentre il Sud, con il 26,1% dei casi mortali denunciati, contro il 12,9% riscontrato sul complesso dei contagi, precede il Centro (18,0%), il Nord-Est (12,8% rispetto al 24,6% delle denunce totali) e le Isole (6,8%). Le province con più decessi da inizio della pandemia sono Napoli (con l’8,1%), Roma (7,7%), Milano (6,6%), Bergamo (6,4%), Brescia e Torino (4,0% ciascuna), Cremona (2,4%), Genova (2,3%), Bari, Caserta e Palermo (2,2% ciascuna), e Parma (2,0%).

L’identikit dei lavoratori più colpiti. La maggioranza dei casi mortali riguarda gli uomini (83,2%) e i lavoratori nelle fasce di età 50-64 anni (71,8%), over 64 anni (18,5%) e 35-49 anni (9,1%), mentre tra gli under 35 si registra solo lo 0,6% dei morti e nessuna lavoratrice. Allargando l’analisi a tutti i contagi sul lavoro da Covid-19, il rapporto tra i generi si inverte. La quota femminile sul totale delle denunce, infatti, è pari al 68,3%. Il numero delle lavoratrici contagiate supera quello dei lavoratori in tutte le regioni, a eccezione della Calabria, della Sicilia e della Campania, dove l’incidenza delle donne sul complesso delle infezioni di origine professionale è, rispettivamente, del 48,8%, del 45,8% e del 44,2%. L’età media dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni per i contagiati di entrambi i sessi e 59 per i deceduti (57 per le donne, 59 per gli uomini). Il 42,5% del totale delle denunce riguarda la classe 50-64 anni. Seguono le fasce 35-49 anni (36,6%), under 35 anni (18,9%) e over 64 anni (2,0%). L’86,5% delle denunce riguarda lavoratori italiani. Il restante 13,5% sono stranieri, concentrati soprattutto tra i lavoratori rumeni (pari al 21,0% dei contagiati stranieri), peruviani (12,6%), albanesi (8,1%), moldavi (4,6%), ecuadoriani (4,1%) e svizzeri (3,9%). Più di nove morti su 10 sono italiani (90,7%), mentre la comunità straniera con più decessi denunciati è quella peruviana (con il 16,4% dei casi mortali dei lavoratori stranieri), seguita da quelle albanese (12,3%) e rumena (8,2%).

Poco più di tremila i contagiati tra insegnanti, professori e ricercatori. La stragrande maggioranza dei contagi e dei decessi (rispettivamente 96,9% e 88,1%) riguarda l’Industria e servizi, con i restanti casi distribuiti nelle gestioni assicurative per Conto dello Stato (amministrazioni centrali dello Stato, scuole e università statali), Agricoltura e Navigazione. Sono poco più di tremila, in particolare, le infezioni di origine professionale di insegnanti, professori e ricercatori di scuole di ogni ordine e grado e di università statali e private, riconducibili sia alla gestione dei dipendenti del Conto dello Stato sia al settore Istruzione della gestione Industria e servizi.

La sanità e assistenza sociale sempre al primo posto tra le attività produttive. Il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – è sempre al primo posto tra le attività produttive con il 65,0% delle denunce e il 22,4% dei casi mortali codificati, seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), con il 9,1% dei contagi e il 10,4% dei casi mortali. Gli altri settori più colpiti sono il noleggio e servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il trasporto e magazzinaggio, secondo per numero di decessi con il 12,9% del totale, il manifatturiero (tra le prime categorie coinvolte gli addetti alla lavorazione di prodotti alimentari, alla stampa, alla lavorazione di prodotti farmaceutici, di metalli, di macchinari e di pelli), che con l’11,8% figura al terzo posto per casi mortali denunciati, le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…), e le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale).

Per trasporto e commercio incidenze in crescita nell’ultimo quadrimestre. Rispetto al 2020, però, nei primi 10 mesi del 2021 si riscontrano alcune differenze nell’evoluzione dei contagi in vari settori produttivi. La sanità e assistenza sociale ha mostrato, in termini assoluti, un numero di infezioni da Covid-19 di origine professionale in costante discesa, registrando nel mese di giugno il suo livello più basso, con una sessantina di casi (erano 400 a giugno 2020), per poi risalire lievemente nei due mesi successivi e rallentare di nuovo a settembre e ottobre. A partire dal febbraio 2021 il settore ha avuto riduzioni in termini di incidenza, che però nell’ultimo quadrimestre mostrano segnali di ripresa, in particolare nel mese di ottobre. Altri comparti produttivi, come il trasporto e magazzinaggio e il commercio, nello stesso periodo hanno invece registrato incidenze di contagi professionali in crescita rispetto allo scorso anno.

Un quarto dei morti tra il personale sanitario e socio-assistenziale. L’analisi per professione dell’infortunato evidenzia come un quarto dei decessi (25,7%) riguardi il personale sanitario e socio-assistenziale. La categoria dei tecnici della salute, in particolare, è quella più coinvolta dai contagi, con il 37,4% delle denunce complessive, l’82,6% delle quali relative a infermieri, e il 9,6% dei casi mortali codificati (il 66,7% infermieri). Seguono gli operatori socio-sanitari con il 18,1% delle denunce (e il 3,7% dei decessi), i medici con l’8,5% (e il 5,0% dei decessi), gli operatori socio-assistenziali con il 6,9% (e il 2,6% dei decessi) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,7% (e il 3,3% dei decessi). Il restante personale coinvolto riguarda, tra le prime categorie professionali, gli impiegati amministrativi, con il 4,6% delle denunce e il 10,0% dei casi mortali, gli addetti ai servizi di pulizia, con il 2,3% sia per i contagiati in complesso che per i deceduti, i conduttori di veicoli, con solo l’1,3% dei contagi ma ben il 7,8% dei decessi, gli impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta, e gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia.

L’andamento per professione dell’infortunato. Anche rispetto alla professione dell’infortunato si osserva in generale un calo significativo delle denunce a partire dal febbraio 2021, con incidenze in riduzione per alcune categorie, tra le quali le professioni sanitarie, che però nell’ultimo quadrimestre mostrano segnali di ripresa. Altre professioni, come per esempio gli impiegati addetti alla segreteria e agli affari generali, gli impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta, gli insegnanti di scuola primaria o gli impiegati addetti agli sportelli e ai movimenti di denaro, con il ritorno alle attività hanno visto invece aumentare l’incidenza dei casi di contagio rispetto allo scorso anno, con l’esclusione del mese di ottobre in cui si registra un calo.
 
 
Fonte: INAIL

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Circolare INL n. 3 del 9 novembre 2021

Circolare INL n  3 del 9 novembre 2021

Circolare INL n. 3 del 9 novembre 2021 / Nuovo provvedimento ex art. 14 TUS

ID 14904 | 09.11.2021/ In allegato testo Circolare

D.L. n. 146/2021 - nuovo provvedimento di sospensione ex art. 14 D.Lgs. n. 81/2008 - prime indicazioni

L’art. 13 del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 ha sostituito l’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008, apportando all’istituto della sospensione dell’attività imprenditoriale una serie di sostanziali modifiche.

Si ritiene pertanto opportuno fornire di seguito alcune indicazioni condivise con l’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 9686 dell’8 novembre 2021 e che, evidentemente, potranno essere oggetto di integrazione o modifica a seguito della conversione in legge del citato decreto.

Vedi: Tavola di concordanza TUS - Modifiche DL 146/2021

[box-download]In calce all'articolo testo della Circolare INL n. 3 del 9 novembre 2021[/box-download]

Finalità del provvedimento e competenza

Il nuovo comma 1 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce che il provvedimento di sospensione è adottato dall’Ispettorato nazionale del lavoro “al fine di far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori”, per il tramite del proprio personale ispettivo. Lo stesso potere spetta “ai servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali nell'ambito di accertamenti in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro” (comma 8).

Condizioni per l’adozione del provvedimento

Secondo l’attuale disciplina il provvedimento di sospensione è adottato dall’Ispettorato nazionale del lavoro. A differenza della previgente formulazione, in cui si evidenziava la “possibilità” di adottare il provvedimento da parte degli “organi di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali”, è ora evidenziata l’assenza di ogni forma di discrezionalità da parte dell’Amministrazione. Tuttavia, nell’adozione del provvedimento sospensivo va comunque valutata l’opportunità di farne decorrere gli effetti in un momento successivo, così come del resto previsto dal comma 4 del nuovo art. 14 secondo il quale “in ogni caso di sospensione, gli effetti della stessa possono essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità”.

Una prima condizione per l’adozione del provvedimento si realizza quando l’Ispettorato “riscontra che almeno il 10 per cento dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risulti occupato, al momento dell'accesso ispettivo, senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro”.

Sul punto vanno evidenziate alcune sostanziali novità rispetto alla previgente formulazione.

Una prima importante novità attiene alla percentuale di lavoratori irregolari che passa dal 20% all’attuale 10%, la cui condizione è correlata esplicitamente alla insussistenza della comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro. Ai fini della sospensione non potranno dunque essere considerati irregolari i lavoratori rispetto ai quali non è richiesta la comunicazione, come avviene nelle ipotesi di coadiuvanti familiari ovvero dei soci, per i quali è prevista unicamente la comunicazione all’INAIL ex art. 23 D.P.R. n. 1124/1965. La nuova percentuale del 10% di lavoratori irregolari continuerà ad essere calcolata sul numero di lavoratori presenti sul luogo di lavoro al momento dell’accesso ispettivo. Si ricorda che i lavoratori da conteggiare nella base di computo sono tutti coloro che rientrano nell’ampia nozione di lavoratore di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008.

Andranno quindi conteggiati, nel rispetto dei precedenti orientamenti forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tanto i collaboratori familiari, anche impegnati per periodi inferiori alle dieci giornate di lavoro (v. ML nota prot. n. 14184 del 5 agosto 2013), quanto i soci lavoratori cui non spetta l’amministrazione o la gestione della società, non disponendo dei poteri datoriali tipici (v. ML nota prot. n. 7127 del 28 aprile 2015). Infine, viene ribadita nel nuovo testo l’esclusione del provvedimento di sospensione per lavoro irregolare nel caso in cui il lavoratore risulti l’unico occupato dall’impresa (c.d. microimpresa. cfr. comma 4).

Ulteriore novità è rappresentata dal riferimento “all’accesso ispettivo”, quale momento in cui va valutata la sussistenza dei presupposti di adozione del provvedimento. Ciò lascia evidentemente intendere che la regolarizzazione dei lavoratori nel corso dell’accesso è del tutto ininfluente e pertanto il provvedimento andrà comunque adottato. Quanto sopra anche nelle ipotesi in cui il provvedimento di sospensione debba essere adottato “su segnalazione di altre amministrazioni” e, nelle more dei sette giorni previsti dal comma 3 del nuovo art. 14, si sia comunque provveduto alla regolarizzazione delle violazioni accertate.

Il provvedimento di sospensione deve essere adottato anche tutte le volte in cui sono accertate gravi violazioni in materia di salute e sicurezza individuate tassativamente nell’Allegato I al decreto-legge e di seguito riportate.

  Fattispecie Importo somma aggiuntiva

1 Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi Euro 2.500
2 Mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione Euro 2.500
3 Mancata formazione ed addestramento Euro 300 per ciascun lavoratore interessato
4 Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile Euro 3.000
5 Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza (POS) Euro 2.500
6 Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall'alto Euro 300 per ciascun lavoratore interessato
7 Mancanza di protezioni verso il vuoto Euro 3.000
8 Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno Euro 3.000
9 Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi Euro 3.000
10 Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi Euro 3.000
11 Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale) Euro 3.000
12 Omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo Euro 3.000

A tale riguardo, infatti, il nuovo art. 14 non richiede più che le violazioni siano reiterate. Sarà, quindi sufficiente l’accertamento di una delle violazioni contenute nel citato Allegato I per consentire l’adozione del provvedimento.

Va, peraltro ricordato che l’art. 13 del decreto-legge ha modificato l’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2008, attribuendo anche all’Ispettorato nazionale del lavoro, al pari delle AA.SS.LL., il potere di svolgere attività di vigilanza e accertare eventuali illeciti in materia prevenzionistica indipendentemente dal settore di intervento. Rispetto alle violazioni indicate il personale ispettivo potrà dunque svolgere i dovuti accertamenti adottando i relativi provvedimenti di prescrizione ai sensi del D.Lgs. n. 758/1994.

In relazione alle violazioni contenute nell’Allegato I ci si riserva comunque di fornire ogni necessario chiarimento con separata nota.

Ambito di applicazione del provvedimento di sospensione e decorrenza

Il provvedimento di sospensione, come in passato, è anzitutto adottato “in relazione alla parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni”. Rispetto a tale previsione si rinvia ai chiarimenti già forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali secondo il quale “gli effetti del provvedimento vanno dunque circoscritti alla singola unità produttiva, rispetto ai quali sono stati verificati i presupposti per la sua adozione e, con particolare riferimento all’edilizia, all’attività svolta dall’impresa nel singolo cantiere” (cfr. ML circ. n. 33/2009; v. anche ML nota prot. n. 337 del 9 gennaio 2012 in relazione alle manifestazioni fieristiche).

Il nuovo art. 14 prevede inoltre, in via alternativa, l’adozione del provvedimento di sospensione “dell'attività lavorativa prestata dai lavoratori interessati dalle violazioni di cui ai numeri 3 e 6 dell'Allegato I”.

Trattasi in particolare di sospendere dall’attività soltanto i lavoratori rispetto ai quali il datore di lavoro:

- abbia omesso la formazione e l’addestramento (violazione n. 3 Allegato I);
- abbia omesso di fornire i necessari dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall'alto (violazione n. 6 Allegato I).

Tali violazioni, infatti, possono essere riferite e circoscritte alla posizione di un singolo lavoratore. La sospensione, in tal caso, comporta quindi l’impossibilità per il datore di lavoro di avvalersi del lavoratore interessato fino a quando non interverrà la revoca del provvedimento secondo le condizioni previste dal comma 9.

Resta fermo, trattandosi di causa non imputabile al lavoratore, l’obbligo di corrispondere allo stesso il trattamento retributivo e di versare la relativa contribuzione.

Va precisato che a fronte di un accertamento sulla contestuale presenza di più violazioni utili alla adozione del provvedimento di sospensione (siano queste riferibili tutte all’Allegato I ovvero in parte all’Allegato I e in parte alla occupazione di personale irregolare), il personale ispettivo adotterà sempre un unico provvedimento di sospensione “della parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni” fermo restando che, ai fini della revoca del provvedimento, occorrerà verificare la regolarizzazione di tutte le violazioni riscontrate e il pagamento delle somme aggiuntive riferibili a ciascuna di esse. Pertanto, la seconda tipologia di provvedimento (“sospensione dell’attività lavorativa prestata dai lavoratori interessati dalle violazioni”) ricorre solo quando le violazioni concernenti la formazione, l’addestramento o la mancata fornitura di DPI non siano accompagnate da altre violazioni utili all’adozione della sospensione.

Così come in passato, si evidenzia che gli effetti sospensivi possono decorrere, ai sensi del comma 4 del nuovo art. 14, dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.

Benché la disposizione al riguardo non faccia distinzioni tra le due cause di sospensione (lavoro irregolare e gravi violazioni in materia di salute e sicurezza) va considerato che, fatte salve le specifiche valutazioni da effettuarsi caso per caso, il provvedimento di sospensione per motivi di salute e sicurezza dovrà essere, di norma, adottato con effetto immediato.

Adozione misure per far cessare il pericolo per la salute e la sicurezza dei lavoratori

L’ultimo periodo del nuovo comma 1 dell’art. 14 prevede la possibilità di imporre, unitamente al provvedimento di sospensione, ulteriori e specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.
A tale riguardo viene in rilievo, ad esempio, il potere di disposizione di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 520/1955, rispetto al quale sussiste altresì il presidio sanzionatorio contenuto nell’art. 11, comma 2 dello stesso D.P.R. (arresto fino ad un mese o ammenda fino ad euro 413, v. circ. n. 5/2020). Peraltro, va evidenziato che la disposizione potrà trovare sempre applicazione anche in tutti i casi in cui non ricorrano i presupposti per l’adozione del provvedimento di sospensione (es. allontanamento del lavoratore nelle ipotesi di microimpresa).

Condizioni per la revoca del provvedimento di sospensione

Con riferimento alla sospensione adottata per lavoro irregolare è necessaria la regolarizzazione dei lavoratori nonché, come esplicitamente evidenziato dal legislatore in tale occasione, una regolarizzazione anche sotto il profilo degli adempimenti in materia di salute e sicurezza.

Sul punto si ritiene opportuno richiamare i precedenti chiarimenti del Ministero contenuti nella nota prot. n. 19570 del 16 novembre 2015 secondo i quali, ferma restando l’adozione della prescrizione obbligatoria, ai fini della revoca del provvedimento:

- quanto alla sorveglianza sanitaria sarà necessaria l’effettuazione della relativa visita medica, potendosi comunque ritenere sufficiente l’esibizione della prenotazione della stessa purché i lavoratori interessati non siano adibiti a mansioni lavorative per le quali debba conseguirsi il relativo giudizio di idoneità;
- quanto agli obblighi di formazione e informazione, si ritiene sufficiente che l’attività formativa del personale da regolarizzare sia stata programmata in modo tale da concludersi entro il termine di 60 giorni e che l’obbligo informativo sia comprovato da idonea documentazione sottoscritta dal lavoratore.

Nelle ipotesi di sospensione per gravi violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro occorrerà accertare che il datore di lavoro abbia provveduto al ripristino delle regolari condizioni di lavoro, adottando il comportamento eventualmente oggetto di prescrizione obbligatoria.

Si ribadisce inoltre che, in ragione dell’ampliamento delle competenze rimesse all’Ispettorato ai sensi del nuovo art. 13 del D.Lgs. n. 81/2008, diversamente dal passato, gli accertamenti relativi agli adempimenti in materia di salute e sicurezza, anche ai fini della revoca della sospensione, saranno effettuati in tutti i settori di intervento.

In entrambi i casi sopra descritti il datore di lavoro dovrà altresì provvedere al pagamento di una somma aggiuntiva prevista per ciascuna fattispecie di violazione riscontrata.

In particolare, nelle ipotesi di lavoro irregolare, sono previsti due differenti importi: se il numero dei lavoratori irregolari non è superiore a cinque l’importo è pari a 2.500 euro, se superiore a cinque la somma aggiuntiva è pari a 5.000 euro. Nei casi di sospensione per motivi di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro la somma aggiuntiva è indicata nell’Allegato I in riferimento a ciascuna violazione.

Laddove siano state riscontrate più violazioni – concernenti le fattispecie indicate nell’Allegato I e/o l’impiego di lavoratori “in nero” – l’importo utile alla revoca sarà dato dalla somma di quanto indicato accanto a ciascuna fattispecie di cui all’Allegato I e/o di quanto indicato dalla normativa in relazione all’impiego di lavoratori irregolari.

Va inoltre segnalato che, ai sensi del nuovo comma 10, “le somme aggiuntive di cui alle lettere d) ed e) sono raddoppiate nelle ipotesi in cui, nei cinque anni precedenti alla adozione del provvedimento, la medesima impresa sia stata destinataria di un provvedimento di sospensione”. Sul punto si evidenzia che, laddove l’Ufficio sia a conoscenza della adozione, nei cinque anni precedenti, di un provvedimento di sospensione a carico della medesima impresa, anche sulla base della previgente normativa e anche in forza di violazioni diverse da quelle da ultimo accertate, si provvederà a raddoppiare gli importi delle “somme aggiuntive” dovute, evidenziando nel provvedimento la sussistenza della “recidiva” che ha dato luogo alla maggiorazione degli importi.

Permane, invece, anche nel nuovo regime dell’art. 14, la possibilità per il datore di lavoro di ottenere la revoca del provvedimento mediante il pagamento immediato di una percentuale della somma aggiuntiva ridotta al 20%. Il nuovo comma 11, similmente al precedente comma 5-bis, stabilisce infatti che “su istanza di parte, fermo restando il rispetto delle condizioni di cui al comma 9, la revoca è altresì concessa subordinatamente al pagamento del venti per cento della somma aggiuntiva dovuta. L'importo residuo, maggiorato del cinque per cento, è versato entro sei mesi dalla data di presentazione dell'istanza di revoca. In caso di mancato versamento o di versamento parziale dell'importo residuo entro detto termine, il provvedimento di accoglimento dell'istanza di cui al presente comma costituisce titolo esecutivo per l'importo non versato”.

Comunicazione alle autorità

Per tutto il periodo di sospensione, il comma 2 dell’art. 14 prescrive il divieto all’impresa di contrattare con la pubblica amministrazione. A tal fine, come per il passato, il provvedimento di sospensione dovrà essere tempestivamente comunicato all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, per gli aspetti di rispettiva competenza, al fine dell’adozione da parte del predetto Ministero del provvedimento interdittivo.

Ricorso avverso i provvedimenti di sospensione

Unicamente avverso il provvedimento di sospensione per l’impiego di lavoratori irregolari è possibile proporre ricorso amministrativo dinanzi all’Ispettorato interregionale del lavoro territorialmente competente entro il termine di 30 giorni dalla sua adozione.

Il termine per la presentazione del ricorso decorre dalla notifica al datore di lavoro.

L’Ispettorato interregionale è tenuto a pronunciarsi entro il termine di 30 giorni dalla presentazione del ricorso e lo stesso si intende accolto qualora tale termine decorra inutilmente. In caso di sospensione per violazioni in materia di salute e sicurezza, la cui cognizione, in caso di inottemperanza alla prescrizione, è rimessa alla cognizione del giudice penale, il nuovo comma 16 prevede che il decreto di archiviazione emesso a conclusione della procedura di prescrizione prevista dagli artt. 20 e ss. del D.Lgs. n. 758/1994 per l’estinzione delle contravvenzioni accertate e poste a fondamento del provvedimento di sospensione, determina la decadenza del provvedimento stesso.

Resta tuttavia fermo il provvedimento di sospensione qualora sia stato adottato anche in ragione della riscontrata presenza di lavoratori irregolari, ove la condizione di cui alla lett. a) del comma 9 non sia stata soddisfatta.

Inottemperanza al provvedimento di sospensione

Ai sensi del nuovo comma 15 dell’art. 14 il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento di sospensione è punito con l'arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.

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Fonte: INL

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